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Messaggi - niko

#2206
Scienza e Tecnologia / Re: Il supercecchino!
17 Gennaio 2023, 13:47:20 PM
Non puo' essere che il cecchino, se e' un maestro assoluto della sua arte, suppone per esempio che tu camminarai in linea retta per prossimi tre o quattro secondi, e ci prova, a sparare al punto di spazio in cui ipoteticamente ti troverai, se non ti fermi o non cambi direzione quando arriva il proiettile?


E non puo' essere che se il cecchino e' abbastanza fortunato da individuare su di un piano perfetto, (ad esempio una pianura o un tratto di deserto perfettamente liscio) un uomo anche lontanissimo, ma che si avvicina a lui (o si allontana da lui) in linea perfettamente retta, senza alcuna componente orizzontale del movimento relativo intendo, puo' di fatto considerarlo un bersaglio fermo, perche' gli spostamenti in orizzontale del bersaglio, amplificati dalla distanza certamente fanno sbagliare il colpo, mentre gli avvicinamenti o gli allontanamenti di pochi metri proporsionati a una distanza complessiva di chilometri non contano nulla?



#2207
Tematiche Filosofiche / Re: Ti sento, quindi esisti.
17 Gennaio 2023, 12:02:01 PM
Citazione di: Ipazia il 15 Gennaio 2023, 16:03:45 PML'esistere, o l'esser-ci, se preferite, è fondato nel tempo di vita di ogni ente indipendentemente dal rapporto soggetto-oggetto, osservatore-osservato. La montagna, sequoia, umano, gatto, hanno un tempo di vita che resiste a qualsiasi sofisma, che al massimo può attaccare il significante loro attribuito da un intelletto umano. Laddove il reale si fa razionale e comunicabile.


Io rispondevo a questo...

E se vengono espresse posizioni, diciamo cosi', estremamente spiritualuste, (e non da Ipazia, che qui da' solo una risposta a bobmax) posizioni al limite del solipsismo, appunto che l'esserci dipenda dal rapporto tra soggetto e oggetto, io mi sento autorizzato ad esprimere posizioni estremamente materialiste, come, appunto, le mie.

La posizione che l'esserci dipenda da un rapporto tra soggetto e oggetto si accenna con le dovute cautele in Kant, raggiunge la sua acritica completezza in Heghel e la sua apoteosi in Berkeley.

Anche se ha illustri precedenti, a me non piace.

Piace l'idea che il "noumeno" il non ulteriormente indagabile del fenomeno, siano la materia e le leggi della fisica.

Siccome la vita e' autocoservantesi, e noi non possiamo uscire dal punto di osservazione -per noi vincolante- interno alla vita, sull' "essere" prevale semmai, in senso lato  "volere", (l'impulso e il conato), non la percezione, che e' a sua volta un derivato del volere, del proggetto istintuale della vita.

Noi non siamo vincolati al volersi autoconoscere dello Spirito, individuale o assoluto che sia, siamo vincolati al volersi autoconservare della particolare forma che ha assunto la nostra materia, che, in quanto forma della vita, e' una forma in cui incidentalmente il volersi autoconservare "vale", ed emerge, come eterea, non veritativa, liminarmente falsa, autocoscienza.


#2208
Tematiche Filosofiche / Re: Ti sento, quindi esisti.
17 Gennaio 2023, 01:09:44 AM
Citazione di: Claudia K il 17 Gennaio 2023, 00:14:05 AMNon colgo dove tu abbia potuto attingere questa visuale, e (pure) attribuirla ad altri...
Consentimi però di osservare che qualche forma (pseudo) "iperuranica" (con corredo di profondo nichilismo alla disperata riscossa)  personalmente mi riuscirebbe più palmare da osservare in chi inseguisse verità da raggiungere "sentendo" e "col cuore" (o "con la mente", nel migliore dei casi).

Non si tratta di "credere che i numeri esistano da qualche parte".
Si tratta solo di prendere atto che l'universo è relazione tra enti e loro eventi, i quali esistono e  si producono anche quando non se ne abbia alcun "sentire" (qualunque virus, ad esempio, e anche se non vogliamo spingerci fino al butterfly effect).
E altrettanto prendere atto che le relazioni tra enti (e loro eventi) rispondono a precise regole che soltanto il linguaggio matematico è in grado di decodificare, e sempre con tutte le relatività del caso, tutto essendo così sistemico che al variare di qualunque condizione...cambia il sistema (ferma restando la valenza del linguaggio di decodifica in sè).

La Matematica è dentro, è fuori, è in qualche interfaccia tra il dentro e il fuori?
La Matematica è il linguaggio  delle relazioni tra gli enti e loro eventi.

E neanche comprendo l'insistenza sulla metafisica in "braccio di ferro" con la fisica. Tanto quanto (per le stesse ragioni) non comprendo un'accezione di Filosofia come "ricerca della felicità", laddove (anche etimologicamente) mi è sempre risultato che Essa fosse "amore per la sapienza".
E la Sapienza non va di fantasia. E cerca ciò che è vero, non ciò che fa piacere. (L'Intuizione è Altro, ma non si spaccia mai per verità, e cerca conferme...senza le quali sa o deve sapere di restare "favola bella").

