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Messaggi - Phil

#2176
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
27 Ottobre 2016, 17:46:56 PM
Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PMil Silenzio non mi soddisfa in quanto suggerisce che tutta la mia ricerca è stata inutile. Che senso ha un percorso filosofico se poi ti porta al solo silenzio?
Se non erro, il silenzio di Wittgenstein non è il silenzio dell'assenza di risposta o il silenzio che non sa che dire, è invece un silenzio come rispota e un silenzio che non può e non deve dire nulla ("si deve tacere" dice il Tractatus, se non ricordo male).
Il silenzio rigorso che testimonia il raggiungimento della soglia del limite è un "silenzio deontologico" per il ricercatore: quel silenzio dà voce proprio a tutto ciò che non è silenzio, e che è quindi il "dicibile" della ricerca. Un percorso/discorso filosofico che non ha zone di silenzio o è una (improbabile) onniscienza oppure non ha uno statuto epistemologico ben definito (ovvero limitato, ovvero circondato dal silenzio...).

Come osserva Sariputra, se si decide aprioristicamente di non accettare un tipo di risposta, la ricerca non è autentica, perchè si è disposti ad ammettere solo il tipo di risposta che si è già deciso di ottenere (e ciò vizia irrimediabilmente sia il ricercare che il rispondere...).

Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PMPurtroppo sono uno che vuole capire e non riesco ad accontentarmi di risposte del tipo "qui non puoi indagare".
Il capire che "qui non puoi indagare" è una "tappa" utilissima perchè richiede o di cambiare il metodo/strumento di ricerca (così da poter indagare anche qui) oppure indica semplicemente che si sta cercando la risposta nel "posto" sbagliato.
D'altronde, se usando la logica formale volessimo indagare la poesia, la sua risposta non sarebbe esattamente un serafico "qui non puoi indagare" seguito da un "quindi devi restare in silenzio"?

Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PMCi vorrebbe o il noumeno o un altro tipo di pensiero completamente diverso.
Quel "ci vorrebbe" allude ad una necessità: si tratta di un'esigenza logica, psico-logica, onto-logica o esistenziale?


P.s.
@sariputra: il mistico di cui parla Wittgenstein è il mistero inteso come rebus irrisolvibile per la logica razionale, non tanto il mistico di matrice religiosa, spiritualistica o folkloristica... e concordo appieno sul fatto che sia comunque una "parolaccia"!  ;D
@green demetr: quando parlo del "mistico", parlo della prospettiva di Wittgenstein, non della mia  :)
#2177
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
26 Ottobre 2016, 20:41:27 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMI problemi qui sono 2: stabilire se esiste e capire quando ha senso "smettere di salire la scala" [...] ogni proprietà di un oggetto sembra nascere da come lo si osserva (cioè da cosa osserva tale oggetto). Se è così le proprietà sono "rappresentazioni" "fatte" dal soggetto. A questo punto: come posso stabilire dall'interno della rappresentazione che c'è un noumeno? 
Il senso delle mie osservazioni è proprio che l'oggetto è un postulato (o un "mito"?) necessario al "funzionamento" della nostra logica comune, ma non potremmo mai stabilire se esiste con certezza, proprio perchè è esso stesso il limite fondante della nostra logica (praticamente è la versione gnoseologica dell'"indecidibilità" di Godel  ;) ). 
Non credo si possa uscire dalla nostra ragione interpretante senza perdere al contempo la ragione stessa (d'altronde, o si sta sulla scala, o si sta "fuori" dalla scala...). Sarebbe come cercare di vedere con i propri occhi (senza strumenti!) cosa succede nel buio pesto, in assenza di luce: bisogna ammettere che se possiamo vedere è perchè c'è la luce, come sia il mondo quando non è illuminato dalla luce, i nostri occhi non potranno mai saperlo (ovviamente è solo una metafora... niente cavilli sui visori notturni  ;D ).
Se si sta dentro la rappresentazione non si può sapere esattamente cosa c'è fuori (e se c'è); se invece si sta fuori allora non c'è più (bisogno di) rappresentazione...

Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMUna volta stabilita l'esistenza si può pensare di gettare via la scala. 
Non ne sono convinto, se l'esistenza del noumeno fosse verificata e dimostrata, allora si potrebbe stare fieramente in cima alla scala (finalmente giunti al noumeno!), ma se si buttasse via la scala si butterebbe via anche il percorso che porta al noumeno e forse il noumeno stesso... per questo gettare la scala senza noumeno (come suggerisce Wittgenstein) apre ad altri orizzonti in cui il problema del noumeno non si pone (essendo andati oltre... o almeno oltre la settima proposizione!).
#2178
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
26 Ottobre 2016, 18:20:41 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 15:49:23 PMa mio giudizio o accettiamo che il noumeno non ci sia o accettiamo che la logica non si applichi al noumeno. Ma ciò vorrebbe dire accettare inconsitenze che proprio la filosofia occidentale non vuole. [...] e questo è ciò che tormentò a quel tempo Kant, Wittgenstein e anche me ora: è filosoficamente "legittimo" accettare l'esistenza di un "noumeno" inconoscibile? Il problema è che un noumeno "inconoscibile" non è "inconoscibile" in quanto vengono date ragioni per cui è "inconoscibile".
Il concetto di limite logico mi sembra sia il punto archimedeo della questione: ogni ambito d'indagine/azione ha bisogno di un limite entro cui agire, altrimenti non è possibile definire un "campo di indagine/azione" e dunque l'indagine/azione rischierebbe di essere dispersiva e caotica. 

Tale limite deve essere postulato ma insondabile, poichè se il limite non fosse insondabile verrebbe indagato dall'indagine stessa (seppur dall'interno) e potrebbe, in teoria, essere anche valicato, perdendo così la sua funzione stessa di limite (si rivelerebbe piuttosto solo un confine provvisorio).
Il limite "perfetto" è il limite che non può essere tematizzato, quindi non conosciuto e tantomeno "scavalcato".

In matematica c'è l'infinito, in religione c'è la divinità, in logica c'è il principio di identità, per la conoscenza c'è il reale/noumeno/mondo-in-sè, etc. ciascuno di questi ambiti presuppone il suo rispettivo limite insonsabile e proprio grazie ad esso può avere il suo ambito definito, grazie ad esso può strutturarsi, operare (e eventualmente indagare) all'interno del "terreno" che il limite delimita.

L'interrogarsi sul limite non trova "oggetto" abbastanza definito da poter essere indagato, per cui non può nemmeno delineare la sua risposta. Del limite si sa soltanto che delimita, che non può essere spostato né tematizzato (tantomeno conosciuto), ed è logicamente neccessario che sia così, altrimenti non sarebbe un vero limite. "Dare ragioni per cui è inconoscibile"(cit.) significa che dall'interno è possibile individuarlo come limite; e come facciamo a capire che non è semplicemente esterno, ma è esattamente il limite che sancisce l'interno e l'esterno? Perchè se fosse solamente esterno ed estraneo, non avrebbe ripercussioni fondamentali (e fondanti) su tutto il sistema interno (come accade invece nel caso del "mondo-in-sè" per la conocenza, della divinità per la religione, dell'identità per la logica, etc.), invece la constatazione che tale elemento non sia dentro il sistema, ma gli sia nondimeno estremamente pertinente, determinante eppure insondabile, lo individua adeguatamente come limite.

