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Messaggi - donquixote

#226
Attualità / Re:La bella e grande Marine Le Pen
07 Febbraio 2017, 21:45:57 PM
Citazione di: Fharenight il 07 Febbraio 2017, 17:33:59 PMA proposito della "libertà religiosa per tutti", bisognerebbe considerare che le nostre Costituzioni nacquero, furono scritte per noi stessi, per noi Occidentali, per stabilire dei principi che per "noi"erano assodati, riconosciuti, nessuno all'epoca pensava di trasformare le nostre società in mescolanze etniche, culturali e religiose cosí massicciamente da porci nuovi problemi.  

Le nostre costituzioni, e la nostra in particolare, furono scritte sotto dettatura degli americani,  sulla falsariga dei principi che loro, i vincitori della seconda guerra mondiale, avevano utilizzato per redigere la famosa "dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" che è servita ad esportare in tutto il mondo il loro "way of life". Se la libertà religiosa poteva avere senso in America in cui si erano formate, nei secoli, numerose comunità con usi, costumi e religioni diverse e quando i primi coloni si erano stabiliti laggiù vi era ancora l'eco delle sanguinose battaglie combattute fra cattolici, protestanti e anglicani, non l'aveva per niente in Europa ove le nazioni avevano religioni omogenee (le religioni diverse da quella cattolica erano in Italia e in Spagna un'infima minoranza, come del resto quella cattolica lo era in Germania o in Scandinavia) tanto è vero che il Cattolicesimo rimase "Religione di Stato" fino al 1948, poi le cose cambiarono con la proclamazione dell'uguaglianza religiosa in Costituzione (anche se ufficialmente rimase tale fino alla riforma dei Patti Lateranensi nel 1984). La religione di stato non è incompatibile con la libertà religiosa (molti paesi buddhisti hanno la religione di stato ma nel contempo anche le chiese cattoliche e le moschee, e anche nei paesi islamici sono esistite da sempre minoranze cristiane) e nemmeno con la separazione Chiesa/Stato, poichè quest'ultima di fatto esiste, in Italia, almeno dalla breccia di Porta Pia. La religione di stato serve semplicemente a dire: noi siamo questi, queste sono le nostre radici e i nostri valori; chi viene qui e vuole esercitare un culto diverso è tollerato, ma se per caso contrasta con i nostri (millenari) valori saranno questi ultimi a prevalere. Se invece si proclama l'uguaglianza di tutte le religioni allora non vi potranno essere valori prevalenti. La Corte Costituzionale nel 1989 stabilì con una sentenza (emessa sulla questione del crocefisso nelle scuole e negli uffici pubblici) che in Italia vige il principio di laicità: ma che cosa contiene tale principio? che valori positivi esprime? Secondo la Corte Costituzionale "il principio di laicità implica un regime di pluralismo confessionale e culturale e presuppone, quindi, innanzitutto l'esistenza di una pluralità di sistemi di valori, di scelte personali riferibili allo spirito di pensiero, che sono dotati di pari dignità e nobiltà". Sulla base di tale enunciato come si può quindi affermare la prevalenza di un valore rispetto ad un altro? O di un rito rispetto ad un altro? O di un principio rispetto ad un altro? Il principio di laicità dichiara nella sostanza che l'Italia è una terra culturalmente "vergine" in cui ognuno può affermare qualunque tipo di cultura gli garbi poichè nessuna prevale sull'altra. Sulla base di queste norme (che noi ci siamo dati e che non sono state imposte da nessuno) non è difficile comprendere come si possa essere arrivati alla situazione attuale di confusione culturale e intellettuale e di conflitto permanente non solo fra italiani e stranieri ma anche fra italiani e italiani e fra stranieri e stranieri. Mala tempora currunt...
#227
Citazione di: InVerno il 07 Febbraio 2017, 12:06:05 PMOnestamente non sono preparato di storia cinese, o perlomeno so poco del secolo XV e non saprei se mettere li un paletto alla loro crescita (in senso assoluto, non relativo all'Europa). Conosco però il colonialismo, la guerra dell'oppio, etc. Provocatoriamente avevo infatti precedentemente parlato di Giappone, la cui cultura non si dirà certo occidentale (con tutte le recenti compenetrazioni, è comunque difficile intenderla cosi) e che deve il proprio successo a come i lacci coloniali siano stati strappati (allo stesso modo degli States\UK, nessuna novità). Riguardo al mondo Islamico suppongo vi rifacciate a Renan? Mi sembra una posizione ambigua. Riguardo alla rivalutazione del medioevo Europeo, a me sembra onestamente mitologica, o per meglio dire letteraria, basata più sulle chanson che su quello che l'Europa stava realmente vivendo? Mi trovi d'accordo invece quando parli di indiani ed agricoltura. A mio avviso il punto sta proprio li (a dimostrazione che tutti abbiamo un età dell'oro di riferimento), l'agricoltura sancisce non il dominio dell'uomo sulla natura (a mio avviso inevitabile) ma il suo dominio sugli altri uomini, l'autorità, inevitabile nelle società agricole. Paradossale no? Stesso riferimento, ma conclusioni opposte. E' anche vero che il punto sta nella definizione di cultura, ma anche e sopratutto di "occidentale", i cui confini vanno a seconda dell'osservatore da globali (Fukuyama) a continentali (Hungtinton), che avevo non a caso citato nel "puzzle di citazioni".

