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Messaggi - sgiombo

#2146
Citazione di: green demetr il 24 Dicembre 2017, 00:29:05 AM
Non volevo riferirmi alle tematiche del lutto e del suicidio.

Io mi riferivo a chi rinuncia alla ricerca della felicità.

Inoltre per essere forse più chiaro, vedo che non avete idea di cosa comporti accettare la sofferenza, la povertà e altri mali della società: che si crea una sacca di violenza, che è prima interiore personale, prima che sociale, che ne è solo il sintomo.

Dice bene Angelo quindi, perchè la gente violenta pensa infatti di essere felice, e invece la violenza è proprio la lampadina intermittente che suggerisce situazioni di sofferenza, tutt'altro che felici.

E' un bene il vostro ottimismo (perchè così lo considero) cari Apeiron e Sgiombo.

Ma evidentemente non vivete in situazioni di disagio sociale.
Citazione
Sì, io per primo ritengo di avere la fortuna di essere ottimista.

Inoltre non vivo attualmente situazioni di disagio.
Ma in passato ne ho vissute anche di gravi, sia sul piano personale - affettivo fin da bambino per traversie familiari (e su queste non credo sia il caso di soffermarmi), sia sul piano professionale (pesantemente perseguitato, leso nei miei diritti e "mobbato" da dirigenti ignoranti, incapaci, prepotenti e arroganti; giungendo a pensare al suicidio, anche se a dire il vero non "per l' immediato", cioé senza arrivare a compiere "preparativi pratici concreti", che sarebbe certo stato un salto di qualità; ma solo come extrema ratio nel caso la battaglia giudiziaria che avevo ingaggiato fosse finita in una sconfitta, probabilità di cui l' avvocato mi aveva reso edotto fin dall' inizio, date le deplorevoli condizioni della giustizia nel nostro paese e altrove; ma non essendo uso ad arrendermi senza prima combattere con tutte le mie forze, avevo accetto il rischio), sia sul piano delle mie convinzioni e ideai politico-sociali.
A questo proposito sono nato che Stalin era ancora in vita (poco meno di un anno prima che morisse) e la storia sembrava avviata ad un' inarrestabile marcia trionfale verso il progresso e una civiltà superiore e ora mi trovo in un periodo di reazione e di autentica decadenza civile di una gravità tale che la storia umana credo ne abbia conosciuti ben pochi altri simili.
Modestia a parte, quando ancora molti (anzi quasi tutti, che io sappia) a destra e a sinistra non capivano dove andava a parare la "perestroika" gorbacioviana e rispettivamente temevano o speravano un miglioramento e un ulteriore sviluppo del socialismo reale, mi ero reso conto benissimo che era in corso un pericoloso processo tendente verso disastrosi esiti controrivoluzionari; ho ancora una sorta di dossier con ritagli di giornali di allora -1986 - 1987!- soprattutto sovietici, cui avevo messo il titolo "L' inizio della fine dell' URSS?" (punto interrogativo suggeritomi dal mio ottimismo), e mia moglie ancora ricorda quegli anni come i più rabbiosi della mia vita, quelli nei quali ero relativamente più irritabile e talora perfino intrattabile; per fortuna le mie gravi traverse sul lavoro sono di un paio di decenni dopo).
Spesso dico che il mio e quello dei pochissimi miei coetanei che non si sono venduti alla reazione é "il destino di Filippo Buonarroti" (personaggio che potrebbe essere il protagonista di un' eventuale interessantissimo film sull' epoca attuale), il rivoluzionario compagno di Babeuf nella Congiura degli Eguali che, scampato per un pelo il patibolo, visse ancora per più di mezzo secolo: cinquant' anni e più di restaurazione e di sconfitte del progresso e della civiltà, durante i quali tantissimi compagni di lotta dei tempi migliori tradirono gli ideali della loro gioventù e si piegarono -spessissimo ricavandone privilegi e vantaggi personali: proprio come adesso!- al' andazzo corrente, mentre lui rimase sempre ostinatamente e fieramente un irriducibile rivoluzionario; e morì, a tarda età, proprio alla vigilia della "ripresa del cammino della storia" coi moti del '48.