Superare il limite è comunque possibile teoreticamente con un gesto tanto ardito quanto radicale: rinunciare, andando oltre pur senza spostarsi, a quell'ambito di indagine ed alle "leggi" che lo governano... se mi astengo dal voler matematizzare il mondo, l'infinito non delimita più il mio ragionare; se rinuncio a formalizzare logicamente il mondo, l'identità non è più un limite; se non mi limito alla fede in una divinità, allora... (non concludo per non innescare le pure lecite considerazioni di chi è "dentro" quell'ambito  ;) ). Lo stesso vale per la gnoseologia.
Per questo Wittgenstein può alludere (non "tematizzare"!), al limite della sua "scala", al silenzio ed al mistico... chi resta sulla scala, non la usa davvero fino in fondo (se non erro Budda proponeva la stessa dinamica parlando della barca da cui bisognerebbe scendere dopo aver compiuto il viaggio...).
#2179
Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:01:25 AMideale del filosofo che distrugge tutte le verità condivise e se ne compiace, ignorando di essere figlio di ciò che distrugge 
Vorrei provare ad "esorcizzare" la cattiva reputazione che alcuni approcci filosofici si trascinano dietro: il nichilismo, pronipote dello scetticismo, quando supera la sua veemenza adolescenziale per maturare in relativismo, pluralismo e affini, non è affatto una malattia che mira a destabilizzare la società, fagocitare i valori classici, distruggere ciecamente le tradizioni, innescando apatie ideologiche e disorientando gli uomini dell'occidente. Questi risultati sarebbero incoerenti con una posizione "debole" e, soprattutto, "plurale". 
Una riflessione critica sui fondamenti delle posizioni tradizionali, se sfocia in un indebolimento di suddette posizioni, non va confusa con il desiderio di rimuoverle dal panorama culturale (quello è un estremismo che confonde la negazione con l'avversione/aggressione, confondendo "a" con "anti": così l'ateo diventa antireligioso, l'apolitoco risulta antipolitico, etc.), poichè è solo l'acquisizione della consapevolezza che tali posizioni (egemoniche o meno) possono invece essere legittimamente affiancate ad altre, ma non in una gerarchia verticale, bensì in una pluralità orizzontale. 
Questo comporta che una vale l'altra? Decisamente no. Comporta invece che nessuna può avere un buon motivo (ideo)logico per cercare di dominare l'altra, per muovere guerra in nome del possesso della verità assoluta (se, utopicamente, fossimo tutti relativisti, sarebbero impossibili le guerre ideologiche, ma ci sarebbero solo guerre apertamente economico-politiche...).
Facendo un esempio banale, eppure, spero, chiarificatore: se tifo per la squadra X, non significa affatto che tifare per la squadra Y sarebbe per me indifferente (questione di gusti, predisposizione, storia personale...); tuttavia, partendo dalla consapevolezza di fondo "debole" che non c'è un "tifare" giusto o sbagliato, non ho alcun motivo di aggredire, nè fisicamente nè verbalmente, chi tifa la squadra Y. Se invece non ho tale consapevolezza, ecco che allora chi tifa la squada Y può diventare un nemico da sconfiggere, uno che non capisce, uno che è inferiore etc. (chi infatti confonde il tifare con la violenza ha i suoi problemi, su cui non è il caso di soffermarsi qui...). 

Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:01:25 AMLa differenza è che oggi la filosofia non offre mezzi per affrontare questa sconcertante caduta di valori, perché è divenuta prassi economica o scientifica anziché spirituale 
I valori attuali o sono quelli storicamente intramontabili (ovvero quelli minimamente necessari alla convivenza in una medesima comunità) oppure sono quelli variabili, che sono il risultato delle contingenze storico-culturali peculiari di ogni epoca, e se ciò comporta un cambiamento di paradigma, non significa che non ci siano più valori, semmai, "non ci sono più i valori di una volta" ( ;D ), come è inevitabile che sia, non essendoci più "le società di una volta" ed essendo il mutamento sociale, tecnologico, etc. una costante della storia dell'uomo...
"Modificare" significa "distruggere" solo per chi non comprende, o non approva, il cambiamento (perchè magari "svaluta" la sua prospettiva oppure riduce il fascino e l'assolutezza delle sue certezze... non parlo di qualcuno in particolare, non fraintendetemi  :) ). 
Oggi in una situazione che non presenta più posizioni forti (ma ex-posizioni forti sono ancora in perfetta forma, basti pensare al contesto italiano...), il disincanto prende la forma di una maggiore possibilità di scelta per le riflessioni, che può anche spaesare chi era abituato ad un panorama più nettamente caratterizzato (fatto di monoliti la cui stabilità rassicurante era incisa nella loro polvere secolare), ma, da un lato, la capacità di adattamento resta un fattore indispensabile per vivere, dall'altro, molte delle lezioni del passato possono essere attualizzate fornendo conforto (come fossero un vademecum per l'uomo senza epoca), ad esempio, come tu stesso ricordi:
Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:01:25 AMl'ideale del saggio, che rimane imperturbabile anche se il mondo gli crolla intorno. 
non è poi un ideale che sia "scaduto" con il passare dei secoli  ;)
#2180
Da analfabeta in materia, credo che proprio la consapevolezza di queste reazioni neuronali possa abilitare la possibilità di intervenire, magari non sul loro innesco spontaneo, ma quantomeno sulla loro efficacia (proprio come si puossono faticosamente imparare a controllare, seppur non eliminare, altre reazioni istintintive-biologiche). 
Se so che in ogni giudizio o relazione sono inevitabilmente in gioco anche componenti emotive e cognitive (pregiudizi e stereotipi), il cercare di individuarle, per evitare che pilotino dall'ombra il mio (re)agire, è una ricerca tanto utile per l'auto-comprensione quanto, secondo me, realmente percorribile con il dovuto allenamento. 
Se mi rendo conto, riflettendo sui miei vissuti, che tendo a screditare o sovra-analizzare (cercando falle e fallacie) i discorsi di chi si presenta con un orientamento differente dal mio, mentre mi fido acriticamente di chi sembra essere mio "compagno", l'antidoto può essere già l'educarmi a farci caso, e poi cercare di dare "a priori" un po' più credito a chi porta una "bandiera diversa" (il che non impedirà certamente di confutare le sue eventuali castronerie logiche...).

P.s. Credo che questo auto-controllo (chiaramente non inteso come "repressione", ma come "gestione/correzione consapevole"), per quanto impegnativo, sia forse più facile da praticare che rispettare i principi dialogici proposti da Habermas e Apel  ;D

P.p.s. Ho volutamente evitato di usare la parola "intelletto" (che hai messo in conflitto con "conformazione cerebrale") perchè, per quanto sia legititmo chiedersi quale "funzione mentale" possa essere adibita a questo auto-controllo, non sono sicuro sia quella giusta...
#2181
Citazione di: DrEvol il 21 Ottobre 2016, 16:47:44 PM
Aristotele vedeva chiaramente che non esiste etica senza razionalità e che non esiste felicità senza etica. Questa correlazione tra razionalità, etica e felicità era valida ai suoi tempi (anche se i contenuti erano diversi da quelli di oggi), ma il principio non è più valido oggigiorno?
La triangolazione (parodisticamente hegeliana ;D) fra razionalità/felicità/etica, se la si accetta, mette ambiziosamente in relazione un'innata attitudine cognitiva, un desiderato vissuto individuale, una sovrastruttura sociale condizionante.

A seconda di quale elemento fra i tre venga considerato (arbitrariamente) fondante, si ottengono differenti prospettive:
-se si dà la precedenza alla razionalità, subordinandole etica e felicità, si assume una prospettiva razionalistica (oppure utilistaristica);
-se si mette l'accento sulla felicità per poi orientare razionalità ed etica, si è in una prospettiva edonistica;
-se invece si parte dall'etica per impostare la razionalità e la felicità, ci si muove in una prospettiva moralistica, di derivazione religiosa (se non schiettamente religiosa), anche quando si tratta di un approccio emancipatamente laico (come nel caso della politica in cui, proprio come nella fede, viene solitamente presupposto un "dogma del Giusto", che non è mera convenzione giuridica, connesso ad un Bene che può avere radici solo in un improbabile giusnaturalismo oppure essere dissimulatamente "debole" ed opinabile).