Per quanto riguarda la storia cinese faccio riferimento alla monumentale opera di J. Needham intitolata "Scienza e civiltà in Cina" che, cosa alquanto rara per un autore occidentale in oriente, anche in Cina è stata apprezzata e divulgata, e il XV secolo coincide con l'arresto di uno sviluppo scientifico e tecnologico durato svariati secoli che allo stesso autore è apparso inspiegabile. I giapponesi sono molto più simili, come indole aggressiva, agli occidentali di quanto non lo fossero i cinesi (e gli indiani) in quanto la cultura scintoista (a differenza di quelle taoiste, confuciane, buddiste e induiste che sono più propriamente "orientali" in quanto più indirizzate alla prevalenza del pensiero rispetto all'azione) esalta la guerra e il militarismo e  proprio i cinesi ne sono stati troppo spesso le vittime designate. Per quanto riguarda invece gli indiani d'America la loro cultura considerava l'agricoltura come una violenza alla terra, ovvero una usurpazione della volontà del "Grande Spirito" che si manifestava con la crescita spontanea dei frutti della terra piegandola ai voleri dell'uomo; sulla medesima linea nel libro della Genesi, nato in un luogo ove sono sorte le prime comunità umane stanziali e agricole, si legge che Dio rifiutò i doni sacrificali di Caino, agricoltore, mentre accettò quelli di Abele, allevatore (e credo sia difficile pensare a contatti e scambi culturali fra gli estensori della Bibbia e gli indiani nordamericani, in quell'epoca). Gli aborigeni australiani e la maggior parte delle comunità primitive, pur vivendo in villaggi e avendo superato il nomadismo non coltivavano la terra, ma costruendo i propri villaggi nei pressi dei corsi d'acqua la naturale fertilità della terra circostante (oltre alla caccia e alla pesca) permetteva loro di avere di che sopravvivere. L'agricoltura quindi sancisce la prima cesura fra l'uomo e la natura che deve essere piegata ai desideri e ai bisogni umani, poichè l'autorità e la gerarchia è presente in ogni comunità primitiva, e i ruoli sono molto più rigidi di quanto lo siano nelle società moderne (la "mobilità sociale" è invenzione stupida e assai recente). Il Medioevo è stato per trecento anni quel che il nazismo è negli ultimi 60: un qualcosa da cancellare, da denigrare, da ridicolizzare, da diffamare, tanto che tutte le scienze medievali sono sparite o trasformate nelle loro caricature (tipo ad esempio l'alchimia e l'astrologia) e solo negli ultimi decenni Le Goff in Francia e Cardini in Italia hanno provato a rendere un poco di giustizia a quel periodo che, ribadisco è stato l'unico degli ultimi 2500 anni in Europa a poter essere definito "cultura" tanto che sarebbe molto più corretto definire "secoli bui" quelli che sono venuti in seguito. L'aggettivo "occidentale" riferito alla cultura è ovviamente applicabile solo all'attualità, e credo che si possa a buon diritto definire "occidente" in senso culturale tutto ciò che è fondato sulla prevalenza della materia rispetto allo spirito, sulla prevalenza dell'azione rispetto al pensiero, sulla prevalenza dell'uomo rispetto all'ambiente, sulla prevalenza dell'utilità rispetto alla verità, sulla prevalenza dell'interesse rispetto alla giustizia, sulla prevalenza della competizione rispetto alla collaborazione, sulla prevalenza dell'individuo rispetto alla comunità, sulla prevalenza dell'uguaglianza rispetto alla gerarchia.
#228
Citazione di: maral il 05 Febbraio 2017, 23:50:37 PMQuesto non ha mai escluso che tra vicini ci si ammazzasse anche con più gusto che tra lontani. D'altra parte i Romani non dovevano certo attraversare continenti per incontrare i Germanici, come i Cinesi per incontrare i Mongoli e l'humus culturale di questi popoli era ben diverso, anche se erano vicini e spesso anche conviventi. Quanto a Sioux e Cheyenne non mi pare che, pur forse condividendo una cultura simile, non si prendessero a mazzate volentieri, non è che prima dell'arrivo dell'uomo bianco nelle Americhe regnasse la pace e l'armonia, basti pensare alla fine che facevano i nemici degli Aztechi catturati in battaglia (ragion per cui quelle popolazioni trovarono molto più conveniente unirsi a Cortez, come peraltro nell'America Settentrionale Francesi, Inglesi e Americani a turno seppero sfruttare molto bene gli atavici odi tra le popolazioni indigene di quelle regioni che pur condividevano culture simili). Ma è sufficiente anche considerare la storia patria per scoprire quanto tra vicini e parenti, cresciuti insieme al riparo delle stesse mura, ci si ammazzi e scotenni volentieri, la vicinanza aiuta a odiarsi molto più della lontananza.

Io non ho mai espresso il pregiudizio della non violenza. La violenza ha sempre fatto parte della storia non solo dell'uomo ma della natura in generale. La natura si sviluppa attraverso i conflitti ("Polemos è padre di tutte le cose" diceva Eraclito) e quindi la guerra non è, per me come per chiunque nella storia tranne l'occidente odierno, un tabù, ma spesso l'aggressività e la violenza venivano ritualizzate, controllate, canalizzate attraverso forme simboliche. Poi quando c'era la guerra vera la si faceva, ma anche in quella vi era un'etica, una moralità, che con la modernità sono andate perdute. Abbiamo letteratura epica di ogni parte del mondo che racconta di guerre memorabili, e anche il più grande poema dell'induismo, testo sacro di uno dei popoli meno guerrafondai della storia, utilizza la storia di una guerra per raccontare Dio, l'uomo e il mondo. Ora la guerra, che ha perso ogni caratteristica etica, romantica, eroica, epica, umana,  si fa sparando missili coi droni controllati da diecimila chilometri di distanza contro uomini armati di machete, e il bello è che questi ultimi non sono solo i nemici, come sono sempre stati, ma sono anche i "cattivi" ai quali non si può concedere l'onore delle armi ma bisogna processare se li si fa prigionieri. Solo uno come Kant poteva scrivere, del resto, un libretto intitolato "Per la pace perpetua", che ricorda tanto il "riposo eterno".

Citazione di: maral il 05 Febbraio 2017, 23:50:37 PM
Detto questo è indubbio che, soprattutto dopo l'affermarsi del cristianesimo in Europa l'uomo bianco si è sentito il portatore di un grande disegno salvifico (la prima grande scoperta dell'Occidente, da esportare urbi et orbi, è stato il disegno salvifico di un unico Dio per ogni individuo, che lo volesse o meno)

Quando è iniziato il colonialismo delle americhe il Cristianesimo era già in declino, in Europa, da un paio di secoli almeno, e nessun sovrano europeo (nemmeno il Papa) ha mai armato degli eserciti con l'obiettivo di esportare il cristianesimo, anche se al seguito degli eserciti andavano i missionari a distruggere (sia pur in buona fede, al contrario dei soldati) ciò che le armi avevano risparmiato.

Citazione di: maral il 05 Febbraio 2017, 23:50:37 PM
Temo che siano stati ben pochi storicamente i casi di cambiamenti volontari di simboli di riferimento, se i simboli avevano ancora una valenza. E' vero che oggi non abbiamo più simboli, ma i simboli non si creano dal nulla a volontà, né si riprendono da quelli caduti in disuso. Sono loro che si impongono quando sorgono e il modo di imporsi può essere tutt'altro che piacevole. Oggi abbiamo piuttosto delle grandi illusioni tecniche da offrire e quelle funzionano benissimo, si impongono da sole nel bene che si vede subito, corrispondente alla comodità e al godimento, e nel male che non si vede, ma non tarda ad affiorare.


In Europa i Romani hanno prima acquisito volontariamente molta parte della cultura greca, poi si sono convertiti al Cristianesimo che ha una struttura dottrinale completamente diversa. Poi tutti i popoli del nord Europa si sono volontariamente cristianizzati. In Asia il Buddhismo è stato abbracciato volontariamente da numerose popolazioni senza essere imposto con la violenza. Se i simboli si impongono da sé significa che sono convincenti e funzionali, se invece vengono imposti con la forza sarà molto difficile integrarli in una cultura e la distruggeranno.[/quote]



Citazione di: maral il 05 Febbraio 2017, 23:50:37 PMPurtroppo non ci sono nemmeno fondamenta immobili, neppure se le si auspica è possibile trovarle, forse un tempo, quando il tempo marciava lento era ancora possibile crederci non vedendo a occhio nudo i piccoli slittamenti che avvenivano nelle fondamenta, finché il crollo non si manifestava. E purtroppo non si può nemmeno decidere cosa e come cambiare, si cambia, tutti insieme in modo diverso, ma si cambia sempre che lo si voglia o no. La tecnologia accellera enormemente questi cambiamenti, ci rende quindi sempre inadeguati ed è questo che ci angoscia terribilmente, siamo inadeguati a quello che facciamo e quello che facciamo non ci corrisponde più, ma questo non ha nulla a che fare con le altre culture (le poche che sopravvivono alternative alla nostra e di cui l'Islam è forse l'esempio più eclatante, ma anch'esso già ampiamente corroso). Il difetto che tu vedi sta nella centralità dell'individuo, eppure questo è stato proprio il punto cardine da cui si è sviluppata la cultura occidentale, fondamentalmente antropologica (anche se oggi è proprio questa centralità antropologica che la scienza mette particolarmente in discussione), che certo pone una problematicità evidente che l'Occidente, già dai tempi di Parmenide, ha tentato di risolvere non ricorrendo a principi di assoluta trascendenza che impongono le leggi dell'assoluto, ma nel confronto pubblico, tra individui capaci di un dialogo razionale su cui sia possibile ragionare e convenire tra pari, dato che ogni presa di posizione in nome di superiori sapienze alla fine risulta sempre arbitraria a una critica razionale e se si abbandona questa critica non resta altro che farsi a pezzi in nome dei propri principi di riferimento trascendente che si esigono unici. Quei punti che tu indichi sono inscritti nella necessità della nostra storia che non possiamo abbandonare a piacere, essi derivano dal modo greco di pensare. Volerli sopprimere significa affidarsi ad altre storie culturali che purtroppo non ci sono più, dato che comunque, la cultura dell'Occidente ha conquistato l'intero pianeta e non possiamo di certo farci islamici per ristabilire la potenza di una trascendenza in cui è diventato sempre più impossibile credere (e anche gli Islamici, sedotti dalla potenza della tecnica, finiranno per crederci sempre meno, è inevitabile). Poi ogni giudizio potrà essere lecito, ma non lascia che sogni nostalgici di visioni di armonie trascendentali che solo oggi si possono nutrire, alla luce delle esperienze che pratichiamo, non certo nei tempi e nei luoghi in cui il nostro bisogno e la nostra immaginazione le colloca.

