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Messaggi - maral

#226
Garbino, sono in generale d'accordo con la tua risposta e in particolare sulla necessità di analizzare le fonti di ciò a cui ci si riferisce: per tentare di capire Nietzsche occorre aver letto e studiato Nietzsche, per tentare di capire la lettura di Heidegger su Nietzsche, occorre conoscere bene il lavoro di Heidegger e chi fosse Heidegger, quello che ha scritto lui, non c'è dubbio. E trovo che qui il paziente lavoro che tu fai su Nietzsche, guidato dalla tua passione per Nietzsche, sia ammirevole e profondo. Ma a mio avviso lo è soprattutto nei termini della relazione Garbino-Nietzsche, ove è comunque Garbino che ci parla di Nietzsche, con le sue passioni e quindi (e vale per chiunque) con i limiti prospettici che queste passioni vengono a stabilire e che non sono solo limiti, ma contorni che restituiscono a chi legge un significato di Nietzsche sul quale si potrà ancora argomentare, mettendo in gioco le proprie prospettive, quello che si sa e non si sa e quello che ci si immagina di sapere. In tal modo non sarà tanto la verità oggettiva su Nietzsche ad emergere, ma la nostra verità ai nostri stessi occhi e della cui emersione Nietzsche è il catalizzatore.
La figura di Socrate la sento per questo fondamentale, noi abbiamo solo il Socrate raccontato da Platone, non ce ne sono altri (anche se poi Foucault, la Harendt, lo stesso Nietzsche in alcuni aforismi ne hanno poi dato le loro profonde e appassionate versioni) e si dice pure che Socrate sia stato il vero iniziatore della filosofia, prima di lui c'erano solo sapienti (gente che sapeva di sapere, magari per rivelazione da una Dea sia pure da valutare attentamente, come per Parmenide), non filosofi. E in fondo Platone a sua volta interroga il suo maestro e continua nei suoi dialoghi a interrogare il suo maestro: "Chi è davvero Socrate?" è la domanda. Socrate dice che, poiché riteneva di non sapere, un bel giorno, si mise a chiedere a tutti i suoi concittadini cosa sapevano e notò che chi era ritenuto più sapiente sapeva meno delle persone del popolo e degli artigiani, che almeno quello che facevano lo sapevano fare (è Platone a raccontarcelo), e alla fine, con tutto questo suo chiedere agli altri cosa sai, e quindi chi sei, finì con il dare un grande fastidio a tutti e così fu messo a morte, cosa che lui accettò tranquillamente, senza chiedere a nessun Dio perché lo avesse abbandonato, ma solo chiedendo di sacrificare un gallo a Esculapio. Il personaggio platonico di Socrate ci svela un Platone diverso da quello che siamo abituati a considerare e a questo punto potremmo anche chiederci chi fosse davvero Platone, solo l'inventore di quel mondo ideale che ci ha tramandato la tradizione metafisica e poi il cristianesimo mistico? Sappiamo che la sua ambizione giovanile sarebbe stata quella di fare il commediografo e vincere il premio nelle feste ateniesi e i suoi dialoghi infatti restano costruiti come commedie, con un'ambientazione scenografica curata con un dettaglio che nessun altro filosofo dopo di lui ha mai più ripetuto, come se l'arte teatrale non avesse nulla che fare con la Filosofia con la F maiuscola. Sembrerà strano, eppure la filosofia in un certo modo, viene proprio dall'arte teatrale che mette pubblicamente in scena la vita e l'arte teatrale dai canti danzati e mimati delle feste dionisiache.  Nasce da una domanda che incontra la vita, che è la stessa domanda di Socrate-Platone e a cui ogni filosofo tenta di rispondere a suo modo, senza che nessuna risposta definitiva giunga mai a darsi, ogni risposta seriamente ascoltata solo inaugura la sua catastrofe e questo irrita terribilmente, per questo è una tragedia, o cosa buona solo per chi ama sprecare il suo tempo, ma è anche una danza e quindi è una festa che ci ritorna sempre. E' la domanda che i grandi filosofi del passato ancora rimbalzano su di noi: cosa sappiamo? Chi siamo? Come già Socrate a Gorgia e mi si perdoni la divagazione.
#227
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
04 Maggio 2017, 19:06:57 PM
Condivido paul11 la tua riflessione e particolarmente la conclusione, non si può fare a meno di continuare sulla strada della conoscenza e proprio perché la conoscenza non è aderenza al reale è un cammino sempre in corso.

Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 17:50:34 PM
Però maral in quanto appartenenti al mondo pur ognuno di noi partecipa di questa supposta essenza reale dello stesso, ergo (almeno un po') non vedo perchè non dire che siamo parte di questa famigerata essenza reale e, in più, non vedo perchè pensare che sia inintelligibile d'amblè ?
Certo, come si potrebbe mai negare che ne siamo parte e perciò in parte il reale è intellegibile, ossia nel contesto della parte in cui ci si trova posti. Per questo concordo perfettamente con la necessità di Sini di porre la domanda: "dove sei (e dove sono) per affermare quello che stai (sto) dicendo?" e il "dove sei", dal suo punto di vista, lui lo propone riferito alle prassi che si praticano e si condividono, con tutta l'esplorazione antropologica che ne consegue. Non basta affermare E=mc(2), ma occorre in primo luogo chiarire quale contesto di pratiche conferisce a questa formula uno specifico significato di verità.
In fondo il nostro cammino di conoscenza è un errare (nel doppio senso di errore e di cammino) che è sempre in qualche modo diversamente nella verità.
#228
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
04 Maggio 2017, 13:13:24 PM
Sgiombo,
rigetto di nuovo totalmente l'imputazione che mi fai di confondere la vita con la conoscenza, non avendo nei miei interventi ribadito altro che la loro sostanziale e irriducibile differenza. I nostri discorsi, le parole, i nomi con i loro significati, rientrano nel mondo della conoscenza e non sono la vita in sé, ma la significano, la rappresentano. Semmai chi fa confusione è chi crede che ci sia o sia possibile arrivare a un discorso (filosofico, scientifico o religioso) capace di aderire sempre più alla essenza reale del mondo, fino a essere lo stesso con essa.
Ciononostante che mi è assolutamente chiaro e non ho fatto altro che dirlo, ritengo che tutti i discorsi mostrino aspetti del reale parimenti significativi, anch'essi sono fatti reali e veri nel loro diverso modo di indicare cosa accade: lo sono i miti dei popoli primitivi quanto le teorie astrofisiche più avanzate e comprovate. Sono veri nei termini di contesto prospettico che li esprimono e determinano i nostri modi di vedere e di pensare secondo le nostre sempre parziali prospettive. Questo è il motivo per cui ritengo assurdo credere che la terra sia un piatto immobile al centro dell'universo, ritengo assurdo credere che il faraone sia morto per una maledizione del Dio e non per una infezione batterica, ma lo ritengo assurdo in quanto so che il mio ritenerlo assurdo è il pensiero condiviso di un contesto che è il contesto in cui vivo e che mi esprime, non perché è così. Il perché è così in sé è irraggiungibile ed è irraggiungibile proprio in quanto non faccio alcuna confusione tra ciò che si dice essere e accadere e ciò che è e accade: il primo mostra necessariamente in modo parziale e relativo, il secondo è in modo assoluto e irraggiungibile a ogni conoscenza e l'unica follia è pensare di poter dire questo assoluto come è, sia che lo si intenda esprimere scientificamente, filosoficamente o religiosamente.
Per questo so perfettamente che come per me è assurdo pensare che il faraone sia morto per la maledizione di un Dio, per chi viveva in quella cultura sarebbe stato completamente assurdo pensare che fosse morto per infezione batterica e non posso essere certo io, espressione della mia cultura, a insegnargli ciò che realmente accade, perché io, come lui, non so cosa accade, ma io, come lui, con i miei discorsi lo rappresento in relazione ai contesti in cui vivo e non posso fare altro che questo. Questo significa per me dire (e ti prego di notare che anche questo è solo un dire) che non c'è alcun sapere gerarchico in termini assoluti, mentre vi sono saperi più o meno appropriati per stare meglio nel mondo in cui si vive.

