La scuola del sospetto accomuna tre noti pensatori, Marx, Nietzsche e Freud. Costoro, in un modo o in un altro, hanno messo in dubbio l'intero apparato ideologico di quella classe borghese che stava modellando la sua visione del mondo, dopo averlo conquistato. La classe borghese non ha più autorità nè dall'alto verso il basso (Marx), nè dal basso verso l'alto (Nietzsche) ed addirittura con Freud, viene messa in discussione la stessa soggettività razionale della borghesia, "l'IO non è padrone in casa propria".
Ma c'è un pensatore ancora più radicale di questa nota triade, perchè in fondo Nietzsche, Marx e Freud, seppure demistificando, accettano il ruolo "dominante" dell'uomo, lo considerano inevitabile, potrà trattarsi dell'uomo comunista, o del Superuomo o dell'uomo reso consapevole dalla psicoanalisi, ma pur sempre l'Uomo (e probabilmente bisognerebbe aggiungere l'Uomo Occidentale) è al centro della scena.
Charles Darwin invece presuppone altro. Al punto da non gradire neppure il nome di teoria evolutiva della specie, per la teoria che prende il suo nome. Avrebbe preferito trasmutativa o differenziale, ma Lamark, grande pubblicista della teoria, impose una diversa visuale ed oggi conosciamo questa teoria come teoria evoluzionistica della specie. Darwin si opponeva al termine "evolutivo" perchè questo termine suggeriva una sorta di processo progressivo dal più semplice al più complesso e quindi verso una perfettibilità in movimento continuo.
La teoria evoluzionistica, se interpretata in un certo modo, infatti, è la riproposizione del modello teologico/teleologico del grande architetto, o dell'orologiaio celeste:
"Dalla perfezione suprema di Dio deriva che creando l'universo, ha scelto il miglior piano possibile, nel quale la più grande varietà possibile è congiunta con il massimo ordine possibile, e ciò perchè nell'intelletto divino, in proporzione alle loro perfezioni, tutti i possibili pretendono all'esistenza, il risultato di questa pretesa dev'essere il mondo attuale, il più perfetto possibile". (Leibniz).
Sostituendo a Dio, la legge evoluzionistica come progresso dal semplice al complesso, giungiamo ad una teoria laicizzata di Dio, dove l'esito inevitabile è l'uomo come apice della piramide della vita, e quindi come finale "determinato" e "progettato" da un ingegnere ultraumano, che sfuma nelle versioni non teologiche "hard", in visioni panteistiche della natura.
Ipotizzare però una progettualità della natura, che sfocia nel suo paladino perfetto, l'uomo, è quantomeno temerario. Ciò perchè la storia geologica e biologica della terra è quanto di più imprevedibile e causale sia mai avvenuto. Fra glaciazioni, tre estinzioni di massa, la persistenza di forme di vita batterica per oltre due miliardi di anni, l'estinzione di almeno il 90 per cento delle forme di vita che hanno vissuto sulla terra, tutto sembra tranne che vi sia un disegno progettuale coerente. Senza contare che fino a 30 mila anni fa, quindi quasi alla vigilia della storia, esistevano sulla terra almeno quattro specie "homo", neanderthal, Denisova e Floriensis, oltre a Sapiens. e tutte e quattro avevano una cultura tecnologica per cacciare e pescare e per produrre abiti e fuoco ed inoltre una primordiale cultura simbolica e culto dei morti.
Insomma, portato alle estreme conseguenze, ed ammettendo che la paleontologia non diffonde fake-news, constatiamo che l'uomo è emerso da una serie di casuali avvenimenti bio-geologici. Insomma oggi ci siamo, abbiamo dimostrato di essere piuttosto in gamba, ma in realtà in molti passaggi, a partire dalla prima specie vertebrata, la pikaia, siamo stati semplicemente fortunati, ed oggi al nostro posto avrebbe potuto tranquillamente esserci una civiltà di api giganti.
