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Messaggi - Apeiron

#226
In genere anch'io preferisco la saggistica alla narrativa. E credo che se uno è più portato al ragionamento astratto, come è nel mio caso, la saggistica è molto più "naturale" come lettura (personalmente mi piacciono molto anche i dialoghi filosofici, che strettamente parlando non sono né narrativa né saggistica. Mi piacciono perché la forma dialogica permette facilmente di seguire le argomentazioni). 
Nel mio caso, però è anche vero che penso molto anche per immagini (anche se in misura minore rispetto al pensiero "verbale"), mi piace visualizzare i concetti ecc. Però, non riesco spesso a "usare" questa "facoltà" per visualizzare una narrazione per tempi lunghi a meno che la storia non mi appassioni veramente (e in tal caso, avviene che mi immagino percorsi della storia non seguiti dall'autore e, quindi, mi perdo via).

Se è un limite... Beh, dipende. Probabilmente, riuscire a leggere libri di narrativa può aiutare a "leggere" anche le interazioni sociali. Nel mio caso, leggo molto più volentieri le narrative dove posso facilmente immedesimarmi. Faccio molta più fatica a seguire le storie dove non riesco ad immedesimarmi nei vari personaggi. Ed effettivamente nel mio caso, talvolta non riesco a "capire" il punto di vista altrui e quindi, in pratica, finisco per "capire" meglio le persone che un po' mi somigliano... Ovviamente, ciò vale per me. Ad un altro, può semplicemente non piacere la narrativa. Però nel mio caso, effettivamente, c'è una "corrispondenza" con la "vita vissuta"  :)

Lo stesso vale anche per film, serie TV ecc. Se non ci sono personaggi che, in qualche modo, mi somigliano difficilmente riesco a farmi piacere la storia. Anche se, in questo caso, mi è più facile perché non devo costringermi a "visualizzare" la storia.
#227
Riguardo alla relazione "meccanica quantistica"-"materialismo vs idealismo vs dualismo" ecc, secondo me la meccanica quantistica di per sé non porta a nessuna conclusione.

Per esempio, non è nemmeno vero che per tutti i sostenitori dell'interpretazione di Copenaghen, la realtà dipende dalle osservazioni. Ad esempio, Bohr sosteneva altro, si veda questo mio post (e magari la discussione che ne è seguita, dove si spiega che la posizione di Bohr era meno "ontologica" di quanto si pensa. Ad esempio, pensava che noi potevamo indagare la realtà fisica con l'ausilio di "concetti classici" - definiti anche da procedure sperimentali - e che quindi potevamo conoscere il mondo quantistico solo attraverso il "mezzo" degli apparati sperimentali e quindi attraverso i concetti classici.). Ovviamente, ciò non significa che alcuni eminenti fisici non sostengono una cosa del genere. Si veda, Wheeler e Wigner che sostenevano che "la coscienza causa il collasso" del pacchetto d'onda (Wheeler forum la teoria dell'universo partecipatorio, per il quale l'universo dipende dall'esistenza di osservatori coscienti). Oppure si veda cosa dice Andrei Linde, si veda il video in questo link (è in inglese ma si possono attivare i sottotitoli... il video non è nuovissimo, visto che non erano ancora state scoperte le onde gravitazionali). Anche Heinsenberg era di un'ottica più "soggettivistica" di Bohr, per quanto ne so. Su Linde in italiano c'è pochissimo. In inglese, c'è molto di più. Ma in genere su tutta questa questione c'è più in inglese. Ovviamente non c'entra niente questa teoria in cui la coscienza è vista come "rilevante" nella fisica con i proclami pseudo-scientifici che si sentono a riguardo (come ad esempio, che la meccanica quantistica dimostra "la legge di attrazione". Purtroppo, alcuni sfruttano le opinioni di illustri scienziati per i loro fini).

Una precisazione sulla posizione di San Tommaso d'Aquino. Ovviamente, lui era un dualista per quanto riguarda il nostro universo. Noi siamo fatti di materia (il corpo) e di mente (anima, spirito ecc). Ma la materia stessa però è una creazione di Dio, che è mentale. Per Berkeley, invece, la materia non era diversa dalla "materia" che ci appare nei sogni. Ma secondo me, considerando che per Berkeley le cose esistevano anche quando non erano percepite grazie all'esistenza di Dio, le due posizioni non sono così diverse.

Infine, credo che per Berkeley la conoscenza scientifica possa essere vista come una "corretta interpretazione" o, meglio, di un'approssimata descrizione di "ciò che è percepito".

Nel post precedente, non ho ben specificato che Kant non è un realista indiretto perché, per lui, anche le qualità primarie (quantitative) degli oggetti della nostra esperienza non sono indipendenti da tutte le menti. Però visto che le nostre esperienze coscienti hanno una struttura simile, in tutte gli oggetti hanno proprietà quantitative...
#228
Visto che sono stato "invocato", dirò brevemente la "mia" sulla questione. Non sarà una confutazione dell'idealismo o del materialismo, ma voglio dire perché secondo me entrambe sono posizioni "estreme". 