Le fondamenta ci sono, e sono immobili, e il fatto che il tempo sia lento o meno non conta visto che esse si trovano di là dal tempo e non sono condizionate da questo. Poi che le cose stanno come stanno, che sempre meno persone possono comprendere queste fondamenta e che la tecnica (e quindi l'ignoranza di cui è il sostituto) domini e dominerà il mondo sono cose che in sé non impediscono di vedere che si sta viaggiando veloci verso l'autodistruzione che già migliaia di anni fa era prevista e descritta da coloro che sapevano guardare lontano e non erano affetti dalla terribile miopia dell'uomo moderno.
#229
Citazione di: InVerno il 06 Febbraio 2017, 17:53:42 PMNon so, mi sembra stucchevole parlare del buon selvaggio in un topic sull'occidente, forse colpa mia che ci continuo a dare martellate, ma i chiodi non mancano eh!

Infatti qui non si parlava delle società primitive e dei presunti genocidi o disastri ecologici che anche alcune di esse avrebbero compiuto (come se dire "lui è come me" o "lui è peggio di me" assolvesse dalle proprie colpe),  anche se è intellettualmente disonesto citare la popolazione dell'isolotto ai confini del mondo e tralasciare ad esempio che gli aborigeni australiani vivevano in un luogo immenso con praterie e cavalli ma il loro modo di vita era molto simile a quello degli "isolotti", così come le popolazioni del nordamerica che non hanno mai utilizzato l'agricoltura e molto probabilmente non lo farebbero nemmeno ora se non fossero state sterminate. O della Cina che dopo aver avuto uno sviluppo tecnico e tecnologico durato mille anni e immensamente superiore a quello dell'occidente nel XV secolo l'hanno arrestato: forse avevano capito qualcosa? E se vuoi anche dell'Europa che dopo il crollo dell'Impero romano d'occidente per quasi mille anni ha arrestato l'espansione imperiale per perseguire un equilibrio continentale, riprendendola poi subito dopo il crollo di quella che, unica nella storia d'Europa,  possedeva i lineamenti della vera cultura. E Colombo non aveva praterie o cavalli ma pericolosi oceani davanti, eppure non si fermò, e nemmeno i suoi epigoni lo fecero. Comunque qui si parlava appunto di cultura, di cosa si può definire tale e di cosa invece rappresenta la sua negazione. Se la cultura unisce il suo opposto divide, e i valori "non negoziabili" dell'occidente non fanno altro che dividere popolo da popolo, famiglia da famiglia, padre dal figlio. Non mi interessa dare giudizi morali su nessuna cultura o presunta tale, ma i difensori di questa cultura occidentale che da un lato esalta e alimenta la competitività di tutti contro tutti  e dall'altro tenta di frenarla con sempre maggiori lacci, maggiori leggi, maggiori regole che non hanno alcun senso logico poichè non sono giustificate da nessuna ragione condivisa (che ragione ci sarebbe per "proteggere" il debole, l'handicappato, il misero, il povero, se non quella di andare, una volta di più, contronatura?) ma solo da una esibizione di potere di chi lo detiene in quel momento dovrebbero considerare se questa non possa definirsi, a tutti gli effetti, la cultura della schizofrenia o della dissociazione.
#230
Citazione di: InVerno il 06 Febbraio 2017, 13:17:27 PM

  • Come a fai a dire che le società primitive siano formate da individui principalmente deduttivi? Lasciando perdere la differenza a volte abissale tra società e società, e cercando di immaginare una mediana tra di esse, io continuo a credere si tratti di società profondamente induttive, ma che demandino certe fasi della vita sociale alla deduzione, in una proporzione simile alle società moderne. Questa storia che nell'occidente le ideologie sono "cadute" onestamente a me non convince, penso che si siano semplicemente "allargate" a tal punto che la frattura tra di esse sia cosi lontana da non vederla. Facile vedere il nazismo seguendo i confini germanici, ma il capitalismo? è cosi diffuso che per vederlo come una ideologia e trovarne i limiti bisogna andare ai confine del mondo. L'universalismo, l'idea che i nostri principi siano "universali"etc ettc. Non sono ideologie? Il punto sta comunque nel perchè tu pensi che le società primitive siano esenti da ragiomento induttivo, che onestamente non capisco.
Mi permetto di intervenire anch'io, se consentite. Non mi sembra che Paul abbia detto che le società primitive sono formate da individui "deduttivi"; le società primitive (nella quasi totalità) non fanno altro che custodire, praticare e tramandare la cultura, gli usi, i costumi, i riti e le abitudini che hanno ricevuto a loro volta dai loro antenati e che sono stati elaborati chissà quanto tempo addietro. Hanno raggiunto un equilibrio e ritenendolo soddisfacente lo mantengono. Ma se si guarda nel complesso il modo di fare e di comportarsi di quelle società (anche se non si ha occasione di parlare con i loro sapienti o i loro "filosofi") si può vedere che tutto ciò che fanno è ad evocazione e imitazione della natura ed armonico con essa, che è rispettata, amata e se del caso temuta in tutti i suoi aspetti. Da cui si può comprendere che la loro cultura è stata elaborata deduttivamente assegnando alla comunità umana una posizione gerarchica inferiore rispetto alla natura  (la quale a sua volta è inferiore al divino, al sacro, allo spirituale, ove questo sia ancora chiaramente presente ed espresso dalla cultura). Loro semplicemente si adattano al mondo (e in particolare al loro ambiente) e non fanno di tutto per adattare il mondo alle proprie esigenze. La loro è una conoscenza giustificativa per cui qualsiasi fenomeno che accade può essere giustificato tranquillamente con una favola, un mito, una leggenda in quanto deve placare la naturale curiosità umana che chiede: perchè? La nostra è invece essenzialmente una conoscenza funzionale poichè la conoscenza del fenomeno deve essere finalizzata al suo controllo e al suo sfruttamento allo scopo di piegarlo alle nostre esigenze, ai nostri desideri, e dunque noi non siamo più interessati al perchè ma solamente al come.
Quando, da piccolo, mi capitava di andare per funghi con qualche parente, ero sempre negativamente sorpreso dal fatto che vi fosse l'abitudine di distruggere i funghi velenosi che si incontravano nei boschi e si insegnava agli altri a farlo. Si ragionava induttivamente pensando che siccome questi erano velenosi per l'uomo allora dovessero essere eliminati anche per salvaguardare altre persone che avrebbero potuto non riconoscerli come velenosi. Nelle società primitive invece pensano (deduttivamente) che siccome l'uomo non è solo sulla terra e questa non è a sua disposizione quei funghi, essendo stati creati da altri, avevano sicuramente una loro ragione per esserci e sarebbero stati magari ottimo nutrimento per innumerevoli altre specie del bosco, e anzichè insegnare a distruggerli insegnavano a chiunque a riconoscerli e rispettarli.
La gran parte della letteratura antropologica, essendo stata generata nel periodo positivista, è viziata da un grande pregiudizio occidentale, a cominciare dal "Ramo d'Oro", e se i popoli ivi descritti avessero potuto leggerla e comprenderla non vi si sarebbero mai riconosciuti, come capitò del resto (e come ancora capita) quando qualche "professorone" nostrano scrive di filosofia induista o commenta i testi sacri dell'induismo. Credo tu conosca un libretto che si chiama "Papalagi" che riproduce il racconto che un capo villaggio delle isole Samoa fece dell'uomo bianco (appunto il papalagi) al suo popolo dopo aver visitato l'Europa di inizio '900. Credo che questo documento illustri molto bene, sia pur in maniera magari ingenua, spesso ironica ma sicuramente disincantata e sincera, la vera fenomenologia della paranoia. Se invece non lo conosci al link qui di seguito ne trovi una riproduzione.

