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Messaggi - Phil

#2146
Citazione di: Apeiron il 09 Dicembre 2016, 16:02:32 PMAspetti negativi (anche qui senza volontà di essere completo):
[...] Omologazione
Non so se sconfino in off topic (e in tal caso me ne scuso), ma credo che il falso mito dell'"omologazione moderna" sia uno dei demoni di cartone, uno degli stereotipi infondati che ormai aleggia ovunque senza essere adeguatamente messo in discussione. Se per modernità intendiamo la contemporaneità, direi che non è certo questa l'epoca in cui si va a scuola vestiti tutti uguali, in cui si recita in coro il credo della cultura dominante, in cui ci sono solo due o tre punti di vista fra cui scegliere, in cui il diverso è in quanto tale inferiore, in cui oltre i confini del proprio stato c'è solo un frivolo fascino esotico... se non erro, la nostra epoca è quella della contaminazione, della interculturalità, del laicismo, del villaggio globale, del "gaypride" e, soprattutto, del fai-da-te (politico, religioso, culturale, etc.). E il fai-da-te è l'antitesi dell'omologazione... 

Con ciò non voglio dire che la modernità sia meglio del suo passato (giudizio che sarebbe autoreferenziale e opinabile, come il considerare l'assenza di spirito religioso un difetto ;)), ma soltanto che "omologazione" non è una categoria che mi sembra descrivere adeguatamente le peculiarità della modernità rispetto al recente passato... indubbiamente ci sono gruppi di persone omologate, ma non credo questa sia una "innovazione" introdotta dallo "spirito della modernità" (gruppi di quel tipo ci sono sempre stati), anzi, la nostra è forse l'epoca più "eterologa, eterodossa ed eteronoma" della storia dell'uomo, proprio perchè il numero di gruppi, "tribù urbane", sub-culture, etc. che convivono spalla a spalla è decisamente più elevato che in passato... se ciò sia un bene o un male, è una questione di paradigmi interpretativi e proprio la modernità ci insegna che non è necessario usare quelli più omologanti  :)
#2147
Parto dal titolo del topic (sorvolando sul tema immigrazione, non perchè non sia interessante, ma perchè ha un apposito topic); forse è possibile leggere la questione in modo più descrittivamente neutro se parliamo di "sostituzione", e non di "distruzione", del vecchio con il nuovo, o meglio, dell'antiquato con l'innovativo. E non si tratta solo di un cavillo linguistico: l'antiquato in fondo non viene sempre distrutto, eliminato, ma "superato", ovvero lasciato indietro, in seconda pagina e non più in copertina, quindi lasciato comunque esistere ancora per un po', seppure in una dimensione "inattuale" (quella del "vintage", dell'"inefficiente", dell'"obsoleto", etc.). L'affare migliore è spesso puntare al "penultimo modello" di un bene, solitamente deprezzato appena esce l'"ultimo modello".
Se l'innovazione, non solo tecnologica, è una costante (inevitabile?) dello sviluppo storico-sociologico, per cui non è una peculiarità solo della famigerata modernità, è anche vero che il suo "bioritmo" è molto più rapido che in passato: il ritmo dell'economia, dell'informazione, dell'elaborazione dei vissuti, in breve "il ritmo della vita" nel suo complesso (e nella sua crescente complessità, e nei suoi crescenti complessi da psichiatra) hanno subito un'accellerazione centrifuga rispetto al passato, e tutto viene spinto via, sostituito, sempre più rapidamente. 
Un esempio banale: per quanto tempo è stato un pregio la dimensione ridotta del cellulare? Solo per pochi anni, prima che diventassero multimediali (per foto, video e affini), poi smartphone... la categoria di "novità" è sempre più (s)fuggente e l'innovazione è sempre più pervasiva (quello della tecnologia è solo il settore in cui questa rapidità di avvicendamento del "nuovo" è più palese e tangibile).