Secondo il materialismo, solo ciò che è materiale "esiste". O più precisamente, nelle versioni meno ingenue, la realtà fondamentale è "materiale". Mentre pensieri, emozioni, "senso dell'io" e così via sono realtà "emergenti", "cose" come le particelle sono invece fondamentali. Questa posizione sembra essere confermata dal "senso comune". Però, a mio giudizio, il materialismo ha serie difficoltà, specialmente dal punto di vista epistemologico. 
Primo: tale "realtà materiale" viene conosciuta tramite la coscienza. In questo senso, come dice @sgiombo, vi è una componente "materiale" nella nostra esperienza cosciente (personalmente, "esperienza cosciente" e "coscienza" sono concetti separati. Coscienza, secondo me, è "ciò che ha cognizione" ma "sono dettagli"...). Dunque, tutta la nostra conoscenza della realtà materiale deriva dall'esperienza sensibile, ovvero da ciò che noi "percepiamo". Però anche le sensazioni materiali non esistono indipendentemente dalla nostra mente. Quindi, il solipsismo è inconfutabile. [tra parentesi, credo che la migliore confutazione del solipsismo avvenga a livello etico, ovvero quando si apprezza l'"altro"...]. Ovviamente, a meno che non vogliamo essere solipsisti questa argomentazione non ha molto senso. Inversamente, però, è piuttosto imbarazzante per il "realismo ingenuo". In fin dei conti, assumendo che noi percepiamo una realtà esterna, a meno che non crediamo che le nostre sensazioni siano la realtà, dobbiamo ammettere che la nostra coscienza può "organizzare" le nostre sensazioni, dandoci una rappresentazione "distorta" (ma magari utile per la nostra sopravvivenza) delle cose. Ergo, il realismo ingenuo si trasforma in un realismo indiretto.
Secondo: Assumendo però il realismo indiretto, abbiamo un secondo problema epistemologico. Se la nostra esperienza è una mera rappresentazione "distorta" della realtà esterna, è chiaro che un'analisi empirica non può che al massimo darci "ipotesi" (inglese: "guesses") circa la "realtà vera". Questa posizione fu, storicamente, accettata da Cartesio, Spinoza e Locke (e in parte da Galileo) - notare che metto anche l'empirista Locke - per i quali però mentre le qualità secondarie (colori, suoni ecc) erano meramente soggettive, le qualità primarie erano, invece, oggettive. Le "substantie" esterne erano caratterizzate dalle loro qualità primarie, che erano quantitative. Ritengo che molti scienziati mantengano anche oggi questa seconda posizione. Il problema, però, è che la distinzione tra qualità primarie e secondarie, pur essendo sensata, non ci dà minimamente la certezza che le "grandezze quantitative" siano veramente indipendenti dalla mente (o, se si accetta l'inter-soggettività, da tutte le menti). Infatti, tali proprietà si "trovano" ancora nell'esperienza cosciente. Ergo, il realista indiretto in realtà, paradossalmente, è o costretto ad accettare un realismo "ingenuo" (le grandezze quantitative sono indipendenti dalle menti) - perdonate la parola ma uso il gergo filosofico (in realtà questo tipo di realismo ingenuo è molto sofisticato) - oppure a relegare la "realtà esterna" (la "cosa in sé") come totalmente inconoscibile (alcune interpretazioni di Kant ritengono che la sua posizione era questa. Ma non c'è consenso, vista l'oscurità dei suoi scritti)
Terzo: Però, se le grandezze quantitative sono indipendenti da tutte le menti e noi le "vediamo" così come sono tramite un'analisi della nostra esperienza cosciente (in fin dei conti la "forza" della scienza è il suo carattere empirico - di per sé la scienza non necessita di alcun dogma metafisico) abbiamo il paradosso per cui diciamo che diciamo di conoscere qualcosa "oltre" la nostra esperienza senza però averne veramente la possibilità. Se accettiamo che "la cosa in sé" come inconoscibile, allora abbiamo altri problemi. In fin dei conti, tale "realtà totalmente inconoscibile" dovrebbe, per così dire, essere "legata" alla nostra coscienza e dovrebbe far insorgere la nostra esperienza. Ergo, allo stesso tempo, non è "totalmente inconoscibile". Tuttavia il vantaggio di questa posizione è che non dice niente su qualcosa "oltre" l'esperienza ma ci dice, invece, che le verità scientifiche sono inter-soggettive perché, in fin dei conti, abbiamo una struttura della mente simile e le nostre "rappresentazioni" sono caratterizzate da simili caratteristiche. L'errore di Kant (stando ad alcune sue interpretazioni, ma non c'è consenso) è stato quello di dire che lo spazio deve essere per forza Euclideo (quindi fu "falsificato" dalla Relatività Generale). Se però accettiamo, che lo spazio è semplicemente "posizioni e distanze" capiamo che esso è veramente una caratteristica a-priori della nostra esperienza (indipendentemente da cosa dice la scienza sullo "spazio fisico", che tra l'altro, qui grosso errore di Kant, non coincide necessariamente con quello "esperienziale". Quello "fisico" in realtà è una grandezza fisica - se consideriamo il "tempo", capiamo meglio. In fin dei conti, pur essendo il "fluire del tempo" una caratteristica a-priori della nostra esperienza, tale "fluire" non è per niente quantitativo.).
Quarto: Ergo, siamo ad un bivio. O tale "materialità" c'è ma non è conoscibile (e quindi, in particolare, la realtà non è necessariamente "materiale" come la intendiamo noi) o tale "materialità" non c'è e ciò che rimane sono solamente le esperienze coscienti dei vari individui. Quindi epistemologicamente, il materialismo, come è comunemente inteso non ha una vera giustificazione epistemologica (uno, ovviamente può "fare spallucce" di ciò).
Quinto: vi è però un altro problema. L'esperienza ci mostra che la materia si comporta in modo "regolare" e, anzi, tale assunzione, corroborata dall'osservazione scientifica ci porta a dire che è effettivamente così. Mentre per l'idealismo non è un problema tale regolarità perché la "realtà è mentale" (potrebbe esserlo, ma, in fin dei conti, l'idealismo trova facilmente la giustificazione dicendo, ad esempio, che il pensiero matematico è, effettivamente, "pensiero"). Più difficile è giustificare che una "materia", completamente diversa ed indipendentemente dalla mente, sia in realtà "regolare" e che abbia proprietà conoscibili da una "coscienza" (nel mio gergo, "coscienza" e "mente" sono "la parte dell'esperienza cosciente che ha cognizione" e quindi non coincidono con essa - la mente/coscienza è fenomenica e non è indipendente dalla realtà fenomenica). Se la materia fosse indipentente dalla coscienza, perché è regolare? Qual è inoltre lo status "ontologico" di queste regolarità se il materialismo è vero? Vi è una ragione perché tali regolarità siano "visibili" nella materia? Il materialismo non riesce a rispondere a ciò.

Dal canto suo, l'idealismo (anche nelle sue versioni più sofisticate) è una presa di posizione non razionalmente giustificata. In fin dei conti, ci dice che, in realtà, che le menti/coscienze sono fondamentali e la materia no. Però, anche tale posizione è indimostrabile, dal punto di vista filosofico. Però, per esempio, riesce a spiegare la "regolarità" dell'esperienza. Per esempio, se si accetta l'esistenza di una Mente Creatrice che ha creato la materialità, allora in tal caso abbiamo che tale materialità è dipendente da tale Mente e magari indipendente da tutte le menti dell'universo (non ho mai capito se Berkeley accettasse questa posizione che, in realtà, è simile o identica a quella di San Tommaso d'Aquino oppure rigettasse l'esistenza stessa della materia. In fin dei conti, se non erro San Tommaso diceva che Dio ha creato e sostiene le cose in ogni momento...). Oppure, se accettiamo quello che certe scuole di pensiero orientale dicono, non c'è mai stato un momento in cui il mondo fosse "privo" di coscienze (sostanziali come nell'Induismo o momentanee come nel Buddhismo. In ambo i casi, non c'è consenso su tale questione. Per esempio, almeno parte della scuola Yogacara buddhista sembra essere stata "idealista" ma non tutto il pensiero Buddhista rigetta la materialità) e quindi possiamo pensare che, in realtà, l'universo stesso sia una sorta di "sogno condiviso".


La mia posizione è una sorta di agnosticismo. Mi sembra quella più razionale. In fin dei conti, sia il materialismo che l'idealismo hanno alcuni problemi ad auto-giustificarsi. Forse la mia posizione è più vicina a quella idealista perché, secondo me, il "quinto punto", quello delle regolarità, difficilmente è giustificato dal materialismo. D'altro canto, la posizione idealistica secondo cui la realtà è una sorta di sogno, pur essendo filosoficamente interessante, non mi convince pienamente.
#229
Sì, scusami @sgiombo. Mi sono espresso male io.

Intendevo dire in entrambi i casi "conoscenza certa parziale". Nel senso che, anche se (per assurdo secondo te) riuscissimo a conoscere che i fenomeni appaiono grazie alla presenza del noumeno (ovvero se riuscissimo ad essere certi che vi è un noumeno) questo non ci darebbe una "conoscenza completa" del noumeno e/o del fenomeno. Ma comunque (secondo me), una conoscenza parziale.

Comunque, trovo molto interessante che siamo d'accordo che solo la conoscenza empirica può dare "conoscenza certa" (a parte per la matematica, la logica ecc ma in quel caso è un altro paio di maniche  ;) ).
#230
Ciao @sgiombo,


CitazioneMa nessuno che non sia affetto da delirio di onniscenza ha mai preteso di avere una conoscenza completa dei fenomeni (a parte il fatto che che non si possa empiricamente sapere se vi è il noumeno o meno non lo devo certo "ammettere", dal momento che é quanto ho sempre sostenuto).

Intendevo dire che una conoscenza completa è "logicamente possibile", non che "pretendo di averla".

CitazioneQualsiasi certezza e qualsiasi conoscenza sul noumeno può aversi unicamente per fede; pretendere di conseguirla per esperienza diretta significa cadere in una platealissima contraddizione (vedi sopra).

Va bene... come dicevo, non tutto ciò che è indipendente dalla nostra coscienza, secondo me, è inconoscibile. Ovvero, credo che il tuo concetto di "noumeno" sia troppo restrittivo. Ma ovviamente "secondo me"  ;)

Però, non penso di portare argomentazioni a mio favore migliori di quelle che ho portato...
#231
@sgiombo,


Citazionel'eventuale conoscenza completa del fenomeno non consentirebbe di stabilire se il fenomeno non "appare" in dipendenza di una realtà indipendente ("noumeno") (fenomenalismo) né il contrario: i fenomeni potrebbero anche apparire (0 essere reali) senza il "supporto" di tale "realtà indipendente (la cui esistenza credo per fede, non perché sia dimostrata né dimostrabile né tantomeno -per definizione- constatabile empiricamente.

