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Messaggi - Koba

#226
Citazione di: Phil il 29 Agosto 2024, 12:00:55 PMQuesta struttura del fenomeno è imposta di fatto alla/sulla realtà da un certo discorso (precomprensione ipotetica) e viene poi considerata struttura valida (e quindi, retroattivamente, discorso valido) se tale imposizione rende il fenomeno comprensibile, possibilmente ad ogni suo ripresentarsi.
Tala validazione mostra tutti i suoi limiti (e tutta la sua autoreferenza) quando si parla di "fenomeni di senso", ossia quando la comprensibilità è possibile sotto molteplici orizzonti, persino incompatibili fra loro, senza che ci sia un meta-orizzonte in grado di dimostrare quale orizzonte fallisca nel comprendere il reale. Il falsificazionismo funziona in ambito epistemologico, mentre in ambito esistenziale è inevitabilmente preda delle aporie proprie dei meccanismi di attribuzione di senso, la cui assolutizzazione è costitutivamente e strutturalmente u-topica. Il "senso dell'essere" è questione poetica, non gnoseologicamente fenomenica, poiché indagando la suddetta struttura del fenomeno, non ne abbiamo mai (fino a prova contraria) trovato oggettivamente il senso, ma glielo abbiamo sempre inoculato soggettivamente.
Non sono d'accordo.
Di seguito gli errori che ritengo ci siano nel tuo discorso:
1) noi non imponiamo nessuna struttura al fenomeno. Le cose sono quelle che sono, ci appaiono, si manifestano. Noi cerchiamo, tramite i nostri strumenti culturali, di darne conto. Non ricopriamo le regolarità misteriose dei fenomeni con immagini e concetti, ma ci ingegniamo a ricostruire con i nostri segni, le complessità che osserviamo.
Per esempio nell'analisi della materia vivente abbiamo intrapreso il cammino che pone al centro la cellula. Avremmo potuto puntare forse su altri complessi, su popolazioni di cellule viste come un unico fenomeno, ma la scelta che abbiamo fatto, determinata probabilmente da una cultura meccanicistica e atomistica (la pre-comprensione), è chiaramente supportata dalla forma stessa della materia. In altre parole questa struttura, rappresentata nei nostri studi di biologia, ha un suo chiaro fondamento nella realtà.
2) Il senso dell'essere sarebbe per te una questione attinente la poesia perché non esiste un piano meta-teorico su cui decidere quale sia la teoria più valida?
Ma al di là di criteri quantitativi, sperimentali, che evidentemente possono essere usati solo nell'oggetto scientifico, questo piano meta-teorico non esiste e mai è esistito. È ovvio. La filosofia è dialogo, disputa, etc.
Il punto però è farsi una buona volta la seguente domanda: la filosofia ha un potere conoscitivo? Apporta conoscenza oppure no? Studiando la tradizione arrivo a conoscere qualcosa del mondo o solo interpretazioni più o meno gradevoli della vita?
Se si risponde di sì, come faccio io, non si può lasciare alla poesia il grande tema della filosofia presocratica. E si inizia a indagare, a interrogare Eraclito e Parmenide, e via dicendo.
#227
Citazione di: bobmax il 28 Agosto 2024, 22:23:25 PMMa la forza delle argomentazioni su cosa si basa?
Non si basa forse su "verità" date per certe a prescindere? Cioè su dei postulati?
E questo vero si impone da sé medesimo, senza cioè la tua partecipazione attiva?
Puoi farne un esempio?