Quindi credo di avere vissuto anche sofferenza, dolore, difficoltà, che hanno contribuito a rendere più interessante la mia vita e a farmene apprezzare e gustare ancor di più i largamente preponderanti "lati positivi".
Con tutto ciò resto convinto di essere (stato; almeno finora) decisamente fortunato oggettivamente, oltre che soggettivamente ottimista (il che é anche un' ulteriore oggettiva fortuna).
#2147
Citazione di: Apeiron il 23 Dicembre 2017, 16:05:33 PM
Citazione di: sgiombo il 23 Dicembre 2017, 14:52:36 PM
Citazione di: Apeiron il 23 Dicembre 2017, 11:40:29 AM

1) No, credo che sia per il fatto che naturalmente ci aspettiamo qualcosa di "positivo", come dice Simone Weil: "C'è nell'intimo di ogni essere umano, dalla prima infanzia sino alla tomba e nonostante tutta l'esperienza dei crimini commessi, sofferti e osservati, qualcosa che ci si aspetta invincibilmente che gli faccia del bene e non del male.


  • Concordo in pieno, salvo che con la citazione di Simon Weil.
  • Infatti purtroppo accadono anche suicidi per disperazione: la nostra irresistibile attesa di "qualcosa di positivo" ha dei limiti, più o meno ampi a seconda delle esperienze personali vissute da ciascuno; e capita purtroppo anche che questi limiti vengano superati dall' infelicità e dalla disperazione.

Uno compie certi atti perchè pensa che la non-esistenza sia meglio della vita stessa, i.e. cerca di evitare il male. Ergo compie quel gesto cercando di realizzare il "bene".
CitazioneQuindi un bene relativo al male ancor peggiore che sarebbe il continuare a vivere...

Però a me l' espressione "qualcosa che ci si aspetta invincibilmente che gli faccia del bene e non del male." non dà l' idea del "male minore" o della "limitazione del danno" (non mi fa immaginare che si possa identificare anche con la propria morte autonomamente ricercata onde porre fine a una vita insopportabilmente infelice e ritenuta esserlo irrimediabilmente), ma invece mi fa pensare al "bene in senso positivo", e tale anche indipendentemente dalle alternative ancor peggiori che il suicida può aspettarsi, in cui può sperare dalla continuazione della vita.

E' un po' la differenza fra "suicidio" ed "eutanasia".
L' eutanasia é per esempio quella che personalmente vorrei potermi dare (...non troppo presto): la morte onde evitare probabili sofferenze future tali da non essere adeguatamente compensate da gioie, di modo che "valga la pena" di sopportarle, potendo ben essere soddisfatti della vita che si é vissuta, cosìcché e se -per assurdo- dipendesse da se stessi la si rivivrebbe.
Invece il suicidio per così dire (ma non senza un doveroso senso di pietà per chi vi ricorra) "classico" é il darsi la morte per disperazione, senza essere affatto contenti della propria vita, cosicché se -per assurdo- dipendesse da se stessi ci si guarderebbe bene dal decidere di riviverla.

La tua obiezione é certamente ineccepibile sul pano della logica formale.
Ma talmente ineccepibile in termini di logica formale da apparirmi piuttosto ovvia e (senza intenzioni polemiche e men che meno offensive) un po' banale.
#2148
Citazione di: Apeiron il 23 Dicembre 2017, 11:40:29 AM
Citazione di: green demetr il 22 Dicembre 2017, 22:08:31 PMCredo perchè così ci hanno insegnato. Ovviamente uno specchio per le allodole (che noi siamo). Certo che se la reazione a questo infimo stratagemma, è la convinzione che il dolore faccia maturare....allora non vivete certo nelle periferie milanesi. Mi pare l'altra faccia dello stesso medaglione con cui ci abituano a pensare agli unicorni: quando invece la gente soffre in una maniera che faccio sempre più fatica ad accettare. Quando vedi la vita spegnersi di fronte a te CHE FAI??? SOCRATE CHE FAI????

1) No, credo che sia per il fatto che naturalmente ci aspettiamo qualcosa di "positivo", come dice Simone Weil: "C'è nell'intimo di ogni essere umano, dalla prima infanzia sino alla tomba e nonostante tutta l'esperienza dei crimini commessi, sofferti e osservati, qualcosa che ci si aspetta invincibilmente che gli faccia del bene e non del male."

2)il dolore può far maturare se ha un "significato"... Di certo non tutto il dolore e non tutta la sofferenza hanno significato.

3) spesso le persone [soffrono*] però per un dolore con "significato".

4) Socrate (la filosofia?) è anche una terapia e da significato alla sofferenza grazie alla convinzione che la ricerca della verità, della virtù, del bene ecc siano obbiettivi per cui vale la pena soffrire ;)

________________
*  Credo ti sia rimasto "nelle dita sulla tastiera"; un tempo si sarebbe detto "nella penna".


  • Concordo in pieno, salvo che con la citazione di Simon Weil.
  • Infatti purtroppo accadono anche suicidi per disperazione: la nostra irresistibile attesa di "qualcosa di positivo" ha dei limiti, più o meno ampi a seconda delle esperienze personali vissute da ciascuno; e capita purtroppo anche che questi limiti vengano superati dall' infelicità e dalla disperazione.
#2149
Citazione di: green demetr il 22 Dicembre 2017, 22:08:31 PM

Quando vedi la vita spegnersi di fronte a te CHE FAI??? SOCRATE CHE FAI????