La filosofia (e ce ne sono tante) non può e non deve porsi come discriminante tra i saperi, in nome di una verità filosofica oggettiva che non esiste, essendo pure ogni filosofia solo un discorso e non l'unità di misura di ogni discorso. La filosofia ha senso solo come continua critica verso chi pensa che vi sia un solo modo di dire valido per tutti e per sempre. Per questo la vera filosofia dà fastidio, ha sempre dato fastidio (e oggi in misura massima, tanto da proclamarla futile e inutile) e deve dare fastidio: essa mette continuamente in discussione quello che si deve prendere per buono, perché così si è "normalmente sani di mente". La filosofia ha senso se mette in discussione tutti i "normalmente sani di mente" e fa vedere quanto poco lo siano, quanto poco lo siamo.
Il filosofo però non è uno scettico assoluto, né è uno che si astiene, vivendo, dal giudicare di fatto, ma sa che ogni presa di posizione cognitiva ha una sua verità e un suo errore, per cui non è superiore o inferiore rispetto a un altra che partecipi di contesti di significato diversi e proprio perché è capace di non fare nessuna confusione tra il significato con cui la realtà si mostra sempre in modo prospettico e parziale e la realtà stessa che, al di fuori del suo significare parziale, quindi in qualche misura sempre errato, nessuno vede, ma non può evidentemente non esserci.
In questo ambito (che è cognitivo), esiste pure il fantasticare come gioco dei significati, perché ogni significato rimanda a un altro significato, ogni significato a sua volta significa richiamando la sua negazione che si può presentare, in relazione al nostro esistere, come il significato desiderabile che non c'è. Ed è allora che il significato originario appare come se fosse la cosa reale che c'è, mentre è solo una parola che si dà significando e rimbalza, da un significato all'altro, spostata dal desiderio.
L'essere umano in conclusione non è, né potrà mai essere colui che sa la realtà (gli animali, le piante, le rocce la sanno ben più di lui), ma è colui che continuamente la sogna e la immagina per evocarsela. in altre parole è colui che desiderando parla e conosce e anche questo è solo un modo di dire, lo so.
#229
Vengo a Green verso il quale mi sento un po' debitore viste le sue dettagliate osservazioni sul mio post. Sorvolo sulla risposta breve, in merito alla quale un accenno l'ho già fatto nella premessa (il Nietzsche di Derrida, quello di Severino, quello di Heidegger e anche quello di Green, non sono nessuno il vero Nietzsche, che chissà quale fosse e si possono misurare solo in relazione allo spessore filosofico delle rispettive argomentazioni). Passo quindi direttamente ad alcuni punti della risposta lunga tentando di mantenermi breve.
Citazione di: green demetr il 02 Maggio 2017, 15:01:14 PM
Certo sarebbe la filosofia dell'evento. (se poi vuoi chiamarla dell'eterno ritorno sia pure, per me è comunque una inapropiatezza).
Non lo metto in dubbio che per te lo sia. Così comunque si esprime Nietzsche in "Così parlò Zarathustra": http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaN/nietzschehg5f03eb.htm
Mi ispiravo a questo.
Non credo che comunque N. intenda l'attimo come una convenzione temporale o "una astrazione (un prodotto del mentale)" come dicevi più avanti.

CitazioneNon capisco cosa sia la coscienza totale del divenire, temo che siamo alle solite, una autocoscienza del divenire?
Il virgolettato intendeva indicare che la frase era presa dalla citazione di Garbino dell'aforisma 72 come già da lui riportato. Io la intendo appunto come visione completa del divenire che è un controsenso, sarebbe possibile solo dal di fuori del divenire stesso.

CitazioneNon ho ben capito il sillogismo, intendi dire che l'essere è la morte?
vita primordiale non è l'essere = animalità non è la morte
essere è divenire = morte è vita primordiale (l'animalità che si riproduce)
Se però sostituiamo i termini
allora
la vita primordiale non è la vita primordiale = animalità non è la vita primordiale.
Il che è contraddittorio.....
Intendevo dire che la zoè (nel senso greco) non conosce la morte, la esclude. E' vita infinita di tutti gli esseri viventi (zoa), senza caratterizzazioni, contrapposta alla vita finita e caratterizzata del bios che incontra la morte. Scrive Kerenyi nel suo magistrale saggio su Dioniso: "zoè è il livello minimo della vita, con il quale soltanto la biologia ha inizio... è non morte". Alla zoè corrisponde il tempo della festa dionisiaca più che quello dell'evoluzione darwiniana. Credo rappresenti certamente il divenire nella forma più pura. in cui la morte è un momento diveniente della vita stessa.
Citazionecit maral
"Essere e Divenire sono a questo punto la stessa cosa"

Il che è contraddittorio infatti.
Infatti, è proprio il divenire a essere contraddittorio.
Citazionecit maral
"E certo che a volerli separare per mettere l'Essere fuori dal Divenire, considerare la cosa come è in sé, si ottiene solo la denigrazione del mondo."

Il divenire caro maral è all'interno dell'essere....andiamo è Severino!
Direi proprio di no, il divenire per Severino è una contraddizione assoluta che va esclusa, quanto all'essere parmenideo è niente. Severino parla dell'Apparire e del Destino, che sono concetti ben diversi dal Divenire e dall'Essere (e sicuramente l'Apparire non può essere assimilato al Divenire, proprio in quanto apparire del Destino)

CitazioneIn che senso la denigrazione del mondo???
Ho tentato di spiegarlo successivamente, il mondo, che è divenire, viene misurato solo in riferimento all'essere, per questo si afferma che ciò che dura vale, ossia che vale il durare.
cit maral
Citazione"E questo pensiero è di una portata deflagrante enorme, perché mette in crisi tutto il pensiero dell'Occidente, dalla religione, alla filosofia, alla scienza, ma è un pensiero che non viene da fuori, ma dalla stessa religione, filosofia e scienza dell'Occidente, le porta al culmine, torna all'origine e da si ricomincia daccapo. "

Credo di aver perso completamente le fila del tuo ragionamento qui.
Provo a interpretare. Ok non ci riesco. Sorry.
E' chiaro mi pare che Nietzsche capovolge i termini di valore, ma questo capovolgimento di un modo di pensare che giunge al suo compimento (finito significa essere perfettamente compiuto) era presente fin dall'inizio nel modo di pensare dell'Occidente: l'Occidente ha in sé fin dall'inizio la necessità del suo tramonto: ogni cosa infatti deve cominciare dal niente per finire nel niente.