È qui che ti sbagli. Sembri essere rimasto alle forme espressive del razionalismo moderno.
L'argomentazione filosofica non è una specie di teorema costruito secondo il modo della geometria euclidea, per cui la verità della conclusione, fatto salvo errori nel concatenamento logico delle proposizioni, dipende in fondo solo dalla bontà delle asserzioni di partenza. Le quali, per evitare di regredire all'infinito con altre asserzioni che ne garantirebbero la verità, devono essere infine dichiarate vere per fede.
Il logos umano è infinitamente più complesso e ambiguo, diciamo così.
L'assenso ad un discorso dipende sempre dalla sua capacità di rimandare, in qualche modo, alla struttura del fenomeno che intende trattare.
Se non ci fosse questo elemento oggettivo, indipendentemente da come viene pensata questa capacità di riprodurre la sua struttura nella proposizione, non ci sarebbe conoscenza.
#228
Citazione di: bobmax il 28 Agosto 2024, 16:59:22 PMSe si prende in seria considerazione la possibilità che lo scopo della esistenza non sia che lo sviluppo dell'etica, cioè il diventare sempre più consapevoli del bene e del male, allora si può ben ipotizzare come non vi sia altra legge che questa: l'evoluzione etica.
Tutto il resto, in definitiva non ha una sua propria realtà, esiste solo perché funzionale all'Etica.
Ogni altra legge che governa l'universo non è che la trama, la struttura che permette lo sviluppo delle vicende di vita.
Cioè non vi sono leggi fisiche assolute a cui l'universo sottostà, perché tutto quello che c'è ha solo lo scopo di far avvenire la metamorfosi: dal non essere all'Essere.
Quindi non ha una realtà sua propria neppure la legge di causa-effetto. Cioè niente di ciò che avviene è causato da qualcos'altro.
E allora cosa è davvero reale?
L' Uno, cioè l'Essere, ovvero il Nulla.
Che è il Padre che genera il figlio gettandolo nel mondo, e il mondo è Dio.
Ma il figlio non è perduto nel mondo, sebbene a volte l'orrore lo attanagli.
Vi è l'Etica, che pian piano lo riporterà al Padre.
A me sembra evidente che l'esistenza di per sé non ha alcuno scopo.
Dopodiché posso decidere che la cosa più importante sia l'etica, e quindi imporre a me stesso che il perseguimento del bene sia il fine della mia esistenza, ma si tratta appunto di una decisione soggettiva.
Così anche tutto il discorso seguente, cioè che la realtà va presa e interpretata solo in funzione del mio cammino verso il bene, realtà che di per sé non esiste, non ha fondamento, tutte queste conclusioni paradossali vengono dalla mia decisione iniziale.
Sono funzionali alla mia decisione iniziale, che potrebbe però anche essere solo una pazzia: pensare che il mondo sia appunto il teatro della mia missione verso il bene, che il mondo esista solo per questo.
Che questo possa essere solo un grande inganno, bisogna pur considerarlo...

In questo racconto non sembra esserci interesse per la comprensione del mondo. Quindi non c'è spazio per la conoscenza.
E intendo per conoscenza anche lo sforzo della filosofia di interpretare il mondo.
È una visione che si pone fuori dalla filosofia.
Sia chiaro, non metto in discussione la legittimità di un approccio del genere. Un approccio mistico-mitologico (che per qualche strana associazione involontaria, probabilmente del tutto arbitraria, mi ha riportato alla memoria "L'epopea di Gilgameš").
Metto in discussione la possibilità che un racconto del genere possa essere articolato in un vero discorso filosofico.
Quindi un eventuale adesione ad esso non potrebbe mai scaturire dalla forza delle argomentazioni, ma solo da un atto di fede basato, come in tutte le religioni, non dal vero, ma dal bene o dal bello.
#229
Citazione di: Alberto Knox il 26 Agosto 2024, 18:24:03 PMAppunto, possiamo quindi avere solo una conoscenza fenomenica della rosa , la possiamo toccare, vedere, sentire con l olfatto, descriverla per come ci appare, avere un idea di rosa nella mente ma non possiamo accedere alla sua essenza o interiorità (sempre ammesso che si possa usare tale termine nei confronti di una rosa). Per tale motivo la conoscenza è limitata all esperienza empirica.


Non c'è un modo più semplice di dirlo...
Proviamo comunque con Heidegger: "Come possiamo, in linea di massima, anche solo cercare un albero se non abbiamo già da prima la chiara rappresentazione di quello che sia un albero in generale?" ("Introduzione alla metafisica", ed. Mursia, p.89).
Fin dall'inizio siamo immersi in una lingua, in una cultura. Senza di esse non sapremmo unire le singole sensazioni per costruire la percezione dell'albero che ci sta davanti.
"Anche se avessimo mille occhi, mille orecchie, mille mani, molti altri sensi ed organi, qualora la nostra essenza non risiedesse nella potenza del linguaggio, tutto l'essente rimarrebbe chiuso per noi: l'essente che noi siamo non meno di quello diverso da noi" ("Introduzione alla metafisica", p.92).

Ma il tema del topic non è l'origine dell'essenza della cosa, se puramente empirica o innata o derivante dal linguaggio e via dicendo secondo varie sfumatura, ma se l'ontologia sia la causa di un generale smarrimento del senso dell'essere.