Se invece non accettiamo la suddetta "triangolazione virtuosa", o almeno ne riconosciamo la contingenza, possiamo anche comprendere come ci siano alcune etiche che prescindono dalla felicità e dalla razionalità (alcune morali "dittatoriali" legate al culto di una divinità), alcune felicità che non hanno nulla di etico e razionale (ovvero molte delle felicità nella vita quotidiana :) ), e alcune forme di razionalità che non badano a felicità ed eticità (la razionalità della programmazione o della ricerca scientifica).
#2182
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
21 Ottobre 2016, 18:28:07 PM
Citazione di: green demetr il 21 Ottobre 2016, 14:56:37 PMPer quel che mi riguarda la discussione si è divisa i 2 tronconi. Tra chi sostiene lo scetticismo (Cannata,Sgiombo,Phil) integralmente (ma con diverse argomentazioni)
A scanso di equivoci, vorrei precisare che aver ricordato la "profondità" dello scetticismo (che impedisce di sbarazzarsene semplicemente affermando "io esisto e non ne posso dubitare", poichè è proprio tutto il resto che il dubbio autentico problematizza, non certo la "voce dalla coscienza"), non implica affatto che, nel mio piccolo, sia un "sostenitore dello scetticismo". 

Di fatto, le tre questioni che ho ricordato scomodando Gorgia, non sono esclusive dello scetticismo: identità, conoscenza e linguaggio sono temi inestricabili per ogni prospettiva filosofica... e più che metterle in dubbio, secondo me, la questione cruciale è fare i conti con la loro "relatività", il loro dipendere biunivocamente dal paradigma che le impiega (che è a sua volta basato su un approccio relativo... re-lativo, ovvero che ri-porta al suo punto di partenza, agli assiomi assunti come indubitabili, alla preferenze teoretiche, etc....). 
La laboriosa sfida concettuale è probabilmente quella di barcamenarsi fra i molteplici orizzonti e le impostazioni disponibili, per provare a lanciare uno sguardo al di là di quello che scoprono e inventano le (neuro)scienze.
#2183
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
20 Ottobre 2016, 21:46:30 PM
Non riesco a seguire bene il filo logico: se è vero che 
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 15:09:02 PMdelle definizioni, non essendo predicati o proposizioni, non può dirsi (non ha senso dire) che siano tautologiche o meno.
allora questa definizione
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 15:09:02 PMil concetto di essere si definisce come negazione di "non essere" e viceversa.
pur essendo un predicato ed una tautologia (x non è non-x), non è comunque una definizione?
Ciò sembra contraddire il tuo assunto secondo cui
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2016, 15:09:02 PMUna proposizione o predicato può essere tautologica o meno, una definizione (di un concetto) potrà casomai essere più o meno "azzeccata" [...] ma non essendo un' affermazione non può attribuire (o meno) nel predicato [..] la stessa cosa che é nell' oggetto di predicazione
poichè qui (riguardo l'essere) è esattamente ciò che accade: il predicato e l'oggetto di predicazione si "rimpallano" vicendevolmente in una tautologia non esplicativa... se "ogni determinazione è una negazione", è anche vero che una definizione, se vuole essere "pragmaticamente fruibile" non può essere una tautologia in cui il "definiens" ed il "definendum" sono in circolo vizioso... se dico che xyz è tutto quello che non è non-xyz, chi può capire davvero cos'è xyz? Se dico che l'essere non è il non-essere e viceversa, non spiego nè definisco nulla di cosa sia l'essere (dire che "il bene è tutto ciò che non è il male", non aiuta a definire le giuste scelte etiche...). 

Ci sono definizioni che non sono tautologie, e forse sono quelle più fertili (anche se presuppongono altri elementi esterni che siano stati precedentemente definiti...), del tipo "spiego A tramite B e C": l'acqua è l'unione di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno (definizione approssimativa, come le conoscenze sulla chimica di chi la usa ;D ). Le pseudo-definizioni che invece sono tautologie non definiscono nulla, non comunicano (al di là del loro rapporto o non-rapporto con la realta) ma sono solo declinazioni del principio di non contraddizione (x non è non-x).