Nel leggere parecchie dissertazioni (anche su questo Forum) mi torna alla mente lo stesso rapporto che su scala ridotta è  attualmente esistente tra psicologia e neuroscienze.
La psicologia (anch'essa costola della filosofia) ha meritoriamente ipotizzato e tentato di intuire le ragioni dei disagi psichi e di curarli.
Nulla di migliore si sarebbe potuto fare in tempi in cui le possibilità di studiare l'organo cervello e le sue interazioni con l'organismo umano erano pressochè nulle.
Grandi teorie e grandi diatribe di stampo metafisico tra addetti ai lavori...e poi ecco che in un solo secolo o poco più...le quotidiane acquisizioni delle neuroscienze erodono interi continenti al territorio della psicologia...ancora una volta dimostrando nessi biochimico-fisici che ben poco hanno a che fare con i "traumi infantili e dintorni" o più in genere col "comparto esperienziale".







Senza tirare in ballo Hadot che non so chi lo conosca e chi no, se la filosofia e' amore per la sapienza, si suppone che la sapienza serva a qualcosa, se essa e' degna di "amore".

E questo qualcosa e' la felicita'; una vita degna, e una prospettiva sulla vita, degna.

Cura dell'anima in greco e' EPIMELEIA TEN PSUCHE, in cui c'e' ancora il suono, e il gioco di parole etimologico, che non c'e' in italiano, di "mettere il miele sopra l'anima", epi-meleia, cura dell'anima nel senso di mettere il miele sopra l'anima.

ll miele, che unisce il buon sapore alla trasparenza.

La trasparenza di per se' non sarebbe nulla, senza il buon sapore.

Il gioco di parole sapere/sapore, vive ancora nel latino SAPIENTIA e nel greco NOUS.

Dal mangiare per vivere, al gustarsi il sapore.

la tecnica, e con essa la virtu', che ci rende umani, ha molto a che fare con il procacciarsi il piacere oltre la frontiera "animale" del nutrimento e della riproduzione, e del piacere istintuale connesso con il nutrimento e la riproduzione.

Prima del cristianesimo (viva Dio...) in generale si ama cio' che vale e non si ha l'idea balzana che l'amore in se' conferisca valore (prima del cristianesimo l'amore e' eros, e non agape).

Quindi se si AMA la sapienza, e' perche' la sapienza VALE.

Non perche' il nostro amore bulimico valorizzi una sapienza di per se' indifferente.

Psicagogia. Conversione. Non c'e' dubbio alcuno che la filosofia ANTICA sia un qualcosa di essenzialmente pratico.

Farla diventare un elenco di nozioni idiote e' l'esercizio, appunto, dei peggiori moderni.





#2209
Tematiche Filosofiche / Re: Ti sento, quindi esisti.
16 Gennaio 2023, 20:08:31 PM
Citazione di: daniele22 il 16 Gennaio 2023, 18:40:44 PM
Perdona niko, e il soggetto non si rapporta con nessuno?, a meno che tu non ti intenda come facente parte della materia, ma spero proprio di no.
Mi sembra che tu non ti dia proprio conto che la nostra lingua e l'uso che noi se ne fa è compresa nell'ordine naturale delle cose alle quali noi dedichiamo la nostra attenzione. C'è gente che vorrebbe trascenderlo con le proprie circonvoluzioni letterarie, ma è impossibile poterlo fare. In questo caso si può proprio dire che non ci si può alzare da terra tirandosi per i capelli. Comunque, il discorso che fai tu, eliminando la lingua e i testi dall'indagine sul reale, l'ho già fatto sia con Paul11 e con Green Demetr l'anno scorso nel tema filosofico sulla fenomenologia dello spirito. E c'eri anche tu che ogni tanto intervenivi, ma non con me, né io con te. E nessuno dei due ha replicato alla fine; io aspetto sempre comunque. Se vuoi lo riprendiamo io e te. Scegli tu il punto dove intervenire, anche se sai benissimo qual è



Noi, incatenati all'unita' della nostra autocoscienza, ci rapportiamo al mondo, degli oggetti inanimati, e degli altri viventi, con cui non ci potremo mai fino in fondo identificare, tramite quello che con il resto del mondo, e con il resto degli altri vivi, abbiamo in comune: la materia.

Si fa un gran parlare, di comunicazione, ma per essere, qualcosa in comune con X, bisogna avere, qualcosa in comune con X.

E questo qualcosa, e' la materia.

Lo avevano capito gli antichi Greci, nell'era omerica e presocratica, con la loro teoria degli effluvi.

Contro cui si scaglio' Platone. Con esiti non proprio felici.

Certo, che siamo materia e apparteniamo alla materia.

La condizione umana non e' :

"sapere di non sapere"

ma e':

"non sapere se si sa o se non si sa".



#2210
Abramo sacrifica Isacco...

-punto fondamentale: lo sacrifica REALMENTE, in in sorta di linea temporale alternativa che avrebbe dovuto essere quella vera, interrotta soltanto dal "pietoso" miracolo dell'angelo che ferma la mano assassina; in altre parole Dio si appaga nel contemplare un imagine del futuro in cui Abramo obbedisce e uccide, anche poi non la rende reale, tale immagine, e ne rende reale un'altra-

E lo sacrifica nella convinzione di riceverne in cambio tutto, di riceverne in cambio la felicita' finanche su questa terra, in quanto un ordine che viene da Dio non puo' che essere buono e portatore di bene (non per niente Abramo e' il cavaliere della fede).