CitazioneIl divenire è dunque l'uomo e non la sua terzialità la fisica, la giustizia o la natura.
Il divenire non può per Nietzsche essere l'uomo. L'uomo è destinato a finire, anche se è destinato a tornare in eterno.
CitazioneSe l'immanente avesse i caratteri valoriali di qualsiasi altra terzialità, foss'anco, attenzione, a quelli giusti dell'esistente, sarebbe una contraddizione in termini: appunto se l'immanente fosse giusto per un giudizio dell'esistente, ossia dell'uomo, non sarebbe più immanente.Il giusto di cui parla, ossia il valoriale si dà solo come descrizione ontologica rispetto e non a riguardo dell'immanente.
Su questo, per come l'ho capito, sono d'accordo. Ma nulla può sottrarre valore all'immanente, se non ha valore, è il porre al di sopra dell'immanente un trascendente che diventa unità di misura di ogni valore che dà valore negativo all'immanente.

CitazioneMa l'Essere in tutto questo non è MAI tirato in causa. (altrimenti avrebbe ragione Heidegger a considerate Nietzche l'ultimo dei metafisici. Cosa che non sarà mai.)
Invece mi sembra che tu consideri la stessa cosa Essere ed Ente.
A dire la verità l'Essere non lo considero proprio per niente.


CitazioneCon oltre uomo, Nietzche non intende un nuovo tipo di essere umano, bensì degli stessi uomini oltre la storia della metafisica.
Questo la sento molto come una tua interpretazione, non c'è nulla di più discusso di chi sia per Nietzsche l'Oltreuomo/Superuomo, sono contento di vedere che tu te ne sei fatto un'idea chiara, sulla quale però al momento non mi sento per nulla di concordare. Parlare di un uomo dopo la fine della metafisica mi sembra già molto azzardato.


CitazioneOra ridurre la questione alla volontà di potenza (ipotesi biologista, neo-darwiniana) e all'eterno ritorno (ipotesi riduzionista cosmogonica), devo dire che comincia a darmi noja.
Ma Nietzsche che to lo voglia o meno è quello, è la volontà di potenza ed è l'eterno ritorno, che lui considera il suo pensiero abissale e direi davvero conclusivo, anche se a te dà fastidio. La volontà di potenza non è semplicemente un'ipotesi biologistica (che comunque a essa si può collegare e comunque sarebbe interessante considerare i rapporti tra Nietzsche e Darwin), ma mi pare derivi da un lato da Schopenhauer (il mondo come volontà e rapprentazione), dall'altro con l'affermarsi di una visione dionisiaca tragica che lo porta a incarnarla nella figura dell'Ubermensch. E l'eterno ritorno credo non possa essere ridotto a un'ipotesi cosmologica (anche se Nietzsche si inventa pure una cosmologia), ma è la necessaria conseguenza della volontà di potenza che vuole essere assoluta.

CitazionePerchè non concentrarsi invece sul lascito vastissimo e incommensurabile ai riduzionismi faciloni e snervanti.
(magari ci si renderebbe conto delle incredibili cantonate che sto leggendo)   :'(
Perché tra una cantonata e l'altra magari di riesce ad arrivare da qualche parte, mentre credendo di trovarsi sulla retta via si va a prendere sempre la stessa cantonata senza andare da nessuna parte (che è poi quello che dicevo in premessa).
Non prendertela Green, i tuoi interventi restano sempre comunque tra i più stimolanti  :)
#230
Necessaria premessa, comunque la si voglia mettere ciò che è Nietzsche in sé non credo che possiamo stabilirlo, nemmeno compiendo la più completa e dettagliata analisi delle sue opere. Che lo si voglia o meno, che ci si senti o meno gli scopritori del Nietzsche autentico, di quello che lui veramente volesse dire, è impossibile esserlo. In primo luogo perché Nietzsche non segue un filo sistematico né lo intende seguire (semmai siamo noi, insieme ai suoi grandi esegeti e critici, con le nostre piccole interpretazioni a imporglielo del tutto indebitamente e quindi tradendolo proprio con pretese sistematiche) e poi perché Nietzsche inevitabilmente cambia nel corso delle sue stesse opere e credo di poter dire, per quel poco che ne so, che i fili conduttori in esse sono molteplici e pure contraddittori, anche lui d'altra parte è sottoposto al divenire, non è un monumento (ma poi anche i monumenti più saldi cambiano benché li si erigano con la illusione di non farli mai cambiare).
Quello che posso ribadire è che se Nietzsche ha uno spessore filosofico (e penso che lo abbia in modo assolutamente dirompente e sono d'accordo con Heidegger che fu il primo a riconoscergli il grandissimo genio filosofico), questo spessore non possa prescindere dal contenuto metafisico del suo pensiero, anzi è proprio questo contenuto a conferirglielo. Ridurre Nietzsche a una polemica anti pretesca, anti cristianesimo o comunque anti (anche se è pure questo, ma non solo) non gli rende certo giustizia, come non gli rende giustizia cancellare l'eterno ritorno o la volontà di potenza come divagazioni metafisiche inappropriate per noi immanentisti di sicura osservanza empirica, originalità di qualcuno già in cammino per il manicomio. Certo in Nietzsche c'è pure la follia, ma è una follia particolarmente lucida e cantante (fino all'ultimo decennio di totale silenzio), una follia grandiosa e certamente, proprio per questo estremamente rischiosa (e la storia lo ha dimostrato).
All'amico Garbino mi limito a dire che fa bene a credere solo in quello che vede, lo si fa fondamentalmente tutti, persino Platone che riteneva che sopra quello che si vede ci sia un mondo puramente ideale (ma è poi vero? Sinceramente non ne sarei così sicuro, non sono così esperto di Platone e i suoi dialoghi sono enormemente affascinanti anche per il modo  immanente con cui li mette in scena e ne cura le scenografie, e il Socrate che conosciamo e che Garbino gli contrappone resta il suo Socrate, ossia il personaggio Socrate dei suoi dialoghi, che lui amava e interroga sulla cosa che più gli resta incomprensibile e insieme lo illumina: quella scelta di morire del suo maestro).
Solo credo di poter aggiungere che quando si crede in quello che si vede, occorre andare sempre cauti, perché quello che si vede è quasi sempre, per non dire sempre, quello che si pensa o si crede di vedere. Si vede con la mente, non con gli occhi e la mente vede il significato delle cose, non le cose, vede il loro farci segno. E i significati sono veri, ma solo nei contesti a cui si riferiscono ove li verifichiamo, dunque occorre fare attenzione ai contesti da cui veniamo posti con le nostre credenze di vedere e non credo sinceramente che la filosofia possa essere ormai altro che questo (che è fondamentale) e lo si deve anche a Nietzsche. Ma questo è un discorso che va oltre il tema qui presentato, quindi lo riprenderò altrove.
Mi riservo invece prima o poi una risposta sia pure sommaria alla lunga risposta che Green mi ha generosamente indirizzato (in cui noto che gli piace giocare con la matita rossa  ;) ). Non vorrei deluderlo e certamente la merita.  :)   
#231
Riprendo con alcune considerazioni sparse sull'aforisma che molto opportunamente ha inserito Garbino.
Sono d'accordo sul fatto che "il presente sia giustificato attraverso un futuro o che il passato sia giustificato attraverso un presente" e che "il divenire deve apparire giustificato in ogni attimo" e quindi non valutabile. Il divenire è tutto e solo nell'attimo, l'attimo lo giustifica e gli rende piena giustizia e nell'attimo che si presenta, ci sono passato e futuro, senza attraversamenti. Ma questo dire già apre all'eterno ritorno dell'identico, che non è un postulato a priori che a un certo punto Nietzsche si inventa senza motivo. L'eterno ritorno è già qui, dentro una visione del divenire giustificato solo da ogni attimo in quanto tale e in cui solo può rendersi possibile la volontà di potenza, intesa come forza vitale assolutamente primaria che è tutta nell'attimo, per cui un Dio immaginato fuori dall'attimo diventa inutile e resta solo la possibilità dell'Ubermensch che aderisce in tutto e per tutto all'attimo, dice sì all'attimo, ossia il suo dire si conforma alla volontà che è la vita stessa, è la vita che finalmente dice sì a se stessa. Solo così tutto il disegno filosoficamente torna ed è un disegno filosofico che certamente conclude la metafisica classica, ma è metafisico e come potrebbe non esserlo. Se non lo fosse sarebbe del tutto irrilevante rispetto alla metafisica classica e non la sua conclusione.
Per questo, si dice, "è necessario negare una coscienza totale del Divenire", che sarebbe possibile solo essendo fuori dall'attimo. Se questa coscienza totale del Divenire va negata, è impossibile dire se il Divenire diviene o no, da quale luogo potremo mai dirlo, ci siamo dentro, ci si vuole aderire, è necessario perché questa volontà che è la stessa volontà della vita si realizzi in noi, nelle nostre vite particolari e ritratte nelle loro nicchie. Questa volontà nega l'Essere come la zoè nega la morte, l'ha dentro di sé come suo momento, non la vede come morte, non c'è morte nella vita primordiale. L'Essere è il Divenire stesso come la morte è la zoè stessa che sempre si rinnova. Essere e Divenire sono a questo punto la stessa cosa. E certo che a volerli separare per mettere l'Essere fuori dal Divenire, considerare la cosa come è in sé, si ottiene solo la denigrazione del mondo. E questo pensiero è di una portata deflagrante enorme, perché mette in crisi tutto il pensiero dell'Occidente, dalla religione, alla filosofia, alla scienza, ma è un pensiero che non viene da fuori, ma dalla stessa religione, filosofia e scienza dell'Occidente, le porta al culmine, torna all'origine e da si ricomincia daccapo.