http://freaknet.org/martin/libri/Papalagi/papalagi.html
#231
Citazione di: Eretiko il 05 Febbraio 2017, 23:51:41 PMCon la rottamazione di 3000 anni di pensiero occidentale, di cui sembra che salvi il solo Aristotele, benemerito padre nobile della "logica", è finalmente chiaro che non esiste nessuna disgregazione dell'Europa e nessun suicidio culturale: sulla base delle tue osservazioni sembra che non sia mai esistita una cultura occidentale degna di questo nome, ergo non è mai esistita nessuna Europa. Concordo pienamente con la critica sulla didattica seguita nella scuola italiana: la scienza nelle scuole superiori viene trattata come un inutile fardello, un insieme nozionistico da ingoiare a forza, e la matematica ha sempre riempito di incubi le giornate dei poveri studenti italiani. Ovviamente il risultato non è incoraggiante, se le statistiche dicono il vero siamo tra gli ultimi per rendimento nelle discipline scientifiche, e si vede chiaramente. Mi rallegro del fatto che malgrado questo limite c'è una fiducia completa, quasi una fede religiosa, per la logica formale, per il famoso "metodo deduttivo", che secondo te e molti altri dovrebbe essere l'unica arma in nostro possesso per giungere alla "Verità Assoluta" (con la V e la A maiuscole): peccato che alcuni pensatori, non a parole, ma con le "certe dimostrazioni" (quelle matematiche), hanno scoperto che la "ragione" è limitata, e quindi la "logica" non può portarci ad alcuna Verità Assoluta, e porsi certi obiettivi è impresa inutile, ma sono convinto che tu questo lo sai già. Non mi sorprende quindi che tu bocci senza riserve la cultura occidentale: tu sai benissimo che la conoscenza è un processo che assomiglia allo scalare una montagna, dove non si riesce a vedere la vetta, ma volgendosi in basso si riesce a vedere benissimo tutto quello che sta sotto; tu lo sai, ma a te importa solo la tua tesi finale. Mi viene semplicemente da farti notare che se scriviamo su questo forum utilizzando questa macchina aliena che si chiama "elaboratore elettronico" è grazie ai presocratici, grazie ad Aristotele, grazie a Galilei, a Newton, a Maxwell, a Lorentz, Einstein, Heisemberg, Dirac, De Forest, Feynmann, etc...etc...etc...: grazie cioè a tutti (nessuno escluso) quelli che secondo te hanno formulato ipotesi di carta velina, teorie oggi vere e domani false, che la comunità scientifica ha accantonato o fatte sue in base a chissà quale strambo criterio. E' difficile capire il cammino della conoscenza, soprattutto quando questa non si fonda sulle "deduzioni" bensì sulle "dimostrazioni". Non è vero che l'unica conoscenza in occidente è la "scienza": ma non è colpa della scienza se non è supportata dalla filosofia, nel momento in cui spiega come funziona il mondo naturale, se pur con verità relative e che non pretendono di essere esatte; sono i filosofi che hanno abdicato.

Io salvo dal disastro le "dovute eccezioni" come ho scritto, fra le quali non annovero certo Aristotele. Se lo cito è perchè ha semplicemente codificato il metodo che si usa per schematizzare e comunicare i concetti e che con opportune variazioni è utilizzato da tutti gli uomini. E non ho mai detto che il metodo deduttivo possa portare da qualche parte, ma solo che (nell'ambito della logica) è l'unico che possa esprimere (non raggiungere, ma esprimere, quindi comunicare agli esseri umani) una verità. La ragione, la matematica, la logica, sono solo metodi per elaborare o esprimere una verità, non certo per comprenderla o raggiungerla. E non sono per niente d'accordo sul fatto che  la conoscenza è un processo ascensionale che porta dalla base alla vetta, ma è invece una "illuminazione" che ti mostra la vetta da cui si vede tutto quel che sta sotto. Non contesto, anzi me ne rendo perfettamente conto, il fatto che qualcuno sia arrivato in qualche modo ad un punto più alto della base della montagna e da lì abbia visto ciò che sta sotto, ma solo il fatto di scambiare troppo spesso il punto in cui è arrivato con la vetta. E il fatto che si scriva sul computer (che tranquillamente smetterei di usare) non mi consola affatto e non certo per questa ragione dovrei onorare i personaggi che hai citato, ma mi sconforta molto di più invece il fatto di essere costretto ad utilizzare un mezzo di questo genere per trovare forse un centinaio di persone in Italia che siano interessate a determinati argomenti (se si escludono i "professionisti" che sono spesso più interessati al successo e al portafogli che ad altro), mentre dovrebbero essere infinitamente di più, anzi praticamente tutte. L'invenzione del computer è una ulteriore dimostrazione del loro fallimento perchè se, come diceva sempre Aristotele (lo cito ancora ma è solo per comodità e solo quando afferma delle tautologie) "l'uomo per natura tende al sapere" il fatto che tutta questa gente anzichè il sapere ci abbia tramandato il computer e tutta una serie di altri giocattoli che servono solo a distrarre da esso lo mostra chiaramente.
#232
È corretta la descrizione che fai della borghesia imprenditoriale delle "origini" della modernità, ma più specificamente questa è la borghesia plasmata dalla tradizione protestante mitteleuropea, quella che descrive Max Weber e che aveva già superato le resistenze cattoliche sdoganando banchieri, usurai e mercanti che sulla base delle interpretazioni della dottrina ebraica che influenzò quella cristiana riformata ritiene che il "paradiso" si possa ottenere già su questa terra e la ricchezza o la povertà materiale di qualcuno identifichino la versione terrena del premio o della condanna divina. L'Europa centrale era dunque già più "avanti" rispetto a quella del sud che pur ritenendo il lavoro già nobilitante (forse anche in contrapposizione agli sfaccendati aristocratici decadenti) lo limitavano all'attività artigianale, di bottega, che doveva fornire il necessario per sostenere la famiglia e non schiavizzare in qualche modo altre persone, mentre manteneva  la condanna morale per coloro che prestavano soldi ad interesse e per i mercanti che speculavano sul lavoro altrui senza metterci niente del proprio. Assai diversa era invece la situazione nel Regno Unito, culla della Rivoluzione Industriale, ove la borghesia imprenditoriale locale lungi dal rappresentare un quadretto più o meno idilliaco determinava le situazioni che sono state ampiamente descritte nei libri di Dickens. Senza contare i mercanti che solcavano i quattro mari con eserciti al seguito e tasche piene di "perline colorate" con l'intenzione di scambiarle con qualunque cosa di valore si trovasse nelle terre che toccavano. Se effettivamente la borghesia europea avesse trascorso un periodo sufficientemente lungo comportandosi in modo equilibrato e socialmente accettabile non si spiegherebbe tra l'altro la nascita e il successo delle teorie marxiste che invasero l'Europa di fine '800.
#233
Citazione di: paul11 il 04 Febbraio 2017, 19:05:08 PMLa prima fase della società, o come vuoi chiamarla comunità, in quanto la differenzi, è tipica praticamente di tutte le tradizioni.E' un ordine come giustamente argomenti che è dentro un'altro ordine(micro e macrocosmo,ma si può denotarlo in altri modi).Giustamente dichiari le modalità del suo funzionamento. Aggiungo io; questa è la società deduttiva e chiusa, perchè il micro è derivato dal macro. Il salto culturale che compie l'Occidente, e lo fa solo l'Occidente , è proprio quello che chiami conoscenza induttiva.Ma due cose devono essere chiarite: perchè lo fa e le altre culture no e perchè lascia alla fine il "mondo deduttivo".Capire queste due ragioni è fondamentale per correlare le altre culture che non hanno le discipline scientifiche che portano alla tecnica e al potere tecnologico, vera differenza e caratteristica dell'Occidente, L'Europa non decade per interessi e valori, perchè sono comunque sempre motivazioni ad esistere ,a pensare ed agire. L' errore è dimenticare l'agente conoscitivo, l'uomo che sposta l'episteme storicamente.Non avere il soggetto, signifca perdere di vista la sua coscienza e implicitamente il sistema epistemologico. Noi, in realtà agiamo siamo induttivamente ,come le scienze naturali moderne(ma quì sarebbe da discutere anche sull'epistemologia avversa fra Popper e Feyerabend), che deduttivamente, vale a dire spostiamo e relazioniamo il micro al macro e poi il macro al micro, il particolare al tutto e il tutto al particolare. La razionalità scientifica, quella che certa epistemologia definisce razionale, forma le leggi universali come matematica, quindi sposta l'osservazione fisica nel dominio metafisico(piaccia o non piaccia ma la matematica non è un sasso) e si ferma quì, perdendo tutto il dominio che rende l'uomo, umano. La prima fase storica è stata deduttiva e caratterizzava un modo di costruire le relazioni sociali. La seconda fase storica , attualmente in corso, è induttiva e si caratterizza all'opposto. La terza fase......" ha da venì" La società liquida, che definisco come trasformista e opportunista, è contrapposta alla solidità. Perchè il liquido non ha forma fisica, prende la forma del contenitore, in questo caso culturale in cui è immersa. E' ciò che è ancora umano nell'uomo che si contrappone psichicamente spiritualmente e chi riesce a definirlo, concettualmente alla modalità al prodotto storico di un uomo prigioniero della sua stessa cultura. Non approfondisco di più.o ci sono valide analisi o è meglio tacere che essere capito male. Quindi dipende dal livello del dibattito.