Io, per ora, dico di no.
Innanzitutto l'ontologia non è necessariamente l'attività del catalogare gli essenti. Può essere questo, e sì, così facendo, perdendo l'attitudine a interrogare l'essente, volendolo solo "archiviare", sistemare, finisce per rinnegare la stessa natura della filosofia, che è l'interrogazione; e quindi, di necessità, anche la domanda sul senso dell'essere finisce per svanire.
Tuttavia se l'ontologia si concentra sulla problematicità dell'essente, sulla sua infondatezza originaria, sulla singolarità di ogni cosa che resiste agli assalti del collezionista peripatetico, allora non si può, al contrario, individuare in essa una strada che apra al senso dell'essere?
È poi così fondamentale la differenza tra essere ed essente? Più di quella tra i vari essenti o tra l'essente singolo e il suo concetto?
#230
Citazione di: Alberto Knox il 26 Agosto 2024, 15:26:21 PMma conoscenza empirica non significa conoscenza perfetta della realtà, significa un metodo che parte dai fenomeni così come si presentano a noi. Che poi tale osservazione si sviluppa in analisi successive , appunto con le teorie , non infincia il fatto che l'uomo, così come siffatto, non può andare oltre al fenomeno di come gli appare . In questo senso l'uomo può avere solo una conoscenza empirica del mondo.
Nessuno mette in discussione la bontà del principio dell'empirismo secondo cui, nella conoscenza, si deve partire dall'esperienza.
Il problema che però viene posto fin dall'inizio da Platone è il seguente: come faccio a riconoscere la rosa se non ho conoscenza di una rosa, o di un fiore o del mondo vegetale in generale?
Avrò di essa singole sensazioni che non sarò in grado di articolare insieme, quindi non potrò mai fare esperienza della rosa. Resterà per me qualcosa di inattingibile.
Cioè la conoscenza empirica presuppone necessariamente una conoscenza anteriore (non per forza innata, come voleva Platone).
Nella conoscenza scientifica la cosa è ancora più evidente: certo, si parte dall'osservazione del fenomeno, ma già scegliendo la strumentazione attraverso cui condurre le misurazioni "incanalo" l'esperienza secondo una specifica direzione. Così vedrò o non vedrò ciò che mi aspetto di trovare.

