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Messaggi - Phil

#2251
Riflessioni sull'Arte / Re:Poesie modificate...
03 Settembre 2016, 16:21:20 PM
Citazione di: Jean il 02 Settembre 2016, 23:37:30 PMOgnuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di Sole:
ed è subito sera.

Ma nel ricordo, che dentro stringe e serra,
rivedo il tuo bel viso, e le parole
di quella primavera.

Un rimpianto si perde ed erra;
l'anima non più si duole:
il fato mio s'avvera...
 

La vita che mi lascia non l'afferra
(altre son le cose ch'essa vuole)
qual fumo che risal dalla teiera.  

Presagi di pace eterna dopo la guerra,
non voci ma silenzio nelle gole
allo svanire di ciò che c'era...




Ognuno sta solo sul cuor della terra,
ma nel ricordo che dentro stringe e serra,
un rimpianto si perde ed erra,
la vita che mi lascia non l'afferra...
presagi di pace eterna dopo la guerra.

Trafitto da un raggio di Sole
rivedo il tuo bel viso, e le parole;
l'anima non più si duole
(altre son le cose ch'essa vuole),
non voci ma silenzio nelle gole

di quella primavera.
Ed è subito sera,
il fato mio s'avvera

qual fumo che risal dalla teiera
allo svanire di ciò che c'era...

Visto lo sviluppo del tema, un po' di "verde speranza" non guasta  ;D
#2252
Riflessioni sull'Arte / Re:Poesie modificate...
02 Settembre 2016, 20:53:53 PM
Citazione di: Jean il 02 Settembre 2016, 19:53:45 PMOgnuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di Sole:
ed è subito sera.  

Ma nel ricordo, che dentro stringe e serra,
rivedo il tuo bel viso, e le parole
di quella primavera.  

Un rimpianto si perde ed erra;
l'anima non più si duole:
il fato mio s'avvera...



Ognuno sta solo sul cuor della terra
ma nel ricordo, che dentro stringe e serra,
un rimpianto si perde ed erra;
trafitto da un raggio di Sole
rivedo il tuo bel viso, e le parole;
l'anima non più si duole
di quella primavera
ed è subito sera:
il fato mio s'avvera...
[Corsivo mio]

Giocosamente...  ;)
#2253
Citazione di: maral il 01 Settembre 2016, 20:05:24 PMA chi ritiene che la realtà sia data dall'esperienza dei particolari sensibili da cui l'intelletto astrae concetti generali di portata metafisica ideale (il bello dalle cose belle, il buono dalle cose buone, il due dall'una cosa e un'altra cosa) verrebbe da chiedere ma in che modo si può sentire che quelle cose nella loro diversità sono tutte belle o buone se non è già presente l'idea (o solo il sentimento) di una bellezza e di una bontà, in che modo si può concepire che uno e uno sia due, se già non c'è da qualche parte l'idea di una dualità? I giudizi sintetici a priori non sono forse questo? Come si possono mai negare affermando che tutti i giudizi sintetici non possono altro che essere a posteriori se non a mezzo di un giudizio sintetico che è ancora a priori?
Quando parlavo del ruolo dell'astrazione ho evitato volutamente l'insiodioso termine "realtà", così come l'altrettanto periglioso termine "idea": parole troppo ricche di tradizione e di metafisica, per non creare dispersione concettuale nel discorso.

Dal mio punto di vista, il ruolo del linguaggio e della sua acquisizione viene spesso sottovalutato: se è vero che è il linguaggio a strutturare l'orizzonte di senso in cui ciascuno vive, le idee-ops!-astrazioni concettuali vengono prima apprese dalla cultura in cui si cresce (o costruite per "induzione linguistica" come suggerisce Sgiombo con l'esempio della bellezza), poi, esperendo e riflettendo, possono essere personalizzate... se riconosco e definisco qualcosa come "bello" o "duplice" o "astratto" è perché mi è stato precedentemente insegnato e spiegato cosa significa "bello" e "duplice" e "astratto", e come individuare queste caratteristiche nell'esperienza (oppure, in alternativa, creerò dei neologismi...).

