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Messaggi - Phil

#2206
Citazione di: maral il 29 Settembre 2016, 22:18:27 PMnon è un segno convenzionale tra parlanti che si sono messi d'accordo come fanno i giocatori di briscola (la metafora è di Sini). 
Eppure se ci intendiamo è perchè parliamo la stessa lingua, ovvero giochiamo allo stesso gioco: se tu giochi a briscola con le tue carte e io gioco a poker con le mie, non possiamo giocare assieme, ovvero intenderci... 

Citazione di: maral il 29 Settembre 2016, 22:18:27 PMC'è qualche identità non linguistica secondo te? Io penso di no, se anche tu la pensi così, allora le due affermazioni si equivalgono. 
Concordo, per questo non capivo quando dicevi che Sini andava ben oltre la mia banale parafrasi...

Citazione di: maral il 29 Settembre 2016, 22:18:27 PM
CitazioneO anche, rispettando la differenza fra ontologia e semiologia, potremo dire con Wittgenstein "I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo".
Io toglierei di torno quel "mio" e direi che i limiti del linguaggio sono i limiti del mondo, il linguaggio non è mio, proprio come il mondo, né c'è un mondo mio come non c'è un linguaggio mio. 
Quel "mio" è proprio ciò che tiene lontani dal dogmatismo metafisico e che, se non ho frainteso, viene sottolineato da Maturana e Varela: l'autopoiesi è individuale per l'osservatore, egli genera il suo osservato, il suo mondo...

Citazione di: maral il 29 Settembre 2016, 22:18:27 PMLa filosofia di Severino per quanto complessa e ardua risulti, è di base semplicissima, afferma semplicemente il principio di identità in modo assoluto e incontrovertibile e il principio di identità è una banalissima tautologia
Sull'identità ho trovato un breve video di Severino (https://www.youtube.com/watch?v=0r_febsn0-Y) in cui spiega la sua teoria in modo davvero zenoniano e sofistico (andare al minuto 7:44): A non esiste, in fondo esistono solo A1, A2, A3... e ognuno di questi An può legittimamente essere identificato come B, C, D... è solo una questione di arbitraria definizione di un'identità con un simbolo piuttosto che un altro... 
L'individuazione dell'identità è arbitraria e non è affatto contraddittoria con il divenire: si tratta solo di considerare un filmato come un insieme di fotogrammi, ma scambiare il fotogramma come qualcosa di autonomo dal filmato da cui è stato estrapolato, è un gesto che ha indubbio valore estetico (come i virtuosismi linguistici di Heidegger) e come tale va considerato...
#2207
Tematiche Filosofiche / Re:La nave di Teseo
29 Settembre 2016, 22:24:32 PM
Credo che la differenza fra l'identità della nave e quella dell'uomo è proprio il tipo di cambiamento a cui sono sottoposti: la nave ha avuto trapiantati tutti i suoi pezzi, per cui sono rimaste invariate le sue forme e dimensioni, ma i nuovi componenti vengono dall'esterno; nel caso dell'uomo, invece, i "pezzi" si modificano internamente, senza lasciare il corpo (ossa, organi, etc), non sono pezzi esterni, anche se si modificano grazie all'apporto di qualcosa di estraneo (il cibo, l'aria, etc.). 
Inoltre, mentre l'identità della nave è costante principalmente in modo "anagrafico" (mantiene lo stesso nome "nave di Teseo", tutto il resto può cambiare: i pezzi che la costituiscono, la ciurma, il colore, la bandiera, etc.), l'uomo ha invece come costante della sua identità non solo i dati anagrafici (che lo identificano all'esterno), ma soprattutto (all'interno) l'autoconsapevolezza che lo segue nel tempo, il "flusso di coscienza" che lo abita e la memoria (credo che la perdita di memoria comprometta drasticamente la percezione della propria identità...).
Per questo, estremizzando il discorso sulle protesi di Nubivago, se anche un uomo si sostituisse tutti gli arti, gli organi, etc. finché gli resta la continuità mnemonica della/nella sua consapevolezza (all'interno) e/o all'esterno presenta una continuità comportamentale (nonostante le inevitabili oscillazioni), credo si potrebbe parlare sempre del medesimo uomo, o meglio, della medesima "persona" (anche se diventa un "uomo bionico" o "cyborg").