Citazione di: Alberto Knox il 26 Agosto 2024, 15:15:30 PMma non è mai stato questo il vero problema che si stava affrontando in questa sede.
[...]
mi sembra un punto essenziale , quel "soltanto" non sminuisce affatto la potenza di questa assunzione ma anzi ci deve far riflettere su come può l'universo, una volta venuto alla luce, generare in seguito cose completamente nuove seguendo le leggi della natura , in altre parole; qual'è la sorgente della potenza creativa dell universo?
Ma non sei stato tu a porre la questione aristotelica dell'ousia?
Comunque sia, seguendo Aristotele, scegliendo di trattare la questione della forma della cosa come effetto di una causa, concatenando le cose in rapporti causali, inevitabile è arrivare a porre la questione della Causa prima, dell'Inizio, dell'Origine.
Quella scienza che non ha abbandonato il paradigma deterministico è costretta anch'essa a interrogarsi sull'Inizio? Ponendosi quindi nel proprio compimento come vera metafisica?
#231
Citazione di: daniele22 il 26 Agosto 2024, 08:45:51 AMCiao, citandoti:
"Ogni atto conoscitivo comporta la relazione tra un soggetto e una cosa, tra un osservatore e un osservato.
Non esiste alcuna forma di conoscenza che possa trascendere questa relazione.
Porre il problema di come sia la realtà in sé, la cosa in sé, indipendentemente da ogni nostra possibile osservazione, è un errore, una contraddizione."
Sono d'accordo nella prima parte. Per la seconda parte, porre il problema di come sia la realtà in sé sarebbe a mio giudizio un errore fintanto che si consideri un approccio al problema come tu giustamente lo delinei così come vado a citarti:
"Per esempio quando noi ci domandiamo: come sarà in realtà la cosa che sto osservando ora, indipendentemente dalla prospettiva particolare con cui la sto guardando in questo momento? Di fatto stiamo costruendo un'immagine mentale che consiste nella cosa isolata in una specie di spazio vuoto."
Però, se io cerco di inquadrare la realtà o la cosa (essere umano in particolare) nella dimensione del divenire, ¿cosa posso dedurne?. Posso dedurne che nel manifestarsi del fenomeno, l'agente causativo che sta agendo nell'individuo, incerto ai nostri occhi, sarebbe incerto soprattutto perché la realtà, la cosa, mettono in scena un esperimento, inconsapevole a noi almeno fino a un certo punto, ma comunque esperimento la cui peculiarità sarebbe la sua irripetibilità ... poi ci sono i professionisti che generano degli artefatti, ma questo è un altro discorso ... Per dirla con Eraclito insomma, non ci si bagna due volte nello stesso fiume, ma la seconda volta probabilmente, non certamente, troverò ancora un fiume. E così mi chiedo: come reagirà il mio esserci (o essere?) nel secondo fiume? Posso risolvere la domanda rinunciando all'immobiltà dell'essere, subordinandolo al divenire e rendendolo così "permanente", ma con la possibilità di fluttuare istante dopo istante.
Citandoti ancora:
"Ma se la stiamo immaginando (la realtà) vuol dire, di nuovo, che la stiamo osservando (anche se solo interiormente), che è il nostro Io il soggetto che osserva, anche se fingiamo l'assenza di ogni osservatore.
Parlare di mappa e territorio si vede bene che in fondo non ha alcun senso."
Beh, nel mio caso sfondi una porta aperta visto che a mio vedere c'è coincidenza tra realtà e conoscenza, entrambe soggettive. E infatti, citandoti nuovamente:
"Se ci chiediamo poi se vi sia qualcosa che possa rappresentare una base, un fondamento, qualcosa che sappia indicare i confini di ciascuno dei due poli, l'osservato e l'osservatore, dobbiamo ammettere che non c'è alcun fondamento."
In realtà un fondamento c'è, ma lo vedo solo io e sarebbe il nostro solipsismo, inconsapevole!!. Proseguendo:
"L'Io sprofonda nell'inconscio, poi nel corpo, poi nei corpi e nei pensieri di coloro che ci hanno preceduti."
Giusto, infatti, fatta salva la conoscenza che deriva da esperienza personale il resto sarebbe tutto eterodiretto evidenziando una naturale prospettiva di escalation della conoscenza che si compie mettendo in competizione tra loro i partecipanti ed evidenziando chi possa saperne di più: corsa molto pretenziosa, che sicuramente ha prodotto molta tecnologia, ma assai poco in termini di filosofia. Nota: Abitudine all'escalation, altro tratto costante nelle vicende umane.
Quello che ti contesterei alla fine dei giochi è questo tuo dire:
"L'unica questione vera è la domanda sull'adeguatezza dei nostri discorsi non rispetto alla cosa così com'è nel suo puro isolamento, ma rispetto a come la cosa ci appare, a come essa si manifesta.
Il problema è l'adeguatezza dei segni linguistici scelti nel dar conto dell'osservazione che stiamo conducendo sulla cosa, osservazione che non può essere di tipo panottico, ma sempre relativa ad una specifica prospettiva."
C'è qualcosa che forse mi sfugge, ma se il problema fosse un uso improprio dei segni linguistici non posso certo credere che il problema sia questo. Può succedere nelle fasi iniziali di un dialogo, ma nel suo svolgimento ci si dovrebbe dar conto degli equivoci che emergono. E Cacciari? Non penso che il professore che pretende di mettere in discussione i paradigmi della filosofia moderna e contemporanea possa avere dialoghi con suoi pari in cui vi sia un uso improprio dei segni linguistici. Il problema sarebbe invece a mio vedere quello che ho già citato, ma che vedo solo io: il nostro solipsismo inconsapevole e pretenzioso oltre misura
Sono d'accordo con te sia sul solipsismo che sullo spirito competitivo di coloro che si dedicano al sapere (basta pensare a personaggi come Eraclito e Parmenide, ma anche in Socrate si nota un certo disprezzo dell'altro, occultato dal sarcasmo – su ciò Nietzsche ci aveva visto giusto, come sempre).
Per quanto riguarda invece la questione del problema dell'adeguatezza del sistema di segni, si può interpretare l'uso della matematica o della logica formale proprio come tentativo (riuscito) di eliminare l'elemento simbolico e quindi ambiguo, infinitamente interpretabile, del linguaggio naturale.
Precisione straordinaria di un sistema destinato però ad essere incompleto (teoremi di Gödel), cioè a inglobare alcuni principi di cui il sistema stesso non può dar conto (anche qui: una specie di assenza di fondamento).
Quindi siamo destinati o al fraintendimento infinito del dialogo o ad una precisione semantica che però si basa sulla fede in alcuni principi di base. Dunque in ogni caso non c'è modo di costringere l'altro a convincersi dei nostri risultati.
In effetti la situazione è un po' paradossale, e se non sbaglio ne parla anche Cacciari nella conferenza postata da green demetr, riferendosi al mito della caverna: perché colui che ha ricevuto il dono di "vedere" torna indietro per liberare i prigionieri?
Altruismo o smisurata presunzione?
Cacciari, che conosco solo per la lettura e rilettura di "Metafisica concreta" (un grande libro di filosofia, veramente notevole), evidentemente crede nell'elemento politico della filosofia, e non si risparmia.
#232
Citazione di: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 20:06:50 PMpossiamo riassumere il tutto dicendo che la conoscenza data all uomo è una conoscenza puramente empirica. Perfettamente in accordo con Hume.