Si noti il paradossale
"non è possibile ammettere in generale nessun essere, - poiché in tal modo il divenire perde il proprio valore e appare persino superfluo"
e alla terza conclusione:
"Il divenire ha in ogni momento lo stesso valore: la somma del suo valore rimane uguale a sé: in altri termini: esso non ha nessun valore, perché non c' è qualcosa con cui misurarlo, e in rapporto a cui la parola valore avrebbe senso."

Come fa l'Essere a sottrarre valore al divenire se il Divenire non ha valore non presentando alcuna unità di misura? E' chiaro che il valore non può essere sottratto, non c'è. Dunque è solo l'Essere, preso in sé, a stabilire in negativo il valore del Divenire, è qui la sottrazione, nel pensare Essere e Divenire a sé stanti, nel concettualizzarli secondo contrapposizione, per cui da una parte si accumula il valore, dall'altra il disvalore e l'Essere con il suo valore diventa unità di misura in base alla quale vale ciò che nel divenire resta, è il resto che vale e più resta nel tempo più vale, mentre ciò che passa (quindi muore, si annulla) non vale: il tempo si fa unità di misura, Essere è tempo, dirà Heidegger. E non è forse questo il modo con cui l'Occidente ha sempre pensato e che Nietzsche manda in crisi insieme con Heidegger che si chiederà come poter ancora pensare? Ma non è il modo di pensare per chi aderisce alla pura esistenza, sempre ammesso che aderendo alla pura esistenza sia ancora possibile pensare e pensarsi.
Ma Nietzsche qui sta pensando, non è ancora nella catatonia dell'ultimo suo decennio di vita, e in modo del tutto metafisico, pur portando in crisi la metafisica. Non c'è l'Ubermensch, lui usa solo parole per chiamarlo alla presenza (e non è certo una chiamata priva di conseguenze), senza pur tuttavia renderlo presente. Poiché l'apparire dell'Ubermensch coincide con la fine dell'uomo e quindi anche necessariamente di ogni memoria, discoro e pensiero dell'uomo. Con l'Oltreuomo, l'uomo è una favola già dimenticata. Qui ci sono solo gli ultimi uomini con i loro ultimi vani discorsi, anche se carichi di tanta scienza e conoscenza.
#232
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
01 Maggio 2017, 19:55:02 PM
Citazione di: sgiombo il 29 Aprile 2017, 12:13:08 PM
Chiunque, anche un abitante della Papuasia ha il diritto dire ciò che vuole, ovviamente.
Ma ciò non toglie che le sue conoscenze del mondo materiale naturale (se sono quelle tradizionali della sua cultura e non della scienza moderna, cosa peraltro ben possibile e di fatto reale almeno per parte di loro) presentano solo minimi semplicissimi elementi di conoscenza vera e molte "scorie" false, al contrario di quelle della scienza moderna.
L' imperialismo occidentale e i suoi orrendi crimini non scalfiscono minimamente questa verità (ma fanno ben altri danni!).
Penso invece che le conoscenze della sua cultura siano perfettamente adeguate alla vita che vive variando in rapporto a questa (altrimenti gli abitanti della Papuasia verrebbero a estinguersi)- Il problema è quando una cultura con il significato che essa traduce del mondo in cui si vive, si scontra con un'altra. Allora la più potente può sterminare la prima. Ma "più potente" non significa più vera, la potenza non è un fatto di verità. Accade come quando si introduce un bacillo nuovo in una popolazione che non ne ha le difese immunitarie, solo che in questo caso si verifica uno sterminio culturale che porta a uno sterminio biologico.
La nostra razionalità è tale solo in relazione al nostro modo di vivere nel mondo, non è assoluta.


CitazioneDissento: l' uomo (le prime specie del genere "homo"; ed eventualmente qualche "precursore di" altri generi di scimmie antropomorfe) si è evoluto da specie precedenti come evento naturale, senza alcuna cultura "innata"; ed ha sviluppato (epigeneticamente, come comportamento acquisito -"ha inventato"- e non geneticamente, come istinto comportamentale innato) la cultura (le culture); è nato con "la capacità potenziale" di fare cultura", non "dotato di cultura in atto".
La cultura delle specie del genere "homo" (ed eventualmente e alquanto limitatamente di qualche specie di scimmia antropomorfa "precorritrice" delle specie "homo") é nata ben diversamente dai comportamenti delle atre specie (come il volo degli uccelli e il nuoto dei pesci): proprio in questo passaggio da un comportamento istintivo stereotipato e uniforme a un comportamento creativo, variabile al variare delle circostanze, sta il "salto di qualità" (un "superamento dialettico" e non una "negazione assoluta") dalla natura alla cultura.
Sì, ma questo non spiega per nulla come è avvenuto questo passaggio da un comportamento istintivo a uno creativo. Come da una pre-scimmia si arrivi all'uomo. Non credo comunque lo si possa spiegare. Io ti ho presentato un'ipotesi che sta nell'acquisizione della posizione eretta (ipotesi che rientra in un ambito di interpretazione scientifica attuale), ma anche questa resta solo un'ipotesi a cui si può credere o meno, come a una favola. 