La sensazione che si tratti di "distruzione" (nostalgia?) piuttosto che di mera "sostituzione" (processo) forse è data proprio dall'aumento del ritmo che contrae i tempi: "pianificare a lungo termine" vent'anni fa significava pensare al futuro proiettandosi decenni dopo, ora "a lungo termine" significa al massimo fra 7-8 anni, e il contraccolpo socio-psicologico di cui parlava acquario69 mi sembra dovuto proprio ad una temporalità satura di cambiamenti, talvolta imprevedibili, di un dinamismo incompatibile (se non traumatizzante) con la solida, ineluttabile, millenaria, ciclicità stabile della natura su cui si basava la cultura perlopiù contadina dei nostri nonni (o dei vostri padri, se avete una certa età  ;D ).
#2148
Scienza e Tecnologia / Re:Qua stiamo sbroccando!
07 Dicembre 2016, 22:59:11 PM
Citazione di: albert il 06 Dicembre 2016, 08:15:20 AMIl marketing si paga con lo pseudo-valore, cioè la differenza tra il valore commerciale di un prodotto (quanto lo si paga) ed il suo valore reale (quanto lo si pagherebbe in assenza di sollecitazioni). Se i consumatori non fossero disponibili a pagare più del valore reale la pubblicità cesserebbe di tormentarci
La difficoltà (capitalizzata dalla pubblicità) è che il valore è tanto più difficile da quantificare quanto più il bene che si decide di acquistare è complesso: se due cellulari hanno le stesse caratteristiche generali (dimensioni, processore, fotocamera, memoria, etc.), ma quello più costoso viene reclamizzato anche come più resistente agli urti e ai graffi, più comodo da usare e più elegante, come quantificare rigorosamente questi elementi in rapporto al prezzo (così da decidere se è adeguato)? Quanto valgono in euro resistenza, comodità ed eleganza? Possono essere elementi che spingono il consumatore fiducioso a comprarlo, pagandolo più dell'altro, anche se tali pregi sono tutti da verificare (il che non significa che siano fittizi), e tale verifica è davvero opinabile e soggettiva, quindi non monetizzabile...

Citazione di: maral il 07 Dicembre 2016, 00:13:21 AMMa soprattutto, dal punto di vista pubblicitario, è assolutamente indispensabile che quel prodotto che si è riusciti a far comprare, non soddisfi mai il desiderio che va quindi continuamente risollecitato e nei modi più assurdi
Forse quel prodotto invece deve soddisfare appieno quel desiderio (che magari esso stesso ha suscitato nel potenziale consumatore), ma tale realizzazione deve, come un cavallo di Troia, contenere in sè un ulteriore desiderio: "vorresti un cellulare (ormai li ho presi di mira! ;D ) che sappia fare x, y e z? il nostro cellulare lo fà!" ed ecco che il desiderio del cellulare che fa x, y e z viene indotto e poi soddisfatto al momento dell'acquisto; il compratore inizia quindi a fidarsi di quella specifica marca che ha soddisfatto il suo desiderio. Il passaggio successivo è implicitamente automatico: "vorresti un cellulare che fa x, y e z, dura il doppio ed è più ergonomico? il nostro nuovo cellulare è così!" ed ecco che, dando per scontati (in tutti i sensi ;) ) x, y e z si può far leva sulla possibilità di migliorare (per durata e praticità) x, y e z, diventati ormai una pseudo-necessità per l'acquirente, che probabilmente si riaffiderà alla marca che lo ha soddisfatto ("fidelizzato")... poi a x, y e z aggiungeremo "k", poi un "k migliorato" e così via, realizzando "desideri matrioska", che ne contengono sempre altri...
#2149
Scienza e Tecnologia / Re:Qua stiamo sbroccando!
30 Novembre 2016, 18:05:39 PM
Condizionare un proprio simile per ottenere un vantaggio personale è il secondo mestiere più antico del mondo (e anche il primo si basa in fondo sullo stesso principio ;D ), per cui la scienza e la tecnologia non fanno altro che contestualizzare nella loro cultura quello che un tempo erano soltanto retorica e abilità nel mercanteggiare...
Tuttavia non bisogna confondere l'influenzare il prossimo (e solitamente dall'"influenza" si può guarire  ;) ) con una forma di "burattinaggio" coercitivo lobotomizzante. Pensiamo a quando ci prepariamo ad incontrare una donzella di cui vorremmo ottenere il consenso: ci "confezioniamo" con il miglior "packaging" a disposizione nel nostro guardaroba, prepariamo "slogan" e frasi ad effetto per attirare l' attenzione, "esponiamo" tutta la "convenienza" delle nostre peculiarità che ci differenziano dalla "concorrenza", scegliamo una "setting" in cui poter mettere in risalto la nostra qualità (neanche fossimo esperti di "visual merchandasing"), magari cerchiamo di offrire, se non la cena, almeno qualche "assaggio gratuito" di degustazione ( ;) ), eppure... non è certo che alla fine non si rimanga soli soletti sullo scaffale della propria speranza, con la nostra "avventrice" che non si avventa su di noi per metterci nel carrello della sua vita amorosa (in cui magari non siamo esattamente l'unico prodotto), ma invece ritrae la sua mano (anzichè concedercela) per poi indirizzarla altrove, verso altri "reparti"... insomma, "condizionare" non significa "ipnotizzare", e mi pare una lecita regola del gioco, sia in amore che al supermercato.