No, perché appunto l'osservatore non è puro, non è un Io trascendentale, e i dati grezzi che raccoglie sono già impregnati di teoria.

Citazione di: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 20:06:50 PMnon come sarà in realtà , ma  che cos'è al di la delle caratteristiche accidentali che la caratterizzano. Se siamo di fronte ad una rosa possiamo elencarne le caratteristiche; è rossa, è profumata, ha le spiene, è piantata in giardino, ha i petali vellutati ecc. ma se togli tutte queste caratteristiche accidentali rimane quella che Aristotele chiama la prima categoria "la rosa è" questa è la sostanza Aristotelica . Oltre i modi con  cui la rosa si manifesta ai nostri sensi ( profumo, spine, sta in giardino, rossa) esiste per Aristotele un substratum, egli si chiede che cos'è la rosa al di là che ha le spine che è rossa e che è piantata nel giardino. Al di la di queste caratteristiche la rosa è . Quella è la sostanza , quello che è intrinsecamente , quello che la descriverebbe in modo sostanziale il suo essere rosa, la sua interiorità (se si può dire così nei riguardi di una rosa)  che fa da unficatore sulle quali poggiano le caratteristiche sensibili. Ma potendo conoscere solo ciò di cui facciamo esperienza quella iteriorità essenziale , intima , sostanziale della rosa noi non la possiamo conoscere ,non possiamo accedervi per farne esperienza. Hume nega la sua stessa esistenza , kant la postula come la X ignota, la filosofia del limite . Il noumeno è quel limite. Hume invece sostiene che se anche ci fosse a noi non è dato saperlo.

In Aristotele il problema dell'ousia, dell'essenza, è innanzitutto il problema lasciato aperto da Platone sul rapporto tra mondo intelligibile e mondo sensibile. La rosa è tale perché partecipa (in modo imperfetto) all'idea/essenza della rosa. Ma come avviene questa partecipazione?
La soluzione che fornisce Aristotele ha a che fare con la dottrina delle cause e con i concetti di atto e potenza (1).
In fondo il vero problema non è tanto la possibilità di riconoscere che la rosa sia una rosa, fuori dal tempo.
Il problema sta nel capire come l'identità della rosa si mantenga nonostante i mutamenti a cui è sottoposta, come tutte le cose di questa terra.
La sostanza è pura potenzialità che va assumendo una specifica forma, che realizza appieno la sua forma, perché i processi della natura seguono dei fini.
Fa parte della natura della rosa crescere, sbocciare, svilupparsi in modo da diventare quello che deve e vuole essere: una rosa.
Non è la forma ad essere misteriosa, piuttosto il suo perché.
Se però togliamo ogni teleologia, come ha fatto la filosofia moderna nella gigantesca polemica contro la tradizione aristotelico-tomistica (a favore della scienza moderna), il perché rimane senza risposta, il perché delle regolarità, della permanenza dell'identità nei mutamenti progressivi: il perché diventa per forza di cose qualcosa che non potremo mai conoscere.

Ma c'è un perché?