CitazioneTi faccio notare che vivono (realmente) anche gli altri animali che non hanno cultura e pensiero simbolico: essere reale (anche il nostro, di uomini dotati di pensiero simbolico e cultura) =/= significare!.
Certo che vivono e probabilmente meglio di noi! Il significare è una complicazione per vivere. I batteri sono le forme di vita di gran lunga più diffuse e di più lunga esistenza. Non credo che pensino al significato del mondo, ma ci possono far pensare che forse l'evoluzione andrebbe letta alla rovescia.

CitazioneConstatare significa semplicemente osservare empiricamente.
Questo è il metodi di valutazione (falsificazione o conferma) del senso comune e, a un livello molto più sofisticato e sottoposto a critica razionale, delle scienze.
E' vero: "constatare significa osservare empiricamente" (ho sottolineato la parola chiave). Ma osservare empiricamente cosa significa? Se per te significa vedere le cose come sono non sono d'accordo, questo non è possibile. Quanto alla critica razionale delle scienze, va benissimo, ma non per questo la si può intendere come un procedimento che purifichi nel nome della verità in sé il materiale grezzo dell'osservazione.


CitazioneMa non vorrai mica equiparare il "funzionamento" (e dunque la ragionevolezza e la verità teorica) delle medicine empiriche primitive con quello della medicina scientifica ? ! ? ! ? !
Certo che no, vivo nel mondo in cui vivo e vivendoci partecipo della sua ragionevolezza. Non saprei né potrei vivere in un mondo diverso da questo, nemmeno se fosse quello dei miei nonni o trisnonni, non vivo nella foresta amazzonica e se dovessi andarci a vivere dovrei portare con me molte cose del mio mondo per sopravvivere, prendere un pezzettino della foresta e trasformarla in un pezzetto del mio mondo, con le mie medicine, i miei strumenti e via dicendo. Noi siamo i prodotti di contesti e in ragione i questi esistiamo.

CitazioneLa nostra cultura è diventata un fattore potenzialmente (e probabilmente di fatto; anche se l' ottimismo della volontà mi fa sperare che così non sia) distruttivo anche per se stessa non affatto per le verità scientifiche di cui dispone, bensì per l' irrazionalità estrinseca degli assetti sociali capitalistici che condizionano gli impieghi tecnici – pratici distruttivi delle conoscenze scientifiche.
La nostra cultura scientifica non è assisa su un trono separato dalla nostra cultura, dal nostro modo di vivere e di intendere l'esistenza. Modo di intendere che include pure il capitalismo e la necessità di correggerlo, dato che così non funziona, ma non si può credere che la scienza sia separata e a sé stante dal capitalismo, anche il capitalismo ha contribuito a svilupparla proprio nei modi di pensare scientificamente, che infatti sono fondamentalmente quantitativi e relazionali in termini economici che si pretendono oggettivi  in quanto esattamente misurabili e valutabili secondo unità di misura.

CitazioneMai scritto che L'individuo normalmente sano di mente è [solo e unicamente] quello che crede nella scienza, ma invece che la scienza ammette di indimostrabile unicamente quello che inevitabilmente ogni individuo comunemente ritenuto sano di mente (tutti) per lo meno si comporta come se ci credesse.
Eh, ma quello che la scienza ha per indimostrabile è il fondamento della scienza stessa (che non è l'osservazione empirica, ma l'osservazione empirica scientificamente considerata e rielaborata, falsificazione compresa). Questo ovviamente non implica non credere nella scienza, è del tutto opportuno credere nei suoi dettami, anche se su molti aspetti si presentano contraddittori, nell'ambito degli stessi specialisti ognuno dei quali si crede il portatore della vera unica scienza oggettiva. Ma questo, come sempre e fin dall'epoca dei miti, è umano, troppo umano.

#233
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
01 Maggio 2017, 18:50:55 PM
Citazione di: sgiombo il 29 Aprile 2017, 12:07:00 PM
Non significa nulla il tavolo, contrariamente alla scritta (su un cartello appostovi dal falegname dopo averlo verniciato) "vernice fresca" e alla proposizione "questo è un tavolo ben fatto".[/font][/size][/color]
E' appunto questo che non capisco. Il tavolo ha un significato, proprio come il cartello e la proposizione. Noi vediamo e intendiamo dei significati. Cos'altro mai? Anche ciò di cui si dice che non significa nulla significa.


CitazioneCos' è questo se non proprio per l' appunto confondere le parole che costituiscono la conoscenza della vita (la quale accade indipendentemente dalle parole con le quali -eventualmente- la si consce) con il fatto della vita?
Non confondo proprio nulla: il significato de "il fatto della vita" non è il fatto della vita, anche se è ancora un fatto della vita che non accade arbitrariamente. Il pensare qualcosa, pur non essendo quel qualcosa, non se ne sta per conto suo, staccato da ciò che si presenta, che appunto si presenta chiedendo di essere vissuto secondo significato, dunque chiede un segno, un nome che lo chiami e lo richiami facendone segno. Non certo chiede di essere quello che è, lo è sempre quello che è, ma cosa è, ossia il significato per dire la cosa.
Questo nome non ce lo suggerisce Dio, ma il nostro modo di vivere, di fare, di vedere e di conoscere nel mondo in cui siamo che è il risultato di una lunga storia di conoscenza sempre in marcia, con noi dentro. E in questa marcia appaiono miti, arti, filosofie e scienze che danno luogo a sempre diversi modi di significare, ossia di fare segno delle cose. Noi non scegliamo proprio nulla, viviamo tutto questo nei nostri modi di pensare, di parlarci l'un l'altro, di progettare e costruire.
La scienza non è affatto un modo privilegiato per conoscere (dire e nominare) il mondo per come è, proprio perché è parte del mondo e quindi ne partecipa insieme alle altre parti e dunque, essendone parte, ne ha una visione parziale, appropriata entro un contorno definito, che non è il contorno del mondo intero. In questa parte il mondo descritto dalla scienza i discorsi scientifici indicano in modo appropriato, ma pur tuttavia richiamano altri modi di dire e di pensare dai quali potranno svilupparsi nuove scienze, nuove arti, persino nuovi miti. Tutti i confini sono permeabili e ciò che oggi significa "un sistema sano di mente", ossia un sistema di riferimento realistico, era follia ieri e sarà follia domani, se non se ne vedrà la contiguità.
Le osservazioni empiriche non sono separate dal contesto di significato in cui si fanno, non c'è nessuna osservazione né falsificazione empirica che non partecipi di un contesto di prassi e modi di intendere (comprendenti miti, superstizioni ecc.) che la rendono possibile. La "falsificazione plateale" è plateale solo rispetto a una platea di contesto e non certo in assoluto. E le platee cambiano continuamente, sono le stesse osservazioni con le loro conseguenze a farle cambiare.