D'altronde, il fare la spesa è un'arte pratica che va imparata, proprio come il guidare la macchina, il cucinare, l'abbinare la camicia e il pantalone, etc. e per quanto si possa studiare una strategia di marketing per farci comprare qualcosa, è sempre possibile non comprarla semplicemente perchè non ci serve, non abbiamo abbastanza soldi, preferiamo un'altra marca... se poi la maggioranza cede a un bisogno indotto o a una moda, non dimentichiamoci comunque che finchè c'è gente che compra, c'è gente che può vivere grazie al commercio: se tutti comprassimo solo il minimo indispensabile, probabilmente la disoccupazione crescerebbe vertiginosamente... e se per vendere si ricorre alle conoscenze della tecnologia (tracciamento degli acquisti tramite cards), la psicologia del colore, studi di "targeting", o persino a "tre scimmiette che ballano" (cit.), in fondo è solo un modo più sofisticato ("evoluto" se volete) rispetto all'imperituro "avvicinatevi donne, è arrivato l'arrotino!"  ;D


P.s. Dopo questa apologia del marketing, forse è bene precisare che non sono un commerciante, quindi non sto difendendo la mia causa  :)
#2150
Intendevo proprio che sul piano semantico (ovvero del significato) l'indicazione è ancora chiara, non corrotta, "resiliente": la tua citazione porta ancora lo stesso messaggio/significato di mille o più anni fà (se ci fidiamo dei traduttori e delle revisioni, ma questa è un'altra storia, o meglio, un altro lato della stessa storia...). L'incoerenza, il travisare, lo sminuire, etc. appartengono alla pragmatica, alla messa in atto di quella indicazione, ma non alla semantica del testo, che resta inalterata come un segnale stradale che indica sempre e solo la stessa strada, anche a chi non può o non vuole seguirla, o si illude di farlo...
#2151
Il "compendio di segni" è sempre resiliente (semanticamente) se viene tramandato senza troppe storpiature, quello che non è resiliente è spesso la cultura del popolo a cui il compendio parla, popolo che è solitamente calato in una storia dinamica, fatta di mutamenti, più o meno intensi... è inevitabile che una popolazione, nella sua maggioranza, non colga un messaggio "difficile": più un paese è popoloso e più è improbabile che camminando per le sue strade si intravveda virtù ad ogni angolo; per questo il taoismo autentico non si respira in ogni angolo della Cina, come il cristianesimo più puro non si incontra ad ogni SanPietrino ( ;D ) delle strade di Roma, etc. come osservava disincantatamente la citazione iniziale, non siamo tutti uguali e, tanto più il percorso è nascosto, insolito, stretto e non per tutti (citando il topic), tantomeno ci si trova traffico...