Quindi, nel SILENZIO di Dio che ormai non si degna di manifestare piu' una volonta' precisa a noialtri tardivi mortali che NON siamo Abramo e NON sentiamo (direi per fortuna) le voci e le vocine nella nostra zucca, non rimane che lo scheletro, astratto, di questa storia, di questa vicenda, che solo nel caso eccezionale di Abramo fu concreta:

Se si ha fede, bisogna sacrificare tutto (tutto=Isacco, che per Abramo era tutto) nella convinzione di riceverne in cambio tutto (Dio ci restituira' il nostro "Isacco", PARADOSSALMENTE se e solo se noi lo sacrifichiamo).

Come nell' evangelico: lascia tutto e seguimi.

Possediamo solo quello che doniamo.

Lo stato religioso e' necessario di per se' perche' lo stato etico ed estetico non sono soddisfacenti.

Kierkegaard sente la necessita' di sacrificarli, questi stati, di donarli ad altro in nome di altro, anche se non pensa di esserne ricompensato su questa terra: egli e' il cavaliere dell'infinito, e non della fede, come lo fu solo Abramo.

Si tratta di negare e di attraversare fino all'estremo opposto il male di vivere anche se attualmente non c'e' la certezza del bene, non c'e' la volonta' di Dio manifesta in forma di voce, e quindi, pur intraprendendo la traversata, non ne riceveremo in cambio un bene.

Il rinnegamento silente e valoriale dello stato etico ed estetico e' gia', uno stato religioso.

Anche la sola e labile possibilita', che Dio "parli", insomma che in qualche modo si riveli, a chi ha nichilisticamente sacrificato dentro di se', nella propria interiorita' il mondo, e il "mondano" in generale (quindi a chi ha sacrificato il proprio Isacco per Isacco) sopprime tutte le altre possibilita' e fa sopportare lo stato etico ed estetico come mere realta' e lineari necessita', quindi come qualcosa di MENO angosciante, dato che in Kierkeegard l'angoscia nasce dalla possibilita', e si placa solo nella realta'/necessita'.

Il suo problema, e' come rendere sopportabili lo stato etico ed estetico, per renderli sopportabili deve sopprimerne tutte le multiformi e varie  possibilita', per sopprimerne tutte le possibilita', deve aprirsi alla possibilita' di altro: ecco il senso, e la collocazione, dello stato religioso.

Che e' un nulla rispetto alla realta' della terra, infatti la speranza di Kierkegaard e' al massimo ultramondana, non cerde che gli uomini di fede saranno sulla terra ricompensati, o anche solo che affronteranno meno travagli.

L'uomo e' solo come Dio e' solo, e da questo nasce l'unica possibilita' della loro relazione, che e' relazione nonostante una distanza infinita, nonostante un aut aut.

Dio infinitamente NON e' l'uomo, e' qualitativamente infinitamente diverso: e' per questo che la scelta tra Dio e l'uomo e' di per se' infinitamente significativa, e Kierkegaard puo' farla nel senso dello scegliere Dio contro ogni logica e ogni ragione.

La fede riconduce il mondo a unita', ne' "elimina" dunque le possibilita', al prezzo di farne, di fare del mondo intendo, il termine unitario di una scelta, nel profilarsi della possibilità di una scelta radicalmente opposta.

E chi ha fede, non sceglie il mondo.




#2211
Tematiche Filosofiche / Re: Ti sento, quindi esisti.
16 Gennaio 2023, 17:53:13 PM
Citazione di: daniele22 il 16 Gennaio 2023, 17:32:23 PM
Non so a chi tu voglia riferirti con questo tuo esordio niko ... sei spesso ambiguo in certi tuoi interventi e tendi pure a glissare o a non rispondere quando ti chiedo qualcosa. Mi sembra di avere già sconfessato il noumeno come feticcio per le proprie fuorviate convinzioni personali. Nel fenomeno c'è tutta la materia di questo mondo parole comprese ... non vi sono i pensieri, anche se la loro esistenza è ammessa da tutti. Quindi, la pietra che ti arriva sul piede produce un immagine tattile, oltre al dolore. Un cavallo che corre produce immagini visive. Il sole, se lo guardi ti brucia la retina. Un colpo di mortaio può assordarti. Le parole, se le ascolti troppo ti fanno fare quello che vogliono loro. Ti preoccupa il fatto che io non consideri gli altri (individui e cose). Gli altri sono fenomeni e io quando vivo mi occupo dei fenomeni. Ma nei fenomeni c'è pure un'affettività a questi, e questo vale tanto per le cose, quanto per le persone, quanto per le idee delle persone. Ci si cura delle immagini nel tempo, fenomeni ... quella è l'unica realtà agibile. Non v'è nessun'altra realtà oltre questa, a meno che tu non la cerchi in modo casuale, sempre ammesso che esista il caso, cosa sulla quale ho fortissimi dubbi. Del caso mosso dagli umani diffido proprio. Ribadisco infine per l'ennesima volta il primato della sensazione nella conoscenza. Qualora ti degnassi di dare una risposta te ne sarei grato. Un saluto


Non e' il rapporto tra soggetto e oggetto che produce l'esserci, ma la materia e le leggi della fisica.

La vita e' una conseguenza prevista dall'ordine naturale e cosmico, non lo trascende.

Il destino di ogni cosa, vivente e non, e' assolutamente determinato, seppure ignoto.

Possibilita', caso, secondo me non e':

"cio' che potrebbe anche non essere,"

ma cio' che -disponendo dell'infinito inteso come infinita' di tempo, spazio e materia- e' ripetibile.