Credo che qui ci sia il nostro punto di dissenso. Per me, una completa e certa conoscenza del fenomeno significa sapere con certezza tutte le sue proprietà. Tra queste vi è, secondo me, l'apparire (o meno) in dipendenza dal "noumeno". Ergo, credo che se ammettiamo che possiamo conoscere completamente il fenomeno dobbiamo anche ammettere che è possibile conoscere se esso appare (o meno) in dipendenza dal noumeno. 

Visto che tale "conoscenza certa" del fenomeno implica anche una conoscenza certa (può anche essere parziale ma deve essere certa) del noumeno (in particolare, come minimo, o si constata la sua presenza o la sua assenza) e siccome l'inferenza dall'esperienza, la "fede" e la speculazione non possono dare tale conoscenza, l'unica via è l'esperienza diretta. 

Se non si ammette che empiricamente non si può sapere se vi è il noumeno o meno, allora secondo me non è possibile avere una conoscenza completa del fenomeno.
#232
Citazione di: davintro il 08 Settembre 2018, 17:49:19 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 30 Agosto 2018, 16:23:01 PMA Davintro Ma sì, in linea di massima sono d'accordo; solo che, mi chiedo: è possibile una filosofia "oltre" Kant? E su questa domanda la mia risposta è: no, non è possibile; la sola cosa possibile è una, per così dire, "nota a margine", una specificazione di quanto già intuito da Kant. Chiaramente c'è una evidentissima "frattura epistemologica" fra la Ragion Pura e quella Pratica, ove quest'ultima agisce "come se" la prima avesse fornito a questo agire una solida base teoretica. E se consideriamo quella che Kant chiamava l'"unità originaria dell'appercezione" (cioè l'"io penso"), non possiamo a mio parere che ricavarne la constatazione che quello che chiami "ritorno a Cartesio" della Fenomenologia era già presente in Kant. Mi pare infatti che anche attraverso l'"io penso" kantiano si possa in un certo qual modo ricomporre la frattura fra fenomeno e noumeno (senza che ciò comporti la "produzione idealista" dell'oggetto da parte del soggetto). Quanto tutto questo possa servire ad evitare l'insidia del relativismo non saprei (direi poco...). saluti


Il puro riconoscimento kantiano dell'Io penso come appercezione trascendentale non è a mio avviso sufficiente a colmare il fossato tra fenomeno e noumeno (cioè a superare il rischio dello scetticismo). L'Io penso, inteso come puro atto soggettivo unificatore di tutte le mie rappresentazioni, ancora non legittima l'idea che i contenuti oggettivi delle rappresentazioni siano descrivibili in base a leggi a-priori e necessarie, manca cioè il collegamento intenzionale tra noesi, atti soggettivi di coscienza, e noemi, contenuti oggettivi intenzionati dalle noesi, su cui tanto insiste la fenomenologia. L'io-penso kantiano è una noesi del cui accadere possiamo essere certi, ma che non riesce a implicare la certezza delle attribuzioni di qualità essenziali ai suoi noemi oggettivi, la certezza dell'Io penso resta una certezza di qualcosa di soggettivo, non accompagnata dalla certezza di un sapere oggettivo, anche se fenomenico, perché l'approccio kantiano, probabilmente ancora troppo influenzato dall'empirismo, identifica l'oggettività con la trascendenza del realismo ingenuo, delle cose del mondo esterno nella misura in cui non sono fenomeni, e siccome, giustamente, Kant riconosce che non ha senso pensare ad un'oggettività senza che sia data fenomenicamente a una coscienza (altrimenti come potremmo pensarla?), allora deduce, erroneamente secondo me, che non sia possibile una conoscenza dell'oggettività tout court. Invece la lezione fenomenologica consiste nell'affermare la possibilità di un sapere oggettivo, non nel senso del realismo ingenuo, che separa totalmente le cose dalla coscienza che ne ha esperienza, ma nel senso di un' oggettività intrafenomenica, cioè residuo della certezza della coscienza soggettiva, collegata ad essa tramite la relazione (intenzionalità) noesi-noema: una volta che mi rendo conto che il mio Io cosciente resta come residuo indubitabile dopo la messa fra parentesi della pretesa di esistenza delle cose al di là del mio Io, intuisco che in questo residuo resta non solo l'Io come attività soggettiva (noesi), ma anche i propri contenuti fenomenici oggettivi (noemi), che anche una volta non associati più a cose esistenti nel mondo trascendente, restano comunque come contenuto dei nostri vissuti esperienziali registrati nella coscienza. Anche quando comincio a dubitare che la percezione dell'albero rimandi a un albero reale, perché potrei essere vittima di un'allucinazione, non per questo l'immagine percettiva dell'albero cessa di restare contenuto nella mia coscienza. E una volta appurato questo punto, inizia la trattazione analitica vera e propria, individuare e discernere nel complesso dei contenuti fenomenici, le sfumature che segnano le varie diversità qualitative a cui far corrispondere i differenti ambiti nei quali la realtà è strutturata in tutti i suoi aspetti, riuscendo a sviluppare una "mappa" delle varie dimensioni dell'essere e delle corrispondenti punti di vista soggettivi tramite cui la coscienza attribuisce loro un determinato senso (compresi anche le varie discipline scientifiche) ad esse ordinate, evitando sovrapposizioni, confusioni di approcci ecc. La validità oggettiva della mappa sarebbe garantita dal fatto che le qualità oggettive dei fenomeni da cui l'analisi ha mosso piedi sono necessariamente implicate nella relazione con l'indubitabilità della coscienza soggettiva che le comprende. Credo sia questo a grandi linee il senso della cosiddetta "ontologia regionale" proposta da Husserl, con le "regioni" dell'essere a cui corrispondono le diverse specie di fenomeni oggettivi, qualitativamente distinte nell'analisi, almeno per come penso di aver capito la cosa, con tutti i miei grandi limiti...


Ciao, purtroppo non ho tempo di entrare nel merito della vostra discussione ma credo che il dibattito tra me e @sgiombo iniziato alla pagina 4 del topic "La critica della Scienza è fondata?" vi può interessare (il dibattito riguarda anche la relazione tra fenomeno e noumeno). Più precisamente, tutta la discussione è analoga a questa, ma in particolare (credo) il nostro dibattito.

"Modifica": Ovviamente, anche se la citazione può farlo sembrare, l'invito non riguarda solo @davidintro e @0xdeadbeef ma anche per tutti i partecipanti della discussione (in particolare anche @Socrate78, che ha iniziato la discussione).
#233
@sgiombo,

anche se rimaniamo su due posizioni diverse abbiamo varie convergenze. Inoltre, è stato un vero piacere per me questa discussione  :)

Scrivi:
CitazioneIl fatto che la mia teoria non ammette una verifica, nemmeno in linea di principio, non é per niente un problema: si tratta di filosofia, non di scienza empirica!