P.s. Indugiare sull'arbitrarietà della identità, o meglio, sulle modalità di individuazione di un'identità, che è un gesto fondamentale per fondare la logica (e la società, etc.), forse devierebbe troppo il discorso, ma, di passaggio, noterei come l'unica identità indubitabile è, cartesianamente, quella del soggetto che pensa alla propria...
#2208
Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 22:19:36 PMMa Phil, se si dice: "la cosa empirica può stare lì davanti solo perchè la parola ha nominato l'assenza, il per tutti" come fa la cosa empirica a starci davanti lì per tutti senza che la parola ne nomini l'assenza? Certo che la cosa empirica c'è? ma cos'è quella cosa empirica? Un monte? un cavallo? Carlo Sini? un fungo? Solo nella parola la cosa empirica che è esperita come relazione ci si mostra davanti oggettualmente (come oggetto per tutti) e non certo per mera e arbitraria convenzione.
Tuttavia, se l'oggetto si mostra nella parola, o meglio, la parola nomina l'assenza dell'oggetto, questa parola può essere "per tutti" perché è convenzione astratta, altrimenti sarebbe parola dotata di senso solo per il soggetto che la pronuncia.

Non ho ben colto la differenza a cui alludi fra
Citazione di: Phil il 28 Settembre 2016, 21:06:48 PMfinché qualcosa non ha una sua parola [...] resta non dicibile, non predicabile e non "ragionabile"
e
Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 22:32:21 PMsolo se l'esperienza è resa dicibile da una parola può presentarsi davanti a noi come una cosa
Non sono forse due affermazioni complementari? Entrambe affermano che ciò che non è dicibile con una parola non ha un'identità linguistica e quindi non è una cosa (predicabile), e non essendo una cosa (per qualcuno o per tutti) non ci si può ragionare...

Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 22:32:21 PMQui vale il verso di Holderling, citato da Heidegger: "nessuna cosa è ove la parola manca"
O anche, rispettando la differenza fra ontologia e semiologia, potremo dire con Wittgenstein "I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo".

Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 22:50:44 PM
(la logica della sequenza dell'apparire c'è, è data dal contesto che richiama questi diversi eterni necessariamente ad apparire in questo ordine, e non in un qualsiasi altro).
Questa logica sequenziale e contestuale mi pare davvero simile al cosiddetto "divenire", anche se riguarda enti postulati come eterni (giacché l'eternità può essere solo una congettura) che appaiono e scompaiono... secondo me, proprio come nel caso di Zenone citato settimane fa, anche qui si rischia di perdere di vista la realtà per incartarsi in falsi problemi meta-fisici  :)
#2209
Citazione di: sgiombo il 28 Settembre 2016, 18:46:44 PM
Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 14:33:54 PM"il fatto fondamentale è che la cosa della parola è assente anche quando, per ipotesi, la cosa stessa sia presente. La presenza davanti a noi di un cavallo non renderebbe meno assente l'oggetto della parola "cavallo". E inoltre noi non potremmo avere alcuna "cosa" nella presenza, alcun "cavallo", se già prima non si fosse per noi aperto lo spazio della parola, della nominazione... le cose si manifestano nelle parole e non prima di esse, così che noi possiamo stabilire dei segni che vi rimandino." (da C.Sini "Il silenzio e la parola") Questo significa, che anche chi pensa in modo esperenziale e strettamente fenomenologico, senza alcuna implicazione metafisica ontologica, che nessuna cosa può essere prima della parola che la nomina, cosa e parola sono sempre insieme, sono il frutto di una rete di relazioni assai complessa che sola ce ne dà presenza reale e significato, sempre indissolubilmente e originariamente insieme.
CitazioneDunque -se ben capisco- secondo Sini quando nessun uomo in grado di parlare era ancora comparso sulla terra, e dunque non esisteva la parola (o meglio la locuzione costituita da due parole) "monte Bianco" il monte Bianco non esisteva (come insieme di sensazioni fenomeniche nell' ambito delle esperienze coscienti di altri animali già esistenti (per esempio aquile, stambecchi, lupi, ecc.). Non sono d' accordo.
Non credo sia un caso che Sini parli di "manifestazione delle cose nelle parole" e non di "esistenza", per cui non so fino a che punto è [/size]lecito parafrasarlo con "nessuna cosa può essere prima della parola che la nomina"(cit. Maral).
Mi pare Sini alluda piuttosto alla necessità di avere un nome, per poter "essere una cosa"(identificata), e quindi per potersi manifestare nel 
linguaggio (non ontologicamente!). Almeno è così che interpreto quel "noi non potremmo avere alcuna "cosa" nella presenza, alcun "cavallo", se già prima non si fosse per noi aperto lo spazio della parola, della nominazione", ovvero: se supponiamo non esista la parola "cavallo" come nominazione di quell'ente, non è possibile parlare del "cavallo", e quindi anche quando ce l'ho presente davanti a me, non è per me un "cavallo", giacché tale nominazione non è stata ancora formulata (per ipotesi).