Insomma secondo me non esistono al mondo possibilita' uniche, neanche la vita intendo, nel suo volerlo essere, lo e'.

In generale non amo i solipsismi, anche se qui, in questa discussione NON sei stato tu a farli, e infatti NON rispondevo a te.







#2212
Tematiche Filosofiche / Re: Ti sento, quindi esisti.
16 Gennaio 2023, 15:13:45 PM
Secondo me ha ragione Ipazia, quando ha parlato contro i sofismi dell'esserci...

Esiste la materia come equivalente concettuale del "noumeno" rispetto al fenomeno/percezione, e la via, diciamo cosi', berkeleyana (ma anche heideggeriana) di collegare l'esserci alla soggettivita' e' abbastanza fallimentare: i pini esistono solo se qualcuno li guarda?

Solo se qualcuno li immaggina?

Solo se qualcuno di relativamente intelligente a un certo punto del tempo ha concretamente visto un pino, e allora egli fa galoppare la fantasia (o al limite la logica) e immaggina che, nell'immensita' del tempo e dello spazio, vi possano essere altri pini, anche da lui non visti?

Suvvia...

Le forze dipendono dalla relazione tra i corpi, relazione che genera anche la loro posizione, perche' si e' in posizione solo se si e' in relazione, e il concetto di campo le spiega.

Se proprio devo assumere un punto di vista non materialistico, allora ne assumo uno vitalistico:

I pini esistono solo se qualcuno vive, gode e soffre, e deve in qualche modo concettualizzare i pini come parte di un proggetto utile alla vita, alla sua propria vita.

Chi ama i pini, e ne gode, ne invochera' il ritorno; chi non li ama, e ne soffre, la trasfigurazione in altro.

E c'e' il tempo, con le sue due facce, il grande flusso che tutto ripropone e tutto trasfigura, pronto ad accontentare le istanze di tutt'eddue.

Ma, se non avesse amanti e non amanti da accontentare, dei pini come di qualsiasi altra cosa, forse il tempo non scorrerebbe.

Questa e' l'unica concessione che faccio, al soggettivismo.







#2213
Storia / Re: Il mistero delle grandi menti del passato
15 Gennaio 2023, 20:12:33 PM
Citazione di: Claudia K il 15 Gennaio 2023, 17:35:26 PMConvergendo senza riserve sulla perniciosità della "moderna figura di intellettuali di professione", la vedo piuttosto diversamente su tutto il resto. E probabilmente non è un caso, e ci torno fra un attimo.

Nell'immediato mi urge rammentare che la storia della Filosofia è puntellata/scandita da Matematici (Talete e Pitagora, per stare sul sicuro e noto a.C. ...e poi a seguire, fino ad arrivare ad Einstein e solo per restare tra gli storicizzati).
Ed Einstein è la prova provata che le Menti Immense non si siano esaurite tre secoli fa o ancora prima.

Le Menti Immense non emergono perchè sono "seviziate" dalla mole dello scibile attuale e dalla conseguente necessaria settorializzazione?
Non solo non lo credo affatto (e un Einstein che AMPLIA lo scibile non pare aver affatto subito questo effetto), ma se questo effetto fosse effettivamente attivo...intanto non potrei che avallare la grafica involutiva postata da Ipazia al post #22, ma ancor prima canterei il de profundis alla Filosofia. Quando affermi : "sistemino del mondo" ?  ???
E come mai potrebbe mai la Filosofia assolvere alla propria mission se non tentasse di sistematizzare, laddove il sistematizzare (per forza di realtà, valida anche per i non credenti) ...quanto più è valido e dimostrabile e tanto più istituisce/suggerisce  nuove incognite?

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A latere , solo per non lasciare nulla di intentato in questa serie di riflessioni : la "settorializzazione impeditiva" - dal mio sommesso punto di vista - si realizza solo ed unicamente laddove sia un'indole anti-filosofica e tendenzialmente "tecnica", la quale NASCE limitata ed aspirante alla settorializzazione anche come forma di "sicurezza" identitaria (Levi Montalcini per tutti: senz'altro bella mente in neurologia. Poi...punto...)
E se è assolutamente vero che lo scibile odierno sia molto più denso rispetto a cinque o sette secoli fa, non mi pare intellettualmente onesto bypassare il fatto che gli attuali tempi e metodi di valutazione-selezione delle informazioni sia molto più che proporzionale al loro flusso, oggi rispetto al passato. Per cui non riesco a viverlo come fattore impeditivo. 



L'incognita (della filosofia) e' sempre la stessa da duemila e mezzo anni: quale sapere ci rendera' felici.

Non serve a niente, ma proprio a niente, dal punto di vista del filosofo "aprire nuove incognite".

Quello semmai, lo fa la buona scienza.

Che non e' la stessa cosa, della buona filosofia.

Il sistema/sistemino del mondo, l'enciclopedia o simili, in filosofia e' (o almeno: dovrebbe essere) al servizio della buona filosofia.

Cioe' del sapere eudaimonistico, collegato alla felicita'.

Che ogni sapere sia utile, che ogni informazione sia fonte di potere e valga in quanto tale, non e' affatto, un punto di vista proprio del pensiero antico.

E bisogna sempre diffidare, di tutto quello che non e' antico.

Ad esempio del capitalismo, e della scienza.

Einstein e' un esempio di genio specializzato in una ben precisa materia, non di genio eclettico.

Einstein non e' Leonardo.

