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Messaggi - Alexander

#226
Buon pomeriggio Iano



Mia mamma  diceva che non bastano tante fragole per fare una marmellata. Infatti aveva ragione: ci doveva mettere del suo. Una compagnia teatrale che recita sul palco priva di copione, ognuno per conto suo, riesce a fare un'opera con del senso  (anche se esperimenti in tal senso sono stati fatti)? Alla fine il pubblico sentirà solo la voce più potente, che sovrasta le altre, o noterà l'attore più vistoso. La storia umana mi pare così: una recita senza copione, se non l'ha scritto nessuno. Uno studioso, non ricordo chi, diceva che la storia umana in definitiva è solo la storia del potere. Non esiste la storia umana, sosteneva, ma solo la storia di come nel divenire il potere di un uomo sull'altro abbia preso sempre nuove forme e sembianze. Può essere anch'essa una chiave di lettura.
Temo che il contrario del senso di vanità non sia un senso di pienezza, o di senso. Non credo che, per il solo fatto di avere fede in Dio, miracolosamente scompaia lo sgomento e il senso di vanità. Questo mi sembra piuttosto una cosa inerente la vita stessa. O che l'Autore l'abbia voluta così, forse per cercarlo . Come cercare di mettere insieme tanti frammenti. L'unica differenza tra lo sgomento del credente e quello del non credente è forse che, il primo, ha ancora un briciolo di speranza.
Penso che non tutti provino questo senso di vanità, osservando la storia umana. Forse lo proviamo solo io e il personaggio di Calvino, non so. Sicuramente la maggior parte non ci sta tanto a pensare. Non ho certezze al riguardo.  :-\
#227
La fratellanza è il cuore del messaggio evangelico. Penso che proprio l'abbandono di questo ideale (anche storicamente da parte degli stessi cristiani) abbia dato una forza ormai incontrastata al "pensiero individualista tardocapitalista". Il senso di vanità della storia emerge anche dall'infedeltà e dal tradimento di questa aspirazione, purtroppo.
#228
In verità, Jacopus, il mio non era un quesito sulla bontà o meno dell'essere una persona religiosa, ma sul significato della storia umana in assenza di un autore della stessa. E' una cosa diversa. Dopo aver premesso che lo sgomento di fronte alla storia umana lo può provare il credente come il non credente, concludo che, secondo me,senza un autore, la storia umana esiste, ma è priva di senso oggettivo. Avrà forse un senso soggettivo (l'esperienza che ne ho, che può essere o no gratificante per il singolo, o in parte gratificante e in parte non gratificante), ma chi/cosa infonde un significato non soggettivo? Dobbiamo concludere che è priva di un senso che non sia meramente soggettivo?
#229

Io non penso che credere in Dio sia una tesi consolatoria. La fede punge parecchio e proprio di fronte alle scoperte scientifiche chiede un salto nel vuoto non indifferente. E' quasi più consolatorio pensare che possa trovare un senso soddisfacente alla mia vita nella cura del mio orticello privato. Non mi chiede molto, in fin dei conti, la cura del mio giardino. Ultimamente significa abbandonarsi alla corrente, al senso comune. Cosa che non richiede molta fatica intellettuale, né molta catarsi individuale. Rinuncia a prendere in considerazione quel che senti e provi e abbandonati nelle braccia della Madre Scienza, che ha tutte le risposte. Se non ci sono domande esistenziali,se rinunciamo a farcele perché ci dicono che è un'attitudine superata, non è necessario nemmeno trovare delle risposte. Una risposta necessita sempre di una domanda. Purtroppo le domande sorgono lo stesso, anche se cerchi di reprimerle perché ti dicono che sono superate. Sono là. Il senso della vanità della storia umana si prova lo stesso, anche se ti dicono che è superato provarlo. Anzi, forse più te lo dicono e più ti sembra pungente.  :)
#230
Buongiorno a tutti



Mi sembra che la state facendo un po' troppo complicata. Il mio era un discorso più terra-terra, che partiva dalla premessa che intendevo il termine "senso" nell'accezione di scopo, significato:
A - Ho fede nell'esistenza di Dio= la storia umana ha un senso, che non conosco, e questo genera un sentimento di vanità, ma che conosce Dio e questo le conferisce un senso.
B- Non credo in Dio= la storia umana scorre senza un senso, che qualcuno mi possa dimostrare che esista, e questo genera un sentimento di vanità.