Qualche pagina dopo quella citazione, Sini infatti dice: "La parola ha l'assente dentro di sè per sua costituzione e natura o non sarebbe parola. Il suo assente non è diverso quando la cosa empirica sta lì davanti o quando sta altrove; e anzi la cosa empirica può stare lì davanti solo perchè la parola ha nominato l'assenza, il per tutti" (p. 58), e questo "per tutti" è tale in virtù dell'astrazione linguistica che consente di parlare di oggetti assenti, proprio in quanto astratti, in un modo che tutti comprendano.

Quindi, se intendiamo così il discorso di Sini, il Monte Bianco esisteva anche prima della "comunità parlante", ma nessuno lo aveva "battezzato" così, quindi non era ancora il "Monte Bianco" (se non ho frainteso, la morale della favola è: finché qualcosa non ha una sua parola, una sua nominazione, resta non dicibile, non predicabile e non "ragionabile").
#2210
Citazione di: Sariputra il 28 Settembre 2016, 11:50:01 AM
Non ho alcuna intenzione di ripercorrere nuovamente l'eterna discussione su fede/non fede e sul significato che ognuno di noi dà del termine. Nella ricerca di Senso è implicita una necessità di camminare, di scoprire da sè, perchè quel Senso deve avere un significato per me stesso ( esperienza soggettiva di cui parlavo...) e non semplicemente un conformarmi ai significati dati, o supposti trovati, da altri. Per sfamare la mia fame di senso devo masticare e digerire il cibo da solo. Non posso certo ridurmi a inghiottire il cibo già abbondantemente digerito da altri. Quindi prendere spunto, interessarsi, riflettere, meditare in modo creativo, personale, "anche" sulle riflessioni degli altri, ma non subordinare per principio il proprio sentire a quello degli altri. Siamo costretti a subire le imposizioni dell'autorità in molti campi del nostro vivere...perchè deve essere così anche nella nostra sfera "spirituale"? Nella parte più intima del nostro sentire la vita? Per timore di cadere nell'abuso che ne potrebbe fare il nostro ego? Questo è un pericolo oggettivo , ma accettando l'autorità di altri, in questo campo, rischiamo un pericolo altrettanto grosso, cioè quello di subordinare noi stessi all'ego degli altri.
Se c'è in noi la consapevolezza che l'ego ci spinge verso scelte e decisioni negative, vedendo con obiettività questa spinta egoica nella nostra esistenza, già possiamo iniettare un antidoto al pericolo. Sempre però dobbiamo tener conto che, ogni esperienza umana possibile nel terreno di quella che viene definita "spiritualità", non può prescindere dal sentimento soggettivo. Pretenderne l'oggettività, valida per tutti, in tutti i luoghi e tutti i tempi, mi sembra veramente illusorio.
Amen:)
#2211
Concordo; inoltre mi sembra problematico proprio il definire l'identità dell'ente eterno; va bene astrarre logicamente in "A" e "B", ma concretamente (onticamente): se io che adesso scrivo, sono un ente diverso dal me che 15 minuti fa stendeva i panni, non diventa puro arbitrio (e quasi capriccio) distinguermi e scandirmi in enti potenzialmente infiniti? 

Il solito monaco zen avrebbe dato a Severino una "bastonata didattica", anche se intimamente avrebbe sorriso, perché questo continuo focalizzarsi su di sé, come ente sempre nuovo, potrebbe essere un modo eterodosso di mantenere la concentrazione sul presente e non attaccarsi ai residui mnemonici del passato (a quello ci pensa il karma  ;D).

P.s. Per quanto riguarda l'essere-niente ("A è il niente di B" e viceversa), non so se Severino mischi troppo le carte fra ni-ente, differ-ente, conting-ente, evid-ente, diveni-ente...
#2212
Lasciando fra parentesi la mia prospettiva, per poter comprendere meglio la tua (sperando di non abusare della tua disponibilità), ti chiederei come intendi l'identità dell'ente, ovvero se
Citazione di: maral il 27 Settembre 2016, 22:26:37 PMA non può diventare B, perché B in quanto B è il niente di A così come A in quanto A è il niente di B.
Io, come ente, non sono il risultato di un processo in divenire che risale al mio essere feto, prima embrione, prima spermatozoo e cellula uovo, e così via? Quando e dove avviene il mio manifestarmi come "ente A"?
#2213
Citazione di: Duc in altum! il 28 Settembre 2016, 00:50:54 AM** scritto da Phil:
CitazioneNon solo, è anche vero che non c'è alcuna necessità logica di un dio
E quindi perché credi nel tuo?