Ogni testo "sacro" o tradizione è come un segnale stradale: indica la strada ma non la compie; sta al viandante percorrerla con le sue gambe, nel modo che può, che vuole, che preferisce e magari può anche decidere di cambiarla cercando scorciatoie, strade panoramiche e percorsi migliori... e se anche il segnale (i segni del "compendio") è diventato consumato, sporco, sbiadito o coperto con graffiti, sta sempre e solo al viandante tentare di decifrare l'indicazione originaria, "attualizzandola". In questo l'attualizzazione di un'indicazione è laboriosa e cruciale: se il segnale ci indica la strada in cui c'è un ponte ormai crollato, quel percorso non è più attualizzabile, o seguire le orme di chi ci ha preceduto sarebbe quantomeno rischioso; se invece ci indica una strada ancora percorribile, magari solo con un po' di cautela ed impegno, può essere ancora attualizzabile (sempre che si abbia voglia di fare due passi... si può anche decidere di sdraiarsi ai bordi della strada, accanto all'asino di cui parlava Sariputra, ad osservare i viandanti che si avvicendano sulla strada cercando la propria meta sui sentieri della "transumanza dello spirito"  :) ).
#2152
Quanto può essere attuale, o meglio, attualizzata una prospettiva taoista oggi? E quanto è dissonante con la nostra matrice storico-culturale?
Un'epistemologia del divenire, una conoscenza processuale senza Verità, una (non)azione priva di merito o peccato, una spiritualità  "laicamente panteistica" senza riti e preghiere, una morte che non è convocazione in giudizio per premi o castighi, un "senso" tutto immanente alla via (dao) che si sceglie di percorrere, che non ha come fine ultimo illuminazione o beatitudine o altri traguardi da inseguire, ma semplicemente, umanamente, la vita stessa...
#2153
Tematiche Filosofiche / Re:Coscienza
15 Novembre 2016, 21:36:54 PM
Anche se la coscienza non è il cervello, sostenere che non è nel cervello forse è in conflitto con il fatto che senza cervello non credo possa esserci coscienza (anche se non so se sono stati fatti esperimenti in merito, un cervello vivo non è la condizione necessaria e sufficiente per avere una coscienza?). Quindi il cervello plausibilmente "serve" alla coscienza (pur non identificandosi con essa) e in fondo è l'unico "aspetto" della coscienza che è possibile studiare in modo empirico-scientifico (a differenza delle emozioni). 
Chiaramente, il dolore non è l'osso rotto, ma a partire dallo studio dell'osso rotto ("risalendo" lungo il sistema nervoso, etc.) possiamo capire e spiegare il dolore; suppongo lo stesso valga per la coscienza: partendo da ciò che sembra essere la "radice fisiologica" della coscienza, si può forse arrivare a comprenderla meglio... 
Per quanto riguarda gli aspetti "esterni", comportamentali e manifesti della coscienza, la psicologia e "scienze" affini hanno già il loro bel da fare a cercare di sbrogliare la matassa: una collaborazione con le neuroscienze, affrontando la questione da due fronti complementari (esterno/interno, comportamento/fisiologia) potrebbe essere di reciproco giovamento...
#2154
All'alba della scrittura del pensiero, probabilmente si riteneva che ci fosse una sola Verità e il sapiente spaziava in molti ambiti del sapere, così acerbi da non richiedere troppa abnegazione... oggi il sapere è molto frammentato, o meglio, settorializzato, anche se il divario fra "scienze della natura" e "scienze dello spirito" è meno drastico che in passato, se non altro perchè si sta scoprendo che lo "spirito" è più "natura" di quanto si pensasse (vedi neuroscienze). In più di duemila anni, la verità ha lasciato tracce così confuse e labirintiche da far pensare che in fondo non sia una sola, e addirittura che non sia nemmeno vera lei stessa  ;D  per cui, forse, più che di "vera vita a riferimento di verità", bisognerebbe parlare di "vita coerente a riferimento del rispettivo criterio" oppure, stando in bilico sui confini del dicibile, si potrebbe parlare di v(er)ita: un gioco di parole che mi piace utilizzare per alludere alla verità della vita come evento vissuto, quindi confusione di verità (non logica ma esperenziale) e vita (non astratta ma esperita).