Il discrimine è la fede in Dio, che non mi salva dal sentimento di vanità della storia collettiva umana.
Questa era la tesi.
Il senso delle storie individuali che ognuno cerca in sè o nelle relazioni è del tutto relativo, non può conferire senso oggettivo alla storia collettiva.
L'unica cosa che può conferire un senso oggettivo è solamente l'eventuale presenza di un Autore.
A meno che qualcuno non dimostri l'esistenza di un senso in mancanza di un autore della storia.State facendo molte ipotesi interessanti, ma non dimostrate nulla.Potrebbe essere il tempo, il divenire, l'evoluzione , le relazioni, la condivisione, ecc. Tutto evanescente. Appena mi soffermo ad osservarle attentamente, ecco il senso di vanità. Eventualmente, se sono un credente in Dio, solo un "retrogusto" un po' dolce, ma anche amaro, si agita dentro quel senso che mi opprime. Non posso nemmeno dimostrare l'esistenza di Dio, ho solo fede in un autore del racconto. Fede che, come tutti i sentimenti, va e viene. Così ho solo questo gusto un po' dolce a volte, ma più spesso amaro.
#231
Di fatto però , in questo modo, si tratterebbe solo di condividere le favole che raccontiamo a noi stessi. Anche questo mi sembra che contribuisca a far crescere il senso di vanità della/delle storie che ci raccontiamo. Che importanza può avere la favola che si raccontava il tagliapietre di Bisanzio nell'ottavo secolo ? Che importanza potrà avere quella che mi racconto, tra mille anni ? Nessuna. Con sgomento assumo questo vuoto in me, sapendo che è/ era il vuoto in ognuno, riempito solo di favole. Se non esiste Dio perché dovrei preferirne una ad un'altra? Solo perché qualcuna mi sembra simile, ma non ne sono certo, a quella che mi racconto anch'io ogni giorno? Per questo ripeto che si dovrebbe distinguere "senso della vita" da "senso della storia". Il primo è relativo e individuale, il secondo collettivo. E' la trama in cui si innesta il mio vivere soggettivo l'esistenza. Senza una trama non si può parlare di una storia con del senso. Ci sarà una storia, ma appunto priva di senso.
#232
Naturalmente rifiutando l'immagine ingenua e stereotipata del credente che avete, obietto che  il cercare nella filigrana della storia la presenza del divino non toglie nulla alla scoperta, giorno per giorno, del divenire storico. Il credente semmai sente un compito più pressante del non credente: dare ragione della propria fede attraverso e malgrado il senso di vanità della storia umana che avverte. Leggere una eventuale storia nascosta che scorre assieme a quella ordinaria che tutti viviamo. Compito arduo perché l'inganno è sempre in agguato. L'inganno però gioca con ognuno di noi, credente o non. Il credente non conosce l'epilogo della storia, certo non più del non credente. L'unica differenza sta nelle fede in un autore e che questi sappia quello che fa. Riprendendo l'esempio del bambino che ascolta una storia, si dirà allora che il credente ha fiducia che ci sia un narratore che conosca l'epilogo. Attende allora la scoperta di questo epilogo. E questo è un atto di fede. La storia nel suo divenire allora lo interpella e vaglia la sua fede, perché è là, nella mancanza di senso, che può trovare o rifiutare il Dio/ autore, diventando così, con la sua scelta di ascoltare o meno, un custode oppure un imbrattatore del racconto. Frumento da granaio o pula.
#233
Buon lunedì a tutti
che la settimana ci sia lieve


