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Messaggi - Phil

#226
Citazione di: Pio il 23 Febbraio 2024, 17:32:04 PMla mia considerazione era: per giungere a cosa? Se non serve a nulla, perché la decostruzione non può che richiamarne altra in un processo "a ritroso", che alla fine deve fissare punti che possono essere indimostrabili [...]?
Evito metafore in modo da scongiurare che risultino fuorvianti, ma tengo la parola «decostruzione» perché (qui scopro le carte) fa anche riferimento ad una corrente post-fenomenologica (v. Derrida ed altri). Chiedi: «[decostruire] per giungere a cosa?». La domanda è traducibile più semplicemente in «a che serve un'analisi critica?». Un'analisi critica può poi comportarne un'altra, e così via; allora perché farla? Questione che mi sembra strettamente imparentata con «perché riflettere sulla realtà?».
La risposta, per me, è piuttosto "contestuale": siamo nella sezione tematiche filosofiche.
#227
Citazione di: Pio il 23 Febbraio 2024, 15:19:07 PMtemo che anche il sopravvalutato "disincanto" non ne sia che l'ennesimo prodotto. Ancora più insidioso delle altre perché culla nell'illusione di "aver scovato le radici" dell'illusione. Così mi creo un sistema di pensiero che sveli l'incanto, e me ne incanto
Nella citazione ho messo in grassetto due parole che tracciano un tipico travisamento del disincanto e della decostruzione: non sono un «prodotto» o un «sistema», ma sono anzi un processo e un metodo (basta metterle in pratica per constatarlo).
Per questo ricordavo a Koba la radice critica del disincanto: se pensiamo che esso sia fatto di valori, confondiamo il come con il cosa (e il perché). Pensa al disincanto e alla decostruzione come a un setaccio: se non ci metti dentro qualcosa, non "produce" nulla. A differenza di prospettive autonome ed autoreferenziali, si ha "disincanto da x" e "decostruzione di x"; senza la x, disincanto e decostruzione non dicono nulla e non possono essere una prospettiva sul mondo, perché, come tutti i metodi e i processi critici, vivono della loro applicazione ad altro da loro.
Anche quando si tratta di parlarne in generale, come avrai notato, il modo migliore è fare esempi (anche se i miei sono stati decisamente scialbi), ma bisogna comunque guardarsi dal confondere il risultato del disincanto con un punto di arrivo, pronto per essere considerato definitivo e "sacro". Nulla vieta che se il "disincanto da x" produce y, si possa (non è detto sia facile, né sia possibile farlo a comando) praticare un successivo "disincanto da y".
(Si potrebbe anche modificare il metodo stesso del disincanto, con una sorta di meta-disincanto, ma non complichiamo troppo il discorso.)
#228
Citazione di: Pio il 23 Febbraio 2024, 12:23:19 PMIl disincanto svanisce di fronte ai mattoni che formano le illusioni. Perché sono le illusioni il tessuto della nostra realtà e nemmeno la consapevolezza che può darci una decostruzione delle stesse, ci libera dal loro potere.
Riprendendo la tua metafora direi che maneggiare mattoni non è come maneggiare un muro, così come per rompere un muro bisogna iniziare a rompere mattoni, oppure per restaurare un muro è necessario disporre dei mattoni giusti, etc. comunque, senza lasciarci fuorviare dalle metafore, non sottovaluterei il ruolo pragmatico del disincanto e della decostruzione.
Per fare alcuni esempi banali e lampanti: se hai decostruito il concetto di dio, nessuno può spingerti a muovere una piuma (o uccidere qualcuno) in "nome di dio" o perché «Dio lo vuole»; se hai una visione disincantata della politica, sarai diffidente quando qualcuno ti proporrà programmi elettorali "troppo belli per essere attuabili" o quando qualcuno propone di "esportare la democrazia" a sue spese; se hai decostruito con disincanto i proclami di chi si presenta come soluzione di tutti i tuoi problemi e angosce, ti sarai già evitato ulteriori problemi e angosce; etc.
Ciò ovviamente non sminuisce affatto le considerazioni sul "gioco di società" o sulla "natura umana" che ci caratterizza sin dalla notte dei tempi; tuttavia, stando anche solo agli esempi precedenti, non concluderei che decostruzione e disincanto siano solo uno sterile "gioco intellettuale"; o almeno, non sempre e non per tutti.