(1) "Realmente gli esperimenti hanno mostrato la completa mutabilità della materia. Tutte le particelle elementari possono, ad energie sufficientemente alte, essere trasmutate in altre particelle, o possono semplicemente venir create dall'energia cinetica o risolversi in questa, ad esempio in radiazione. Ed è questa la prova finale dell'unità della materia. Tutte le particelle elementari sono fatte della stessa sostanza, che può esser chiamata energia o materia universale; sono soltanto forme diverse in cui la materia può manifestarsi.
Se confrontiamo questa situazione con i concetti aristotelici di materia e forma, possiamo dire che la materia di Aristotele, che è pura "potentia", dovrebbe essere paragonata al nostro concetto di energia, che passa all'attualità per mezzo della forma quando viene creata la particella elementare".
["Fisica e filosofia", Werner Heisenberg, ed. Feltrinelli, p. 160]
#233
Ogni atto conoscitivo comporta la relazione tra un soggetto e una cosa, tra un osservatore e un osservato.
Non esiste alcuna forma di conoscenza che possa trascendere questa relazione.
Porre il problema di come sia la realtà in sé, la cosa in sé, indipendentemente da ogni nostra possibile osservazione, è un errore, una contraddizione.
Non importa che poi si sostenga l'inconoscibilità (o al contrario la conoscibilità) della cosa in sé: entrambe le prospettive sono già in partenza inficiate da questo errore logico-ontologico.
Per esempio quando noi ci domandiamo: come sarà in realtà la cosa che sto osservando ora, indipendentemente dalla prospettiva particolare con cui la sto guardando in questo momento?
Di fatto stiamo costruendo un'immagine mentale che consiste nella cosa isolata in una specie di spazio vuoto.
Ma se la stiamo immaginando vuol dire, di nuovo, che la stiamo osservando (anche se solo interiormente), che è il nostro Io il soggetto che osserva, anche se fingiamo l'assenza di ogni osservatore.
Parlare di mappa e territorio si vede bene che in fondo non ha alcun senso.
L'unica questione vera è la domanda sull'adeguatezza dei nostri discorsi non rispetto alla cosa così com'è nel suo puro isolamento, ma rispetto a come la cosa ci appare, a come essa si manifesta.
Il problema è l'adeguatezza dei segni linguistici scelti nel dar conto dell'osservazione che stiamo conducendo sulla cosa, osservazione che non può essere di tipo panottico, ma sempre relativa ad una specifica prospettiva.
Se ci chiediamo poi se vi sia qualcosa che possa rappresentare una base, un fondamento, qualcosa che sappia indicare i confini di ciascuno dei due poli, l'osservato e l'osservatore, dobbiamo ammettere che non c'è alcun fondamento.
L'Io sprofonda nell'inconscio, poi nel corpo, poi nei corpi e nei pensieri di coloro che ci hanno preceduti. L'Io che ogni giorno di nuovo emerge e si struttura e reagisce a ciò che lo circonda, di modo che ogni cambiamento ambientale comporta un mutamento che può essere irrilevante così come radicale.
E poi c'è la cosa che "risponde" in base a come viene interrogata. Ma ogni risposta, ogni sua determinazione, nega o "sovrascrive" tutte le altre.
#234
Citazione di: niko il 10 Agosto 2024, 20:50:29 PME se uno ha orrore dell'essere, e stupore del divenire, allora costui e' fuori dalla filosofia?
I grandi filosofi, anche prescindendo un attimo dalle loro finalita' e consapevoli intenzioni, hanno lavorato per l'essere, o per il divenire del (loro) mondo?
Un Aristotele, ha fatto un Alessandro Magno.
Un Socrate, ha fatto un Platone.
La questione politica. Per la quale dobbiamo tutti un gallo ad Asclepio. Per non finire mai piu', ammazzati.
Sembri non vedere il legame profondo tra politica e metafisica.
Per Platone il politico deve essere filosofo perché solo il filosofo riesce a distinguere il vero ordine delle cose dalle opinioni interessate.
Il politico-filosofo trasforma radicalmente la città ispirato dal Bene la cui luce solo rende possibile la conoscenza della struttura della realtà, dei rapporti veri tra le cose.
Quindi: divenire, trasformazione del reale, prassi politica, ma possibile solo ponendo lo sguardo su ciò che permane, sull'essere eterno delle cose, o almeno su ciò che varrebbe la pena continuasse a permanere, su ciò che, al di là delle definizioni, rappresenta le perfezioni cui ispirarci affinché ci sia giustizia e nessuno venga ammazzato, gallo compreso.
#235
Citazione di: bobmax il 10 Agosto 2024, 18:30:45 PMLa contrapposizione essere - divenire fa parte della esistenza.
Dove l'essere è ciò che permane mentre il divenire lo erode.
Nessuno dei due può però stare senza l'altro.
L'essere infatti è tale solo in quanto si oppone al divenire.
E il divenire è possibile solo se rapportato all'essere.
Qualcosa deve permanere affinché qualcos'altro divenga.
L'idea di un mondo dove il tempo si fermasse e quindi cessasse il divenire, come l'effetto di un maleficio in una fiaba, è totalmente assurdo. Perché niente può esistere senza divenire.
Tutto questo è relativo all'esistere.
Perché viceversa con Essere si intende ciò che permette l'esistere. E quindi il gioco essere (permanere se stesso) - divenire (diventare altro da sé).
Essere che perciò è a monte sia del divenire sia del permanere.
E che quindi non esiste: è.
L'amore può fare percepire l'Essere.
Quando si riesce ad intuire che l'altro, chiunque altro, non è che me stesso.
Vi sono mille occasioni per amare.
E l'amore del padre per il figlio, e viceversa, può forse essere una delle migliori occasioni per comprendere come l'amato non sia che te stesso.
No, non è che con "Essere s'intende il fondamento dell'esistente". Sei tu che intendi l'Essere in questo modo. Non siamo di fronte ad un'evidenza. Dunque tale differenza, tra Essere ed esistenza non va semplicemente ribadita, ma argomentata.
Comunque sia, se l'Essere è il fondamento trascendente di ogni cosa che esiste (ma nel senso di una Causa efficiente? O piuttosto teleologicamente come ciò cui ogni essente mira?) è tutto fuorché il Nulla. È il Fondamento. Perché asserire che è uguale al Nulla, complicando ulteriormente la comprensione dell'argomento? Giocando sul fatto che non avendo l'esistenza come ogni normale essente allora è non esistente, quindi nulla?
L'amore non mi fa intuire che l'altro è me stesso. L'amore mi fa comprendere che l'altro, facendo parte del Tutto (ma senza in esso perdere le proprie differenze che lo rendono unico, senza affondare in un Uno indistinto), è legato a me.
#236
La filosofia nasce dalla meraviglia: meraviglia che è nello stesso tempo stupore per l'essere e orrore per il divenire.
Le due cose vanno insieme.
E poiché la filosofia ricomincia da capo ogni volta, noi siamo chiamati a confrontarci con questa duplice esperienza.
Ma che cosa fa la filosofia? Separa le idee fondate, solide, dalle opinioni infondate.
Un'idea importante che andrebbe sviscerata è per esempio la continuità delle generazioni.
Limitarsi a dire: "tu sei tuo padre!", non ha alcun senso.
Ma che si senta di avere un legame con le generazioni che ci hanno preceduto, un legame non solo affettivo, ma nemmeno solo biologico, qualcosa che riguarda il compito di custodire e portare con sé la vita dei genitori e dei nonni etc., un compito che non è un dovere morale ma riguarda, oserei dire, la nostra stessa essenza, qualcosa di essenziale che siamo chiamati a realizzare, ebbene che tutto questo sia reale a me sembra evidente. Seppure la doxa ignobile vorrebbe ridurre tutto questo a sentimentalismo. Invece qui si tratta di ontologia.
Ecco come si vede anche qua, al di là delle chiacchiere, emerge la necessità di un discorso teoretico rigoroso.
#237
Non credo sia saggio valutare le possibilità o le impossibilità aperte dalla morte basandoci su semplici esperienze personali (per quanto estreme).