P.s. Ho scoperto oggi che su 386 lingue, ben 175 non hanno il verbo essere o un suo sostituto... non solo può essere un serio problema tradurre il celeberimmo motto parmenideo ("l'essere è e non può non essere, etc."), ma credo che la stessa "forma mentis" filosofica possa avere un'impalcatura differente; credo sarebbe interessante parlare di ontologia con qualcuno che non ha nel suo vocabolario il verbo essere...
#2184
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
19 Ottobre 2016, 22:17:09 PM
Citazione di: green demetr il 19 Ottobre 2016, 19:07:40 PMcomunque a me basta l'argomento principe contro gli scettici quello che li liquida in 2 secondi, e che per questo, dai filosofi analitici, è ritenuto volgare: lo stesso parlare di scetticismo comporta che esista qualcuno che lo sta dicendo, fine! partita chiusa punto e capo. Il resto sono illazioni. 
Non voglio deviare il tema del topic sullo scetticismo, ma, en passant, questa confutazione funzionerebbe se lo scettico fosse colui che afferma "sono scettico della mia esistenza...", ma è davvero questo l'atteggiamento portante dello scetticismo oggi o si tratta di una sua caricatura ingenua e banalizzante? E la "teoria dei tipi" di Russell non ha già risolto questa apparente contraddizione?

Citazione di: green demetr il 19 Ottobre 2016, 19:07:40 PMPER PHIL mi sa che siamo un pò fuori tema, comunque torniamo alla filosofia fondamentale, nulla c'è è un frase senza senso, se ci fosse il nulla sarebbe inesistente il concetto di essere
Non a caso, avevo preventivamente sottolineato come il beffardo Gorgia sostenga che "nulla c'è" non che "il nulla c'è"... e porre il conseguente "problema della definizione logica dell'identità vs esperienza del divenire" (auto-cit.) non è una questione irrilevante se si parla di conoscenza, di realtà e, soprattutto, di rappresentazione... proprio come nel caso dello scetticismo, si tratta di intendere la profondità e le conseguenze del problema posto: se il soggetto e l'oggetto della conoscenza-rappresentazione, sono mutevoli, "instabili" (e quindi non "neutri"), al punto che la loro stessa cristallizzazione in un'identità definita (di cui poter dire "è") risulta problematica (ecco quindi che "nulla è"  ;) ), non mi pare una questione marginale o priva di conseguenze...
 
Citazione di: green demetr il 19 Ottobre 2016, 19:07:40 PMcerto l'essere è incomunicabile, ma non per questo non dovrebbe esserci, questo è il tipico errore della parte per il tutto!!!!
Non è l'errore della parte per il tutto: la comunicabilità e il dover-esserci non sono rispettivamente "parte" e "tutto"... piuttosto, sullo sfondo c'è la questione della fede metafisica nell'Essere, "semplice" forma sostantivata di un verbo; ma sulla annosa questione del divenire e dell'essere (severiniano o meno), mi sono già dilungato, abusando della pazienza di tutti, nel topic sulla "critica della conoscenza" (se non erro), quindi te la risparmio :)
#2185
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
19 Ottobre 2016, 16:06:40 PM
Dalle nebbie dei secoli rispunta il lungimirante Gorgia:
- nulla c'è (e non "il nulla c'è"... problema della definizione logica dell'identità vs esperienza del divenire)
- se ci fosse non sarebbe conoscibile (problema della congettura del noumeno e della realtà-in-sè)
- se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile (problema dell'influenza della mediazione linguistica e della rappresentazione...).
#2186
Citazione di: Sariputra il 18 Ottobre 2016, 11:00:54 AMSe la strada appare larga dal punto di vista di chi guida un'utilitaria e viceversa strettissima per chi conduce un camion 
Non sono sicuro che la filosofia sia il camion e l'ingenuità sia l'utilitaria... restando nel campo semantico della metafora: la filosofia è fatta di sottili distinzioni, di minuziose argomentazioni, di analisi al microscopio, nulla di troppo "ingombrante" (e lo dimostra il fatto che alcuni non vedono il pelo nell'uovo, ma il filosofo, aguzzando la vista analitica, si... e se non c'è, ce lo mette lui ;D ). La grossolanità dell'ebete ("spuntato" etimologicamente vs le "taglienti" riflessioni filosofiche) è quella tipica dell'ingenuità: distinzioni "fatte con l'accetta", argomentazioni "a grandi linee" plausibili, analisi grossomodo attendibili, etc. Insomma, la filosofia è (o meglio vorrebbe essere) un'operazione chirurgica millimetrica, mentre l'ingenuità è una spalmata di Voltaren o altre panacee (o addirittura placebi...). E più l'unità di misura è piccola, più il mondo che si misura appare grande...