Personalmente (salvo in caso di morte di persone decisamente malvage e spregevoli) spero che sia stata una vita complessivamente felice, che chi l' ha vissuta sia stato contento di viverla e la rivivrebbe se -per assurdo- dipendesse da lui.
Così come spero di morire a mia volta deliberatamente (per mia scelta libera da costrizioni estrinseche alla mia propria intrinsecamente deterministica volontà) consapevole che un' ulteriore sopravvivenza mi procurerebbe con ogni probabilità più dolore che felicità, dicendo a me stesso di esserne (stato) contento e che se -per assurdo- dipendesse da me la rivivrei, con tutte le tremende e meravigliose sofferenze e i dolori che ha comportato e con tutte le piacevolissime gioie e tutta la felicità che (parimenti) l' hanno arricchita e resa interessante e assai degna di essere vissuta, come credo sia (stata) finora di fatto.

Ma ovviamente spesso la vita e la morte sono ben diverse da così, di tutto ciò non v' é alcuna certezza, lo si può solo sperare.
E per questo, se ne avessi la possibilità, non farei un altro figlio, esponendolo inevitabilmente al rischio dell' infelicità (oltre che alla speranza della felicità) complessiva senza il suo (logicamente impossibile) preventivo consenso.

Ulteriore considerazione (ringrazio GreenDemetr per la stimolante domanda)

E se vedo morire un infelice o un malvagio penso che per lo meno la sua infelicità o la sua malvagità hanno fine.

(Probabilmente ho la fortuna di essere di temperamento ottimistico).
#2150
Citazione di: Socrate78 il 18 Dicembre 2017, 20:51:39 PM
Eppure io resto dell'idea che ci sia una distinzione fondamentale tra mente e cervello: a mio avviso esiste qualcosa che si può definire come "anima". La scienza, analizzando il cervello, ha notato come i nostri comportamenti siano causati da determinati neurotrasmettitori che provocano in noi determinate reazioni (paura, amore, rifiuto, accoglienza, ecc.). La scienza però studia e analizza il COME, non ci dice nulla sul PERCHE'. Se si sposta il discorso sul perché accade ciò che descrivo sopra, secondo me si deve ipotizzare l'esistenza di una specie di "regista intelligente" dietro le quinte che già sa come controllare il corpo per produrre una reazione funzionale all'ambiente e alle sue variazioni: una molecola di per sé infatti non è dotata di coscienza e intelligenza, eppure agisce come se lo fosse, visto che determina una reazione intelligente all'ambiente. O mi sfugge qualcosa?
CitazioneA me questa non sembra altro che la riproposizione, "riattualizzata per i nostri tempi" del vecchio argomento del "Dio orologiaio", molto in voga nei secoli XVII e XVIII (Boyle, Hooke, Voltaire), ripreso anche da Paley nel Natural Theology: or Evidences of the Existence and Attributes of the Deity, Collected from the Appearances of Nature del 1802, e a mio parere irrimediabilmente superato dalla teoria darwiniana della selezione naturale (e comunque sottinteso e a volte esplicitamente menzionato  contro la moderna biologia dagli odierni fautori del cosiddetto "disegno intelligente").

Malgrado ciò ritengo la mente cosciente non riducibile né sopravveniente al o emergente dal cervello
(secondo il largamente diffuso monismo materialistico), come ho argomentato in varie discussioni nel forum, da ultimo in quella "Contro il riduzionismo neurologico".
#2151
Non ho alcuna intenzione di cadere in alcuna contraddizione, cioé di di negare (ovvero credere in negativo) e affermare (ovvero credere in positivo) le stesse, medesime tesi, né di negare il determinismo

E non mi sembra di alcuna utilità ripetere ulteriormente le mie solite obiezioni alle tue solite affermazioni.

Mi sembra evidente che tutto ciò che avevamo da dire sulla questione l' abbiamo già detto e ripetuto fino alla nausea.
Chi ha voglia di rifletterci su ci rifletta.
#2152
Citazione di: Il_Dubbio il 17 Dicembre 2017, 00:23:09 AM
Citazione di: sgiombo il 16 Dicembre 2017, 15:06:42 PM

Il tuo linguaggio mi sembra un po' oscuro (non sono sicuro di averti pienamente capito).