Certo! Era solo che:

CitazioneSe ammettiamo che il noumeno sia in qualche modo legato al fenomeno allora, se conoscessimo esattamente la natura del fenomeno (anche senza che sia necessaria l'onniscienza ma solo una limitata comprensione corretta del fenomeno) secondo me non avremmo affatto alcuna conoscenza, nemmeno parziale del noumeno, che é tutt' altra cosa.
Dunque una conoscenza anche parziale del noumeno (se c'è) innanzitutto é impossibile per via empirica per definizione; inoltre, anche ammesso e non concesso, non ci ci permetterebbe affatto di comprendere in pieno il fenomeno.
E parimenti la conoscenza completa del fenomeno non potrebbe assolutamente anche dirci se c' é o non c'è noumeno.

se, ad esempio, diciamo che il fenomeno "appare" (perdona la rindondanza, ma voglio fare il pignolo  ;D ) in dipendenza da una "realtà" indipendente dalla nostra coscienza (noumeno), allora secondo me se fosse possibile una conoscenza completa del fenomeno, tale conoscenza ci darebbe una conoscenza parziale anche del noumeno (visto che tra le varie "proprietà" del fenomeno, vi è quella che appare in dipendenza da una realtà indipendente dalla nostra coscienza). Inoltre, visto che l'inferenza applicata all'esperienza, la "fede" e la speculazione intellettuale non ci danno alcuna conoscenza del noumeno, risulta necessariamente (secondo me) che non è nemmeno conoscere in modo certo totalmente il fenomeno (visto che sapere "che appare in dipendenza dal noumeno" implica che si conosca anche il noumeno)  ;)  A meno che, tale conoscenza non venga in modo empirico. Ma questo ci porta al "paradosso" (?) che il noumeno (se c'è) possa essere conosciuto empiricamente (ammetto che non sono sicurissimo che sia possibile!). Ovviamente, anche la posizione secondo cui non c'è una realtà indipendente (fenomenalismo) è da "verificare" (per avere la certezza che sia vera). E nuovamente, l'unica verifica possibile è data da una conoscenza completa (che in questo caso escluderebbe il "noumeno"). La mia posizione è che una conoscenza completa dei fenomeni sia in linea di principio possibile. Ma è un'assunzione abbastanza arbitraria. E sono dell'idea (e anche qui forse sbaglio) che per quanto detto sopra, tale conoscenza ci potrebbe dare informazioni sul "noumeno" (anche in senso "negativo", ovvero confermando la sua eventuale non-esistenza).

CitazioneIl fatto che la mia teoria non ammette una verifica, nemmeno in linea di principio, non é per niente un problema: si tratta di filosofia, non di scienza empirica!

Secondo me la sua forza sta nel fatto che non si trovano a mio modesto parere soluzioni migliori (per forza ipotetiche) delle questioni dei rapporti cervello-coscienza e dell' intersoggettività delle sensazioni fenomeniche materiali.

Capito! Rispetto la tua teoria  ;)

P.S. Ah, perdona la formattazione orrenda del mio post precedente. L'ho scritto con il telefono e abbastanza frettolosamente  :)

Modifica: ad essere pignoli l'eventuale conoscenza completa del fenomeno non dimostrerebbe, nel caso in cui si stabilisse che il fenomeno non "appare" in dipendenza di una realtà indipendente ("noumeno"), strettamente parlando " la posizione secondo cui non c'è una realtà indipendente (fenomenalismo)" ma solo che i fenomeni appaiono senza il "supporto" di tale "realtà indipendente". Ovviamente, ciò non toglie che ci possa essere una realtà indipendente ma completamente slegata dai fenomeni (e quindi anche dalle coscienze ecc) - ovvero senza alcuna relazione con fenomeni e coscienze ecc.
#234
Ciao sgiombo,


Citazionecercherò di precisare i punti di reciproca divergenza e di criticare il molto in cui dissento il più sinteticamente possibile, evitando il confronto "punto per punto", assai defatigante (per tutti, anche ammesso, in uno slancio di ottimismo forsennato, che a qualcun altro interessi la nostra discussione; mi sembra fra l' altro perfino di aver commesso qualche errore "tecnico" nei miei precedenti interventi, con taglie ripetizioni indebiti che ho rinunciato a correggere per la complicatezza estrema della situazione).


Grazie per il tuo sforzo, l'ho molto gradito ;)



CitazioneCoscienza é sinonimo di esperienza cosciente (e di insieme – successione di fenomeni).

CitazioneMa non di mente, dal momento che l' esperienza cosciente (in generale, considerata in toto) comprende sia i dati di coscienza mentali (la mente: pensieri, ragionamenti, "stati d' animo", desideri, ecc. che per l' appunto esperiamo o avvertiamo "interiormente"), sia quelli materiali (sensazioni visive, uditive, tattili-propriocettive, olfattive, gustative, enterocettive, ecc., che esperiamo, avvertiamo "esteriormente").

Citazione

CitazioneQueste distinzioni lessicali mi sembrano indispensabili per intendersi e non cadere in confusione.

Citazione

Citazione

CitazioneLa mia definizione di materia é "quella parte dell' esperienza fenomenica cosciente che é misurabile e postulabile -e non: dimostrabile né tantomeno constatabile!- essere intersoggettiva" (in sostanza la cartesiana "res extensa", intesa però, a là Berkley e Hume e non a là Kant, e cioè come meramente fenomenica: insieme-successione di "dati di coscienza" -e non: di mente- reale non in sé ma unicamente in quanto tale, se e quando e fintanto che gli insiemi-successioni di sensazioni fenomeniche stessi che integralmente ed esclusivamente la costituiscono realmente accadono)


OK, mi piace la tua definizione di materia. Non sono d'accordo con quelle di mente e coscienza, come ho già spiegato. Ma cercherò di usare le tue definizioni per non fare confusione! Comunque, sono totalmente d'accordo sulla materia, dopo questa precisazione. 



CitazionePer il materialista noumeno e materia coincidono solo perché ipostatizza indebitamente le sensazioni materiali fraintendendole (falsamente) come cose in sé reali indipendentemente dal fatto che le si senta fenomenicamente nell'ambito di un' esperienza cosciente.


OK, concordo.  Penso per un motivo diverso dal tuo, però. 



CitazioneIl solipsismo non é superabile razionalmente (per deduzione analitica a priori né per constatazione empirica sintetica a posteriori), ma solo irrazionalmente, abbracciando una credenza arbitraria, per fede.

Citazione

Citazione

CitazioneIl rapporto causa-effetto può essere utilizzato anche per i fenomeni mentali, limitatamente al fatto che, per esempio, possiamo descrivere l'insorgenza di tali fenomeni come causata da altri (per esempio, siamo arrabbiati a causa di...) solo in senso "lato", approssimativo, non rigoroso, non del tutto appropriato secondo me, dal momento che la non misurabilità dei fenomeni mentali stessi impedisce la formulazione di leggi del divenire espresse da equazioni algebriche attraverso le quali fare calcoli precisi e sicuri sui rapporti di coesistenza-successione causale fra tali eventi (fenomenici coscienti). Dunque questo ci dice che il fenomeno "mentale" rabbia tende vagamente, approssimativamente ad insorgere in determinate condizioni, ma non ci consente di calcolarle con sicurezza.

CitazioneLe proprietà dell'aspetto materiale della nostra esperienza (ovvero dei fenomeni materiali), delle quali solo la scienza a priori (nel senso di "inevitabilmente per definizione", non di "per deduzioni analitiche") ci può parlare (ovvero: la materia) sono solo ed unicamente fenomeni e non cose in sé


Sono sostanzialmente d'accordo. 

Citazione
CitazioneIl noumeno (se c'é) é per definizione integralmente indipendente dalla nostra coscienza: che vediamo l' albero o meno, la cosa in sé tale che allorché essa stessa -in qualità di "oggetto di sensazione cosciente"- é in determinati rapporti "estrinseci" con un' altra cosa in se "soggetto di sensazioni coscienti" in quest' ultima avvengono determinati eventi che corrispondono alla visione dell' albero nell' ambito dell' esperienza fenomenica cosciente che le corrisponde o "le é propria", é comunque reale (indipendentemente dall' eventuale caso che si trovi ad essere "oggetto di esperienza cosciente" o meno).
CitazioneChiaramente, per un "fenomenalista" siccome non c'è una realtà "dietro" (o meglio: oltre) ai fenomeni, noumeno e fenomeno non coincidono, il secondo essendo reale, il primo no: sarebbe contraddittorio il pretenderlo!
CitazionePer me (e credo per tutti) il fenomenalista non ammette noumeno.