Citazione di: Sariputra il 18 Ottobre 2016, 11:00:54 AMil mondo appare "stretto" per il filosofo e invece molto ampio per l'ebete comune? 
Il mondo dei filosofi è sterminato come sono sterminate le interpretazioni che danno del mondo, mentre il mondo dell'ingenuo è piccolo, regolare e magari senza grossi misteri (invece la filosofia, i misteri da risolvere se li inventa anche di sana pianta...). Per un filosofo una corsa fra Achille e la tartaruga (rieccoli!) è la scena di un crimine (onto)logico da investigare, mentre per l'ingenuo "il reato non sussiste". Un filosofo viaggia nei "pianeti" della metafisica, dell'etica, dell'ermeneutica etc., ma questo cosmo non esiste per l'ingenuità, che resta con i piedi per terra e lo sguardo sopito.

Citazione di: Sariputra il 18 Ottobre 2016, 11:00:54 AMle convinzioni preconcette del filosofo gli restringono la strada della riflessione, mentre viceversa la mancanza di convinzioni dell'ebete spianano la visione più libera dalle idee preconcette? 
L'ingenuo ha convinzioni e preconcetti (inevitabilmente!), ma sono, per l'appunto, ingenue. Nella sua "cassetta degli attrezzi" mentali ci sono solo il martello e un cacciavite (in quella del filosofo c'è, o meglio potrebbe anche esserci, l'eden del bricolage... ovvero ha molti più strumenti con cui farsi male  ;D).
Le convinzioni preconcette insidiano il filosofo, soprattutto se diventano dogmi: nel momento in cui un filosofo si pone il problema del "come difendere la sua posizione", anzichè di come poterla "raffinare" o ristrutturare, smette di essere filosofo (poichè non cerca più, ma vuole solo "speculare", in entrambi i sensi, sul "valore" di quello che ha già trovato...). Questo non significa che non possano esserci posizioni inconciliabili o che ad ogni discussione si debba modificare il proprio punto di vista, ma, come ben spiegato da sgiombo ("un rischio che vale la pena correre" cit.), ogni confronto può essere una verifica, una degustazione pubblica della farina del proprio sacco (ovviamente, per chi ha problemi di celiachia non è una buona idea assaggiarla... ;)).