CitazioneLo scetticismo, essendo sospensione del giudizio, non è e non può essere autocontraddittorio (per un' impossibilità logica).
Ma lo scetticismo non è sospensione del giudizio, al contrario giudica che nulla è vero, giudica tutto falso e dire che nulla è vero è un'autocontraddizione.
Nei miti c'è il fondamento dei nostri modi di dare significato alle cose, compresa la nostra scientificità attuale. Il motivo per cui non è oggi opportuno andare dallo stregone per farsi curare è che il mondo in cui viviamo non ci restituisce il significato di "cura" in quello che lui fa, non può in linea di massima restituircelo. E poiché questo mondo è quello in cui viviamo è opportuno attenersi ai significati da esso istituiti per viverci, sapendo bene comunque che non sono assoluti.
CitazioneLa filosofia è altra cosa (per me personalmente più interessante), con altri intenti.
Cos'è per te la filosofia e che intenti ha?

CitazioneConcordo che la conoscenza scientifica è relativa e limitata (per esempio c' era qualche elemento di conoscenza vera anche nella teoria tolemaica, come ce n' è nella cosmologia copernicana, e questo sarebbe vero anche se in futuro venisse superata da teorie -ancora-  più vere); questo l' ho imparato da Lenin (Materialismo ed empiriocriticismo).
Non ci saranno teorie più vere in futuro, ci saranno teorie diverse, ma che trarranno i loro nuovi significati dai nostri spostando le visuali di senso, proprio come noi abbiamo tratto le nostre dalle conoscenze del nostro passato. E tutto questo non sarà a nostro arbitrio, perché le panoramiche cambiano in continuazione, mentre si conosce e nessuna panoramica del tutto è possibile, ne siamo parte.
#234
Caro Garbino, permettimi un paio di annotazioni critiche.
Penso che se si afferma che tutto è divenire (come dice Lou, se si afferma una totale immanenza diveniente) non si esca dalla metafisica, ma si faccia un'affermazione squisitamente metafisica. Questa fisica poi che si pone in luogo della metafisica bisognerebbe chiarire come vada pensata: l'esperienza fenomenologica nel suo darsi immediato? La fisica come si presenta nel linguaggio scientifico che evolve dal discorso aristotelico conservandone le fondamenta logico razionali per poter dire l'uno nei suoi molti modi? La vita espressa in termini basici, come zoè o volontà di potenza sentita come la più pura manifestazione vitale? Con il Divenire stesso?
In altre parole cos'è la fisica? Ed è chiaro che per dirlo non si potrà fare che un discorso metafisico, che riproporrà l'eterna domanda siniana: ma tu dove ti poni per fare questo discorso?
Se poi diciamo che tutto è Divenire, è chiaro che il Divenire è e come tale partecipa in modo fondamentale dell'Essere e qui mi sembra che l'osservazione di Lou sia corretta: il divenire non diviene, ma è; anzi si intende affermare che è ciò che sempre e sommamente è.
Mi ha colpito comunque che Nietzsche veda l'Essere come un contenitore vuoto. E' la stessa considerazione che fa Severino riguardo all'Essere parmenideo che non si distingue in nulla dal nulla. Severino infatti non è il filosofo dell'Essere e non dice che l'Essere esce dal nulla e torna al nulla, ma è il filosofo dell'Ente, o, sarebbe meglio dire degli Enti, ognuno dei quali si basa su un principio di identità assoluta. Sono gli enti che paiono entrare e uscire dal nulla. Ma qui rischierei di andare troppo fuori tema. Occupiamoci di Nietzsche, dei suoi concetti cardine (che io sento comunque metafisici) della Volontà di Potenza, dell'Ubermensch e dell'Eterno Ritorno, non lo si può ridurre la sua filosofia a una pura polemica anti religiosa. D'altra parte se "Un Dio che non vuole nulla è inutile", la sua inutilità non basta certo per liberarcene, anzi (e forse proprio per questo gli occorre poi aggiungere "per fortuna una tale potenza totalizzante non c'è")
#235
Citazione di: green demetr il 29 Aprile 2017, 07:24:21 AM
Vado di fretta, solo un appunto (l'intervista a Volpi l'avrò vista un centinaio di volte, tanto è geniale): il titolo del video di Fusaro è che "l'essere dell'ente non è un ente."

E invece tu scrivevi il contrario (era questo che non mi tornava)

cit maral
"Heidegger pensa inoltre che anche l'essere dell'ente è un ente."

Suppongo sia stato un refuso.
Sì, scusa era un refuso di cui non mi ero accorto.
Mi sembra comunque evidente che Heidegger imputa alla filosofia greca, cominciando proprio da Platone, il peccato originale di avere preso a considerare l'essere come ente. Poi ovviamente su questa lettura di Platone da parte di H. si può essere o meno d'accordo, lo stesso Volpi nell'intervista si mostra critico in merito.
#236
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
29 Aprile 2017, 00:38:10 AM
Citazione di: sgiombo il 27 Aprile 2017, 16:46:23 PM
Quel falegname sapeva bene ciò che faceva; e ciò che faceva (il tavolo), contrariamente ad esempio alla scritta "vernice fresca" che ha apposto al tavolo dopo averlo verniciato o la sua probabile frase "questo è un tavolo ben fatto" (che è tutt' altro che il tavolo stesso!), non significava proprio nulla.
Non l'ho capita: cos'è che non significa nulla?
CitazioneNon ogni cosa, ma casomai il pensiero, la conoscenza (verbale) di ogni cosa richiede parole (delle quali le cose stesse sono i rispettivi significati, nel senso di denotazioni, e non viceversa), e tu continui proprio imperterrito a confondere questi due ben diversi casi.
Mi fai disperare Sgiombo  ;): come fai a sostenere che la conoscenza della cosa la confondo con la cosa, quando non ho fatto altro che dire il perfetto contrario? Quello che sostengo e mi pare evidentissimo è che ogni cosa nell'uomo richiede parole per conoscerla, dunque parola e cosa sono sempre legate, altrimenti come faccio a dire cos'è, ove il dire cos'è si richiede con il manifestarsi stesso della cosa. Ma nessuna parola può dire la cosa come davvero è, solo la indica proprio come se alzo un dito e indico la luna. La parola e tutte le scienze che non sono che discorsi sono come quel dito che indica la luna e tali restano. La parola che sentiamo di usare però non siamo noi a sceglierla, come potremmo mai? Sono le parole che ci parlano da dentro e accompagnano la cosa nel suo apparire (proprio come il bambino comincia a balbettare in un certo modo vedendo sua madre), pur non essendo mai la cosa stessa.
E per il linguaggio scientifico vale il medesimo, perché anch'esso si basa sul senso del linguaggio comune. Le verifiche che la scienza dispone per comprovare l'oggettività di un suo dire, sono regole in base alle quali si prestabilisce cosa va considerato o meno, come per dire cose scientificamente ci si deve porre di fronte ai fenomeni di modo che ci sia un senso scientifico che però non è l'unico senso possibile e non ha primati assoluti sulla realtà. In laboratorio io non mi avvicino per niente di più all'essenza delle cose che verifico, ma semplicemente seguo un modo di fare codificato precisamente secondo procedura scritta (a fronte di infiniti altri modi di considerare le cose). La verifica è sempre relativa al contesto in cui mi pongo per verificare, alle regole che adotto, agli strumenti che ho a disposizione, ai significati che con quegli strumenti e con le conoscenze che ho mi appaiono. Si è sempre solo nell'ambito dei discorsi e non delle cose in sé, della realtà. E=mc(2) è un discorso, è il segno di una mappa, non la realtà.