La domanda iniziale che mi ponevo non era però tanto sul senso della (mia) vita, ma quanto sul senso della storia umana. Ossia, osservando lo svolgersi degli avvenimenti della società umana, attraverso gli anni e i secoli, non credendo in Dio, il personaggio di Calvino prova un senso profondo di vanità. Questo non ha a che fare con la bellezza o la bruttezza estetica dell'esistenza del singolo, quanto proprio della vanità dell'insieme, del suo non essere più storia, se viene a mancare l'inizio, lo svolgersi e l'epilogo che abbia un qualche significato non accidentale. Intendo cioè che la storia umana ha un senso se è nella "mani" di un autore che l'ha pensata. L'autore di una storia è nella storia , ma anche esterno ad essa, come l'autore di una narrazione che  infonde qualcosa di se stesso nel racconto, ma non è effettivamente nel racconto. Però può benissimo esserci una storia senza un creatore della stessa, una storia accidentale, che avanza senza meta e senza significato. Una storia creata da innumerevoli autori che agiscono senza consapevolezza dell'insieme . E' di questa storia che allora si prova, se sufficientemente sensibili, un profondo senso di vanità. Come scrive Kobayashi questo sentimento che nasce semplicemente dall'osservare ha a che fare più con la profondità che con la razionalità. Intuisco nel profondo  dell'animo la vanità e l'insensatezza, mentre la ragione può dirmi al contrario che la vicenda umana è proprio così, casuale e senza un preciso significato.
#234
Buona domenica a tutti



Natura sive deus o deus sive natura? Mentre me lo chiedo indosso una mascherina chirurgica e tengo in tasca un detergente chimico per le mani.Mi siedo e vedo bolli rossi per il distanziamento. Mai come in questo periodo mi è difficile pensare di trovare un senso nel movimento naturale. Forse questo senso c'è, ma è ancora più nascosto e indecifibrabile di un dio, o del Dio.
Penso che dalla natura si possa spremere del piacere, ma non del significato. Siamo ormai troppo lontani come esseri dalla natura. La tecnica ci ha portato ormai troppo al largo dalla riva naturale. Anche la "svolta green" è chiaramente un accelerato processo tecnologico, basato sulla paura, che mira a ridurre l'impatto  dell'uomo sull'ambiente, ma non porterà l'uomo ad abbracciare la natura, a trovare in essa un senso per la sua storia, anzi, la dipendenza e l'ibridazione dell'uomo con la tecnica sarà maggiore dell'attuale, con ogni probabilità e previsione.  L'evoluzione poi è solo uno scalino di una scala lunga e indecifrabile e che non necessariamente fa sempre salire. essendo privata di riferimento esterno a sé , che le può conferire senso. La lettura , positiva o negativa, di questa scala è esercizio soggettivo, spesso arbitrario e sottoposto a preferenze. E' proprio l'osservazione di questa scala che  fa nascere il senso di vanità. E' stata proprio la paura della natura il sorgere della tecnica che ci ha fatto allontanare da essa. Solo accettando la morte si accetta pienamente la natura. L'uomo però non accetta la morte, ne sente il fascino come di qualcosa esterno a sé, ma mai che la sua vita e la sua morte sono la medesima cosa.
Posso certamente, come facciamo tutti alla fine, dar-mi un senso, in modo  soggettivo. Un senso incerto perché ancorato ad un vuoto, il mio vuoto. Sempre un dubbio, come il tarlo del legno, me lo divora dal di dentro. Certo non possiamo nemmeno usare Dio come un anti-tarme.
#235

"il s. della vanità della storia umana che l'aveva colto poco prima in cortile, lo riprese" (I. Calvino).