P.s.
Curiosità: in Giappone l'espressione "filosofia" è stata inventata ad hoc nell'ottocento per necessità di tradurre tale parola presente nei testi occidentali (che iniziavano ad essere studiati anche a livello accademico). Si scelse di tradurla cone tetsugaku: unione di tetsu (saggezza) e gaku (scienza, conoscenza), "conoscenza/scienza della saggezza" o "saggezza della conoscenza/scienza"? In entrambi i casi, è una espressione davvero "possente" e quasi conciliatrice dei due aspetti a cui si allude nei precedenti post...
#2155
Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2016, 19:14:04 PMDiscorso diverso invece per la forma. La logica ha ancora paradossi simili tipo: "The next statement is true. The previous statement is false." (Paradosso di Card). Qui NON c'è l'autoreferenzialità ma chiaramente è anch'esso senza senso ordinario.
Non viene comunicato un senso perchè entrmbe le affermazioni sono di secondo livello: entrambe sono affermazioni di verità, e non di stati di cose; la differenza cardine è quella fra dire "oggi è sabato" (primo livello - stato di cose) e dire "è vero che oggi è sabato" (secondo livello) che ha senso solo perchè si riferisce al rispettivo primo livello. In presenza di affermazioni solo di secondo livello, non può essere assegnato un valore di verità sensato.

P.s. 
Grazie per la segnalzione sul catuskoti: mi ero sempre chiesto se ci fosse un nome per quella logica a quattro uscite che ogni tanto affiora in alcuni testi... riguardo le logiche paraconsistenti, mi sembra, se non erro, che ce ne sia anche una che "indebolisce" persino il principio di identità...
#2156
Secondo me (e concordo con Apeiron, se ho ben inteso il suo discorso) si tratta di un falso problema, o meglio, di un gioco linguistico fine a se stesso: sia l'affermare che il negare, sia l'essere vero o falso, devono logicamente rimandare ad altro da sè, poichè sono affermazioni di secondo livello che presuppongono un referente di primo livello a cui riferirsi. In assenza di tale primo livello, non c'è autentico senso che venga comunicato... 

Se dicessi "questa verità è falsa" non direi nulla di contraddittorio o paradossale, ma enuncerei semplicemente una proposizione insensata, perchè "questa verità" non si riferisce ad altro da sè, per cui non è nè vera nè falsa, ma semplicemente "vuota di senso" (cosa intendo con l'espressione "questa verità"? Nulla; manca il primo livello...).
Parimenti dire "questa affermazione è falsa" è insensato perchè si tratta di una pseudo-affermazione, che non afferma nulla, se non la falsità di ciò che dice/afferma, ma ciò che dice/afferma è solo la falsità stessa (di cosa?), ma non c'è un referente di un livello inferiore di cui si predichi la falsità... ed esplicitarla con ""l'affermazione "questa affermazione è falsa" è falsa"" non fa altro che aggiungere un ulteriore livello superiore (se ne possono aggiungere infiniti!) che in assenza del primo livello (quello del referente) non ha comunque senso: è come voler costruire un grattacielo senza piano terra, partendo direttamente dal primo piano  :)

P.s.
Ad ulteriore esempio, anche se affermo "sto dicendo la verità" o "sto mentendo", si tratta di pseudo-affermazionì, perchè di fatto non mi riferisco a nulla (salvo riferirmi a ciò che ho detto in precedenza, ma il giochino si basa proprio sull'esclusione di questa possibilità...).
#2157
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
11 Novembre 2016, 17:54:20 PM
Qualche osservazione sulle due forme di solipsismo proposte da davintro:
Citazione di: davintro il 10 Novembre 2016, 23:01:05 PMLa prima, più "moderata", considera la non esistenza di altri soggetti. Io sono solo nel senso che sono l'unico Io percepiente o cosciente al mondo [...] negando l'esistenza di altri soggetti da me, ma non di una realtà oggettiva in generale, il solipsismo inteso così respinge la pretesa della coincidenza tra determinate rappresentazioni e realtà (la percezione di altre coscienze, l'empatia, rientra certamente nei miei fenomeni eppure il suo contenuto non sarebbe realtà oggettiva ma illusione), ma salverebbe una realtà oggettiva di cui riconosco l'esistenza, ma le cui proprietà non coincidono con le qualità fenomeniche dei miei vissuti su essa 
Quindi la percezione dell'esistenza di altri soggetti circostanti non rimanda ad una realtà oggettiva ma è illusione, invece la realtà oggettiva priva di altre coscienze è postulata realmente esistente (nonostante  i miei vissuti non la colgano adeguatamente)?
Come è possibile discriminare fra le due percezioni (quella dell'altro uomo e quella dell'oggetto "reale"), fino a riconoscere una come totalmente illusoria e l'altra come interpretazione soggettiva di qualcosa che tuttavia esiste?
L'altro uomo che mi "affronta" e parla è inesistente, mentre l'oggetto inerte che tace esiste anche se lo colgo solo come fenomeno di coscienza?
Quel "salvataggio della realtà oggettiva"(semi-cit.) è una concessione fatta al/dal solipsista da parte del realismo critico al paradossale prezzo di sacrificare l'altro-uomo-come-oggetto-fenomenico?