Non credo in qualcosa che giustifichi l'esistenza del cosmo (uomo incluso) o che sia una risposta universale a tutte le domande, ma ciò non significa che credo nel Nulla, significa semplicemente che "non lo so" (ricordi? ne abbiamo già parlato  ;) ). 

L'Io che dice "non lo so" è il mio dio? Improbabile, perché è: mortale, esperibile e anche piuttosto ignorante...
Eppure, mi fido di lui? Inevitabilmente, se non mi fidassi di ciò che io stesso penso (cambiamenti di opinione compresi), sarei al manicomio  ;D
#2214
Citazione di: maral il 27 Settembre 2016, 22:26:37 PMIl nulla dell'ente è la fede che quell'ente viene da qualcosa che non è quell'ente
Prendo atto che è un discorso di fede (metafisica), per cui non mi ostino ad argomentare. 
Grazie, dialogando con te mi sono chiarito ulteriormente le idee  :)

Citazione di: maral il 27 Settembre 2016, 22:26:37 PME' il bello della scienza, si possono sempre trovare prove che confutano una teoria (soprattutto in questo campo), figurati che io ho trovato pure un articolo che affermava che probabilmente non solo la sintassi fosse innata, ma pure la terminologia fosse riconducibile a un'unica fonte originaria. 
Se posti il link dell'articolo, lo leggo volentieri (se non è troppo "tecnico"!).
#2215
Curiosando su Chomsky, ho trovato questo articolo divulgativo che parla di innatismo, tanto/poco, e numeri:
http://www.lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2016/09/25/con-chomsky-avevamo-torto-la-grammatica-non-e-innata/
#2216
Citazione di: Sariputra il 27 Settembre 2016, 17:44:55 PMSono d'accordo con bluemax che, sul piano prettamente logico, spetta a chi sostiene l'esistenza di un qualcosa motivarne le ragioni. 
Non solo, è anche vero che non c'è alcuna necessità logica di un dio (tranne che per chi ne presuppone tautologicamente l'esistenza)... ma, rinfoderato il rasoio di Ockham, va anche osservato come la logica e la necessità siano cieche di fronte all'arte, oltre che alla fede. E perché limitare la cultura umana solo all'ambito (gnoseo)logico? Indulgere in congetture ed estetismi è ciò che ci distingue dagli altri animali e dai computer, è il nostro più autentico "umanesimo"...
Sia l'arte che la fede, in fondo, possono (non "devono") essere una componente legittima della soggettività, poiché entrambe si basano su un "sentire" che non è mero percepire, ma
Citazione di: Sariputra il 27 Settembre 2016, 17:44:55 PMQuesto "sentire" ha i limiti dell'esperienza soggettiva e si risolve nella soggettività, nell'incomunicabilità di questa esperienza.
#2217
Provo a riordinare alcuni pezzi (e le idee...).

Per quanto riguarda
Citazione di: davintro il 26 Settembre 2016, 01:32:29 AMun essere che ha la potenzialità di svolgere una funzione o contribuire al realizzarsi di un fenomeno, questa potenzialità ce l'ha come conseguenza di qualcosa che potenziale non è, ma attuale e reale, una causalità concretamente agente che interviene sull'essere in questione dandogli una serie limitata di potenzialità.
essendomi già sbilanciato
Citazione di: Phil il 23 Settembre 2016, 22:39:59 PMDa profano, credo che questa attualità in cui risiede "realmente" la potenzialità della matematica, del linguaggio e della conoscenza in generale, sia una attualità di tipo fisiologico (neurologico? genetico? ancora da scoprire?). Potrebbe essere un tipo di predisposizione biologica
non posso che concordare con sgiombo, anche se probabilmente abbiamo una definizione differente di "mente" (per me è "l'insieme sistemico dei processi cerebrali di pensiero", ma non voglio innestare un discorso off topic già affrontato altrove).