Il disincanto, per me, non significa appiattire tutto in valori indifferenziati, ma nemmeno credere che possano essere totalmente rivoluzionate la natura e la società umana; per decostruire questi due estremi "incantati" serve... disincanto.
#229
Citazione di: Koba II il 22 Febbraio 2024, 10:46:19 AMtutto sommato il negativo è tale solo se confrontato con un positivo solo immaginato.
Mi pare inevitabile: la critica del reale è tale solo alla luce di un'ideale (per dirla in rima). Il punto nevralgico è di contestualizzare tale ideale: si critica il reale alla luce di un ideale assoluto, di una Verità, etc. o perlopiù all'ombra di desideri, interessi, ideologie, etc.? Una volta chiarita questa impostazione, le critiche non sono affatto inibite o appiattite in un grigio "una vale l'altra", proprio come rilevare la compresenza problematica di orizzonti etici differenti non significa che scelgo di seguirne uno, ma in fondo potrei anche seguirne un altro con la stessa "spontaneità" (non siamo "tabule rase" o AI). Si tratta di capire su cosa è basata una determinata posizione filosofica e poi magari (non è obbligatorio) decostruirla, che non significa affatto banalizzarla, così come smontare un giocattolo non significa renderlo uguale agli altri, anzi aiuta a capire quali sono le sue differenze strutturali, anche le più nascoste.
Facendo un esempio concreto: se ho un approccio pessimista, che mi porta a fare determinate critiche della realtà che mi circonda, posso comunque indagare perché ho un approccio pessimista. Da non confondere con quale è la mia lettura pessimista del mondo: non è l'assenza di giustizia o di bellezza in terra a rendermi pessimista, ciò è solo come il mio pessimismo, una volta "applicato", mi fa giudicare la realtà, non è il fondamento del mio pessimismo (ovviamente uso la prima persona solo a scopo esemplificativo). La risposta al perché è su un altro livello fenomenologico, "prima" dell'applicazione del pessimismo.
Citazione di: Koba II il 22 Febbraio 2024, 10:46:19 AMIl pessimismo è una prospettiva in fondo errata, basata solo sulle aspettative impossibili della metafisica? È una tonalità emotiva causata dal solo disincanto?
Più che dal disincanto, il pessimismo è causato dalla frustrazione del capire l'inattuabilità di un ideale; il disincanto di per sé porta un'attitudine più pragmatica e non ha una "emotività negativa" essendo una forma di "comprensione positiva", una "chiarificazione" (se lo si percepisce come turbamento è solo perché c'è ancora della residua frustrazione del fallimento).

Citazione di: Koba II il 23 Febbraio 2024, 10:08:27 AMil pensiero debole, postmoderno, può finire per dimenticarsi del compito di critica del pensiero filosofico quando, disdegnando discorsi organici, se ne sta tranquillo nel suo cantuccio a osservare, con distacco fenomenologico, qualche porcheria pop.
Qui mi sembra ci sia un fraintendimento di fondo: il pensiero postmoderno è essenzialmente critica, anzi quasi non ha senso se non letto come critica al pensiero moderno, metafisico, etc. non ha per oggetto «qualche porcheria pop», almeno se si va al sodo della sua teoretica, spesso di non facile fruizione proprio perché è divergente rispetto alle forme tradizionali, moderne. La mancanza di organicità da "sistemone omniesplicativo" è funzionale tanto alla dimensione critica quanto alla (tentata) aderenza alla suddetta impermanenza, fluidità, etc.
Sebbene attecchisca comunque in forme più o meno consapevoli (spesso anche fra i suoi ignari detrattori), la resistenza che si fa a "digerirlo" è sintomatica di quanto il disincanto non sia esperienza agevole e, visto dall'esterno, può sembrare davvero "la notte in cui tutte le vacche sono nere" (tuttavia, se non si ha paura del buio, si può verificare che non tutte le vacche sono ugualmente nere).
Citazione di: Koba II il 23 Febbraio 2024, 10:08:27 AMLa prima lezione di filosofia dovrebbe essere un tour tra carceri, ospedali, mattatoi.
Questa, ad esempio, è una proposta squisitamente postmoderna.