Citazione di: davintro il 10 Novembre 2016, 23:01:05 PMLa seconda [...] pone tale solitudine non come assenza di alter ego, ma  di qualunque cosa altra differente dal mio Io, non solo altri soggetti, ma anche la natura meramente fisica, non esiste alcuna altra cosa al mondo che il mio pensiero con il suo contenuto fenomenico.
Per quanto estrema, questa posizione di solipsismo radicale è forse la più logicamente coerente: se arriviamo a dubitare che ci siano gli altri (di cui uno verosimilmente ci ha generato e molti altri con cui ci relazioniamo), allora può ben essere illusorio (fino all'inesistenza) persino il restante palcoscenico, ormai privo di attori, ad eccezione del monologhista che si chiede come fa ad essere lì da solo  ;)


Proporrei poi una quarta forma di solipsismo (la terza, piuttosto interlocutoria, l'ha già proposta sgiombo), quella in cui l'autocoscienza è l'unica certezza (cartesiana) che porta a sospendere il giudizio di esistenza per quanto riguarda la realtà (altri umani compresi), riconoscendola non come inesistente, ma al massimo come ipotesi di giustificazione dei fenomeni di coscienza, come supposizione la cui esistenza reale è asintoticamente insondabile e, quindi, in fin dei conti, irrilevante...
#2158
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Novembre 2016, 22:35:04 PMCredo che comunque il meditare non per questo sia da buttar via; si tratta di coltivarlo con maturità, senza perdere di vista il fascino del silenzio, ma neanche il dramma insanabile del male.
Varrebbe la pena chiedersi(/ti) cos'è questo "male" (con la minuscola, quindi escludendo approcci che "personificano" tale male) che mette in scena il suo insanabile dramma... non è anch'esso solo un prodotto concettuale/interpretativo, una categoria determinata dal linguaggio che ne parla?
#2159
Citazione di: bluemax il 09 Novembre 2016, 13:05:06 PMNon c'è spiritualità, non c'è dolore ne gioia (se non ricompense chimiche volute dall'evoluzione), non c'è mente se non processi cerebrali, ma sopratutto non vi è un Se' un io [...] E non c'è amore, non c'è odio, non c'è Libero arbitrio... la filosofia muore lentamente, l'arte pure, la spiritualità diviene inutile di fronte la realtà dei fatti...
Forse conviene chiamare in causa la differenza fra ciò-che-costituisce-un-vissuto (la sua causa e il suo meccanismo) e l'esperienza-del-vissuto stesso (da parte della autocoscienza): il dolore, o meglio, quel tipo di esperienza fisica che noi abbiamo definito convenzionalmente come "dolore" (conferendole così un'esistenza concettuale-linguistica), viene sempre vissuto come tale; poi la scienza ci spiega che non è mandato dagli dei ma è un meccanismo neuro-fisiologico... ma ciò non cambia il modo in cui lo viviamo/percepiamo, nè è corretto sostenere che allora il "dolore non esiste più": esiste ancora sia come vissuto che come "definizione" di quel tipo di vissuto (l'esistenza ha differenti piani, Meinong docet). Non è che, sapendo come funziona il corpo ed il cervello, viene meno il sentire/provare dolore (semmai cambia solo la spiegazione di come si origina e come funziona).

Lo stesso vale per l'arte, la spiritualità, le differenti visioni del mondo, etc.: pur essendo, a quanto pare, radicate nel cervello, il modo di viverle e la loro influenza sulla vita del soggetto non vengono automaticamente annullate da questa consapevolezza demistificante, anche perchè non viene necessariamente condivisa da tutti (un esempio triviale: se penso che l'apice del piacere fisico che provo con una donna, sia un'ascesi mistico-spirituale, oppure una mera secrezione di enzimi ed impulsi elettrici, ciò non cambia l'esperienza del piacere insito nel vissuto ed il desiderio di riviverlo  ;)).