La storia del pensiero occidentale è, nelle sue linee generali, una immensa confessione di ignoranza. Da quando si situa storicamente il suo inizio, con i presocratici (che erano fisici, non metafisici, come notava Aristotele), e tranne le dovute eccezioni che come al solito confermano la regola, per il resto la "ricerca del sapere" da sempre perseguita dall'uomo ha espresso in occidente una innumerevole quantità di ipotesi che si sono rivelate della solidità della carta velina, e l'istituzione di una disciplina come la storia della filosofia che viene insegnata nelle scuole mostra chiaramente la resa dell'occidente di fronte alla propria ignoranza. Se la filosofia è la ricerca della verità, e la verità viene ricercata per poterla porre a fondamento di tutto ciò che le sta sotto che ne è solo un frammento costantemente in divenire, è necessario che un sistema di pensiero che non viene considerato verità o che sia altamente ambiguo debba essere accantonato, eliminato, poichè la sua sussistenza non potrà che creare confusione nella mente delle persone, che non sono tutti Platone per poterlo giudicare (anche se Kant magari pensava che lo fossero). La scienza, che viene unanimemente considerata l'unica espressione di verità in occidente, fa esattamente questo, elimina tutte le ipotesi e le teorie che secondo la comunità scientifica si sono dimostrate false e lascia solo quelle che invece vengono considerate vere; tanto è vero che la scienza si studia nelle scuole a partire dalle ultime "verità" e non esiste la "storia della scienza" che elenca tutti i suoi errori, ovvero le ipotesi e le teorie che si sono susseguite nel corso dei secoli e che poi sono state accantonate. Se dunque la filosofia, secondo la sua "storia", risulta essere un'accozzaglia di pensieri senza capo né coda e quindi la ricerca del sapere non ha condotto a nulla, o meglio ha condotto al nulla ovvero al nichilismo, e il sapere archetipico è stato quindi bollato come "inconoscibile" (già, se non riusciamo noi a conoscerlo nessun altro ci deve poter riuscire) e sostituito con il sapere individuale attraverso il quale ognuno potrà costruire una propria filosofia, una propria utopia e applicarla nella prassi, la scienza l'ha sostituita con il "saper fare", con gli strumenti che ci consentono di modificare la materia in modo da consentire ad ognuno di costruire il proprio personale "paradiso terrestre"; e se per fare questo si dovrà conculcare la possibilità ad altri di costruire il proprio, o li si dovrà sfruttare a nostro vantaggio, o si dovrà fare terra bruciata di tutto ciò che sta intorno al nostro paradiso a nessuno importa. E se una volta raggiunto tale obiettivo ci accorgessimo che non è il paradiso che credevamo (vedi comunismo) allora ricominceremo da capo a distruggere, con gli  strumenti della scienza e della tecnica, quello che eventualmente sarà rimasto in piedi, con il corollario che avendo perso tempo a perseguire obiettivi sbagliati dovremmo fare sempre più in fretta per raggiungere quelli "giusti". Dunque, a mio avviso, se l'occidente abbandona il metodo deduttivo lo fa prima di tutto per ignoranza, per incapacità di comprendere l'assoluto che di volta in volta ha sostituito con una innumerevole serie di "relativi" assolutizzandoli indebitamente (l'ultimo esempio di questo genere sono i "diritti umani") e costruendo su di essi i propri sistemi che inevitabilmente, come un casa costruita sulle sabbie mobili, cedevano; e in secondo luogo per l'indole essenzialmente attiva e non riflessiva che ha sempre avuto. L'uomo occidentale è un uomo del fare, non del pensare, e se il pensiero non riesce più a giustificare l'azione allora decide che l'azione si deve giustificare da sé.
#234
Citazione di: InVerno il 04 Febbraio 2017, 11:13:58 AMLa supposta armonia organica in cui vivevano le società tradizionali non fa altro che parte di una delle fasi identitarie degli "stati nascenti" (Alberoni). L'età dell'oro dove le utopie sono realizzate, l'evento dirompente che corrompe la società, e la susseguente creazione di uno "stato nascente" (e le profezia di sventura in caso dalla nascita si passi ad un aborto spontaneo). L'ipotesi di un età dell'oro è necessaria per chiunque voglia ipotizzare un nuovo sistema ordinato ed è funzionale a questo scopo più che ad altro.