L'astrazione per eccellenza è quella del linguaggio, e proprio il linguaggio (con la sua logica) è l'unico paradigma imprescindibile per il ragionamento (idealista o materialista che sia), ma già nel riconoscerne il funzionamento si ha qualche indizio per risolvere le sue apparenti aporie: se non mi fosse stato insegnato che esiste "il bello", o meglio, che si può parlare di un'esperienza/percezione come "bella", non mi si potrebbe porre la dialettica viziosa fra percezione-del-bello/criterio-della-bellezza. 
Quindi, per me, tutto parte dal linguaggio, dall'acquisizione "eteronoma" delle sue parole-definizioni-concetti, per poi proseguire il laborioso tentativo di "calibrazione" del proprio vocabolario basandosi sull'esperienza.

P.s. In questa constatazione dell'egemonia della linguisticità, non scorgo traccia nè della metafisica, nè di paradossi...
#2254
Citazione di: davintro il 01 Settembre 2016, 02:17:23 AMIn qualunque concetto, in quanto tale, si annida l'idea di universalità, perchè ogni concetto vale per tutti gli individui possibili in ogni tempo e luogo della specie indicata nel concetto. 
In ogni concetto si annida l'idea di "universalità" o di "astrazione"? Pongo questa domanda per intenderci meglio sulle parole chiave della questione... personalmente, direi che ogni concetto è astratto, ma non che ogni concetto è universale: ad esempio, il mio concetto di "giustizia" non solo è personale (limitato nello "spazio"), ma potrebbe essere stravolto domani (limitato nel "tempo"); quindi, quando lo penso, non lo penso "universale", ma solo utilmente "astratto", ovvero fruibile per valutare un'ipotetica universalità dei casi, ma senza essere esso stesso universale (non è dunque il concetto in quanto tale ad essere sempre e necessariamente universale, ma le sue possibili applicazioni; non so se è questa l'ambiguità che porta al nostro disaccordo...). 
Che significa "universalità dei casi"? In tutti i casi possibili. Come faccio ad estendere l'applicazione di un concetto (non il concetto stesso) a tutti i casi possibili? Tramite l'astrazione (negativa) che lega il singolare/parziale al plurale/totale.

Citazione di: davintro il 01 Settembre 2016, 02:17:23 AMQuindi non è possibile che il concetto di "universalità" sia la derivazione secondaria della negazione del concetto di finitezza o particolarità. Perchè già nel formare il concetto di "finitezza" o "particolarità" è già implicito il riferirsi della nostra mente all'universalità, la "finitezza" vale per TUTTI i finiti, la "particolarità" vale per TUTTI gli oggetti particolari. 
Questi "tutti" vengono semplicemente astratti dai rispettivi "uno"... e, come accennavo prima, non è la "finitezza" o la "particolarità" ad essere "universale", ma, asintoticamente, le loro possibili applicazioni...

Citazione di: davintro il 01 Settembre 2016, 02:17:23 AML'apprensione dell'idea di "universalità" o "totalità" è una struttura trascendentale e innata della nostra mente, non può essere la derivazione di alcun concetto, perchè ogni concettualizzazione la presuppone.
Se "totalità" e "universalità" sono una "struttura trascendentale innata" (ammesso e non concesso ;) ), non dovrebbero logicamente appartenere alla stessa "struttura" anche "parzialità" e "singolarità"?
Questa struttura innata non verrebbe comunque attivata dall'esperienza del singolare/parziale? La capacità d'astrazione non si sviluppa, nei primi anni (non sono pratico di infanzia!) proprio a partire dal vissuto del particolare? Questo sviluppo (se c'è...) conferma l'innatismo del concetto di universalità oppure conferma che l'universalità è frutto di un'astrazione (negativa)?

Per ora, concorderei con Sgiombo nel concludere che la condizione di possibilità della concettualizzazione è l'astrazione, non il concetto di universalità (a sua volta derivato da un'astrazione, secondo me...):
Citazione di: sgiombo il 01 Settembre 2016, 13:39:42 PMCiò che ogni concettualizzazione presuppone non é la conoscenza innata [...] del concetto di "universale" (che si acquisiscono a posteriori, con l' esperienza; oppure ci vengono insegnati), bensì la mera capacità (potenzialità) innata di astrarre e definire concetti.