La domanda, almeno finche' io riuscivo a seguire il senso di questa discussione era:

"perche' negli ultimi due secoli ci sono stati gli Einstein, ma non i Leonardo?"

Gli specialisti e non i tuttologi?

Senno' il tutto mi sembra una esposizione di gusti personali.

In cui tra l'altro si fa la lode sperticata di Dante, e non si riconosce la genialita' di un Vag Gogh o di un Picasso.

Che dire...

I gusti sono gusti, ma non c'e' alcun "segreto", nei gusti.





#2214
Storia / Re: Il mistero delle grandi menti del passato
15 Gennaio 2023, 13:56:37 PM
Citazione di: Claudia K il 15 Gennaio 2023, 10:57:58 AMGalileo ci dimostra (anche) che ciò che è vero comunque emerge.
In realtà non era affatto in discussione, qui, la poetica dell'Alighieri.
Si desiderava, invece, ragionare di quelle rarissime  Menti che:  A) hanno avuto la capacità di acquisire conoscenza in settori assai distanti dello scibile; B) ritenerli con totale naturalezza (che è però del tutto innaturale per i più); C) elaborarle "in sistema" con risultati a dir poco sconvolgenti.
Dante e la sua Commedia sono soltanto l'esempio più pratico e universamente noto della compresenza, in queste Menti, dei tre presupposti di cui sopra, atteso che la sua Opera fonda su, ed esprime ed elabora in modo mirabile, un patrimonio di conoscenza immenso.
Per questa ragione, tra l'altro, non avrei mai annoverato tra le Menti immense, e restando in ambito letterario, un Leopardi o un Manzoni (pur con il dovuto ossequio alle loro belle menti).


Scusa eh, ma come ti ho detto io e non solo, questa discussione sulle "menti immense" ha un senso, ed e' interessante, e infatti anche io sono intervenuto, solo alla luce di una sua ben precisa collocazione storica, per cui, giustamente ci si chiede perche' e per come, negli ulttimi due secoli non siano comparse "menti immense" nel senso in cui lo hai ben descritto ed inteso tu.

Il tipo umano del genio naturalmente in questi tempi relativamente "recenti" non e' scomparso, si e' solo trasformato, a causa dell'estrema specializzazione dei saperi, ma anche della nascita di un'industria culturale e di una moderna figura di intellettuali di professione.

Se prescindiamo da questo, o parliamo del niente o andiamo fuori tema, perche' naturalmente, preferire Dante a Leopardi alla fine della fiera sono gusti, e pure Leopardi aveva letto l'impossibile e sapeva una gran quantita' di lingue, ma appunto ti ripeto, siamo nell'era dell'intellettuale che si specializzata per essere intellettuale nel suo campo.

Non troverai mai piu', gia' a partire dall'era di Leopardi, un grande e famoso matematico che sia maestro un assoluto anche di letteratura per esempio, perche' siamo in un sistema in cui ogni branca del sapere, iper specializzato, richiede ormai una vita per essere padroneggiata fino alle vette, e si ha a disposizione una vita sola.

Anche il genio, in questi tempi piu' "duri", ha a disposizione una vita sola.

Poi, in filosofia, una distinzione molto ricorrente (per quello che possono valere le generiche e manualistiche distinzioni applicabili a tutti o quasi i filosofi, quindi poco), e' quella tra pensatori sistematici e asistematici; Heghel, mi diceva un mio professore, e' l'ultimo grande e vero pensatore sistematico: secondo lui, non poteva essere considerato altrettanto sistematico nemmeno un Marx.

Pero', anche per quello che vale la distinzione, non bisogna fare l'errore di considerare i sistematici superiori agli asistematici: lo scopo della filosofia, non e' quello di ricondurre a sistema lo scibile umano (ci mancherebbe altro...) e' quello di persuadere circa l'esistenza del suo specifico oggetto (la saggezza, in quanto saprre utile alla felicita') e farne nascere il desiderio. La filosofia e' una regolamentazione e una finalizzazione al bene della retorica pubblica, della sofistica.

O quantomeno, essa nasce come tale.

E a mio giudizio la miglior filosofia e' quella che rimane tale, insomma che rimane nella tradizione scettica e aporetica del personaggio del Socrate platonico.

Fare il sistemino del mondo, fare l'enciclopedia, puo' avere senso solo come passaggio intermedio, come modo di esprimersi del filosofo, ma, alla fine della fiera e chiuso il libro, si riconosce sempre la buona filosofia in base a quanto essa faccia nascere nel lettore o nell'ascoltatore il desiderio del sapere, non in base a quanto essa lo estingua o lo esaurisca.

Le parole non causano, ma persuadono.

Quello che vale in filosofia, potrebbe valere anche in letteratura, soprattutto quando la letteratura vuole fare segno a grandi sistemi filosofici o teologici dei tempi ad essa attuali, o ripercorrerli.

Come nella Divina Commedia.

Quantomeno in sendo filosofico, non e' mai la sistematicita', che ne giustifica il valore. Quello che manca, nel sistema, vale sempre di piu' di quello che c'e'.




#2215
Storia / Re: Il mistero delle grandi menti del passato
15 Gennaio 2023, 00:30:55 AM
Citazione di: Claudia K il 14 Gennaio 2023, 22:12:53 PMSe parliamo di Scienza sono quasi d'accordo: il classico cammino che si compie (e si può compiere solo) salendo in spalla ai giganti che ci hanno preceduto.
In Arte e Letteratura ...non annoio più e torno a Dante come parametro. Di Comedia effettivamente Divina c'è solo quella dal 1300... e nessuna opera può pallidissimamente essere ad Essa accostata, nei secoli dei secoli...