Se questa supposta "fase identitaria" dura da diecimila anni forse bisognerebbe rivedere la tesi e chiamarla diversamente (equilibrio?) E l'ipotesi (se di ipotesi si tratta) dell'età dell'oro è una normale deduzione e non certo un punto di partenza per l'invenzione di tutte le utopie da essa ispirate, e questa "ipotesi" esiste eccome anche nelle culture orientali, anzi molto probabilmente Esiodo l'ha mutuata da esse che la descrivono come  la prima dei quattro "yuga".  Inoltre anche il "paradiso terrestre"  presente nel libro della  Genesi è un'altra immagine dell'età dell'oro perduta, e anche questo viene da oriente. Per il resto è difficile commentare una serie di affermazioni fuori contesto che nel loro insieme si possono riassumere in "tutti dobbiamo morire", culture comprese ovviamente (Spencer). Ma comunque anche se tutti dobbiamo morire un conto è farlo a 60 anni dopo aver trascorso una vita serena e significativa lasciando la tua casa così come l'hai trovata, un altro è farlo a 20 anni drogato marcio dopo aver distrutto ciò che ti sta intorno e ammazzato tutti i tuoi vicini in una serie di impeti di follia o crisi d'astinenza.


Citazione di: maral il 04 Febbraio 2017, 13:08:28 PMA parte l'assurdità di riportare le diversità culturali e i problemi che esse generano a differenze razziali biologiche (non occorre essere intellettuali sinistroidi per sapere che un norvegese può differenziare geneticamente da un ottentotto ben di più di quanto non si differenzi dal suo vicino di casa, norvegese pure lui da generazioni, basta informarsi un minimo sui risultati delle ricerche genetiche ormai ampiamente diffuse e accessibili a chiunque non voglia mantenersi analfabeta in biologia per tutelare i propri preconcetti), non capisco proprio il motivo di tutto questo dovere assoluto a preservarsi nella purezza delle proprie radici. Non capisco come non ci si renda conto del fatto che questa purezza è del tutto immaginaria, frutto magari di necessità esistenziali che vanno comprese, ma che resta sempre immaginaria, quindi è una pretesa che cerca fondamento nell'immaginazione. E' immaginaria nella storia di qualsiasi cultura che è sempre il risultato di incontri tra modi di vivere e di praticare il mondo diversamente: la cultura occidentale è il risultato dell'incontro di popolazioni recanti tradizioni estremamente diverse, pur nel comune modo di sentire umano, di antropologie diverse. Gli antichi popoli mediterranei non erano gli Achei che venivano, come tutti i popoli indoeuropei, dagli altopiani iranici e dal cui incontro nacque quella cultura greca che poniamo all'inizio della storia culturale europea e che fu preservata nei regni islamici che si stabilirono in Spagna, mentre l'Europa tutta veniva distrutta da altri popoli di diversa cultura: i Germanici, provenienti dalle propaggini nord orientali del continente. Il cristianesimo, altro grande contrassegno della cultura europea, è anch'esso il risultato di una contaminazione culturale, proveniente dal Medio Oriente che si fuse con la tradizione greca e raccolse poi in sé le tradizioni di quegli stessi selvaggi germanici che ridiedero vigore al percorso culturale europeo, lo trasformarono nel corso di secoli di storia. Anche la cultura vedica è il frutto di un'ibridazione e così ogni cultura, perché ogni cultura che si isola per mantenersi pura è da sempre una cultura che si autodistrugge, inevitabilmente.

A parte il fatto che sono esistiti popoli che per migliaia e migliaia di anni hanno vissuto senza alcun contatto con culture aliene (avranno magari avuto dei vicini ma erano sicuramente molto simili a loro, come i romani coi sabini o i Sioux coi Cheyenne) prima che qualcuno decidesse di attraversare gli oceani per andare dalla Patagonia alla Papuasia a divulgare al mondo il verbo razionalista appena scoperto e renderli partecipi della scienza occidentale (e magari qualcuno si sarà anche chiesto come potessero essere ancora al mondo uomini che non avevano mai potuto godere dei benefici delle scoperte occidentali, e forse la risposta che si è dato è che non potevano ovviamente essere uomini, tanto che di conseguenza cominciarono a trattarli da animali) e a parte il fatto che determinate differenze sono evidenti di per sé e non c'è alcun bisogno di ricerche biologiche che le confermino o le smentiscano (che l'uomo bianco caucasico sia sempre stato più portato all'azione che al pensiero è un fatto, non un'opinione: basta vedere, già nel pensiero stesso, la grande quantità di azione che ha espresso con miliardi di volumi  rispetto alla minima qualità che ne è risultata) e comunque affidarsi alle ricerche della biologia in campo genetico per fare valutazioni sulle diversità culturali è, ancora una volta, andare alla ricerca della ghiandola pineale chiamandola con un altro nome e dunque essere vittime di un pregiudizio materialista, la questione non è l'ibridazione in sé, che indubbiamente è sempre avvenuta fra popoli che entravano in contatto fra loro, ma la spontaneità e la volontarietà di tale ibridazione, e soprattutto la compatibilità di ciò che si acquisisce con la cultura già in essere. Un conto è cambiare un simbolo o adottare una diversa manifestazione culturale perchè le si ritiene un'espressione migliore della cultura che si possiede, e farlo volontariamente, altro è invece subire l'imposizione violenta di culture "altre" (o di parti di esse) incomprensibili dal popolo e incompatibili con la visione del mondo e l'organizzazione sociale vigenti, che ovviamente non potranno arricchire ma solo disgregare una cultura. Inoltre è fondamentale considerare il tempo in cui tutto ciò avviene, che deve essere tale da consentire al popolo di assimilare le "novità" senza creare scompensi, salvaguardando così l'equilibrio interno.


Citazione di: maral il 04 Febbraio 2017, 13:08:28 PMI punti che Donquixote assume come inizio della disgregazione dell'Occidente sono certo accadimenti che mutarono la visione del mondo e delle cose, ma non hanno nulla di radicalmente o ontologicamente sbagliato di per sé, ma sono conseguenze inevitabili di una storia, di un'archeologia i cui effetti si riflettono continuamente nei significati vissuti producendo degli spostamenti, per cui il mondo cambia e non può più essere come prima.

Dato che "panta rei" nessuno si sogna di auspicare una immobilità "pratica" (che peraltro viene perseguita più qui da noi che altrove con le nostre costituzioni e le nostre innumerevoli leggi scritte), ma ciò che è auspicabile (e fondamentale) è l'immobilità dei fondamenti (che se sono tali devono essere anche immobili). Un popolo può cambiare alcune abitudini culturali se quelle nuove sono più confacenti alla sua mutata mentalità e più comprensibili dalle persone di quelle precedenti, ma queste devono essere comunque riconducibili ai principi su cui la propria cultura si basa e devono essere compatibili e coerenti con una visione unitaria della stessa, quindi devono in qualche modo "migliorare" una cultura e non distruggerla. I quattro punti che ho indicato in precedenza sortiscono l'effetto opposto dell'unità, e più questi verranno applicati con costanza e rigore più alimenteranno la disunione, la frammentazione, la polverizzazione. Una cultura che ha quelle come basi significa che è una cultura ove tutti sono uniti sul fatto che bisogna essere tutti divisi, perché se non esiste un punto di riferimento superiore all'ego individuale a cui questo possa essere "sacrificato" ogni individuo si sentirà naturalmente il centro del mondo e della sua società alimentando le proprie pretese (i "diritti") senza dar nulla in cambio. Se dunque la cultura di un popolo è ciò in cui lo stesso si riconosce questa cultura è esattamente l'opposto, poiché ognuno si riconosce solo in se stesso e il "popolo" (ovvero la società, lo stato) dovrà essere a sua disposizione per garantire il soddisfacimento di ogni sua pretesa, anche la più insensata, e le linee di tendenza già citate sono quindi, dal punto di vista "culturale", radicalmente e ontologicamente sbagliate. Che poi si possano considerare conseguenze inevitabili della storia e che non si possa cambiare la situazione è altra questione che non attiene il giudizio su di esse, che rimane il medesimo.
#235
Citazione di: acquario69 il 04 Febbraio 2017, 11:24:52 AMMa cosa intendi esattamente quando dici Che nel frattempo ci accontentiamo di avere al potere del paese piu potente l'uomo col riporto?....semplicemente non l'ho capito :)

era solo una battuta riferita all'attuale presidente americano che ha la pettinatura col "riporto"  ;)
#236
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Citazione di: acquario69 il 04 Febbraio 2017, 01:16:18 AML'umanità regredisce tecnologicamente finché, dopo un quarto di milione di anni, gli uomini finiscono per essere addomesticati da una specie evoluta di cani che li impiegano nel loro sport preferito: il recupero di bastoni e oggetti. Nascono gli uomini da riporto.