Se intendi dire che la concatenazione causale degli eventi non é dimostrabile né constatabile empiricamente con certezza, che é "degna di dubbio" (come pure la sua negazione) sono perfettamente d' accordo: é in sostanza la critica razionale humeiana della causalità.

Ma ha senso (é logicamente corretto) ammettere la possibilità della conoscenza scientifica e credere che questa sia vera (sia pure ovviamente in maniera limitata, relativa) unicamente alla condizione necessaria che questa tesi indimostrabile della concatenazione causale degli eventi naturali (ovvero del divenire naturale ordinato secondo modalità universali e costanti, ossia "deterministico") sia vera.

Parli di logica e di ovviamente limitata e relativa...tutto questo perà non ha nulla a che vedere con la verita.
Non intendevo dire che la concatenazione causale degli eventi è indimostrabile.  Sono partito anzi dall'ammettere per ipotesi che noi si abbia certamente esperienza solo di concatenazioni causali. E' una verità indimostrabile Il fatto che si debba ritenere che tutte le concatenazioni siano causali. 
Questo atteggiamento, cioè quello di ritenere che tutti gli eventi siano causati, non ha fondamento. E per quale motivo dovremmo accettare una verità simile?
Come scegliamo le nostre verità?
E' da parecchio che la scienza ha capito l'antifona e non sostiene piu alcuna verità. Dice sempre: sino a prova contraria. Ammettendo quindi sempre l'errore e implicitamente non sostenendo alcuna verità.  
La credenza che la concatenazione casuale sia vera perciò non ha fondamento. Potremmo solo dire che è presumilbilmente vera...ma la presunzione che lo sia non può essere deterministica. Come si fa a determinare una presunzione di verità? Davvero non ha alcun senso... non so come spiegarlo altrimenti.
Citazione
Citazione
Le concatenazioni causali (anche se non tutte, ma solo parte) degli eventi che esperiamo le ammetti "per ipotesi" perché sono indimostrabili, oppure ritieni che siano dimostrabili (anche se non in tutti i casi di "concatenazioni" -sequenze?- di eventi?).

In questo secondo caso mi piacerebbe sapere come lo si dimostra.

Ripeto che la concatenazione causale degli eventi non é dimostrabile (Hume!).
Ma non si può, senza cadere in contraddizione (contravvenendo la logica), credere alla possibilità della conoscenza scientifica e allo stesso tempo negarla (la concatenazione causale degli eventi, ovvero il divenire naturale ordinato secondo leggi universali e costanti).

Quello della fallibilità della scienza é un altro discorso: certo che la scienza può sbagliare (e correggersi), ma semplicemente la conoscenza scientifica non può darsi se il divenire naturale non é ordinato secondo modalità universali e costanti bensì disordinato, caotico: se si "sceglie" (si crede) che non ci sia determinismo e contemporaneamente che ci sia possibilità di conoscenza scientifica si cade in contraddizione.

Veramente per me non ha senso il preteso concetto di "determinare una presunzione di verità".
Una verità la si crede, la si postula, se ne dubita, ma non la si "determina" (casomai accade deterministicamente).
Nè si determina una "presunzione di verità": casomai può accade deterministicamente che la si pensi (che si pensi che presumibilmente qualche affermazione sia vera).
#2153
Comunemente per "cervello" o "encefalo" (solitamente usati come sinonimi) senza ulteriori specificazioni si intende la parte del sistema nervoso centrale che é contenuta dalla scatola cranica e comprende come sue parti integranti midollo allungato, cervelletto, mesencefalo, diencefalo (di cui fa a sua volta parte l' ipotalamo) e telencefalo.
Comunque a me sembrava del tutto evidente che Socrate78 (attribuendogli fra l' altro la regolazione della temperatura corporea) intendesse il "cervello", secondo il linguaggio comune, come sinomimo dell' "encefalo".
Invece il midollo spinale é l' altra parte del sistema nervoso centrale, la quale non é contenuta nel cranio, ma nel canale midollare della colonna vertebrale.

Il problema é che secondo me entrambi confondete la coscienza, e in particolare il pensiero nel suo ambito, col telencefalo; il quale non contiene la coscienza né vi si identifica ma é un contenuto di coscienza (qualcosa che é visto e toccato, cioé costituito da sensazioni fenomeniche o "contenuti di coscienza"); a determinati eventi fisiologici del quale (nelle coscienze di chi li "senta" (in generale: di chi li rilevi con i sensi, ne "prenda coscienza") si può credere (ma non dimostrare) che coesistano e biunivocamente corrispondano determinati eventi coscienti (facenti parte di una determinata altra, diversa esperienza cosciente, diversa da quelle che osservano il cervello -e in particolare il telencefalo- stesso: se io osservo -nell' ambito della mia esperienza cosciente- accadere certi determinati eventi neurofisiologici nel tuo cervello, allora nell' ambito della tua esperienza cosciente -altra, diversa dalla mia- accadono certi determinate sensazioni fenomeniche, di cose materiali e/o di pensieri, e viceversa).
#2154
X Viator

O non hai capito nulla dell' intervento di Socrate 78 tu, oppure non ho capito nulla io.