#230
Citazione di: Koba II il 20 Febbraio 2024, 10:50:43 AMUna conclusione inevitabile è che le idee principali dei pensatori più studiati nel secolo scorso hanno determinato una crisi profonda della riflessione etica.
La cui rifondazione può basarsi su alcuni progetti, che a me sembrano tutti fragili:
Citazione di: Koba II il 20 Febbraio 2024, 18:17:08 PML'episteme, intesa come verità incontrovertibile, come verità in senso forte, è proprio ciò di cui non disponiamo, come risultato della critica filosofica degli ultimi 150 anni.
Per me queste sono due considerazioni portanti e al contempo sintomatiche: portanti perché parlano di attualità, senza tuttavia recidere il filo con la storia occidentale, sintomatiche perché, proprio essendo ancora legate a quel filo, espongono il "nervo scoperto" su cui batte il disagio del passaggio al pensiero contemporaneo, ossia un'inconscia avversione per la fragilità delle relazioni umane (prima citazione) e per la debolezza della verità (seconda citazione). Questo duplice rifiuto è "semplicemente" alla base della proiezione tanto di divinità nel cielo quanto di velleità assolutistiche sulla terra (dal fascino dei "poteri forti" al transumanesimo per rendere l'uomo più "forte").
Qualunque meta-fisica che ci promette di ridurre fragilità e debolezza, siano sociali o individuali, copre quel nervo, ci fa sentire meglio, e allora ci sembra "ovvio" che una prospettiva auspicabile debba avere un fondamento forte (ed essere a sua volta forte) e se non è disponibile sarà sufficiente cercarlo, o crearlo o concordarlo. Quando poi questa forza si rivela ancora una volta inadatta a coprire totalmente fragilità e debolezza, ecco che il nervo scoperto si fa sentire e si parla di crisi, di "mala tempora", etc. quando è "semplicemente" umanità al suo stato di disincanto attuale. E anche il parlare della "forza che deriva dal farsi consapevolmente carico della debolezza individuale e sociale" non fa altro che confermare l'istintiva avversione per la debolezza (che in fondo è un modo brutale e istintuale di leggere l'impermanenza).
#231
Varie / Re: L'enigma della formichina
17 Febbraio 2024, 18:18:00 PM
Se la superficie del cubo è la superficie di dove è disegnato, punterei su questa:
#232
Citazione di: Duc in altum! il 16 Febbraio 2024, 01:12:47 AMprovato al 100%, che nessuno esiste senza dover/poter applicare la fede in qualcosa/qualcuno; ma siccome questi non adoravano il loro YHWH, automaticamente veneravano un idolo, perciò empi/idolatri e non a-tei.
Direi che quell'«automaticamente» è ormai venuto meno, da secoli. Non tutte le fedi sono infatti religiose; chi ha fede in una divinità o in un dio, è credente in senso religioso; chi non ha fede nell'esistenza di una divinità o un dio, è a-teo; tutto qui.
Poi possiamo anche giocare con le metafore ("dio denaro", etc.) o sostenere che chi non crede in nessun dio ha per "dio" il "non-dio", ha per "comandamenti" i "non-comandamenti", etc. ma sono sofismi che volgarizzano i concetti stessi di divinità, dio, etc. e che non reggono nemmeno alla prova del vocabolario (v. voci «divinità», «dio», etc.), senza bisogno di scomodare ragionamenti troppo articolati.
D'altronde, per chi ha una nazionalità, può sembrare inevitabile pensare che tutti abbiano, anzi, debbano avere una nazionalità. Così quando costui incontra un'a-polide (la solita «a» che nega), gli attribuisce d'istinto la nazionalità di apolide, non comprendendo bene cosa significhi essere apolide (non essendolo egli stesso). E magari ingannato dal fatto che su qualche documento, alla voce «nazionalità», c'è scritto «apolide», costui penserà che Apolidia sia una nazione e l'interlocutore ne sia un abitante, vedendo così confermata ancora una volta la propria tesi sull'inevitabilità di avere una nazionalità (non sono affatto esperto di diritto o leggi internazionali, ma spero si capisca almeno il senso del parallelismo).
#233
In fondo, si tratta di tre "firme" dell'essere umano (e dell'essere umani) sul pianeta; proprio come un nido su un ramo è la "firma" di un uccello.