A questo punto, forse nemmeno per me esiste il noumeno per come lo intendi tu. Per me, infatti, l'inconoscibilita del noumeno è problematica visto che noi ipotizziamo il noumeno per spiegare le apparenze. Ma se ammettiamo che il noumeno sia in qualche modo legato al fenomeno allora, se conoscessimo esattamente la natura del fenomeno secondo me avremmo anche una parziale conoscenza del noumeno (se c'è). Nota che non è necessaria l'onniscienza ma una comprensione corretta del fenomeno per arrivare ad una comprensione parziale del noumeno. Il problema della tua teoria è che non ammette una verifica, nemmeno in linea di principio. Abbiamo concordato che l'unica conoscenza certa è data da quella empirica. Quindi una conoscenza anche parziale del noumeno (se c'è) che ci permette di comprendere in pieno il fenomeno è di natura empirica. Ovviamente, la conoscenza completa del fenomeno potrebbe anche dirci che non c'è noumeno. 

Tuttavia, non riesco a capire il motivo per cui una cosa che esiste indipendentemente dalla nostra coscienza non può essere oggetto di conoscenza empirica (seppur parziale). Mi dirai: se lo fosse, sarebbe un fenomeno perché i fenomeni formano la nostra esperienza cosciente... Non mi convince, in realtà. Ma nemmeno con una trasformazione della coscienza? Capisco che per la tua definizione, il noumeno non può essere oggetto di conoscenza empirica. Ma la mia posizione è che dall'indipendenza ontologica non segue necessariamente l'inconoscibilita totale. 

Non sarai d'accordo. Ma forse dobbiamo concordare di dissentire :)
#235
Ovviamente un altro modo per conoscere il noumeno sarebbe ascoltare la testimonianza di chi lo conosce, ovvero per fede. Ovviamente, però, in questo caso si potrebbe affermare che non si ha conoscenza diretta (e ovviamente non si spiega come la mente che ha conoscenza, conosca  ;D) ... Ma la conoscenza per fede, però, non è molto diversa da quella ipotetica (nel caso in cui, l'ipotesi descriva correttamente il noumeno). Ergo, senza conoscenza empirica non capisco come si possa avere conoscenza certa ;) infatti, tutti gli altri metodi ci forniscono solo ipotesi a cui facciamo affidamento (così come la fede non è altro che dare fiducia all'ipotesi che tale mente sia effettivamente a conoscenza del noumeno...). Ma senza conoscenza empirica, non abbiamo conoscenza diretta e quindi rimaniamo nella non-conoscenza ;)
#236
Citazione di: sgiombo il 06 Settembre 2018, 19:23:02 PM
Citazione di: Apeiron il 05 Settembre 2018, 23:11:05 PMSgiombo:
Ma nessuna mente, nemmeno ipotetica, per quanto infallibile e divina, potrebbe vedere il noumeno per il semplice fatto che il noumeno non si vede (né si percepisce coscientemente in alcun altro modo). Al limite un ipotetico Dio onnisciente (ipotesi a mio parere assai cervellotica) potrebbe conoscere,(sapere com' é) il noumeno, mai percepirlo sensibilmente per definizione.La distinzione fra fenomeni e noumeno é ontologica e del tutto indipendente dai nostri limiti mentali, in quanto si tratta di due ordini di enti-eventi tali che l' uno é reale anche se e quando, anche allorché l' altro non lo é (indipendentemente dall' eventuale realtà dell' altro o meno.Ma tu continui a confondere il noumeno con la perfetta conoscenza dei fenomeni.Postulo che ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondono unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre, e non lo ricavo da alcuna osservazione delle caratteristiche dei fenomeni (i quali sono tutt' altro che il noumeno: non ha senso, é autocontradittorio pretendere di parlare di determinate caratteristiche del noumeno basandoti sull'osservazione fenomenica delle stesse").E lo postulo onde spiegare l' intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti mente-cervello.

Mondo fenomenico e realtà-così-come-è non possono coincidere in alcun modo e in alcun senso; non potrebbero nemmeno se conoscessimo illimitatamente, perfettamente i fenomeni, dal momento che il noumeno é altra cosa dai fenomeni, reale anche allorché, se e quando i fenomeni (anche se fossero perfettamente conosciuti senza limite alcuno) non sono reali (e dunque identificarlo con essi sarebbe una plateale contraddizione).

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Ciao sgiombo,

lasciami chiarire la mia obiezione. Se il realismo diretto fosse vero, allora noi percepiremmo direttamente la "realtà-così-come-è" e quindi avremmo una "conoscenza empirica" o "diretta" della "realtà-così-come-è". Ora, tu dici che è una posizione problematica e postuli una "realtà-così-come-è" (che tu chiami anche noumeno) che è inconoscibile dall'esperienza empirica.

Abbiamo inoltre detto che, oltre all'esperienza diretta, anche l'inferenza applicata alla nostra esperienza non può "dimostrare" l'esistenza di tale "realtà". Per quanto diceva Kant (e qui, credo, concordiamo) una teoria puramente intellettuale (ovvero, non basata in alcun modo sull'esperienza) non può "dimostrare" che tale "realtà" ci sia (può fare al massimo un'ipotesi e tale ipotesi magari è giusta. Ma non può "dimostrare" o "verificare" tale ipotesi...).

A questo punto, però, tu assumi la possibilità di una mente che abbia conoscenza del noumeno. Ora, io interpreto la cosa nel senso che tale mente abbia "conoscenza certa" del noumeno e delle sue proprietà. Ora, se abbiamo stabilito che né l'esperienza diretta, né l'inferenza basata sull'esperienza e nemmeno un puro approccio intellettuale possono dare tale conoscenza, come giustifichi che una mente possa avere conoscenza certa del noumeno e delle sue proprietà? 

Secondo me, invece, l'unico modo per tornare i conti è che tale mente possa avere "conoscenza empirica" della "realtà-così-come-è", altrimenti tale mente dovrebbe affidarsi o all'inferenza basata sull'esperienza di un fenomeno supposto diverso dal noumeno o al puro intelletto. Ma abbiamo detto che né l'inferenza né il puro esercizio intellettuale può arrivare a dare una conoscenza certa (e non meramente ipotetica, anche se eventualmente corretta). Vista la difficoltà, ritengo che per tale mente la "realtà-vista-da-tale-mente" coincida con la "realtà-così-come-è". In sostanza, per tale mente deve valere il realismo diretto.

Ciao!
#237
CitazioneApeiron:
Personalmente, concepisco la "corrispondenza biunivoca" in modo differente. Secondo me, invece, la corrispondenza biunivoca semplicemente è da concepirsi a livello soggettivo, ovvero ammettendo la possibilità che un soggetto riesca a capire pienamente la relazione fenomeno-noumeno. Cosa intendo con ciò? Il noumeno è un concetto-limite che introduciamo quando capiamo la natura della realtà fenomenica. Tuttavia non sappiamo se noumeno e realtà fenomenica coincidono (ovvero non sappiamo se è vero il realismo naive, l'idealismo, il solipsismo o quant'altro). Quello che sappiamo, però, è che vi è una relazione tra i due. Quale? il fenomeno è in pratica il noumeno-visto-da-noi. Quindi vi è una corrispondenza tra noumeno e fenomeno. Ed è "biunivoca" nel senso che a causa della nostra struttura mentale noi percepiamo il fenomeno e dobbiamo introdurre il noumeno mentre la mente "infallibile", di cui parlavo, "vede" il noumeno (e sa che nella nostra limitata condizione dobbiamo distinguerli). Però, questo è il massimo che possiamo dire, in realtà. Ergo, tra fenomeno e noumeno in realtà, per così dire, non c'è vera distinzione "ontologica". In realtà è una distinzione creata a causa della limitatezza delle nostre menti. Quindi, in ultima analisi, la distinzione tra fenomeno e noumeno si riconduce alla distinzione tra le nostre menti e quelle eventuali che conoscono la relazione tra fenomeno e noumeno.
Dire "ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondo unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre" è secondo me dire troppo, nel senso che assumi che il noumeno abbia determinate caratteristiche basandoti sull'osservazione fenomenica delle stesse.

