Citazione di: Jacopus il 06 Maggio 2019, 23:49:35 PMLa pena nei secoli ha avuto una evoluzione non indifferente. Davintro ha scelto una posizione virata fortemente verso la posizione "utilitaristica". La pena deve assolvere ad un compito economico, di restituzione e di gestione della società nel suo complesso. Va bene, per carità, ma è solo una forma un po' raffinata della lex talionis. Un'altra grande tradizione è quella "retributiva". Hai fatto del male, ti restituisco del male, possibilmente in un modo talmente geometrico da essere inattaccabile. Poi c'è la tradizione "social-preventiva": punisco il reo come esempio, per impaurire e controllare tutti i possibili rei. Accanto a queste tradizioni che accettano la pena, vi sono quelle critiche nei confronti della pena, a partire da quella marxista, per cui il diritto penale non è altro che il cane da guardia dei rapporti di classe. Per passare ad altre interpretazioni più sofisticate per le quali ad esempio la pena serve per distinguere "paranoicamente" i buoni dai cattivi. Penso che non potremmo, sul breve-medio termine fare a meno del diritto penale, per motivi difficili da sintetizzare ma che chiamano in causa anche la trasmissione genetica, ma occorrerebbe sentirci, di fronte ad un reato sempre come co-responsabili, e in quanto tali promotori di un mondo meno violento e più giusto e questo mondo non si può cercare né voltandoci dall'altra parte, né condannando persone fragili ad un ruolo che finisce per diventare identità e perpetuare il male e i reati. Contemporaneamente dobbiamo interrogarci sui nostri comportamenti, spesso altrettanto illegali come quelli della delinquenza comune, ma coperti dalla patina della rispettabilità da "colletto bianco". Nulla di nuovo in fondo. È già stato tutto detto da Gesù Cristo in termini magari più semplici ma che colpiscono il cuore della questione, con buona pace di tutti i cristiani-crociati.
solo per un chiarimento... a quanto ne so la legge del taglione è appunto basata sulla restituzione in termini "vendicativi" di una pena proporzionata all'offesa ricevuta, quindi dovrebbe ricadere pienamente nella tradizione "retributiva", che però è lontanissima da quella che ho provato a esporre... Nella mia posizione il fine della pena non è ristabilire alla "occhio per occhio, dente per dente" una sorta di equilibrio cosmico turbato dal reato che si intende sanzionare (che presupporrebbe l'idea dello stato come soggetto giudicante etico, in opposizione all'idea di stato liberale che ho espresso), ma solo un ruolo di prevenzione nei confronti di reati futuri. Danneggiare una persona, anche se criminale, privandolo della sua libertà va a mio avviso accettato solo come un male minore, entro i limiti in cui è necessario a evitare che i reati commessi possano perpetuarsi, mentre, estremizzando, nel caso che un autore di crimini, anche particolarmente efferati, subisse dopo averli commessi danni invalidanti che ne annullino del tutto la pericolosità sociale, non dovrebbe nella mia prospettiva subire la minima pena, perché in quel caso sarebbe solo un accanimento e una vendetta gratuita da parte dello stato che non fa altro che aumentare la sofferenza nel complesso della società, senza cancellare alcun danno in precedenza provocato. Cioè dal mio punto di vista la pena ha senso solo da un punto di vista pratico, un male minore funzionale a evitarne di peggiori, nulla di più lontano dal carattere moralistico di risarcimento vendicativo sottinteso alla legge del taglione. Tra le due posizioni non vedo davvero alcuna possibilità di confusione o identificazione, tale dal far considerare una la "forma un po' raffinata" dell'altra