Sui concetti:
Citazione di: maral il 26 Settembre 2016, 11:43:47 AMè sempre tra concetti che ci si muove e non trovo che ci siano ragioni per fissarne una tipologia più "realistica" rispetto a un'altra, o, se ci fosse, bisognerebbe spiegare perché... ma per spiegarlo bisognerebbe ancora ricorrere a concetti, quindi la faccenda non si risolverebbe mai.
Mi sembra sia invece proprio la distinzione fra tipi o classi di concetti che rende possibile il ragionare e la conoscenza (su cui condivido il "prospettivismo" della citazione): dire "tanto" è molto più impreciso di dire "10", per cui sono concetti gerarchicamente differenti per affidabilità e precisione (a anche la rispettiva "astrazione" è differente per rigore), così come il concetto di "mio padre" e quello di "mio angelo custode" non sono qualitativamente accostabili perché uno dei due è ancorato alla percezione, alla comunicazione diretta, etc. mentre l'altro è una suggestione o una fede (quindi non sperimentata).
La scala che va dalla percezione/sensazione all'astrazione più sognante è fatta di pioli molto differenti fra loro, sia per utilità che per "solidità" (chi sta troppo in basso non vede molto, chi sta troppo in alto rischia di avere le vertigini e di cadere  :) )

Sull'innatismo:
Citazione di: maral il 26 Settembre 2016, 11:43:47 AMnego che si inventi alcunché, se inventare è costruire gli enti dal loro nulla originario
Indubbiamente si inventa sempre partendo da ciò che si ha a disposizione, avevo già premesso che l'invenzione non è ex nihilo...

Citazione di: maral il 26 Settembre 2016, 11:43:47 AM Quello che nego è che il luogo dell'ente nascosto appaia, in quanto il luogo dell'ente (e lo stesso luogo in cui andarlo a cercare) è determinato dal suo apparire cosicché scopro l'ente insieme al luogo ove ha luogo, non quindi come essente, ma come esistente, ossia non in sé, ma per me.
Credo che (escludendo iperuranio, inconscio, mondi paralleli, volere divino, etc.) resti aperta la domanda:
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2016, 12:22:53 PMSostenere che "qualcosa è, ma non è da nessuna parte fino a che non accade", non è una machiavellica perifrasi per dire "nasce" o, nel nostro caso, "viene inventato"?

Domanda non risolta dalla congettura
Citazione di: maral il 26 Settembre 2016, 11:43:47 AM Prima l'ente non aveva luogo perché, pure essendo, non era per me (o per noi se lo condividiamo).
Se non possiamo parlare di "fede metafisica" (giusto?), come possiamo affermare che "l'essente/ente era già, ma solo non era ancora localizzato", ovvero:
Citazione di: Phil il 25 Settembre 2016, 12:22:53 PMSe qualcosa non si manifesta come possiamo essere coscienti della sua esistenza?
Prima di questa manifestazione, fosse anche solo linguistica, se non è "fede metafisica" quella che ci spinge a dire "eppure già esisteva...", in base a cosa possiamo affermarlo? Se qualcosa non ha ancora un nome e non è in un luogo (o meta-luogo "virtuale"), come possiamo, al suo apparire, supporre retroattivamente che esistesse già da prima?


Citazione di: maral il 26 Settembre 2016, 11:43:47 AMnon è che contando si arriva a definire il numero, ma contando facciamo esperienza del numero e quindi esso si mostra, ha luogo e ha luogo nel nostro contare. Esattamente come per convenire sul significato delle parole è necessario che le parole ci siano, ossia è necessario che ci sia già un linguaggio comunicativo che abbia dei segni fonetici o gestuali che di fatto sono già parole.
Come suggerivo: le note hanno senso solo nello spartito, ma lo spartito ha senso solo se contiene note... si scrive musica da sempre oppure partendo dal "modulare la voce" qualcuno ha inventato note e spartito?
#2218
Citazione di: paul11 il 25 Settembre 2016, 17:39:17 PMContinui a confondere forma e sostanza.
Non posso conoscere una sostanza senza una forma (o meglio, senza "formalizzarla", senza "informarla"), ma sono disposto ad ammettere che ci possa essere una sostanza a prescindere dalla forma... perché la formalizzazione è semplicemente il mio modo di rapportarmi al mondo, ma credo che essa non sia affatto necessaria per la sussistenza della sostanza del/nel mondo...