Sgiombo:

Il noumeno non é il limite asintotico sempre avvicinabile mai raggiungibile della conoscenza dei fenomeni.Il noumeno (se c' é) é tutt' altra cosa dei fenomeni, é qualcosa di reale anche se e quando, allorché i fenomeni (per quanto perfettamente conosciuti siano, per quanto la loro conoscenza sia assoluta e integrale, oltre ogni limite di ignoranza ipotizzabile) non sono reali.Perciò sappiamo benissimo per logica elementare che noumeno e fenomeni (realtà fenomenica) non coincidono e non possono coincidere: sarebbe mostruosamente contraddittorio il pretenderlo!

Concordo... Ma per me "noumeno" è una congettura. Nel senso: abbiamo i fenomeni. Ci chiediamo. Essi "derivano" da qualcosa di esterno? Se pensiamo di "sì" allora i fenomeni non sono il "noumeno". Altrimenti, se rispondiamo di "no" (come fanno solipsismi e idealisti alla Berkeley) allora fenomeno e noumeno per me coincidono. Ovviamente, in ambo i casi, una volta conosciuto il "noumeno" e la sua relazione col fenomeno, il noumeno non è più una congettura. E quindi è un concetto che non serve più a niente.

Nella tua accezione del termine "noumeno", quanto dici ha perfettamente senso  :)



Citazione Apeiron;
Concordo che vi è una relazione tra i due. Quale? il fenomeno è in pratica il noumeno-visto-da-noi. Quindi vi è una corrispondenza tra noumeno e fenomeno. Ed è "biunivoca" nel senso che a causa della nostra struttura mentale noi percepiamo il fenomeno e dobbiamo introdurre il noumeno.

Sgiombo:
Ma nessuna mente, nemmeno ipotetica, per quanto infallibile e divina, potrebbe vedere il noumeno per il semplice fatto che il noumeno non si vede (né si percepisce coscientemente in alcun altro modo). Al limite un ipotetico Dio onnisciente (ipotesi a mio parere assai cervellotica) potrebbe conoscere,(sapere com' é) il noumeno, mai percepirlo sensibilmente per definizione.La distinzione fra fenomeni e noumeno é ontologica e del tutto indipendente dai nostri limiti mentali, in quanto si tratta di due ordini di enti-eventi tali che l' uno é reale anche se e quando, anche allorché l' altro non lo é (indipendentemente dall' eventuale realtà dell' altro o meno.Ma tu continui a confondere il noumeno con la perfetta conoscenza dei fenomeni.Postulo che ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondono unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre, e non lo ricavo da alcuna osservazione delle caratteristiche dei fenomeni (i quali sono tutt' altro che il noumeno: non ha senso, é autocontradittorio pretendere di parlare di determinate caratteristiche del noumeno basandoti sull'osservazione fenomenica delle stesse").E lo postulo onde spiegare l' intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti mente-cervello.

Mondo fenomenico e realtà-così-come-è non possono coincidere in alcun modo e in alcun senso; non potrebbero nemmeno se conoscessimo illimitatamente, perfettamente i fenomeni, dal momento che il noumeno é altra cosa dai fenomeni, reale anche allorché, se e quando i fenomeni (anche se fossero perfettamente conosciuti senza limite alcuno) non sono reali (e dunque identificarlo con essi sarebbe una plateale contraddizione).


Questo è un punto più complesso, in effetti. Come fa una mente a conoscere il noumeno senza averne percezione diretta? Nel tuo modello, quando apro gli occhi e vedo un albero, vedo sempre l'"albero fenomenico". L'albero noumenico è un oggetto esterno, che non potrò mai veramente conoscere e non potrò mai essere certo che esista.
Ora, se il noumeno non può mai essere "conosciuto empiricamente", come potrà una mente essere certa della sua esistenza? In fin dei conti, l'analisi dell'esperienza cosciente non può portare alla conclusione che tale "realtà esterna" ci sia o meno. Non è possibile nemmeno un approccio "puramente intellettuale", perché esso darebbe solo una teoria (che può essere corretta). Però, per avere conoscenza, si deve anche riuscire a verificare che la teoria è vera.
 Quindi si deve avere conoscenza empirica della - e quindi "osservare" la - realtà-così-come-è. Ciò non implica necessariamente che tale "realtà-così-come-è" non possa esistere in modo indipendente dalla mente che ne ha conoscenza empirica...in fin dei conti il realismo naive assume che la materia (nella tua accezione del termine) coincida con il noumeno (nella tua accezione) e nel caso del realismo naive, i fenomeni materiali sono indipendenti dalla nostra esistenza  :) 



CitazioneSgiombo:
Ma la scienza reale di fatto nega (senza necessariamente rendersene conto) il solipsismo pretendendo (giustamente, secondo me) l' intersoggettività delle sue osservazioni, esperimenti, conoscenze.

Anche in sogno si possono fare verifiche-falsificazioni sperimentali, ma allora non si tratta di scienza (casomai di sogni "scientifici", sogni di scienza").

Sgiombo:
Si, ma non si tratta della scienza di fatto reale.


Ok, anche qui concordiamo.

Rimane un punto controverso. Se c'è una "realtà esterna" di cui non è possibile avere conoscenza empirica, come può esserci certezza della sua esistenza?
#238
Ciao @sgiombo,


CitazioneCiao, Apeiron, purtroppo mi sembra che siamo ben lontani dal comprenderci (...il che, volendo vedere il bicchiere mezzi pieno, é comunque interessante).

più che altro abbiamo anche un lessico diverso. Questo non aiuta, ma potrebbe essere un'occasione utile per entrambi per capire meglio i rispettivi punti di vista  ;)



CitazioneLa coscienza (esperienza cosciente, insieme di apparenze sensibili) é una cosa, la mente un' altra (é solo una parte della coscienza, i fenomeni mentali; l' altra essendo costituita dai fenomeni materiali).
E i colori sono contenuti coscienti (fenomeni, qualia) materiali, non mentali, facenti parte della coscienza: se fossero proprietà di oggetti esterni alla coscienza per definizione non li vedremmo, non sarebbero visti (da noi). Ergo: non sarebbero colori).
Il solipsismo non é razionalmente superabile, ma lo é irrazionalmente, "per fede" arbitraria, ingiustificata, postulando che c' é qualcosa di esterno alla coscienza (e non colorato, non fenomenico, ma in sé, onde non cadere in contraddizione) allorché nella coscienza c' è del colore (ma anche quando non c' é), biunivocamente al colore corrispondente.


Ok... quindi per te la "coscienza" è quella che anche io chiamo "esperienza cosciente". Secondo me, invece, la coscienza equivale alla "consapevolezza", al fattore "cognitivo" dell'esperienza. Inoltre, tu non distingui tra contenuti mentali e mente - su questo in realtà non sono d'accordo perché, in realtà, si può avere cognizione di emozioni, ricordi, concetti ecc - ovvero la cognizione prende come oggetto i contenuti mentali. Ma, per continuare la discussione, direi di provare ad usare il tuo lessico.


Riguardo alla "materia", riprendo il discorso più avanti. Ad ogni modo, concordo pure che il colore esiste come fenomeno. Ma nell'ipotesi della realtà esterna, chiaramente è "legato" ad una proprietà di oggetti esterni. Tuttavia, come anche diceva Ross, non possiamo dare supporto alla nostra inferenza (ma accettarlo per fede). Tuttavia, un idealista "alla Berkeley" direbbe che sia il solipsismo che il "realismo" (credere in una realtà "oggettiva" esterna) sono errati. Questo per dire che l'alternativa al solipsismo non è necessariamente una forma di realismo.  