Secondo me, nel passo che ritengo tu abbia frainteso, sostiene che alla reazione dell' organismo contro un' infezione partecipa anche, e non "secondariamente" bensì in modo decisamente rilevante, il cervello, in particolare la parte più "evolutivamente primitiva" (ipotalamo, tronco dell' encefalo, ecc.), regolando e modificando "all' uopo" (inconsapevolmente) la pressione del sangue, la temperatura corporea, la frequenza cardiaca, promuovendo le secrezioni surrenaliche (attraverso l' "asse ipotalamo-ipofisario-surrenalico") che attivano il sistema immunitario e contribuiscono ai processi fisiopaoplogici dell' infiammazione locale e della febbre, atti a contrastare e, se "Dio (o il "culo") ce la manda buona" e le terapie artificiali  sono sufficientemente efficaci) a superare la patologia, a guarirne (anziché soccombervi).
E tutto ciò senza alcun corrispettivo cosciente (sono meccanismi in gran parte scientificamente ben noti -te lo dico da medico- automatici, involontari e non legati a coscienza e ad eventuali conoscenze, dunque perfettamente funzionanti anche negli uomini primitivi e almeno in gran parte degli altrii vertebrati).

Infatti il problema che pone é quello dei rapporti fra meccanismi che io chiamerei "cerebrali" e lui "mentali" o comunque "cogitativi", di pensiero, inconsci da una parte e pensiero cosciente dall' altra.
#2155
Citazione di: Socrate78 il 16 Dicembre 2017, 13:14:33 PM
Secondo voi è possibile che la maggior parte delle nostre valutazioni e ragionamenti sia inconscia e solo una piccola parte consapevole? In realtà la nostra mente governa e controlla molti meccanismi del nostro corpo senza che noi ne siamo consapevoli della valutazione che c'è dietro: ad esempio se ci viene la febbre è perché il nostro cervello produce determinate sostanze (nell'ipotalamo) che fanno alzare la temperatura corporea per stimolare il sistema immunitario, quindi è come se la nostra mente facesse una valutazione, dicesse: "Devo aumentare la temperatura per sconfiggere il batterio", ma noi in quel momento non ne siamo consapevoli.
Lo stesso accade quando tendiamo ad evitare una persona o alcune persone senza che siamo consapevoli dei motivi della nostra antipatia: infatti la psicoterapia, anche attraverso l'ipnosi, mostra come dietro determinati comportamenti-problema ci siano delle valutazioni precise che però non raggiungevano mai la soglia della consapevolezza. Di conseguenza la consapevolezza governa solo una minima parte delle nostre decisioni ed il resto sfugge al nostro stesso controllo? L'Io non è padrone in casa propria ma è sopraffatto dalla mente inconscia, giusto?

Premesso che non ho alcuna stima delle e fiducia nelle "psicoterapie", mi sembra che queste considerazioni confermino che mente e cervello sono due ben diverse cose (anche se in necessaria relazione di coesistenza - corrispondenza biunivoca: un solo certo determinato stato cerebrale e nessun altro per un solo certo determinato stato mentale (o più in generale di coscienza) e nessun altro, e viceversa.

Infatti per "valutazioni e ragionamenti " intendo "pensieri", "res cogitans", qualcosa che necessariamente fa parte dell' esperienza consapevole cosciente, qualcosa il cui essere é inevitabilmente un "essere sentito", avvertito consapevolmente.
E buona parte degli stati cerebrali, come quelli che regolano certe funzioni fisiologiche o patologiche (per esempio la febbre), non hanno un corrispettivo mentale ovvero consapevole (presente alla coscienza, accadente nel corso dell' esperienza cosciente): sono stati fisiologici cerebrali non accompagnati da pensiero cosciente e non (autocontraddittoriamente, secondo me) pensieri non coscienti o inconsci.