P.s. Indubbiamente l'ingenuità filosofica non preclude un ingegno non-filosofico che risulta molto rilevante nel contesto adeguato...
#2187
Attualità / Re:I vecchi han lasciato le briciole?
17 Ottobre 2016, 17:06:25 PM
Non so esattamente con quali criteri anagrafici si parla di "vecchi" o "giovani", ma credo vada comunque considerato che: 
- tutti i "vecchi" hanno una pensione (per quanto misera) mentre non tutti i "giovani" hanno un lavoro...
- i "vecchi" hanno avuto tempo per raccimolare un po' di risparmi, mentre molti "giovani" non sono nemmeno economicamente autonomi (o perchè studiano ancora, o perchè v. sopra), oppure sono precari (per cui nella fasi di non-lavoro, spendono quanto accantonato prima...).
- i "vecchi" sono stati educati al risparmio ed alla parsimonia più dei "giovani" (anche se le dinamiche sociali a cui erano esposti erano ovviamente differenti...)
#2188
Attualità / Re:"gogna mediatica"
16 Ottobre 2016, 22:09:08 PM
Citazione di: altamarea il 16 Ottobre 2016, 08:38:45 AMJean-Baptiste mentre in pubblico mostra la sua "maschera" di uomo virtuoso, in privato è dedito a diversi "vizi", dall'alcol alle donne. "Nessun uomo può, per un tempo considerevole, portare una faccia per sé e un'altra per la moltitudine, senza infine confonderle e non sapere più quale delle due sia la vera".
L'affascinante metafora della maschera secondo me può risultare fuorviante, alludendo ad una fantomatica persona originale e autentica "sotto la maschera", ad un'identità unica che fa da perno su cui si giostrano le altre... per me ognuno è la totalità delle sue identità (plurali, come sono plurali i contesti in cui interagisce), la moltelicità dei volti con cui si espone al mondo, ognuno è tutte le sue maschere e non c'è niente "sotto": questa unicità di una maschera dinamica e poliedrica, mi fa tornare in mente le maschere del teatro Noh, quelle che cambiano espressione a seconda di come vengono colpite dalla luce (ovvero a seconda di come inclina il volto chi le indossa...). 
Credo che ogni persona sia come questo tipo di maschera (senza che ci sia nessuno sotto ad indossarla): alla luce di ogni relazione o situazione cambia il modo in cui la maschera-personalità viene illuminata, e di conseguenza cambia l'espressione che appare sul volto-atteggiamento...

Di conseguenza, quando viene messa alla gogna, quando viene esposta ad una luce offensiva, ogni maschera tende a reagire con un'espressione negativa, triste o disperata, ma è quasi sempre possibile volgersi verso un'altra luce, in modo da poter cambiare espressione. La gogna mediatica dei cosiddetti "haters" potrebbe essere un'occasione per fortificarsi (come è capitato, se non erro, a molti personaggi rivelatisi poi forti e affermati), o per non restare impantanati nella reputazione virtuale (curandosi più del mondo reale), oppure cercare, se è il caso, di riabilitarla con resilienza: nella diffamazione è compresa la fama, e talvolta è possibile rigirarla a proprio favore (basta pensare ai "cattivi" che poi vendono molti libri o addirittura diventano "buoni"...).

P.s. Concordo con cvc sul voyeurismo mediatico...
#2189
Un gelataio entra in un forum (filosofico).
Per rompere il ghiaccio, va alla sezione cono-scienza e propone qualche freddura per sciogliersi un po'...
poi chiede se l'essenza della cialda è differente da quella del cono...
se la vaschetta è mezza piena o mezza vuota...
se è nato prima il gelato o il gelataio...
purtroppo gli viene risposto solo che per queste domande è fuori stagione (off topic-ops!-season).
#2190
Tematiche Filosofiche / Re:La nave di Teseo
08 Ottobre 2016, 21:58:15 PM
Citazione di: Sariputra il 08 Ottobre 2016, 21:35:02 PMPertanto magari potremmo intendere la stessa esperienza , trovandoci in contraddizione sui termini per designarla convenzionalmente. Magari riusciresti a spiegarla meglio tu, che ti definisci un filosofo zen euristico...mannaggia!!!! :) :) :) :) Quante volte ho ripetuto che sono inadeguato a tutto questo...
Spiegarla? Non ce n'è bisogno, il tuo commento a Hui-Neng non ha bisogno di ulteriori commenti... concordo anche con il resto (tranne che sulla mia definizione: non sono filosofo, non sono zen, non sono euristico... però sono quello che sta per andare a lavare i piatti! Sarai inadeguato, ma almeno tu non aspetti le 22 per riportare la dovuta vacuità nel lavandino... ;D ).