Vanità, crudeltà e inanità sono tre "dimensioni" che ben descrivono, umanamente, la natura umana (più che le aspirazioni umane); al punto che interpretarle come "stupidità", conferma di fatto la vanità, la crudeltà e l'inanità dell'autocomprensione umana (secondo la sua natura).
#234
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 11 Febbraio 2024, 20:14:51 PMsecondo voi, siano le strade a non portare tutte a Dio  o se viceversa siano gli esseri umani a non aver capito che tutte le strade portino a Dio, e a considerare la propria strada migliore delle altre.  Secondo voi?
Per sapere come è fatta e dove porta davvero una strada, l'unico modo è farla. Ed è emblematico che i molti che dicono di conoscerla, al punto di essere "arrivati" (ad una Verità, una fede, etc.), raccontano storie differenti fra loro, spesso confondendo il viaggio con la mèta. Per me non è un caso se la strada dei timorosi della morte può (non sempre accade) portare a un dio come speranza di oltre-tomba, quella dei sofferenti può portare a un dio come sollievo dalla sofferenza, quella dei "persi" può portare a un dio come "navigatore" della vita, etc. chi cerca, sicuramente trova il dio dei suoi bisogni, fosse anche in forma di sindrome di Stoccolma (che, a modo suo, è comunque una forma di bisogno/attaccamento).
Va anche detto che non tutti cercano qualcosa di "speciale" come un dio, una trascendenza, valori assoluti, etc. c'è chi si barcamena con ciò che c'è sulla terra, che già non è poco e spesso dà molto da fare, molto da godere, molto da temere e molto da affrontare. In fondo, se "arrivare" a pensare a un dio giova all'individuo, perché non farlo? Perché non fare di necessità, virtù? Alla fine siamo pur sempre "animali simbolici" per natura.
#235
Concordo che parlare di "E" non dia riferimenti geometricamente chiari, come dimostra il fatto che già questa "E" abbia proporzioni differenti da quella ritagliata da Eutidemo. Nondimeno, andando ad intuito, se la soluzione prevede 11 tagli, forse ho capito cosa intende Eutidemo (lo domando perché non è facile per me da rappresentare, quindi prima di provarci chiedo conferma).
#236
Citazione di: Alberto Knox il 09 Febbraio 2024, 11:29:11 AMè la presunzione di pensare di poter definire Dio
Una tipica attuale pre-sunzione (in senso etimologico) è pensare l'esistenza di un dio disegnato "a mano libera": prima gli diamo "a tavolino" gli stessi attributi del nulla (infalsificabile per definizione, ignoto per posizione e consistenza, tutti ne parlano ma nessuno sa cos'è davvero, etc.), poi lo presentiamo come esistente (e la sua presenza è solo nel discorso che ne parla), infine gli mettiamo una maiuscola per renderlo autorevole, scimmiottando la "possanza morfologica" delle religioni. In pratica si costruisce un "vitello d'oro amatoriale" che di "oro" ha solo l'oralità. Ma anche questa pre-sunzione dà adito a giochi semantici ed esistenziali, anche piuttosto di moda in questa epoca, quindi non va sottovalutata.
#237
Citazione di: Ipazia il 08 Febbraio 2024, 14:42:22 PMla filosofia interviene laddove la scienza ha dato tutte le risposte possibili.
Se vogliamo restare a Wittgenstein (seguendo il suddetto scegliere «Tizio, ma non Caio»), ricordo che è lo stesso che, dopo il Tractatus, parla di «giochi linguistici», in cui una regola non vale l'altra. Per cui l'intervenire filosofico (se proprio si tiene a dare questa etichetta), cecando di lanciare la mente oltre il discorso scientifico (verificabile, induttivo, refertabile, etc. con buona pace di ogni metafisica) andrebbe secondo me doverosamente distinto da quello letterario, da quello poetico, etc. Non tutti fanno questa distinzione, per la gioia di chi dice che la filosofia è letteratura (Rorty e altri analitici), che la filosofia è morta (qui ce n'è un elenco), etc. in un meta-discorso incentrato su etichette, appunto, sterili, perché sono un meta-gioco che non gioca direttamente nella vita, ma solo sulla carta (un tabellone di gioco contenuto nel principale tabellone di gioco, la realtà).