In parte diverso é il discorso delle conoscenze e ricordi non attualmente presenti alla consapevolezza, ma potenzialmente evocabili coscientemente: allorché sono solo in potenza conoscenze ma di fatto non ci si pensa accade solo l' esistenza di determinati aspetti della struttura cerebrale (che li "immagazzina", per così dire), mentre allorché ci si pensa (ricordi effettivamente evocati o conoscenze presentemente pensate, oggetto di pensieri realmente in atto), accadono, corrispondentemente ad essi, determinati altri eventi neurofisiologici cerebrali (col contributo determinante e necessario, indispensabile degli aspetti della struttura cerebrale che "immagazzinano" inconsapevolmente i ricordi allorché non li si evocano, non ci si pensa; nemmeno "inconsciamente", che per me sarebbe contraddittorio).
#2156
Citazione di: Il_Dubbio il 16 Dicembre 2017, 13:26:33 PM


Parlavo della conoscenza scientifica o epistemica. La conoscenza è tale se è possibile descrivere ogni passaggio di stato nel continuo di spazio e di tempo.
Quindi A si evolve in B. Si conosce quindi sia A che B e si descrive il passaggio nel tempo e nello spazio dei  due eventi.
Il problema è che noi per arrivare a descrivere un tale evento diamo per scontato che tra A e B esista un rapporto di causa ed effetto. Se non ci fosse questa descrizione non potremmo conoscere il motivo per cui abbiamo A e B. Ciò che diamo per scontato però non è descrivibile allo stesso modo.
Potremmo dire che siamo consapevoli che esista sempre un rapporto tra due eventi perche non conosciamo alcun evento B che non sia una conseguenza di A. Ma che questa affermazione sia vera o falsa non è una conseguenza di un determinato evento, ma di una somma di eventi. Quando potremmo affermare che esista sempre un evento precendente che causa un effetto futuro? Mai, perche per poter affermare una tale verità avremmo bisogno di descrivere l'intero arco di eventi. Solo alla fine potremmo escludere che non esista un evento non causato. Per cui la stessa affermazione che esista sempre una causa, utilizzando il metodo descrittivo per poter affermare o negare una verità, essendo priva del supporto descrittivo non può diventare una Conoscenza con la C. maiuscola.
Per cui come è possibile adottare un metodo conoscitivo se manca il fondamento di questa conoscenza? Come ci siamo arrivati a intuire questa (presunta) verita che ci impone di trovare sempre una causa ad ogni cosa? Allora, o dobbiamo ammettere che questa verita essendo determinata in modo arbitrario può essere falsa, oppure dovremmo ammettere che noi siamo in grado di scegliere verità senza che esista alcuna causa (descrittiva).


Il tuo linguaggio mi sembra un po' oscuro (non sono sicuro di averti pienamente capito).

Se intendi dire che la concatenazione causale degli eventi non é dimostrabile né constatabile empiricamente con certezza, che é "degna di dubbio" (come pure la sua negazione) sono perfettamente d' accordo: é in sostanza la critica razionale humeiana della causalità.

Ma ha senso (é logicamente corretto) ammettere la possibilità della conoscenza scientifica e credere che questa sia vera (sia pure ovviamente in maniera limitata, relativa) unicamente alla condizione necessaria che questa tesi indimostrabile della concatenazione causale degli eventi naturali (ovvero del divenire naturale ordinato secondo modalità universali e costanti, ossia "deterministico") sia vera.
#2157
Citazione di: Jacopus il 15 Dicembre 2017, 08:31:48 AM
L'esempio dimostra come l'essere umano concreto sia mosso da motivazioni contrastanti ben poco determinabili in assoluto e rispetto alle quali le decisioni sono adottate sempre in funzione di un senso morale libero e autonomo e scarsamente prevedibile. La scienza se veramente si vuole occupare di comportamento umano non puo' adottare categorie sperimentali da hard science ma deve confrontarsi con la storia del pensiero umano poiche' da almeno 6000 anni siamo usciti dalla natura pur continuando a farne parte e ipotizzare un determinismo assoluto e', ripeto, una copertura ideologica di un assolutismo politico.

CitazioneQui mi sembra che venga colto il "nocciolo della questione".
E dunque l' esposizione del mio dissenso può essere più chiaramente espressa.


Le decisioni umane vengono (di norma) adottate sempre in funzione di un senso morale libero e autonomo e scarsamente prevedibile, secondo me nel senso che:
la libertà e autonomia rispetto a coercizioni estrinseche alla propria volontà é premessa indispensabile, conditio sine qua non per l' attribuzione di responsabilità morale alle azioni od omissioni di ognuno;
la conoscibilità limitata (relativamente alla loro complessità, "numerosità" e non quantificabilità) dei fattori oggettivamente (ontologicamente o metafisicamente) deterministici del comportamento umano é il motivo dell' indeterminismo (gnoseologico o epistemologico) della soggettiva conoscenza che se ne può di fatto avere, del frequente, probabilmente preponderante indeterminismo gnoseologico od ontologico (imprevedibilità, incalcolabilità di fatto) del comportamento umano stesso.