Tutto ciò però, oltre ad avere implicazioni scientifiche ne ha anche di filosofiche. Perchè se tutto questo è vero, il senso della vita a cosa si riduce? Non esiste nè un fine ultraterreno, secondo quanto professato dalle religioni, nè un fine laico di "affermazione dell'uomo" come specie suprema della terra, giunta al termine di un processo ordinato e meccanico, "evoluzionistico", appunto.
A me personalmente, la teoria darwiniana sembra in primo luogo molto verosimile: le prove che il modello di Darwin sia effettivo, provengono ormai da molteplici settori, dalla genetica, alla paleontologia, dall'etologia alla biologia. In secondo luogo, se questo è lo stato delle cose, allora dobbiamo interrogarci diversamente sul nostro ruolo sulla terra.
Paradossalmente, proprio il nostro "essere gettati" nel mondo, dovrebbe farci sentire maggiormente responsabili verso il mondo e il suo equilibrio, perchè non c'è alcun determinismo e nessuna apocalisse ci sarà a dividere i buoni dai cattivi. Ci siamo qui noi, ora, con il nostro corredo genetico e culturale, necessitati a fare delle scelte che ci riguardano e che riguardano i nostri successori, coloro a cui daremo in eredità questa terra, siano essi facenti parte del genere umano o di altre specie non ancora sviluppate.
Qualcuno potrebbe interpretarla quasi una hybris scientista, ma in realtà non è così. E' anzi una visione molto umile dell'uomo, che non ha nessun compito delegato da una autorità superiore per quanto astratta come potrebbe essere quella panteista, ma che deve prendere in mano il suo proprio destino. In questo avverto un grande senso di libertà, limitato dalla morte, dai nostri vincoli biologici e temporali ma che deve rispondere in modo responsabile a sè stesso, in quanto "specie animale".
Ed in questo nello stesso tempo scorgo, in modo diverso, la riproposizione del messaggio kantiano, quando definisce l'illuminismo.
"Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità, dovuto a sè stesso". Tra il modello dell'uomo come tutto di Omero e dell'Occidente e dell'uomo come nulla, di Siddharta e dell'Oriente, si affaccia questo nuovo modello dove all'uomo si dà un peso, che non è tutto e non è niente: il peso della responsabilità in un universo che potrebbe tranquillamente fare a meno di lui.
Ma c'è un pensatore ancora più radicale di questa nota triade, perchè in fondo Nietzsche, Marx e Freud, seppure demistificando, accettano il ruolo "dominante" dell'uomo, lo considerano inevitabile, potrà trattarsi dell'uomo comunista, o del Superuomo o dell'uomo reso consapevole dalla psicoanalisi, ma pur sempre l'Uomo (e probabilmente bisognerebbe aggiungere l'Uomo Occidentale) è al centro della scena.
Charles Darwin invece presuppone altro. Al punto da non gradire neppure il nome di teoria evolutiva della specie, per la teoria che prende il suo nome. Avrebbe preferito trasmutativa o differenziale, ma Lamark, grande pubblicista della teoria, impose una diversa visuale ed oggi conosciamo questa teoria come teoria evoluzionistica della specie. Darwin si opponeva al termine "evolutivo" perchè questo termine suggeriva una sorta di processo progressivo dal più semplice al più complesso e quindi verso una perfettibilità in movimento continuo.
La teoria evoluzionistica, se interpretata in un certo modo, infatti, è la riproposizione del modello teologico/teleologico del grande architetto, o dell'orologiaio celeste:
"Dalla perfezione suprema di Dio deriva che creando l'universo, ha scelto il miglior piano possibile, nel quale la più grande varietà possibile è congiunta con il massimo ordine possibile, e ciò perchè nell'intelletto divino, in proporzione alle loro perfezioni, tutti i possibili pretendono all'esistenza, il risultato di questa pretesa dev'essere il mondo attuale, il più perfetto possibile". (Leibniz).