Tutta questa sopravvalutazione della Divina Commedia naturalmente, e' molto provinciale, ma sempre e comunque meglio di tantissimi italiani che hanno il culto di Pasolini, come intellettuale intendo, non come regista (che ci potrebbe anche stare) possibilmente senza averlo letto.

La mia donna angelo e' naturalmente Silvia, che mi mostra "la fredda morte ed una tomba ignuda", ovvero la realta', o meglio, la veritativita', della condizione umana (e non quella della filosofia, o della religione).

Il peccato mortale di Dante, l'aver perso la fede di fronte alla morte della donna amata, ritorna nel tempo come la virtu', o quantomeno l'innocenza, di un Leopardi.

Il senso del tempo di cui parliamo, in cui finiscono i geni eclettici, e iniziano quelli specialistici, e' tutto qui.




#2216
Storia / Re: Il mistero delle grandi menti del passato
14 Gennaio 2023, 22:50:53 PM
L'otto/novecento e' un periodo di grande specializzazione e iperspecializzazione delle arti e delle scienze quindi, semicemente, non si trovano piu' geni "eclettici", tuttologi, come potevano essere quelli dal trecento al settecento, ma geni che sono geni nel loro campo: grandi poeti (Leopardi, Milton eccetera)  grandi romanzieri (Tolstoj, Dstojewskj) grandi pittori, grandi scienziati, grandi musicisti (Beethoven, Mahaler eccetera).

Si e' giunti al punto in cui ogni arte e ogni scienza richiede quantomeno un'intera vita per essere appresa e padroneggiata ai massimi e piu' che massimi livelli, quindi il grande romanziere, per esempio, non avra' ne' il tempo, ne' le energie, ne' la formazione di base, per essere anche grande musicista e grande scienziato, potra' al massimo dilettarsi, ma cio' non toglie che sia, e resti, un grande romanziere, ad esempio del novecento, come un Proust.

Ma c'e' di piu': direi che l'otto/novecento e' anche il periodo in cui nascono o si sistematizzazano l'ermeneutica, l'epistemogia, il positivismo, la filosofia della scienza: conseguenza di cio' e' che in gran parte viene abbandonato il punto di vista, diciamo cosi', incentrato sulla figura del genio, "geniocentrico", in favore di un punto di vista piu' maturo e disincantato, in cui il "genio" non fa altro che sistematizzare, in un risultato e in un lavoro unitario, sintetico, come in un punto di crisi in cui qualcosa che da molto spingeva per emergere si fa visibile ed emerge,  quello che era il lavorio invisibile, o comunque molto meno famoso, di tanti altri intelletti ed intellettuali piu' o meno anonimi, meno famosi del "genio".

Il marxiano general intellect, intelletto generale, che troviamo teorizzato nei Grundrisse, sempre proposito di geni della filosofia e delle scienze politiche, anche se a quelli di destra non piace, il dato di fatto che Marx sia un genio.

Un Einstein non sarebbe stato un Einstein senza, quantomeno, un Lawrence per le trasformazioni e un Reimann per la geometria non euclidea e i tensori.

Con la fine dell'ecclettismo del genio, finisce anche la sua possibilita' di essere cio' che e' senza l'apporto di un esercito di "geni minori", suoi compagni di arte o di scienza.

E ancora, l'otto novecento e' il periodo in cui, con il tramonto definitivo dell'antico regime e della societa' ecclesiale, si formalizza, appunto la figura dell'intellettuale di professione, come qualcosa di distinto dal vecchio "clericus" e che in un certo senso ne e' l'erede, diverso ed uguale, nella nuova e nichilistica societa', cioe' come qualcosa di diverso dal sapiente che e' tale perche' formato o quantomeno riconosciuto dalla chiesa, cioe' da un' autorita' religiosa.

La forma merce della cultura e il rapporto salariato o al limite microimprenditoriale in cui si trova ad operare l'intellettuale in quanto produttore di cultura limita ancora di piu' il suo margine di  eclettismo e di possibile somiglianza con i geni del passato; sempre di piu' l'intellettuale per essere tale deve specializzarsi e interfacciarsi con altri intellettuali similmente specializzati, fino alla genesi di una vera e propria industria culturale nel novecento, per quanto il primo oggetto/merce ad essere prodotto in serie con tecnologie e prassi specificamente fordiste sia stato proprio, nel cinquecento, la bibbia, quella a stampa di Gutemberg.

Un libro che contiene e cristallizza parole, e una merce che contiene e cristallizza valore-lavoro.

Il nesso, a partire da quella fatidica bibbia del cinquecento, si fara' sempre piu' inestricabile.





#2217
Storia / Re: L'origine di S.P.Q.R.
14 Gennaio 2023, 16:16:42 PM
Pero' :

S.olo i P.reti Q.ui R.egnano.

Da parte mia non vuole essere una battuta, ma una amara riflessione sull'evoluzione cattolico ecclesiale dell'occidente, che fu romano.

Dalla falsa donazione di Costantino fino all'abominio dello Stato Pontificio.

Penso anche nelle intenzioni del Belli, che tale "battuta" l'ha fatta per primo.