Sono perfettamente d' accordo che
La scienza se veramente si vuole occupare di comportamento umano non puo' adottare categorie sperimentali da hard science.
Ma secondo me questo perché sarebbe assurdo e non realistico (non é certamente così che si vivono le scelte che si é chiamati a compiere nella vita!) pretendere un di fatto impossibile calcolo e previsione del comportamento umano attraverso l' osservazione (scientifica) "dall' esterno" e in terza persona" del cervello umano, con la sua "mostruosa" complessità (bisognerebbe conoscere con precisione "un' infinità" di dettagli neurologici!
Si deve invece usare l' introspezione (per sé) e il resoconto verbale (per gli altri) degli eventi di coscienza mentali, in quanto osservati "dall' interno" e "in prima persona", i quali in ciascuno di noi corrispondono biunivocamente senza interferirvi al proprio cervello quale é presente e potenzialmente studiabile scientificamente nel mondo fisico - materiale (normalmente percepibile solo da altri e per lo più indirettamente -per fortuma!- per il tramite degli apparati di osservazione della neurologia); e questo comporta inevitabilmente la rinuncia alla misurabilità e alla "matematizzabilità" propria delle scienze naturali: un sentimento può essere al massimo "ponderato" o "soppesato", mai letteralmente "pesato", cioé misurato; fra due desideri contrastanti (per esempio quello di arricchirsi trattenendo un portafoglio smarrito pieno di soldi e quello di essere onesti restituendolo al legittimo proprietario) già può essere difficile stabilire quale é maggiore, certamente é impossibile misurare di quanto lo sia, onde calcolare la preferibilità fra insiemi intrinsecamente coerenti e oggettivamente reciprocamente incompatibili di più desideri).


Secondo me siamo "andati oltre" la natura, senza mai inesorabilmente poterne uscire, l' abbiamo per così dire "ulteriormente sviluppata" senza poterla negare o eludere sostanzialmente da quando abbiamo inventato il linguaggio (probabilmente alcune decine di migliaia di anni fa) e questo ci impone, per conoscerci, di non fare affidamento su un impossibile determinismo gnoseologico o epistemologico, che comunque non inficia il naturale, ineludibile determinismo ontologico o metafisico.


Quella al determinismo assoluto di essere una copertura ideologica di un assolutismo politico mi sembra un' accusa infondata.
Sicuramente i Nazisti (credo di poter dire, per quanto pochissimo li conosca) avevano per lo più convinzioni ideologiche decisamente irrazionalistiche e indeterministiche (Nietzche, Heidegger, ecc.); e questo dimostra (storicamente) che si può essere filosoficamente indeterministi (e irrazionalisti) e politicamente assolutisti.
Più difficile mi é trovare esempi di democraticismo e tolleranza politica coesistenti con determinismo filosofico, ma semplicemente per il fatto che secondo me nella storia si sono finora dati ben pochi e decisamente limitati e imperfetti casi di democrazia reale (e non del tutto fittizia, come é a mio parere la "nostra" occidentale capitalistica-imperialistica).
Ma nell' antichità molti stoici erano sostanzialmente deterministi e propugnatori della tolleranza e libertà di pensiero, mentre alcuni rivoluzionari francesi erano decisamente deterministi e fautori, per lo meno soggettivamente (sinceramente), (fra l' altro) della più integrale tolleranza e democrazia (e alla repressione della controrivoluzione e al terrore rivoluzionario sono ricorsi obtorto collo come necessaria, inevitabile risposta alla repressione al terrore controrivoluzionari, proprio al fine sincerissimo di poter realizzare la massima tolleranza e democrazia possibile).
#2158
MI sento in dovere di fare due precisazioni sui miei ultimi due brevi interventi.

Nel penultimo (#204) c'è un lapsus che stravolge completamente il senso del secondo periodo:

Ma invece se sei libero da costrizioni intrinseche e determinato ad agire dalle tue proprie qualità morali, allora del bene e del male che farai sarai responsabile tu,

anziché:

Ma invece se sei libero da costrizioni estrinseche e determinato ad agire dalle tue proprie qualità morali, allora del bene e del male che farai sarai responsabile tu.

Circa il successivo (#205) vorrei precisare che l' accenno a Dostoeskij, malgrado la sua stringatezza che potrebbe apparire "sommariamente liquidatoria", non intende minimamente sminuirne la grandezza come artista (letterato) e come conoscitore dell' animo umano ("filosofo in senso lato"); il fatto che la diversità dei miei interessi principali e la "brevità della vita" o mancanza di tempo mi impedisca di seguire le arti e la letteratura come pure mi piacerebbe poter fare non mi induce a sottovalutare queste altissime espressioni della cultura umana e i più geniali dei loro cultori e a considerarli senza il dovuto rispetto.