#238
Citazione di: baylham il 08 Febbraio 2024, 01:19:23 AMLa mia spiegazione giustificatrice è che il campo di gioco della religione è lo stesso della filosofia: al Dio della religione, la filosofia sostituisce x (per me il sistema).
Concordo che il campo da gioco delle due sia piuttosto simile, per quanto non identico; diciamo "secante", soprattutto considerando i differenti sviluppi storici che hanno avuto. Non credo comunque si tratti del medesimo gioco: le regole del gioco filosofico, per metodo, dialogo con altre discipline, etc. sono spesso differenti da quelle della religione.
Poi si può sostenere, come propone bobmax (ma non certo solo lui), che la "vera filosofia" sia solo quella metafisica, o che sia questo e non quello (dove «quello» è ciò che non condividiamo), ma si tratta solo di etichette personali (salvo voler bruciare enciclopedie e volumi di storia della filosofia nel rogo di un, più o meno inconsapevole, «secondo me»).
Secondo me, si può anche smettere di dibattere su cosa sia la filosofia; è un discorso "tassonomico" tendenzialmente sterile, spesso usato quando le argomentazioni su un tema sono piuttosto carenti e si cerca di coprire le proprie falle chiamandole "filosofia" (oppure citando il filosofo Tizio, ma non Caio).
#239
Varie / Re: L'enigma del segno da inserire
07 Febbraio 2024, 15:07:25 PM
Proverei con:
x 1 3 1 = 2 5 2
(usando «x» come incognita e spostando un 2 a destra)
#240
Distinguerei fra l'identificare Dio come (1)"una divinità" che ha delle caratteristiche/proprietà (onnipotente, eterno, o altro) e come (2)"qualcosa" di cui la parola «Dio» sarebbe mero (e, a mio avviso, superfluo) sinonimo.
Se per «Dio» intendiamo quello ereditato dalle religioni (1), parlare di Dio (o di «un dio») è pura irrazionalità di per sé, nel senso che di base è un atto di fede (una di quelle già disponibili o anche una "fatta in casa", nulla lo vieta). Non essendo verificata nemmeno la sua esistenza, di "lui", in alternativa a ciò che raccontano i molteplici testi sacri, possiamo dire tutto e il contrario di tutto, senza timore di smentita: perché non potrebbe essere un quadrato antropomorfo fatto di puro non-Essere? Per la nostra logica, ciò è un palese non senso, ma come dimostreremo che "lui" sia comprensibile con la nostra logica e che non sia davvero quella contraddizione descritta prima? Non certo usando l'empiria e la razionalità (salvo ragionare in modo dogmatico-circolare come i teologi medievali, non proprio arbitri super partes della faccenda).
Se invece intendiamo «Dio» come (2) sinonimo della condizione di esistenza, o come tutto ciò che c'è, o come l'insieme delle leggi fisiche ed energetiche che regolano il cosmo, o altre identità simili, non mi è ben chiaro che senso abbia "scomodare", per pura ridondanza, una parola così vaga e ricca di tradizione, per associarla a condizioni e processi che già hanno un loro nome e una loro identità, di certo meno ambigua e misticheggiante di quanto rischi di farla sembrare la parola «Dio».
Si potrebbe poi notare come tale "deturpamento" di «Dio», reso questione opinabile e/o ridotto a sostanza mondana (Essere e dintorni), sia meno rispettoso e più "filosoficamente violento" di qualunque banale ateismo che si limita a negare l'esistenza di Dio, salvaguardandone almeno il concetto religioso. Un conto è dire «per me Dio non c'è», un altro è privare Dio non solo della "esistenza religiosa", ma anche del suo contesto di appartenenza, "degradandolo" a sinonimo di «x» (elemento a piacere) in cui Dio "recupera" la sua esistenza non come divinità, ma come concetto-contenitore, sostanza immanente e/o sinonimo di altre parole (ossia la differenza fra non tenere appeso un crocifisso e farne uno di cialda, con tanto di Cristo annesso, per mangiarci il gelato, affermando «per me il crocifisso sta bene con la vaniglia e quello di legno è solo una decorazione naif»; non si poteva proprio scegliere una forma/parola diversa, se non altro per evitare ambiguità?).