A Philip Klass sfuggiva che è il progresso e non il regresso tecnologico la strada migliore per istupidire l'uomo che perderà progressivamente conoscenza appaltandola alle macchine, e quindi saranno loro e non i cani a prendere il potere sull'uomo (vedi Matrix). E se manca ancora un po' per avere al potere gli uomini da riporto nel frattempo ci accontentiamo di avere al potere del paese più potente l'uomo col riporto.
#237
La cultura, antropologicamente parlando, è un insieme di idee, di pratiche e di modelli che costituiscono l'identità in cui un popolo si riconosce: religione, mitologia, filosofia, scienza, economia, letteratura, musica, architettura, alimentazione e un sacco di altre discipline nel complesso formano la cultura, e tutte queste discipline sono fra loro collegate in modo tale da costituire parti necessarie di un modello che ogni popolo ha elaborato nel tempo e ha tramandato di generazione in generazione adattandolo progressivamente ai cambiamenti che intervenivano nell'ambiente e nella mente umana. Se dunque la cultura è un modello, questo veniva elaborato partendo da un'idea di base, da una "filosofia", da un pensiero sul mondo e sull'uomo, e poi strutturato in modo che tale filosofia pervadesse tutta la comunità e ogni sua manifestazione ne evocasse i principi fondanti. La cultura induista, ad esempio, ha come base i principi vedici, e questi sono poi stati adattati alle varie popolazioni presenti nel continente indiano e hanno dato vita alle varie comunità (o subculture) che si differenziano per molti aspetti pratici ma nell'essenza si richiamano tutte ai medesimi principi di base; se dunque la cultura induista è nelle sue innumerevoli espressioni estremamente variegata è comunque possibile risalire da ognuna ai principi di riferimento e ricostruire da questi il modello che ogni popolo ha elaborato per sé, e comprendere inoltre come tali modelli siano intrinsecamente coerenti di modo che ogni manifestazione culturale trovi la propria giustificazione all'interno di ognuno di essi. Queste osservazioni sono valide per ogni cultura tradizionale e hanno dato luogo alla teoria antropologica del "relativismo culturale", che afferma appunto che ogni cultura trova le proprie giustificazioni in se stessa e nel suo modello, per cui non ha alcun senso affermare che una cultura è superiore ad un'altra o addirittura universalizzare delle espressioni culturali come sono ad esempio le norme morali. Tutte le culture tradizionali hanno sempre avuto una visione organica del mondo, che deriva dalla comprensione dell'intima unità di tutte le cose in un principio superiore e poi le giustifica ai livelli inferiori ponendo ogni cosa al suo posto. Questa operazione viene compiuta con la mitologia, la cosmologia, l'epica, l'arte, la filosofia, la letteratura e tutti gli altri metodi che si ritenevano utili per giustificare agli occhi e alla mente degli uomini i fenomeni del mondo, la presenza di tante specie animali e vegetali, i fiumi, i mari e le montagne, e anche i comportamenti umani. La tendenza di base, come dicevo, è quella di fornire una giustificazione accettabile, comprensibile e soddisfacente per ciò che già c'era, per ciò che chiunque poteva vedere, poiché lo scopo non era quello di modificare l'esistente ma di accettarlo come opera di un'entità infinitamente superiore all'uomo (del resto basta guardare il cielo per rendersi conto di quanto l'uomo sia infinitamente piccolo) che se aveva creato il mondo in quella maniera era così che avrebbe dovuto rimanere (e ad esempio nella cultura greca uno dei concetti più significativi era quello di hybris che stigmatizzava il tentativo dell'uomo di usurpare le prerogative degli dei). Le comunità umane si strutturavano quindi come degli organismi microcosmici che imitavano nel loro ambito il macrocosmo universale, con le sue gerarchie, le sue dinamiche e le sue ciclicità, e al proprio interno riconoscevano ognuno come parte necessaria del tutto (ricordo il famoso apologo di Menenio Agrippa) creando dei meccanismi che consentissero  all'uomo  di relazionarsi  armonicamente  con l'ambiente  in  cui vive,  fornire  significato alla  sua  esistenza e  permettergli  fra l'altro  di  conciliarsi con  la  sofferenza, la  malattia  e  la morte,  sua  e dei  suoi  cari, e  provare  compassione per  gli  altri e solidarizzare con loro.  Come avevo scritto in un altro messaggio le comunità umane sono simili ad alberi che ad ogni stagione cambiano le foglie e spesso anche qualche ramo ma il tronco rimane sempre il medesimo, e se vogliono rimanere culturalmente vitali e unite è necessario che le radici siano sempre ben piantate nella terra che, in una cultura, sono i principi sui quali si basa per strutturarsi.
Se questa dunque è la cornice di riferimento di una cultura bisogna vedere in cosa, e da quando, l'Europa ha iniziato ad edificare la sua cultura su basi completamente differenti, opposte  a quelle precedenti, costruendo quindi nei fatti una controcultura (o una non-cultura) che ovviamente non avrebbe potuto che, col tempo, portare ad una disgregazione. Senza voler fare la storia della cultura europea mi limito ad evidenziare che nella sostanza sono state quattro le idee che a mio avviso sono a fondamento della disgregazione culturale: la prima è la riscoperta e l'esaltazione dell'antropocentrismo con il secondo umanesimo (il primo fu quello greco classico), ovvero l'idea che l'uomo sia l'ente principe dell'universo e quest'ultimo dovesse e potesse essere piegato ai desiderata umani. La seconda è il ribaltamento del sillogismo aristotelico con la conseguente prevalenza del metodo induttivo come modo per raggiungere la conoscenza, e di conseguenza la progressiva dipartita del concetto di verità come "fondamento". La terza e la quarta sono la libertè e l'egalitè proclamate dalla Rivoluzione Francese ma già in voga dai secoli precedenti che hanno introdotto l'ideologia dell'individualismo, la convinzione che nessun uomo fosse superiore (o inferiore) agli altri ma ognuno era comunque più importante della comunità di cui fa parte, dando quindi luogo alla teoria del "contratto sociale" come modello di aggregazione umana e agli stati costituzionali moderni (la costituzione è appunto il "contratto") che hanno trasformato le comunità in società, e «La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità gli esseri umani restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono» come annotava Tonnies nella frase che sintetizza alla perfezione i due concetti. Se l'unione della comunità è culturale, quella della società è strumentale; se nella prima prevale lo spirito comunitario, nella seconda prevale l'interesse; se nella prima il valore prevalente è quello dell'organismo comunitario e l'individuo è considerato in quanto parte necessaria di tale organismo (e finché lo è), nella seconda l'interesse prevalente è quello dell'individuo e la macchina sociale (si noti la differenza sostanziale fra la visione organica in un caso, che si sviluppa dall'interno verso l'esterno manifestandosi progressivamente e poi riproducendosi, e quella meccanicistica nel secondo che si sviluppa dall'esterno verso l'interno e ha dato quindi luogo a società come gli Stati Uniti d'America) dovrà mettersi a sua disposizione ogni volta che questo manifesterà delle esigenze che, se troverà gruppi d'interesse sufficientemente agguerriti che le condividano, riuscirà anche