Credo anzi che la profondità  e la genialità di autori come Dostoevskij stia anche nel fatto di trattare nelle loro opere soprattutto i casi di scelte e comportamenti umani psicologicamente più complessi e sofferti, e dunque "gnoseologicamente meno deterministici" (mentre lo sono comunque a mio parere ontologicamente): narrare di personaggi "tutti d' un pezzo", nel bene o nel male (onestissimi ovvero santi, oppure perfidissimi malvagi rispettivamente) le cui scelte eticamente buone o cattive a seconda dei casi sarebbero facilissimamente e prevedibilissimamente scaturite (ovvero dettate deterministicamente) dalle loro qualità morali "granitiche" e totalmente prive di tentennamenti e incertezze sarebbe stato di gran lunga più banale dal punto di vista artistico nonché dell' illustrazione dell' animo umano e dei suoi problemi.
Senza nulla togliere al Manzoni, tra un fra Cristoforo (personaggio ispirato probabilmente a un mio concittadino realmente vissuto; mi scuso per la vanità) o un Don Rodrigo e (probabilmente, poiché non li conosco) i personaggi di Dostoevskij non c' é confronto!
(Ma nei Promessi sposi ci sono anche una Gertrude e un Innominato!).
#2159
Citazione di: Jacopus il 15 Dicembre 2017, 16:34:50 PM
La mia idea non e' quella di escludere i condizionamenti genetici, epigenetici, sociali, storici, familiari... ma di far rilevare che accanto ad una parte che ci determina c'e' anche una parte necessariamente libera. Quella parte che ad esempio innova e che e' pertanto intimamente connessa con lo sviluppo dell'uomo.
Inoltre il tuo esempio e' tipicamente riduttivo. Forse conosci gli esperimenti di Libet che credette di dimostrare l'assenza di libera volonta' perche' dimostro' che l'azione fisica di schiacciare un tasto precedeva la volonta' di schiacciarlo di qualche micromillesimo di secondo. Ma la vita sociale non consiste nello schiacciare bottoni o viaggiare su strade controllate. Le scelte umane possono essere estremamente complesse, conflittuali, tragiche. Non le risolviamo con gli esperimenti tipo "lanciamo l'uomo grasso".
CitazionePrecisazione un po' pignola.

Veramente Libet, se non ha cambiato opinione negli ultimi tempi, é un fautore del libero arbitrio.
Sono altri neurologi e soprattutto filosofi che (secondo me giustamente) hanno interpretato i suoi esperimenti come neganti il libero arbitrio ed affermanti il determinismo dell' agire umano, contrariamente all' interpretazione che ne ha dato lui.

Ovviamente gli esperimenti di Libet non vanno generalizzati all' agire umano complessivo (che segue un determinismo ontologico molto più complicato -vedi i personaggi di Dostoeskij- e dunque gnoseologicamente inafferrabile); ma qualcosa di molto importante sull' agire umano ci dicono (peraltro non li ritengo necessari per provare il determinismo e negare del libero arbitrio, se si crede alla possibilità di conoscenza scientifica: basta in questo caso, la cogenza logica, onde evitare di cadere in contraddizione).
#2160
Citazione di: Jacopus il 15 Dicembre 2017, 10:42:38 AM
CitazioneInfatti per quanto ci si possa argomentare, se sono determinato non ho nessuna responsabilità e posso tranquillamente macchiarmi di qualsiasi nefandezza ed essere assolutamente innocente, a meno che di non voler dividere il mondo in determinati malvagi e determinati buoni, il che mi sembra ancora più assurdo.

Se sei determinato da altri che ti costringono ad agire o a non agire indipendentemente dalla o magari contro la tua libertà, allora sei innocente di qualsiasi nefandezza ti si costringa a fare (colpevole ne sarà invece chi ti costringe).

Ma invece se sei libero da costrizioni intrinseche e determinato ad agire dalle tue proprie qualità morali, allora del bene e del male che farai sarai responsabile tu.

Non trovo nulla di assurdo (anzi! Sarebbe assurdo il contrario!) nel considerare che chi abbia qualità morali buone, se libero da costrizioni estrinseche, sia da queste determinato ad agire bene (e invece non agisca a caso, cioé indeterministicamente!), mentre chi ha qualità morali cattive sia da queste determinato ad agire male (e invece non agisca a caso, cioé indeterministicamente!) .