CitazionePurtroppo mi hai frainteso.
Che noi possiamo in realtà applicare il rapporto di causa-effetto e anche le osservazioni quantitative alle sensazioni l' ho sempre affermato anch' io, ma limitatamente alle sensazioni materiali (di quanto é maggiore il desiderio di onestà della tentazione di rubare 1000 euro? E di quella di tradire un giuramento?); e dunque limitatamente alle sensazioni materiali é possibile rilevare precise leggi universali astratte del divenire esprimibili mediante equazioni algebriche, applicabili per stabilire effetto fra eventi particolari concreti rapporti di causa-effetto in senso rigoroso e non meramente vago e approssimativo.
E infatti righello e linea (tracciata su un foglio) sono sensazioni materiali. E lo sono anche in sogno (per quanto non intersoggettive, "illusorie" in questo caso).
La materia non si assume ma si constata empiricamente (non é la realtà in sé o noumeno, ma é parte della realtà fenomenica); e si constata immediatamente la sua misurabilità (al contrario del caso della parte mentale della realtà fenomenica).
Continui a confondere mente e coscienza: i fenomeni righello e linea non sono contenuti mentali (casomai lo sono i pensieri, predicati, ricordi, immaginazioni, ecc. di righelli e linee) ma invece contenuti di coscienza materiali. E come tali, al contrario di quelli mentali (desiderio di essere onesto, tentazione di rubare o di tradire un giuramnto) non sono mai misurabili (si può stabilire che l' aspirazione dell' onestà é maggiore della tentazione del furto o della menzogna: ma di quanto?!?!?!).
La materia sta nella coscienza (é costituita da fenomeni) e non "dietro" la coscienza: mica é la cosa in sé o noumeno!


Mi spiace di averti frainteso! Ad ogni modo, secondo me la tua definizione di "materia" è eccentrica (non prenderla come una critica ;) , anzi è un'occasione per chiarire anche le mie idee, come dicevo). 

Personalmente, ritengo che il materialismo sia la posizione secondo cui la "realtà ultima" è materiale, nel senso di una realtà indipendente dall'esperienza cosciente. Inoltre, nel mio gergo, la materia oltre ad essere indipendente dalla coscienza, è una realtà che può essere soggetta a mutamento, interazioni ecc. Mi sorprende, dunque, il fatto che tu usi una definizione di "materia" tale da "inglobare" anche fenomeni che altri definirebbero "immateriali", come ad esempio, il caso del righello e della linea nel sogno. Infatti, l'argomento del sogno talvolta è utilizzato per sfidare il materialismo (definito poco fa). L'argomento, in sostanza, è che non possiamo utilizzare la "tangibilità" delle cose nella nostra esperienza per dedurre l'esistenza di "materia". Credo che tu sei d'accordo che usando la mia definizione di materia, per il materialista noumeno e materia coincidono.

Ad ogni modo, usando la tua definizione, concordo che ci sono aspetti materiali e "mentali" nella nostra esperienza. Tuttavia, secondo me, il rapporto causa-effetto può essere utilizzato anche per i fenomeni mentali, limitatamente al fatto che, per esempio, possiamo descrivere l'insorgenza di tali fenomeni come causata da altri (per esempio, siamo arrabbiati a causa di...). Questo ci dice poco sulla "rabbia", ovviamente, ma almeno parzialmente ci dice che il fenomeno "mentale" rabbia insorge in determinate condizioni.
E qui si arriva alla questione che sollevavo: se non possiamo distinguere empiricamente l'esperienza del sogno da quella della veglia in una realtà esterna (ovvero tra una realtà esterna "fittizia" e una "vera"), allora il nostro corpo è (usando il tuo lessico) materiale ma non indipendente dalla nostra esperienza cosciente. Quindi anche se accettiamo il materialismo nella mia definizione (forse tu lo chiami "realismo"), nella nostra esperienza non abbiamo mai percezione diretta della "realtà esterna materiale", ma solo dell'aspetto materiale della nostra esperienza cosciente. Ergo, la scienza a priori ci può parlare solo delle proprietà dell'aspetto materiale della nostra esperienza (ovvero dei fenomeni materiali).


CitazioneInfatti i soggetti di esperienza (e le rispettive esperienze) sono isolati (trascendenti) l' un dall' altro; e il solipsismo non si può dimostrare falso; ma lo si può credere per fede, ammettendo arbitrariamente l' esistenza di altre coscienze oltre la propria immediatamente esperita di altri soggetti oltre a se stessi (e si può anche credere alla corrispondenza intersoggettiva (E non: identità) fra le diverse componenti materiali delle coscienze).
Se si chiamano "oggetti" tanto le cose in sé da noi (dalla nostra esperienza cosciente) separate (noumeno) quanto i contenuti della nostra coscienza (fenomeni) si fa confusione: sono cose ben diverse, non identificantisi.

Ok, va bene  ;) adesso mi è più chiaro!



CitazioneChe significa "mente + contenuti mentali"?
Sono meri sinonimi.
Mentre "coscienza" e "mente" non sono sinonimi per il semplice fatto che la coscienza comprende, oltre a- (i fenomeni costituenti) -la mente, anche (i fenomeni costituenti) -la materia.
La coscienza é (consiste di) sensazioni consapevoli (coscienti), sia mentali che materiali.


Come dicevo, non sono d'accordo sull'identificazione della mente con i contenuti mentali. La mente ha cognizione sia dei contenuti mentali (ricordi, immagini mentali, emozioni, concetti...) che di quelli materiali (corpo, righelli...). 
In pratica, distinguo tra "la consapevolezza" (=mente, e nel mio gergo anche la coscienza) con "l'oggetto della consapevolezza" (che nel mio modello può essere sia materiale che mentale). 

CitazioneNon comprendo il significato di "concetto-limite": per me quello di "noumeno" é puramente e semplicemente un concetto indicante ciò che é reale anche indipendentemente dalle (mere) sensazioni (fenomeni); fra quelle materiali delle quali (per la loro misurabilità) possiamo stabilire relazioni di causa-effetto vere e proprie, nomologiche.

Nel mio gergo, il noumeno è "la realtà ultima". Per me un "fenomenalista" (=esistono solo i fenomeni, la realtà è puramente fenomenica) direbbe che fenomeno e noumeno coincidono. Un "materialista" (nella mia accezione del termine), direbbe che il "noumeno" sono gli "oggetti materiali esterni che esistono indipendentemente dalle coscienze e che sono la causa delle coscienze". Per "realismo" intendo quella posizione per cui il noumeno è, almeno in parte, indipendente dalla nostra coscienza. Chiaramente, per un "fenomenalista" siccome non c'è una realtà "dietro" ai fenomeni, noumeno e fenomeno coincidono. Per te, il fenomenalità non ammette noumeno (non perché non siamo d'accordo, ma perché usiamo la parola "noumeno" in modi diversi).


CitazioneNon comprendo il significato di "concetto-limite": per me quello di "noumeno" é puramente e semplicemente un concetto indicante ciò che é reale anche indipendentemente dalle (mere) sensazioni (fenomeni); fra quelle materiali delle quali (per la loro misurabilità) possiamo stabilire relazioni di causa-effetto vere e proprie, nomologiche.

Provo a darti una spiegazione un po' più chiara di come uso il termine "noumeno". Nessuno può negare che ci sono apparenze. Tuttavia, ci è naturale chiederci se queste apparenze derivino da una realtà esterna o meno. Ora, le apparenze le chiamiamo "fenomeno". Se c'è una realtà esterna, i fenomeni sono una sorta di "rappresentazione" di tale realtà. Si introduce quindi il noumeno, intendendo con questa parola la "realtà ultima". Se è vero il realismo (che può essere anche Platonismo - in fin dei conti le sue Forme sono oggetti reali non sono "materia" e il Platonismo di Platone non è idealistico) o il materialismo (nella mia accezione) allora, il fenomeno non è il noumeno ma una mera rappresentazione del noumeno. Se, invece, è vero il fenomenismo il fenomeno è il noumeno, visto che non c'è una realtà "ultima" dietro ai fenomeni, indipendente da essi.
Chiamo "noumeno" "concetto-limite" perché è di natura provvisoria. 