Citazione di: paul11 il 25 Settembre 2016, 17:39:17 PMEsiste o no il DNA?
Il DNA è sempre una definizione (linguistica-concettuale) umana, che ci consente di operare, magari ottenendo buoni risultati, ma da un punto di vista extra-umano (consentimi di cambiare faticosamente prospettiva per un attimo), il DNA non esiste, così come non esiste "il ramo" che taglio per ottenere "un bastone", sono solo discriminazioni percettive, identità-definizioni concettuali... gli enti esistono concettualmente solo se vengono definiti con identità linguistiche (simboli, segni, suoni...), ma questo è sempre e solo il nostro "sistema operativo" per interfacciarci con il reale, non è mai la realtà (ammettendo che esista), che scommetterei non è affatto linguistica (anche se noi possiamo ragionarci solo "linguistizzandola"...).

Citazione di: paul11 il 25 Settembre 2016, 17:39:17 PMun empirista come te non può metterlo in discussione.
Le "etichette" sono come i soprannomi, debbono darceli gli altri, non possiamo sceglierceli... ad esempio, personalmente, non mi vedo affatto "empirista", se proprio dovessi mettermi un "distintivo" (e perché mai?) preferirei piuttosto "relativista ermeneuta zen", ma capisco che non è affatto esplicito e funzionale  ;D
#2219
Sgiombo non deve affatto scusarsi, così come chiunque altro voglia partecipare al dialogo... siamo qui per questo, no?  :)

@paul11
Mi sbilancerei nel sostenere che c'è più fertilità, futuribilità, nei discorsi epistemici degli "analitici" che nelle congetture metafisiche dei "continentali"... la vita come "codice" è una lettura, metaforica, che dà la ragione umana, ma come sempre, c'è il rischio di scambiare il significante che si legge con il significato, ovvero di pensare che la vita sia davvero un codice, mentre è solo il nostro modo di leggerla che la interpreta così (con tutti i rischi di fraintendimento che ogni interpretazione pone...).

@maral
Concordo pienamente con le considerazioni di sgiombo, quindi non voglio dilungarmi per fargli eco; aggiungerei alcune osservazioni:
Citazione di: maral il 25 Settembre 2016, 00:20:29 AMla mia domanda introduceva un dubbio a quello che venivo dicendo io stesso, non tu, e, per risolvere il dubbio concludevo che la domanda non ha senso: non può apparire un luogo dove stanno gli essenti prima di apparire, se questo luogo apparisse sarebbero già apparsi. [...] Non è fede ciò che asserisce che ogni essente è, ma non ogni essente solo a un dato momento appare, lo constatiamo continuamente.
Se un essente è (uso il tuo linguaggio, ma condivido con sgiombo la differenza "ente vs essente"), il suo essere dovrebbe logicamente avere una sua "dimensione" (sia essa meta-fisica, inconscia, iperuranica o altro), poiché ciò che è ma non ha "luogo", è solo il nulla in quanto concetto nominato. E non credo si possa parlare, almeno in occidente, di "innatismo dal nulla"...
Quando parliamo del nulla parliamo di un concetto che non si riferisce a qualcosa di esistente in una dimensione, parliamo di qualcosa che non si manifesta, insomma parliamo esattamente di ciò che tu sembri definire come "innato ma non manifesto" riferendoti però a qualcosa che è prima di poter essere nominato... se il nulla è salvato dal paradosso ponendo la sua esistenza solo sul piano linguistico-concettuale, gli essenti innati di cui parli, essendo senza luogo e senza parola, non si salvano dall'aporia...
Per questo la domanda sul "dove", per gli innatisti, è uno scacco insormontabile (per i non-innatisti è invece un falso problema).
Sostenere che "qualcosa è, ma non è da nessuna parte fino a che non accade", non è una machiavellica perifrasi per dire "nasce" o, nel nostro caso, "viene inventato"? ;)

Citazione di: maral il 25 Settembre 2016, 00:20:29 AMBè mi pare che di esistenze non manifeste ce ne siano sempre state tante nella storia dell'umanità (e sicuramente ce ne sono tuttora che forse si manifesteranno in futuro), senza che questo pregiudichi alcuna esperienza attendibile. 
Se qualcosa non si manifesta come possiamo essere coscienti della sua esistenza? E come possiamo averne "esperienza attendibile"? Il livello minimo della consapevolezza-di-esistenza presuppone che qualcuno percepisca qualcosa, fossero anche solo i suoni o i segni che rimandano ad altro-da-loro... ma credere che qualcosa esiste solo perché ha un nome ci porta sul piano (legittimo ma non epistemico) della "fede" e della "mistica"...