Sostituendo a Dio, la legge evoluzionistica come progresso dal semplice al complesso, giungiamo ad una teoria laicizzata di Dio, dove l'esito inevitabile è l'uomo come apice della piramide della vita, e quindi come finale "determinato" e "progettato" da un ingegnere ultraumano, che sfuma nelle versioni non teologiche "hard", in visioni panteistiche della natura.
Ipotizzare però una progettualità della natura, che sfocia nel suo paladino perfetto, l'uomo, è quantomeno temerario. Ciò perchè la storia geologica e biologica della terra è quanto di più imprevedibile e causale sia mai avvenuto. Fra glaciazioni, tre estinzioni di massa, la persistenza di forme di vita batterica per oltre due miliardi di anni, l'estinzione di almeno il 90 per cento delle forme di vita che hanno vissuto sulla terra, tutto sembra tranne che vi sia un disegno progettuale coerente. Senza contare che fino a 30 mila anni fa, quindi quasi alla vigilia della storia, esistevano sulla terra almeno quattro specie "homo", neanderthal, Denisova e Floriensis, oltre a Sapiens. e tutte e quattro avevano una cultura tecnologica per cacciare e pescare e per produrre abiti e fuoco ed inoltre una primordiale cultura simbolica e culto dei morti.
Insomma, portato alle estreme conseguenze, ed ammettendo che la paleontologia non diffonde fake-news, constatiamo che l'uomo è emerso da una serie di casuali avvenimenti bio-geologici. Insomma oggi ci siamo, abbiamo dimostrato di essere piuttosto in gamba, ma in realtà in molti passaggi, a partire dalla prima specie vertebrata, la pikaia, siamo stati semplicemente fortunati, ed oggi al nostro posto avrebbe potuto tranquillamente esserci una civiltà di api giganti.
Tutto ciò però, oltre ad avere implicazioni scientifiche ne ha anche di filosofiche. Perchè se tutto questo è vero, il senso della vita a cosa si riduce? Non esiste nè un fine ultraterreno, secondo quanto professato dalle religioni, nè un fine laico di "affermazione dell'uomo" come specie suprema della terra, giunta al termine di un processo ordinato e meccanico, "evoluzionistico", appunto.
A me personalmente, la teoria darwiniana sembra in primo luogo molto verosimile: le prove che il modello di Darwin sia effettivo, provengono ormai da molteplici settori, dalla genetica, alla paleontologia, dall'etologia alla biologia. In secondo luogo, se questo è lo stato delle cose, allora dobbiamo interrogarci diversamente sul nostro ruolo sulla terra.
Paradossalmente, proprio il nostro "essere gettati" nel mondo, dovrebbe farci sentire maggiormente responsabili verso il mondo e il suo equilibrio, perchè non c'è alcun determinismo e nessuna apocalisse ci sarà a dividere i buoni dai cattivi. Ci siamo qui noi, ora, con il nostro corredo genetico e culturale, necessitati a fare delle scelte che ci riguardano e che riguardano i nostri successori, coloro a cui daremo in eredità questa terra, siano essi facenti parte del genere umano o di altre specie non ancora sviluppate.
Qualcuno potrebbe interpretarla quasi una hybris scientista, ma in realtà non è così. E' anzi una visione molto umile dell'uomo, che non ha nessun compito delegato da una autorità superiore per quanto astratta come potrebbe essere quella panteista, ma che deve prendere in mano il suo proprio destino. In questo avverto un grande senso di libertà, limitato dalla morte, dai nostri vincoli biologici e temporali ma che deve rispondere in modo responsabile a sè stesso, in quanto "specie animale".
Ed in questo nello stesso tempo scorgo, in modo diverso, la riproposizione del messaggio kantiano, quando definisce l'illuminismo.
"Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità, dovuto a sè stesso". Tra il modello dell'uomo come tutto di Omero e dell'Occidente e dell'uomo come nulla, di Siddharta e dell'Oriente, si affaccia questo nuovo modello dove all'uomo si dà un peso, che non è tutto e non è niente: il peso della responsabilità in un universo che potrebbe tranquillamente fare a meno di lui.