Uso il termine senso nell'accezione di significato. La storia umana , e quindi la storia personale di ognuno di noi, non appare priva di significato in assenza di Dio? Non di un dio qualsiasi ma del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Dio di Cristo, comunione trinitaria di amore e giustizia? Più si allontana nella storia il senso di questa presenza, ormai espulsa dalla società, espulsa dal cuore degli stessi credenti, più scende la percezione della vanità della storia stessa. Se nulla ho da raggiungere, e quindi da aggiungere, al mio passare come ombra tra il mutare degli anni e dei volti che incontro, non vengo colto anch'io, come il personaggio di Calvino dal senso di vanità della storia umana? Come gira la Terra attorno al suo Sole, come giro attorno ai miei anni, privato di significato, il senso di vuoto sembra quasi alleggerire la mia esistenza, come un inganno che nasconde invece una cupa pesantezza, una cappa di piombo che grava sul cielo. Senza Dio sono privato di una chiave di lettura della storia, una sua finalità, un suo epilogo. Qualunque storia ha un epilogo, bello o brutto, improvviso o lento . Quando raccontavo storielle ai miei figli spesso non mi lasciavano nemmeno terminare e mi chiedevano insistentemente:"Come finisce?". E allora, se tardavo a dare un epilogo, se lo inventavano loro. Viene naturale pensare ad un epilogo di una storia, altrimenti non sarebbe una storia, ma altro, dove innumerevoli storie che ci sembrano legate fra loro appaiono come il dibattersi di innumerevoli larve di zanzara in un secchio d'acqua piovana abbandonato. Il proprietario della casa se n'è andato e il secchio è rimasto là. Così Dio se n'è andato e la storia umana è rimasta abbandonata a se stessa, proprio come quel vecchio secchio. Naturalmente non sto parlando del dio di qualche chiesa, del dio che vive nei templi, ma del Dio-con-noi, di Quello con il quale discutevamo, ci arrabbiavamo, che invocavamo. Insomma del padrone della vigna, quello così ingiusto per noi da pagare gli operai che arrivavano nella vigna al tramonto come quelli che ci avevano sudato dall'alba.
#236
Buongiorno Viator


Direi di sì. "Il padrino disse: A chi affidiamo questo lavoro sporco?". Le prostitute fanno affari vendendo il loro corpo, ma vengono definite come "donne di mal-affare". I politici, oltre al lavoro parlamentare, si dedicano spesso al mal-affare per arrotondare i magri guadagni istituzionali. Spesso questo lavoro sporco serve per pagare proprio le signorine che si dedicano al lavoro in casa ( su appuntamento). C'è anche il lavoro casalingo, non retribuito e senza appuntamenti,, ma spesso faticoso, specie nelle famiglie numerose. In queste diversi giovani "smart" lavorano in smart-working o fanno gli hacker, che è un lavoro più redditizio. Lavorare è un termine omni-comprensivo:"Che lavoro stai facendo nell'orto" Semini le tegoline?".Ecc.
#237
Buongiorno a tutti