CitazionePosto che lo scetticismo non è razionalmente superabile e allora se si vuole essere razionalisti del tutto conseguenti bisogna limitarsi a dubitare di tutto, sospendere il giudizio su tutto (anche sulla non superabilità dello scetticismo, e allora la discussione è "morta lì"; se invece si assume un minimo di credenze indimostrabili proprie del cosiddetto "senso comune" e tali che chiunque è correntemente considerato sano di mente per lo meno agisce come se vi credesse, allora è falso che qualsiasi credenza su qualsiasi cosa è vera.
Non occorre essere scettici, non si può essere scettici, è un'altra forma di assolutismo essere sempre scettici e quindi è una contraddizione. Basta ammettere che non c'è mai una identità tra quello che diciamo e quello che c'è e quindi siamo costretti ad accontentarci di quello che ci diciamo per poi vedere fin dove riusciamo insieme a condividerlo e trovare una strada comune su cui arrivare insieme senza farci troppo male, perché nessuno conosce la verità, ma ognuno un po', diversamente, la sa vivendola. Non è essere scettici questo, è solo un essere ragionevoli insieme. C'è verità nella scienza, c'è verità nei miti, nelle filosofie, ci sono verità che altri vedono e noi no, verità che si vedevano in passato e ora non più e non perché in passato fossero assolutamente in errore, e verità che si vedranno in futuro e ora no, ma non perché ora siamo assolutamente in errore. Tutti ci si muove sempre a tentoni nella realtà, come ciechi, e i discorsi che ci facciamo sono un po' come i nostri bastoni, i primi bastoni.
CitazioneMolte sono false e per quanto riguarda la conoscenza del solo mondo materiale che ne è oggetto nessun sistema teorico è neanche minimamente paragonabile per quantità di verità affermate (tutti gli altri ne affermano di gran lunga di meno) e per quantità di falsità affermate (tutti gli altri ne affermano di gran lunga di più) alle scienze, grazie alla critica razionale cui si servono di osservazioni empiriche e ipotesi teoriche.
Nella nostra prospettiva teorica, solo nella nostra è così. E ti assicuro che un abitante della Papuasia, del tutto estraneo al nostro sistema teorico, avrebbe del tutto il diritto di dire la stessa cosa con riferimento al suo sistema teorico, nato dalla sua storia e dalla sua cultura e sicuramente più adatto a vivere nel suo ambiente. Il problema è che noi andiamo là, trasformiamo sempre il suo ambiente di riferimento in cui il suo sistema era valido, mentre ovviamente ora non lo è più e prendiamo questo a dimostrazione che il nostro è più valido del suo.
"L'effetto placebo" è anch'esso una definizione che nasce nel nostro modo di pensare, è una parola nostra. Vai a raccontare a uno stregone che lui pratica l'effetto placebo... penserà che vaneggi e sei matto. Ma è così difficile rendersi conto che ognuno vede le cose non per come sono, ma per come il contesto culturale glielo consente? e che questo vale per tutti, noi compresi? Che non abbiamo inventato proprio nulla di così super oggettivo rispetto a tutti gli altri? Non riusciremo mai a liberarci di questa maledetta presunzione che ha fatto e continua a fare catastrofi ovunque, illudendoci di fare tutto al meglio, ossia proprio come la pensiamo noi, così evoluti?

CitazioneSe così fosse non si spiegherebbe come sia nata naturalmente (cioè in un mondo naturale nel quale prima non c' era) la cultura umana: poiché per lo meno prima della comparsa dei primati (a voler essere molto prudenti in proposito) non esisteva cultura, come potrebbe essere sorta? Forse perché Dio avrebbe insegnato agli uomini le prime verità, i primi elementi di cultura, le prime conoscenze vere ("pensieri veri") di cui non potevano essere rispettivamente "gli autori" e "i fondatori" per lo meno quanto non potremmo esserli noi dei nostri?
La cultura umana c'è da quando è comparso l'uomo, perché l'uomo non esiste senza una cultura di riferimento. Gli ominidi che scheggiavano la pietra, quasi un milione di anni fa, già avevano un forma di cultura. E' come se mi chiedessi come si spiega che gli uccelli hanno cominciato a volare e i pesci a nuotare?
Un'ipotesi che vale quello che vale ed è sempre in termini relativi (relativi a noi che la pensiamo così) è che la cosa sia collegata con l'assunzione della posizione eretta da parte di alcuni primati usciti nella Savana. La posizione eretta ha liberato gli arti anteriori con i quali si è potuto cominciare a fare e rappresentare delle cose. Ha liberato la bocca dalla sua funzione prensile e con la bocca libera si è potuto cominciare a parlare. Nessun animale si prende cura dei morti con riti funerari, al massimo li custodisce, nessun animale conserva degli attrezzi per un futuro utilizzo, nessun animale si riveste delle pelli di altri animali o si decora e si manipola il proprio corpo, nessun animale prima di andare a caccia scende in fondo a una caverna buia e comincia a pitturare gli animali che andrà a cacciare, nessun animale alza le braccia e prega e nessun animale parla e propriamente danza. E tutto questo è solo in virtù del significare per noi del mondo ed è solo nel significare che viviamo.

CitazioneNon confondiamo valutazione di fatti constatati con valutazione di giustezza o doverosità di azioni!
Come diavolo fai la valutazione dei "fatti constatati" se non hai un metodo di valutazione che stabilisca come procedere, rispetto a cosa valutarli e un metro di misura? E quale metodo valuta il metodo di valutazione dei fatti constatati? E quale constatazione li dichiara constatati?
Ogni sistema di conoscenza, funzionando, dimostra la sua ragionevolezza.

Il minimo comune denominatore richiesto dal senso comune, c'è nella misura in cui il senso comune di una certa cultura sociale funziona nel contesto in cui si esprime, quando non funziona quella cultura e quella società inevitabilmente si disintegra. La nostra cultura è stato un fattore disintegrante per molte altre, ormai lo è diventata anche per se stessa.
La sanità mentale la si misura nella misura in cui un individuo non si disintegra psicologicamente, una società non si disintegra culturalmente. L'individuo normalmente sano di mente non è quello che crede nella scienza piuttosto che nei racconti dei miti, ma è quello che vive in consonanza con il contesto culturale in cui si trova, ove il contesto culturale non sia a sua volta in disintegrazione. Quando questo accade, l'individuo, salve rare eccezioni, non ha speranza, muore mentre muore la sua cultura.
Non è folle ritenere i pipistrelli degli dei: l'uomo ha visto Dei in tantissimi animali, gli animali sono state le sue prime divinità e fin qui è sopravvissuto moltiplicandosi a dismisura e producendo arte, scienza,  tecnologie e filosofie. Forse il problema della sanità mentale non è mai stato vedere un Dio in un pipistrello ... o forse sì e in qualche modo siamo sempre alla ricerca di quel pipistrello.