Citazione di: maral il 25 Settembre 2016, 00:20:29 AMI dizionari e le grammatiche fissano le lingue esistenti temporaneamente a mezzo di convenzioni, ma non è certo dai dizionari e dalle grammatiche che nascono le lingue. Ossia le lingue possono portare a convenzioni sull'uso dei termini, ma non viceversa. Non mi pare risulti a nessun antropologo che per cominciare a parlare una lingua si sia iniziato con il convenirne un dizionario, scritto o orale che fosse. 
Ovviamente non riconosco nei dizionari il documento fondante di una lingua, ma solo un "indice" (in tutti i sensi!) di quanto la lingua sia "costruita" non "scoperta", al punto che è necessario archiviare la forma che si è deciso (senza necessità intrinseca) di condividere... 

Citazione di: maral il 25 Settembre 2016, 00:20:29 AMnessuna comunità fa questa scelta, cioè nessuna comunità si è mai trovata davanti a qualcosa di rosso e ha cominciato a discutere se chiamare quel colore rosso o red, mettendosi d'accordo magari per alzata di mano a maggioranza come suonava meglio. Anche perché se ci fosse mai stata questa discussione le parole avrebbero ben dovuto già esserci e dunque, di nuovo, come per i numeri, per avere le parole, ci vogliono delle parole!
Sulla non accademicità e sui tempi lunghi della costituzione della lingua, avevo già puntato l'attenzione nel post precedente: che il processo sia lungo, spontaneo, non strutturato e non supervisionato, non implica che non ci sia invenzione (l'esempio dei neologismi mi sembra ancora calzante...). 
Se "per avere parole ci vogliono delle parole"(cit.), "per avere note musicali ci vogliono note musicali"? Lo sforzo è proprio quello di cercare di porsi prima cronologicamente dell'attuale ovvietà del "parlare con parole", o "suonare con le note"...

P.s. Su Severino mi dovrei documentare adeguatamente, ma forse (e magari prendo una grossa cantonata!) resta anche lui dentro una "fede metafisica", seppur parmenidea e non eraclitea...
#2220
Citazione di: maral il 24 Settembre 2016, 13:30:58 PMnon si inventa nulla se per inventare si intende creare qualcosa (qualsiasi cosa, compreso numeri, colori) facendo essere qualcosa che prima non era. Nella loro qualità di numeri e colori, questi enti in quanto essenti, sono da sempre e per sempre
Cercando di restare sul piano ontologico (anche se il mio era perlopiù linguistico), non confonderei gli enti con i concetti: gli enti non si inventano, i concetti direi di si (non ex nihilo, ovviamente...), altrimenti il concetto di "inflazione" sarebbe dovuto esistere prima dell'invenzione del denaro... e ciò è ammissibile solo con una fantasiosa teoria neo-platonica, o mistica, in cui tutto il pensabile c'è già, da qualche parte (metaforicamente parlando, ma non troppo...) e noi ci limitiamo, epoca dopo epoca, ad attingere da questo "serbatoio concettuale eterno e completo" (è questa per me la congettura ardua da sostenere, se non per "fede"... ma non voglio impantanare il discorso con speculazioni ontologiche).

Citazione di: maral il 24 Settembre 2016, 13:30:58 PMdove stanno allora i numeri e i colori prima del loro apparire alla nostra coscienza? 
In questa domanda affiora il preconcetto che la (pre)orienta, ovvero che i numeri debbano essere sempre stati da qualche parte, per cui non resta che chiederci "dove?"; e se invece, fossero uno dei tanti concetti inventati? 
Proviamo a fare una dimostrazione per assurdo: se credere che i numeri non sono innati, comporta una contraddizione o va contro esperienze attendibili, allora i numeri sono innati... la contraddizione sarebbe ammetterne l'invenzione? Non sembra poi molto contraddittorio in sé, né andare contro esperienze attendibili (al di là di essere d'accordo o meno con la possibilità di inventare qualcosa).
Se invece (per "par condicio") vogliamo applicare una dimostrazione per assurdo all'invenzione dei numeri, dovremo postulare che non siano inventati, e ciò dovrebbe essere contraddittorio o andare contro un'esperienza attendibile... la contraddizione in questo caso sarebbe l'ammissione di un'esistenza-non-manifesta (vedi sotto) che quindi va contro ogni esperienza attendibile (e anche se si è d'accordo con questa prospettiva, non sono pochi i punti interrogativi metafisici e epistemologici che ne conseguono...).
Tuttavia, non insisto oltre, capisco che sono prospettive inconciliabili  ;)