#2218
Citazione di: Jacopus il 13 Gennaio 2023, 21:20:14 PMNella tua interpretazione Niko, Nietzsche oscilla fra la diagnosi di disturbo antisociale della personalità e quella maniacale istrionica, che sono due caratteri molto presenti nell'attuale società, più che in quella di Nietzsche. Se fosse vissuto oggi, nella sua furia iconoclasta di bastian contrario, Nietzsche avrebbe sicuramente abbracciato una filosofia dell'umiltà e della buona novella.


Purtroppo devo darti torto nel modo piu' assoluto: la societa' in cui vive Nietzsche e' per usare una categoria foucoltiana una societa' DISCIPLINARE: Nietzsche sente molto il mito napoleonico e della guerra napoleonica, in cui gli uomini erano cosi' disciplinati da rimanere schierati e fermi davanti alle palle di cannone, oltreche' naturalmente di moschetto (vedere la splendida raffigurazione che ne da' Mel Gibson nel film "il patriota", della guerra di tipo napoleonico intendo, che li' e' rappresentata magnificamente, a parte la bellezza complessiva del film, che puo' essere discutibile); e la catastrofe che egli profetizza in Ecce Homo e' stata abbondantemente interpretata come lo scoppio della prima guerra mondiale, acme' (e dunque preparazione del declino) della societa' disciplinare per eccellenza. Anche se naturalmente e' possibile interpretare "la catastrofe" profetizzata con la manifestazione definitiva della sua follia personale, o con tutt'eddue: Nietzsche impazzisce definitivamente e la prima guerra mondiale scoppia.

Ma il fatto e' che l'unica vera critica possibile alla societa' disciplinare era mettere in luce il nesso tra obbedienza ai potenti e nascita dell'autocoscienza, insomma l'educazione condizionate attraverso la quale passa ogni uomo.

Rimettere con i piedi per terra il nesso tra voce e pensiero discorsivo, che ai suoi, hegheliani e platonici tempi, era ancora con i piedi per aria.

La coscienza e' repressione degli istinti, e sono le forme della potenza dell'uomo presso l'uomo, ad ordinare la repressione degli istinti.

I processi che prevedono l'oblio, il funzionamento automatico, sono migliori, nel senso di piu' sani, di quelli mediati dalla conoscenza e dalla razionalita'. In questo senso l'uomo, tra gli altri animali non e' una malattia, ma certamente e' un malato.

La volonta' di potenza non puo' stare ferma, non puo' essere stasi, e se gli viene negato di conquistare terreno esteriore, territorio, se gli viene posto un limite invalicabile in una certa dimensione o direzione del tempo o dell'esistenza che e' interpretabile come quella corporea, istantanea e materiale, essa allora conquista terreno interiore, corpo inesteso e sofferente; insomma essa auto-aggredisce non potendo aggredire. All'estroversione del forte, corrisponde l'introversione del debole.

 Il forte dunque, in un certo senso ricaccia il debole dentro se stesso conquistando spazio e teritorio reali, e il cieco impulso, il ruggito e l'esplosione che ha causato questo "ricacciare", che di fatto non appartiene ne' al debole ne' al forte, proprio nell'interiorita' del debole si continua, con la sottile differenza del continuare, qui, a risuonare/conquistare in un mondo interiore (il proggetto di auto-dominio del debole) mentre prima risuonava e conquistava in un mondo esteriore (il proggetto di dominio del forte).

Se tutto cio' e' detto in maniera "antisociale" (io direi destroide) e non buonista, e' solo perche' appunto, in tutto cio', la priorita' logica e temporale del ruggito appartiene al forte, e non al debole, ma non la priorita' nel senso della "proprieta' " o della "responsabilita' ".

In un tempo eternamente ritornante non si puo' ledere nessuno sul piano della mera esistenza, non si puo' uccidere per uccidere, ci sono solo volonta' complesse che si vogliono tra di loro e volonta' che in alcuni punti critici si fanno volonta' di nulla pur di non farsi nulla di volonta'.

Ma volonta' di nulla e' gioia se vuol dire volonta' soddisfatta, ed e' tragedia se vuol dire: "volonta' che aspetta in eterno un nulla che non verra' mai".

Il mondo si salva perche' il "male", il persobaggio malvagio, tra lo scegliere la distruzione e lo scegliere il dominio, sceglie sempre il dominio.

Cosa altro potrebbe fare, in un mondo che sa essere indistruttibile?

Forse quello che Nietzsche non ha visto e previsto e' la tragedia della dissoluzione anche della societa' disciplinare, la seconda, di guerra mondiale, i totalitarismi, l'era atomica e la possibilita' di un mondo anche fisicamente, oltreche' eticamente, distruttibile ad opera dell'uomo.

Ma a questo punto siamo noi, a dover dare al tempo l'elemento ciclico che gli manca.

Liberandoci di ogni antropomorfismo.







#2219
In realta' secondo me il lato "destroide", tra mille virgolette, e supereroistico di Nietzsche e' ineludibile, se se ne vuole avere una buona comprensione: la supremazia della forza, in questo filosofo "estremo", e' la supremazia dell'affermazione sulla negazione, (e, quindi, dell'autodeterminazione sull'eterodeterminazione) in senso logico e temporale: il mondo di Nietzsche, nonostante le influenze schopenahueriane, e' un mondo aristotelico, in cui il male e' il male del bene, e il bene e' primigeno e si autodermina.