La differenza che vedo tra uomini e animali è che nessun animale concede dei diritti ad un altro animale. Si divorano, si ignorano o si temono in base alle proprie necessità biologiche. L'uomo viceversa ritiene che anche gli animali godano di diritti. Naturalmente se poi pensa che siano un pericolo ne stermina tranquillamente a milioni (come nel caso delle epidemie dovute a qualche virus), ritenendo suo diritto farlo. Diciamo che i diritti che l'essere umano  concede agli animali  sono sempre subordinati ai diritti di cui pensa di godere egli stesso. Pensate alla pratica di sopprimere l'animale vecchio e ammalato da parte del veterinario pagato dal "proprietario" dell'animale domestico. Non esiste nulla di simile in natura, ma l'uomo pratica l'eutanasia (non consenziente) sull'animale ritenendola cosa nobile e giusta, per alleviarne la sofferenza. Lo fa naturalmente proiettando la propria sofferenza su quella dell'animale e pensando che l'animale "sarebbe d'accordo"( forse)? L'uomo vorrebbe estendere l'"umanizzazione" ad ogni specie. Sarebbe come se il leone volesse ardentemente "leonizzare" le altre specie.  ;D
A pensarci bene potrebbe essere proprio questa l'espressione tangibile dell'anima umana. Il suo desiderio di riversarsi su ogni essere vivente: amarlo, odiarlo, farlo proprio (un tempo si diceva "a propria immagine e somiglianza"). Cerchiamo sempre di vedere qualcosa di umano nel comportamento animale, qualcosa che ci appaia simpatico. Così immaginiamo animali che parlano, sentono, soffrono come noi (le favole ne sono piene).
#238
Sta un po' succedendo quello che abbiamo visto con il governo tecnico di Mario Monti: ci si risveglia  lentamente dall'idillio iniziale. Come era avvezzo  fare quando presiedeva la BCE , Draghi sa usare le parole per dire e nascondere allo stesso tempo, tanto che all'epoca gli analisti "pesavano" anche le mezze parole per far partire gli acquisti o le vendite. Ha i suoi obiettivi bene in mente ed è convinto che nessuno lo fermerà. Temo nel caso un'autentica macelleria sociale. A Salvini conviene staccare la spina del governo Draghi, perché altrimenti l'abbraccio mortale con forze contrarie agli interessi del suo elettorato affosserà la Lega, come abbiamo già visto in parte domenica. La linea moderata dei Giorgetti non intercetta il malumore profondo che serpeggia nella piccola impresa e nell'artigianato (anche per la vicenda del GP obbligatorio che sta creando grossi problemi con parte della forza lavoro).
#239
Buongiorno Iano


Penso che la percezione sia complessa perché, partendo dai dati sensibili,sensoriali arriva a formulare intuizioni anche opposte o diverse.Entra in gioco un sistema di prospettive e di giudizi che partono dal medesimo stimolo percettivo:  Un uomo guarda un uccello morente e pensa che la vita non sia altro che dolore senza risposta. Ma è la morte che ha l'ultima parola. Ride di lui. Un altro uomo vede lo stesso uccello. E sente la gloria. Sente nascere la gioia eterna dentro di sé". (La sottile linea rossa). La pura percezione, vagheggiata per esempio nello zen, non esiste. Nell'atto percettivo c'è sempre la sensazione e il giudizio. Sono un tutt'uno. Basta mettere la mano sul fuoco per capire subito che sono un tutt'uno.
Lo stimolo sensoriale in sé non dice niente alla mente.E' solo quando questa se ne appropria e lo elabora che si ha una percezione.Ci sono percezioni semplici (caldo/freddo-duro/tenero,ecc.)e altre complesse , o molto complesse, come nella frase riportata dal famoso film di Malick. C'è sempre il giudizio della mente che interviene. Noi guardiamo con la mente attraverso i sensi.Prima viene sempre la mente che indirizza lo sguardo giudicante.
#240
Una gentilezza eccessiva, affettata, che sa di artificiale può dare fastidio. Però anche la persona scontrosa, rude lo dà. Ed è una magra consolazione pensare che lo scontroso è più genuino dell'altro. Sempre fastidio è.C'è da dire che la gentilezza artificiosa viene percepita quasi istintivamente. Non serve disporre di una sensibilità fuori dal comune per sentire che l'altro sta fingendo. Si percepisce quasi a pelle. A volte penso ci sia della paura dietro al bisogno di apparire molto gentili. Paura delle reazioni dell'altro e delle nostre rispetto alla durezza verbale o di comportamento dell'altro. Forse si è stati anche feriti da piccoli da questa durezza, nel momento in cui si è tentato di aprirsi veramente con gli altri. Mi sembra che le donne sappiano nascondere con più naturalezza l'artificiosità, rispetto ad un uomo. In effetti danno pure meno fastidio. Forse perché siamo più portati culturalmente  a pensarle come naturalmente gentili. Spesso non lo sono, anzi , ad una certa età molte sono veramente arcigne. Una persona veramente gentile mi fa l'effetto di una boccata d'aria fresca, in questo mondo di arrabbiati. Avete notato come si è più portati a ringraziare quando una persona gentile magari ti aiuta in qualcosa? Si riesce anche a ringraziare in maniera poco artificiosa.