a trasformare in "diritti". La comunità ha una finalità che la supera per realizzarsi nel mondo e in prospettiva nell'universo, mentre la società non ha alcun valore intrinseco che vada al di là di essa e nessun oggetto sociale da perseguire, ma è solo uno strumento al servizio degli individui che ne fanno parte. Questo modello non può che portare alla frammentazione di una collettività, alla sua polverizzazione in "atomi culturali" (altro che "società liquida": il liquido ha comunque una forma, un principio di unità e un senso in sé, qualità che invece la polvere non possiede) il cui unico scopo sarà quello di perseguire e salvaguardare i propri interessi, che essendo di questi tempi prevalentemente materiali non potranno che causare una interminabile serie di conflitti di tutti contro tutti per il loro soddisfacimento, dato che la materia è finita e se qualcuno ne vuole possedere di più lo può fare solo a scapito di altri. Tutte queste idee e le prassi che ne sono seguite non sono state importate da qualche landa lontana, non sono venuti i "barbari" ad imporcele con la forza, ma è stata l'Europa stessa, i suoi intellettuali, i suoi letterati, i suoi filosofi ad elaborarle e a orgogliosamente esaltarle come la luce finalmente visibile in fondo al tunnel dell'oscurantismo. Per questa ragione mi sembra ovvio parlare di suicidio culturale, e di sostituzione di un qualcosa che assomigliava da vicino ad una cultura con qualcosa che la distrugge, con una negazione della stessa. Siccome ho già scritto molto ma mi rendo conto che molte cose sono rimaste in sospeso, spero possano emergere nel corso della discussione (sempre se qualcuno avrà interesse a portarla avanti, s'intende).
#238
Non rispondo ai due ultimi messaggi di Eretiko e InVerno non per sottrarmi alla discussione ma perchè si finirebbe inevitabilmente O.T. e su questo topic abbiamo già dato;  lo farò volentieri se i medesimi argomenti susciteranno interesse e verranno proposti in un topic apposito.
#239
Per quanto mi riguarda non credevo che Trump potesse essere eletto, poichè non essendo granchè interessato alle vicende statunitensi mi adeguavo alla maggioranza delle previsioni che lo davano nettamente perdente, ma se avessi dovuto a forza scegliere fra i due avrei scelto lui non tanto per quel che aveva intenzione di fare in America quanto perchè fra i suoi programmi c'era quello di intervenire il meno possibile nelle vicende altrui, e questa mi sembrava una ragione più che sufficiente per preferirlo alla Hillary. Dunque ritengo del tutto superfluo, e anche sbagliato, criticare le decisioni che prende in casa sua come parimenti ritengo superfluo e sbagliato criticare chi protesta in America contro le sue decisioni, dato che il fatto che sia stato eletto non vieta ai cittadini di manifestare contro i suoi atti, altrimenti ogni protesta in patria contro qualsiasi governo democratico sarebbe di per sé illegittima. Coerentemente con quanto sopra trovo profondamente sbagliato protestare contro le decisioni che altri governi, con altre storie, altre culture e altre tradizioni assumono in casa loro nei confronti degli stranieri, delle donne, dei gay e di ogni altro cittadino.
Detto ciò dal punto di vista degli immigrati non bisogna fare parallelismi indebiti fra la situazione americana e quella europea. Se gli immigrati hanno in qualche modo costruito l'America (e sottolineo "qualche" e "costruito" che andrebbero precisati meglio) gli stessi stanno dando invece il colpo finale alla distruzione dell'Europa. In America i "natives" erano giustamente troppo orgogliosi per ridursi a diventare gli schiavi dei "mercanti" europei tanto che preferirono la morte in combattimento, e siccome una volta eliminati quelli non era rimasto più niente i mercanti hanno dovuto andarsi a prendere lo straniero a casa sua con le negriere per portarlo a lavorare alla costruzione del nuovo paradiso terrestre. Se la "storia" dell'America è iniziata in quel periodo quella dell'Europa, vecchia di duemila anni, era già in declino nonostante i valori di fondo fossero gli stessi; si può dire che l'America sia nata vecchia, e siccome i coloni che si stabilirono sull'altra sponda dell'Atlantico recisero in fretta i legami col Vecchio Continente e i suoi retaggi la senescenza culturale ha subito una brusca accelerazione. L'Europa ha compiuto negli ultimi secoli un suicidio culturale che l'ha progressivamente disgregata, ma il dominio subito dai cugini d'oltreoceano depo il '45 ha compiuto l'opera, esportando una serie di germi distruttivi che credo si possano ben sintetizzare nelle due patologie della "economia finanziaria" per quanto riguarda il lato materiale e della "politically correctness" per quanto concerne quello culturale. Lungi dall'essere una "ricchezza" come da più parti viene sempre predicato, e come per certi versi fu effettivamente in America, gli stranieri che vengono in Europa da chissà dove porteranno solo, loro malgrado e senz'altro contro la loro volontà, povertà materiale e culturale, e gli unici effetti tangibili che avranno saranno quelli da un lato di ingrassare gli sfruttatori di ogni risma che non devono neanche più andare in Africa a prenderli spendendo soldi poichè arrivano qui gratis, anzi a loro spese, e dall'altro quello di distruggere definitivamente quel poco di collante sociale che è rimasto in coloro che si ostinano ancora a prendere sul serio la nozione di "popolo".
Gli intellettuali e i leaders europei che non paiono più in grado di vedere una situazione che è lampante davanti ai loro occhi poichè tutti impegnati a rimirare il loro ombelico sono le cartine di tornasole di un  "cupio dissolvi" che incombe minaccioso sul Vecchio continente, che dopo essere stato per secoli il dominatore (e spesso anche lo stupratore) del mondo preferisce ora crogiolarsi nei suoi sensi di colpa spacciati per "valori" facendosi trainare dal carro statunitense senza comprendere che come all'Europa di un tempo non fregava niente dei destini altrui così agli Stati Uniti di oggi non frega nulla del destino dell'Europa, e così facendo si condanna ad una morte che, per quanto inevitabile, avrebbe certamente potuto essere quantomeno più dignitosa.
#240
Citazione di: Eretiko il 31 Gennaio 2017, 10:22:27 AMAbbiamo sempre la possibilità di non esserci, "onlife". Prendiamo ad esempio "facebook": quasi 2 miliardi di persone decidono, spontaneamente, di esporre le proprie preferenze politiche, sessuali, religiose, gastronomiche, di indicare i propri gusti nel vestire. Postano immagini che ormai software specializzati sono in grado di analizzare, mettono miliardi di "mi piace", partecipando di fatto alla più gigantesca "indagine" di mercato e sociologica, tutto gratis. Era inevitabile quindi che qualcuno iniziasse a sfruttare questa marea di informazioni per un marketing mirato e per uso politico: strategie antiche attuate con le nuove tecnologie.

Caro Eretiko, questa è mera teoria. L'uomo, nonostante i predicozzi di tutti i darwinisti e i darwiniani, è ancora profondamente scimmia, e si muove essenzialmente imitando il proprio simile. Non è quindi sensato dire che abbiamo la possibilità di decidere se essere "onlife" o meno perchè essendo l'uomo un animale sociale tenderà, come sempre accade, a seguire il gregge. Diceva Aristotele: "Chi è incapace di vivere in società, o non ne ha bisogno perchè è sufficiente a se stesso, deve essere una bestia o un dio.