Il debole e' costretto ad essere cio' che e', diciamo cosi', per differenziazione dal forte, mentre il forte (asimmetria assoluta) non e' cio' che e' per differenziazione dal debole, in quanto egli e' forte perche' e' primigeno, perche' si autodermina.

La riconciliazione totale delle differenze nell'unita', la moltitudine dei deboli guidata dal suo paolino -e e platonico- sovrano qui non fa mondo, fa lo stato nullo del mondo, l'equilibrio statico delle forze, che deve essere superato da un nuovo stato dinamico, da un nuovo stato di squilibrio manifestantesi nella forma del prevalere.

E infatti finanche la morale dei deboli storicamente ha fatto mondo, si e' imposta, nella forma del prevalere.

La differenza (e quindi anche il differimento, temporale) in questo sistema, e' uno, dei possibili modi di essere/per individuare un essere, non l'unico, perche' esiste anche l'autodeterminazione, che e' autodeterminazione oltre e contro la differenza.

Il dominio in questo sistema ha piu' realta' della sottomissione poiche' la sottomissione, in quanto principalmente sottomissione alla sofferenza,  esiste solo come forma di autoaggressione e di autodominio, come forma generica del passaggio alla condizione deteriore dell' "esistenza per differenza" perdendo il bene sommo di un'esistenza autoderminata, nell'esistere nella differenza percepita tra desiderio e realta', cioe' nell'esistere nella propria stessa sofferenza.

Cio' che ordina il forte e' che il debole impari ad essere forte quantomeno nell'arte del dominio sul proprio stesso corpo per essere una buona preda o un buono schiavo da includere nel proggetto infinito di amore "strumentale" per l'altro del forte stesso, ovvero, gli archetipi superomistici -equivocati come divini- dell'umanita' ordinano negli inferiori la nascita della coscienza, (e quindi della repressione degli istinti come forma di autodominio) senza farne minimamente parte, continuando, loro soli, ad essere esteriori ed istintuali come tanti hobbesiani leviatani.

La voce, logicamente e cronologicamente e' prima del pensiero, come in genere l'affermazione, e' logicamente e cronologicamente prima della negazione.

Il padrone, e' padrone e basta, il servo e' padrone del suo corpo al fine di essere servo, e' una mente svolgente funzioni padronali.

La morale dei servi, e' la morale dell'ENKRATEIA, del dominio interiore.

Sul piano dell'ENKRATEIA, della CONTINENZA, vengono criticati platonismo e cristianesimo in quanto morali dei servi.

Non puo' piu' essere contenuta da nessun limite, tantomeno da quello della riflessione/riflessivita' identitaria, quella stessa volonta' di vivere che gia Schupenahuer aveva consegnato all'assoluto, e intuito a partire dalla natura non fenomenica del corpo.

La critica all'idolo/idea e' la critica alla presunta verita' interiore del vissuto e del percepito, da cui non emerge una "oggettivita' ", ma una necessitata "prospettiva".

La lotta di tutte le vite nell'eternita' del tempo e' lotta per restare nell'esteriorita', nel vuoto mentale, lotta per restare in una vita di corpi e di territori rigogliosi  che o e' apparenza o non e' nulla; e gli uomini, questi animali che pensano, che si identificano col negativo della voce (pensiero...), che sanno di se stessi, sono quelli che in tale lotta hanno PERSO, sono gli ultimi tra gli animali.

Sono quelli che alla fine della danza si sono beccati la patata bollente di una coscienza che nessuno tra i viventi VUOLE, perche' equivale ad una condizione DOMINATA, e quindi sofferente, del corpo.

Ad opera dei loro sovrani terrifici e terreni divinizzati e animalizzati, ad di la' del bene e del male, che sono, ritti e incancellabili nel loro passato, sotto forma di causa, e quindi saranno, inevitabilmente, pure nel loro futuro, sotto forma di fine e scopo.

Gli uomini sono quelli la cui essenza si esaurisce nell'elenco delle loro negazioni determinate, non ha positivita'.

Per questo sono gli odiatori, e i promettitori.








#2220
Attualità / Re: Guerra in Ucraina II
13 Gennaio 2023, 16:11:31 PM
Citazione di: InVerno il 12 Gennaio 2023, 15:55:14 PMI presocratici, i postsocratici e i nonsocratici pensavano che in Crimea ci fossero le amazzoni e altri barbari con cui sicuramente non pensavano di avere niente in comune.  E' un pò come se i francesi  avessero sviluppato l'idea di una civiltà "euroafricana" perchè gli piace l'uranio congolese per le centrali atomiche, tu continua pure a crederci sei molto simpatico, ma almeno valli a visitare, magari con i soldi delle tue visite qualcuno di loro riesce a comprarsi un cesso da mettere in casa, con i giganteschi depositi di idrocarburi che si ritrovano, almeno quello gli spetterebbe, è una terra meravigliosa [1], in agosto c'è anche Putin e Shoigu che fanno finta di andare a caccia nel giardino del palazzo reale e ricollegarsi con le mistiche radici euroasiatiche delle divinità Prada&Ferrari.

[1]https://imgur.com/a/JHRttS1


Continui a non capire, io ci sono gia', in Eurasia.

Non ho bisogno di andarla a visitare, ne' in generale che qualche abitante dell'Europa/inesistenza mi dica dove devo e non devo andare.

Comunque, non capirei da dove ne provenga la voce.

Le amazzoni sono molto piu' reali di alcuni uomini, anzi di quasi tutti.