CitazioneSe diciamo che oggetti esterni (alla coscienza: noumeno) "causano" (in senso lato, improprio, non propriamente nomologico, N.d.R: se si danno gli uni, allora si danno anche le altre = corrispondenza biunivoca fra loro) l' insorgere delle sensazioni fenomeniche non cadiamo nel realismo naive, visto che le "cose esterne" pur non apparendo nella nostra esperienza vengono conosciute come causa (in senso improprio o lato) di essa da noi: cadremmo nel realismo naive se identificassimo le cose esterne alla nostra coscienza (noumeno) con i fenomeni ad essa interni.

Ok, posso concordare che non cadiamo nel realismo naive "classico". Ma se diciamo che l'analisi dei fenomeni materiali della nostra esperienza cosciente ci dà conoscenza della "realtà esterna" ci siamo molto vicini. Questo è vero, ovviamente, se noi avessimo anche la certezza che c'è una realtà esterna e che possiamo conoscerla tramite l'analisi della nostra esperienza cosciente. Noi, invece, siamo in uno stato di "ignoranza", per così dire, perché, in fin dei conti, non ne siamo certi. 

Ma se ne fossimo certi, non sarebbe nemmeno più "noumeno" nella mia accezione del termine. Perché? perché il "noumeno" è in realtà è stato introdotto come "congettura" e se diventiamo certi che l'analisi della nostra esperienza cosciente ci fornisce conoscenza della "realtà esterna", allora è come se avessimo una "conoscenza diretta" di tale realtà esterna - e quindi in ultima analisi non è nemmeno più esterna. In questo "divenir certi", prendiamo conoscenza (in qualche modo) anche della realtà esterna e della relazione tra essa e il fenomeno. Nel tuo gergo il noumeno resterebbe "noumeno".

CitazioneSe non ci fosse nulla (di in sé) dietro l'esperienza fenomenica allora, poiché i fenomeni, contrariamente al nopumeno,esisterebbero comunque come qualcosa di reale e non come "nulla", fenomeno e noumeno non coinciderebbero: sarebbe palesemente contraddittorio il pretenderlo!

Nell' ultimo periodo confondi la materia (che é fenomeni, contenuti di coscienza; accanto a quelli mentali) con il noumeno o cosa in sé.
Sono perfettamente materiali anche i muri sognati (i qualia che li costituiscono sono perfettamente identici in linea d principio a quelli dei muri visti da svegli; di diverso da questi hanno unicamente la mancanza di intersoggettività).
Ammettere l' esistenza di oggetti in sé delle sensazioni fenomeniche (da essi ben diversi, reali anche se e quando quelle non lo sono) é diversa cosa dall' ammettere (in realtà constatare empiricamente la materia; che é costituita da fenomeni).

Usando i termini come li usi tu, sono totalmente d'accordo  ;)



CitazioneMa tu continui a confondere la cosa in sé o noumeno con la materia, il cui "esse est percipi" esattamente quanto l' "esse" della mente, essendo non cosa in sé ma invece sensazioni (fenomeni).


Direi che questo equivoco è stato superato.
#239
Citazione
Citazione
CitazioneNon capisco: le conoscenze scientifiche non sono certo metafisica (e con la metafisica non vanno confuse, non solo per i positivisti logici, che piuttosto, almeno i "classici", la metafisica negavano).
Ma hanno ("dipendono da") necessari fondamenti epistemologici fra i quali l' intersoggettività, che é inconciliabile (contraddittoria) con il solipsismo.

Su questo punto, inoltre, se prendiamo alla lettera la necessità della presenza di altri soggetti, non sarebbe nemmeno possibile fare scienza se, per esempio, rimane un unico soggetto. Si può pensare che, per esempio, ciò avvenga a causa di un cataclisma. In tal caso, come nel caso del solipsista avremmo un solo soggetto (anche se in questo caso, tale situazione è contingente) e inoltre potremmo anche avere la materia. Ciononostante, anche senza altri soggetti, il nostro ultimo essere umano sarebbe in linea di principio in grado di teorizzare e fare test sperimentali per le sue teorie
:)
#240
INIZIO PARTE 2

CitazioneMondo fenomenico e realtà-così-come-è non possono coincidere in alcun modo e in alcun senso; non potrebbero nemmeno se conoscessimo illimitatamente, perfettamente i fenomeni, dal momento che il noumeno é altra cosa dai fenomeni, reale anche allorché, se e quando i fenomeni (anche se fossero perfettamente conosciuti senza limite alcuno) non sono reali (e dunque identificarlo con essi sarebbe una plateale contraddizione).

Come dicevo, la distinzione tra fenomeno e noumeno per me è di natura epistemologica e non ontologica. Ovvero, noi nella nostra limitatezza siamo costretti ad ammettere tale distinzione. Ad ogni modo, concordo con quanto dici. Quello che intendevo io era che dobbiamo conoscere la natura "ultima", per così dire, dei fenomeni. Per farlo però è necessario anche "uscire" dalle nostre limitazioni. Per esempio, per provare la verità o la falsità dell'idealismo, dovremmo riuscire ad avere tale certezza. In tal caso, avremmo la conoscenza della relazione tra fenomeno e noumeno.

CitazioneNon é dimostrabile (e nemmeno é dimostrabile che non ci sia (sospensione del giudizio!).
Ma non ci vedo nessuna aporia).

Sì, hai ragione. Ho "mescolato" un po' le cose in questa parte  ;D


CitazionePer i solipsisti esiste solo il mondo fenomenico suo proprio di ciascuno di essi (ma potrebbe esistere anche se stesso come soggetto in sé del suo proprio mondo fenomenico).


Ok, ma questo è vero perché il solipsista nega la realtà delle altre menti. Gli idealisti soggettivi (a la Berkeley) negano che ci siano "realtà" oltre a soggetti e contenuti mentali, ma il "mondo fenomenico" di ciascuno, di fatto, è la successione di apparenze. 


CitazioneSe la realtà-così-come-é é il noumeno o realtà in sé, allora questa é una palese , assurda autocontraddizione.
Altra cosa é l' intersoggettività (peraltro indimostrabile) dei fenomeni materiali scientificamente conoscibili.

Volevo dire che per alcuni scienziati, la "realtà-così-come-è" è conoscibile dall'indagine fenomenica (una forma sottile di realismo naive...).

CitazioneNon é superato, malgrado le illusioni di Kant, perché la causalità vale unicamente nei fenomeni e non é dimostrabile né provabile empiricamente.

Hai ragione   ;)
Citazione
CitazioneNon capisco: le conoscenze scientifiche non sono certo metafisica (e con la metafisica non vanno confuse, non solo per i positivisti logici, che piuttosto, almeno i "classici", la metafisica negavano).
Ma hanno ("dipendono da") necessari fondamenti epistemologici fra i quali l' intersoggettività, che é inconciliabile (contraddittoria) con il solipsismo.



Un solipsista può utilizzare il metodo scientifico. Per esempio, può fare verifiche sperimentali. L'inter-soggettività, secondo me, necessaria quando assumi che ci siano altre menti. A questo punto, utilizzi l'assioma dell'inter-soggettività per dire che la procedura dell'esperimento deve essere indipendente dal soggetto che conduce l'esperimento. Ma, questo perché il metodo scientifico è stato stabilito senza considerare l'eventualità del solipsismo. In realtà, il solipsista può fare teorie e test sperimentali. (Così come, in linea di principio, non è impossibile sognare di testare la teoria di Newton  :) )

CitazioneMI SCUSO PER LA PIGNOLERIA (probabilmente fastidiosa, ma a mio parere necessaria ai fini della chiarezza dei ragionamenti).

Nessun problema! Ho apprezzato, in realtà, la tua pignoleria. Ha aiutato anche a me a chiarire i miei pensieri :) Quindi, ti devo anche ringraziare, in realtà  :)

Ciao!

Spero di non averti frainteso in alcuni punti. Gli argomenti sono piuttosto astrusi e quindi probabilmente in certi punti non ho capito quello che intendevi  :) in tal caso, mi spiace!