L'anima, così come ce la immaginiamo, così come viene descritta dai luoghi comuni della tradizione, sembra una forma ben definita, ben delineata.
Invece il nostro Se', la nostra coscienza, lo sappiamo ormai abbastanza bene dopo più di un secolo di psicanalisi e neurobiologia, è una creatura in continua trasformazione, fatta di salti, di strati profondi, una creatura magmatica, diciamo così, non eterea.

Ora la domanda che mi pongo è la seguente: siamo sicuri che questa immagine del Se' più realistica vada nella direzione dell'ipotesi della più assoluta mortalità?
Lo diamo per scontato, come se fosse un ulteriore argomento a favore del materialismo, e invece potrebbe essere esattamente l'opposto.
Perché se la continuità dell'Io è solo apparente, anche l'ipotesi dell'immortalità va rivista, escludendo una durata indefinita di qualcosa di permanente, ma rileggendo il futuro del Se' come infinita trasformazione, per esempio.
#238
D'altra parte non abbiamo alcun elemento per considerare certo che ciò che non appare più sia diventato un niente. Il divenire è trasformazione senza fine. Il corpo non diventa polvere (e qui si intende polvere come un quasi-niente che precede il niente), il corpo continua la sua avventura.
Il Se' invece sparisce. Non appare più. A questa assenza ci dobbiamo limitare. Che forme di memoria e coscienza differenti, non immaginabili ora, possano prendere il suo posto, questo non si può escludere se vogliamo essere rigorosi, immuni dall'opinione degli stolti.