Citazione di: maral il 24 Settembre 2016, 13:30:58 PMNon stanno in un altro mondo, in un iperuranio, semplicemente sono, ma non appaiono. In questi termini parlo di inconscio. 
Ci sono inconsci e quindi non hanno per la nostra esperienza un luogo "scoperto", perché se lo avessero ci apparirebbero, ma non avere un luogo scoperto alla nostra esperienza non vuole dire che sono niente [...] mantenendo fermo che numeri e colori sono e non possono non essere, 
"Sono ma non appaiono"(cit.), quindi sono "esseri immanifesti", immanifesti quindi indimostrabili, indimostrabili quindi oggetto di "fede" (uso anche qui le virgolette perché non parlo di fede religiosa...).

Citazione di: maral il 24 Settembre 2016, 13:30:58 PMNon trovo nessuna lingua naturale frutto di una convenzione. 
Chiaramente le lingue, e le rispettive convenzioni, si sono modificate con i secoli, nessuna lingua è nata dalla sera alla mattina o ad opera di un solo uomo... per "convenzione" va inteso un "inventare artificiale" che diventa poi un "affermarsi socialmente"; se le lingue non fossero convenzioni, a cosa servirebbero i dizionari, le grammatiche, etc.? 

Citazione di: maral il 24 Settembre 2016, 13:30:58 PMnon c'è mai stato un momento originario in cui si è stabilito che il colore rosso dovesse chiamarsi "rosso" potendolo anche dire in modo diverso, il colore e la combinazione fonetica che lo mostra sono tra loro sempre legati secondo un'intrinseca necessità, non è una scelta convenzionalmente stabilita, anche se certamente varia.
La prospettiva diacronica delle lingue sembra indicare il contrario: non c'è necessita del nominare qualcosa con un determinato segno o suono, semplicemente una comunità ha deciso di usare quella combinazione, altre una combinazione differente, ma non c'è nessuna "intrinseca necessità"(cit.) fra l'oggetto e la parola (salvo per le onomatopeiche), solo arbitrarietà convenzionale... 
Pensa anche ai neologismi, che abbondano con il fiorire di nuove dimensioni (come quella attuale dell'informatica), che necessità c'è di chiamare alcune novità tecnologiche proprio con quel nome? Nessuna, semplicemente qualcuno le battezza così e gli altri "condividono" (in tutti i sensi  ;D ) quella parola...

Citazione di: maral il 24 Settembre 2016, 13:30:58 PMVeramente Derrida parla di una scrittura che precede l'oralità della comunicazione (e ovviamente non è una scrittura che appartiene al soggetto umano; è segno muto e di per sé insignificante che dà significato a ogni cosa) Non abbiamo mai conosciuto alcuna cosa senza un segno che ce la connotasse, fosse questo segno anche solo un gesto, e quel gesto, quell'espressione fonetica di un altro soggetto che ci ha mostrato quella cosa nessuno lo ha mai scelto né quindi convenzionato per quella cosa.
Credo vada distinta la "scrittura" dal "gesto" (e penso lo faccia anche Derrida quando, vado a memoria, distingue il "segno" dal "fare-segno"...), altrimenti "scrivere" e "gesticolare" diventano sinonimi! Non ricordo bene, ma non scommetterei che il concetto di "archiscrittura" di Derrida, al netto di metafore e giochi linguistici, neghi che ci sia stato, come sottolineavo, un momento in cui l'uomo non scriveva ma comunicava solo oralmente...

P:s. La convenzione, non la intenderei solo in modo accademico: ad esempio, come accennavo prima, molti neologismi nascono ed entrano nel vocabolario senza che ci sia un convegno di esperti, ma soltanto perché si innesca un "passaparola" fortuito e molto esteso: l'espressione "figlio dei fiori" (con tutti i riferimenti concettuali annessi) è ormai comprensibile a tutti, eppure non è sempre esistita, ma il suo successo sociale ne ha decretato la legittima appartenenza alla comunicazione (pur non sapendo, almeno io, chi sia stato il primo a coniare questa espressione). 
Magari mi dirai che anche questa espressione esisteva da sempre, ma attendeva solo di manifestarsi, che "era ma non appariva", ma mi concederai che con questo presupposto di innatismo radicale, perdiamo ogni presa epistemologica sull'argomento, abbandoniamo la ricerca per "accomodarci" in una "fede metafisica" di cui tutto il '900 (con buona pace di Severino?) ci ha insegnato a dubitare...