P.s. Non sarebbe poi da sottovalutare il fatto che sono pur sempre altri cervelli a studiare/decifrare il cervello...
#2160
Citazione di: Apeiron il 08 Novembre 2016, 19:41:31 PMvedendo quanto la connessione tra gli individui limita l'espressione individuale e la rende minuscola rispetto a quella collettiva
Spunto interessante per una distinzione fra "limita l'espressione individuale" e "la rende minuscola": la prima affermazione mi pare un po' "luddista", nel senso che obiettivamente oggi è molto più facile esprimersi (basti pensare a blog, youtube, etc.) ed avere una vetrina accessibile a (quasi) tutti in cui "esporre" la propria creatività, talento, etc. la seconda osservazione, il "rendere minuscolo" il controbuto del singolo, è una conseguenza proprio del fatto che un'espressione più facile, senza selezione, aumenta vertiginosamente il numero di coloro che si esprimono, per cui il "pubblico interessato" ha il problema di "filtrare" nel marasma della reperibilità, non più quello di "trovare" qualcosa di adatto al suo palato (com'era magari una volta...)

Citazione di: Eutidemo il 08 Novembre 2016, 14:52:12 PMIl Web 3.0 connetterà praticamente TUTTI gli esseri umani, con più integrazione di contenuti, motori di ricerca evoluti ecc.: insomma avremo una rete che è in grado di interpretare se stessa e senza ridondanza di informazione, divenendo il più fantastico repository di conoscenza mai visto, e lo scambio in tempo reale di informazioni, opinioni, e idee, diventerà sempre più rapido e "integrato", come in un MEGACERVELLO![...]Questo significa rinunciare totalmente alla nostra libertà individuale, e trasformarci in semplici "neuroni" pensanti di un megacervello? :( Non credo proprio...se non in mero senso metaforico. O, almeno, così spero! ;)
Concordo sul fatto che, per quanto affascinante, sia uno scenario perlopiù metaforico: rete neuronale, metacervello, etc. sono rappresentazioni icastiche ma, fuor di metafora, sono più le differenze che le somiglianze con un cervello vero.
Già adesso, l'interazione fra milioni (o miliardi?!) di utenti, è caratterizzata anche da cattiva informazione, ridondanza, problemi di privacy e di attendibilità delle fonti, usi illegali della rete, virus, hackeraggi vari, etc. è la disorganizzazione incontrollabile (basti pensare a "pirateria" e affini) fatta sistema (informatico), ovvero l'antitesi di ogni cervello, che è invece organizzato per funzioni distinte, ma ha comunque una sua omogeneità operativa, un suo equilibrio (si spera  ;D) e, soprattutto, i suoi componenti non hanno volontà e autonomia propria...
Pensa se collegassimo tutti gli utenti di questo forum in un unico sistema (praticamente ciò che già succede! :) ): ne conseguirebbero una frequente incapacità di concordare su una prospettiva condivisa, tensioni fra alcuni membri, fraintendimenti e conciliazioni, praticamente sarebbe il (meta)cervello di uno psicopatico multipolare (che finirebbe forse con l'uccidersi per pacificare quel ronzio disturbante di voci...).

Quello che il web offre non credo potrà essere coniugato con una inglobazione totalizzante dei suoi utenti al punto da privarli consesualmente della loro volontà(!): anche quando avremo browser sotto pelle, microchip nel cervello e il wi-fi avrà segnale anche sulla luna, scommetto ci sarà ancora qualcuno (vero, Sariputra? ;) ) che vorrà essere off-line per farsi una passeggiata nel parco, senza informare in diretta tutto il mondo che la sta facendo, senza ascoltare musica, senza seguire un navigatore satellitare e senza avvisare la sua casa domotizzata che quando tornerà vuole trovare la vasca piena di acqua calda e schiuma all'aroma di fiordaliso... questo non  tanto per il gusto anacronistico di fare qualcosa "all'antica", ma forse solo per vivere qualcosa che non lasci una traccia in kilobytes su una memoria artificiale (cookies e affini), ma che sia semplicemente e totalmente hic et nunc, in una sola parola, "impermanente" come la realtà...