#239
Tematiche Filosofiche / Re: Il concetto di verità.
29 Luglio 2024, 09:10:28 AM
Citazione di: Alberto Knox il 28 Luglio 2024, 21:31:13 PMNe sei sicuro? prendiamo allora come esempio una cosa consolidata come la legge dell inverso del quadrato che regola la forza elettrica , questo non è un caso unico perchè lo si riscontra in tutti i casi. Essa è stata controllata in vari modi ed è sempre stata confermata. La definiamo legge perchè ,sulla base dell induzione, concludiamo che la propietà che essa esprime sarà sempre valida. Comunque , il fatto che nessuno ha mai osservato alcuna violazione della legge dell inverso del quadrato non prova che essa debba essere vera nello stesso modo in cui, dati gli assiomi della geometria euclidea , il teorema di pitagora deve essere vero. Non importa in quante singole occasioni la legge risulti confermata, non possiamo essere certi in modo assoluto che sia infallibilmente valida. Se non prendessi in considerazione questa possibilità sarei un dogmatico, ma non un vero filosofo a patto che io mi possa ritenere tale .

Se cerchiamo conferma di una legge scientifica dobbiamo isolare e semplificare il nostro oggetto in un sistema ideale, dopodiché compiere la misurazione, cioè "perturbare" l'oggetto con la nostra strumentazione. Questa interazione, anche là dove la prima approssimazione del fenomeno nel sistema ideale fosse trascurabile, comporta comunque sempre un'alterazione decisiva, da un punto di vista ontologico, quasi mai da quello pragmatico della scienza.
Abbiamo così a che fare sempre con un'interazione unica.
Variazioni che appunto possono essere trascurate nell'attività scientifica, ma che comunque esistono.
La scienza contemporanea è basata su un paradigma probabilistico, non deterministico.
#240
Tematiche Filosofiche / Re: Il concetto di verità.
28 Luglio 2024, 20:49:32 PM
Citazione di: Alberto Knox il 28 Luglio 2024, 19:26:26 PMripartendo dal tuo esempio ho una mappa che indica le vie da seguire per uscire dal labirinto, la percorro un giorno e ne esco, la percorro un altro giorno e ne esco, la percorro un altro giorno e finisco in una trappola che un ipotetico propietario sadico si è preso la libertà di produrre a mia insaputa. la mappa non poteva prevedere questa variabile.
piu in generale e più semplicemente mi limito a tenere sempre a mente il monito di Hume che ci mette in guardia dal ragionamento induttivo.
Perchè dovremmo essere certi che se una cosa funziona dovrà funzionare sempre anche in futuro? la credenza che ciò avverrà si basa sull assunto che il corso della natura rimane sempre uniformemente invariabile, ma come si giustifica questa assunzione?
Martin Heidegger aveva espresso lo stesso concetto in maniera più pittoresca immaginando che un tacchino fosse in grado di formulare un ragionamento induttivo sulla base di causa e effetto , avere cioè il concetto di causalità. Allora il tacchino che al susseguirsi dell entrata nel seraglio da parte dell allevatore vedeva il riempimento della zona cibo collegò le due cose come causa ed effetto, poi un giorno , vicino a Natale, succede  tutt altro.

Un'ultima considerazione.
Mi sembra strano che tu sostenga all'inizio una posizione affine a Kant e che poi citi Hume, visto che il criticismo kantiano è stato una risposta allo scetticismo moderno espresso nella sua forma più radicale da Hume appunto.
Ma a parte questa apparente contraddizione, bisogna capire che la conoscenza riguarda sempre e soltanto casi singoli. Per cui la generalizzazione dell'induzione per quanto utile non è mai ovviamente garantita, visto che ha a che fare con casi somiglianti ma mai identici.
Ogni esperimento scientifico è unico.
Questo ci dovrebbe gettare nel panico?
Lo scetticismo mette in crisi l'idea metafisica della verità come essenza eterna, legge assoluta.
Ma tolto questo presupposto ontologicamente impossibile, tutti questi dubbi, queste pretese di oggettività e di assolutezza, di garanzia di eternità etc., semplicemente spariscono e lasciano il posto all'avventura della conoscenza. Avventura umana, non divina. Umana, con tutti i suoi limiti e le sue meraviglie.