#237
Citazione di: green demetr il 28 Aprile 2017, 13:50:33 PM
Mi giunge nuova, hai dei riferimenti generici o precisi (meglio)?

https://www.youtube.com/watch?v=3iNLRqoPXtE
https://www.youtube.com/watch?v=NGi-Wvc2g5E
Aggiungo anche questa intervista a Volpi (uno dei maggiori studiosi e traduttori di Heidegger)
https://www.youtube.com/watch?v=GKw5n5Fa5kE
Molto interessante soprattutto per quello che riguarda il ruolo che Heidegger affibbia a Platone come iniziatore della metafisica e quindi della decadenza del pensiero dell'Occidente che culminerà con la tecnica a causa dell'oblio dell'Essere nell'ente.
Suggerisco sia a te che a Garbino (per meglio chiarire i suoi dubbi, senz'altro meglio di quanto potrei fare io), di visionare anche le parti nel video relative alla posizione di Heidegger relativamente ad Aristotele, ai presocratici (ove H. ravvisa una sorta di unione che sottende il pensiero di Eraclito e quello di Parmenide intesi come due aspetti del manifestarsi dell'Essere) e a "la storia della metafisica" che per Heidegger esprime la preistoria della tecnica moderna.
#238
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
28 Aprile 2017, 15:13:50 PM
Citazione di: green demetr il 27 Aprile 2017, 05:33:33 AM


Ovviamente il discorso leopardiano è un discorso poetico, allegorico.
Non è un discorso episitemico.
Forse non è epistemico, ma di si sicuro è ontologico. Non sottovaluterei Leopardi come filosofo. Come sai Severino lo considera come uno dei maggiori protagonisti del panorama filosofico dell'800-900 (gli altri due sono Nietzsche e Gentile, ma considera Leopardi su una posizione ancora più radicale di Nietzsche).

CitazioneSì e no. Sì perchè ovviamente anche per me il percorso individuale che seguiamo è un percorso immanente, e dentro ai suoi costrutti mentali. No perchè la danza come la chiami tu, è tutt'altro che una danza...(sì lo so che è una citazione di Nietzche)
E'invece il dramma dello scontro individuo-stato.
Bè, non trovo che lotta e danza siano così discoste. Nella danza ci metterei anche lo scontro, compreso quello tra individuo e stato da leggersi a mio avviso nel rapporto tra vita e conoscenza nella dimensione individuale soggettiva e in quella pubblica oggettiva.
La dimensione dell' "stare a vedere", come si sa, venne espressa da Hegel come la più filosoficamente pertinente. Non so in realtà fino a che punto Sini sia effettivamente d'accordo (partecipando ai suoi incontri lo ho trovato sempre più interessato alla dimensione didattico performativa dell'esistenza). Di sicuro comunque la nostra vita non si riduce alla filosofia, dunque, in ogni caso sarebbe assurdo pensare di poter incarnare qualsiasi posizione perfettamente asettica, come se si fosse la filosofia stessa (come diceva Hegel di essere, anche se di sicuro nemmeno lui lo era). Anche perché credo che oggi sia assai difficile dire di preciso in che cosa consista ancora la filosofia, se ancora sia possibile trovare un denominatore comune tra pratiche che la smembrano.  

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#239
Prenditela con Heidegger, Green, è lui che afferma che è proprio la metafisica da Platone in poi che assimila l'Essere all'Ente compromettendo la differenza ontologica che il filosofo tedesco vuole recuperare (anche se Platone distingue tra gli enti, ma sempre enti restano, anche quelli speciali o privilegiati, come direbbe Severino, come le Idee, Idea del Bene compresa). Heidegger pensa inoltre che anche l'essere dell'ente è un ente.
#240
CitazioneContinuo ad avere alcuni problemi con l' ontologia, perciò ti chiederei di spiegarmi cortesemente con la tua proverbiale chiarezza cosa è l' essere e cosa l' ente nella Metafisica classica e la differenza sostanziale con ciò che afferma Heidegger, che troppo spesso parla di ente nel suo insieme. E questo perché anche se penso di averne un' idea concettuale, essa è sicuramente limitata dalla mia interpretazione del mondo, in cui non ne trovo traccia.
Ti ringrazio Garbino per la stima che ritengo immeritata (non sono che un dilettante, per quanto appassionato, della filosofia e solo tento, per quanto mi è possibile, di vederci un po' più chiaro brancolando a tastoni). Quello che posso dirti molto sommariamente, per quello che ricordo, è che nella metafisica classica non mi pare ci sia una distinzione evidente tra Essere ed Ente.  Per Parmenide l'Essere è l'unico ente reale (ingenerato, imperituro, intero nel suo insieme, immobile e senza fine che né era, né sarà, perché è ora insieme tutto quanto, uno, continuo, limitato come una sfera perfetta). Platone vede invece l'Essere come l'ente puramente intellegibile ed eterno (il mondo delle Idee) e lo contrappone agli enti sensibili. Per Aristotele l'Essere è l'essere in potenza dell'ente, privo dei predicati con cui lo si descrive in atto, per il Tomismo l'Essere viene a coincidere con il supremo Ente creatore.
Colui che invece pone la differenza ontologica (la differenza radicale e insopprimibile tra Essere ed Ente) è proprio Heidegger, che accusa la metafisica, a partire da Platone, di aver dimenticato l'Essere per confonderlo con gli enti e in questo oblio della questione dell'Essere il filosofo della Selva Nera legge il motivo del tramonto del pensiero dell'Occidente, come effetto della sua metafisica sempre più dimentica dell'Essere. Per Heidegger (in "Essere e tempo") l'Essere è l'orizzonte nel cui ritrarsi si danno gli enti. L'Esserci (Da-sein) è quell'ente che solo si pone la questione metafisicamente obliata dell'Essere e il Da-sein per Heidegger è l'uomo. E' dunque solo a partire dall'esserci dell'uomo che si può fare chiarezza sull'Essere, quanto di più oscuro, ma anche quanto a noi di più prossimo ed è nella dimensione del tempo del vissuto umano, nel suo esserci per la morte, che andrà cercato l'Essere (progetto che poi, come sappiamo, verrà da Heidegger abbandonato).
Come dici, Heidegger vede in Nietzsche colui che porta al suo compimento la metafisica classica, aprendo le porte al mondo della tecnica. L'Ente, privo della differenza dall'Essere finisce allora con il diventare una pura parvenza diveniente che ripete incessantemente se stessa. E in questo credo ci si possa sentire risuonare il frammento di Anassimandro, quel continuo affiorare e tornare all'indistinto degli enti che l'un l'altro si rendono giustizia reciprocamente annientandosi l'un l'altro, secondo necessità. Questa necessità di annientamento non è altro allora che l'eterno divenire degli enti uscenti dal nulla e rientranti nel nulla.