P.s. Si possono astrarre concetti non universali? Se per concetto intendiamo "astrazione formale", direi di si: ognuno di noi ha i suoi individuali concetti riguardanti l'arte, la politica, la vita, etc. che non sono universalmente validi o accettati...
#2255
Citazione di: Jean il 31 Agosto 2016, 00:04:49 AMlo stato di "assenza dall'attaccamento" [...] si ha quando quel piccolo intervallo temporale per un qualche motivo non entri in gioco 
In quel lasso temporale infatti ci assentiamo dal vivere l'esperienza attuale... un po' come quando dobbiamo scegliere qualcosa al supermercato, ci soffermiamo a ponderare e, in quel preciso momento, la realtà intorno a noi "sfuma", non è più "a fuoco", perché siamo assorti-assenti, non siamo più nel qui-ed-ora...

Citazione di: Jean il 31 Agosto 2016, 00:04:49 AMcome mi par possa avvenire a seguito delle pratiche zen, ad esempio del tiro con l'arco
ma non solo:
Citazione di: Sariputra il 31 Agosto 2016, 11:19:18 AMDi questo luogo di pace nulla si può dire con il linguaggio. E' un'esperienza. Un saluto dal pittore...di infissi!! :D :D
Se il buon Sariputra dipinge con immanente consapevolezza, senza discriminare fra il pennello, la vernice, l'infisso, etc., senza assentarsi mentalmente per rincorrere pensieri, incombenze e desideri, lasciando che il suo respiro regolare lo accompagni nel vivere-fare quell'azione, allora anche verniciare gli infissi può essere meditazione zen, una piccola parentesi di Nirvana...

P.s. Poi, probabilmente, suonerà il telefono/cellulare, Sariputra chiederà "chi è?", e un centralinista della Tim, senza cogliere la profondità esistenziale della domanda (il koan che il nostro pittore gli pone), proporrà un'offerta imperdibile per "navigare più veloce" nel Samsara e per avere sempre un'ottima "copertura" (di Maya...)  ;D
#2256
Tematiche Filosofiche / Re:Perché fare filosofia?
31 Agosto 2016, 00:15:57 AM
Citazione di: Gasacchino il 30 Agosto 2016, 22:22:10 PMCon filosofia intendo fondamentalmente quella non applicata [...] parlare di filosofia politica, vuol dire parlare di politica. In questo caso il termine filosofia è abbastanza superfluo, al massimo specifica che tipo di approccio si ha, ma si rimane pur sempre inerenti al campo al quale la filosofia si appoggia.
Se "mutiliamo" la filosofia, o ogni altra disciplina, privandola della sua applicazione, è normale che la disciplina "storpia" che rimane ci sembri fine a se stessa... la filosofia vive proprio di quell'approccio che citi nell'esempio della politica: parlare di politica, parlare filosoficamente di politica, o parlare di filosofia politica, è piuttosto differente (esempio banale: la televisione si occupa di politica o di filosofia della politica?).

Citazione di: Gasacchino il 30 Agosto 2016, 22:22:10 PMRitornando a cosa intendo per filosofia, direi che un esempio possa essere la metafisica [...] la filosofia [...] l'ho sempre amata pensando al teorico "amore per il sapere" che ad essa dovrebbe essere insito [...] Diciamo che vedo abbastanza tradito questo obiettivo professato dalla filosofia 
Chiaramente se per filosofia intendiamo la metafisica ("scaduta" il secolo scorso), restiamo delusi dalla divergenza fra la sua ambizione e l'attuale plausibilità delle risposte proposte... proprio per questo bisognerebbe considerare la filosofia applicata, che è quella ancora "attiva".

Citazione di: Gasacchino il 30 Agosto 2016, 22:22:10 PMcon non poco sconforto mi sono reso conto che purtroppo non comprende poi tanto bene la realtà, altrimenti [...] si avrebbe un sapere unitario e non un agglomerato di teorie e filosofie opposte le une alle altre
Credo che il cuore della filosofia sia proprio fornire differenti approcci interpretativi ("non fatti, ma interpretazioni" diceva qualcuno), non un'unica risposta incontrovertibile e definitiva, come tendono a fare le cosiddette "scienze della natura". Come mai le filosofie sono molte e talvolta antagoniste? Perché "l'uomo è misura di tutte le cose" (come diceva qualcun'altro), ma di uomini ce ne sono tanti, quindi ci sono tante "misure" e tante prospettive (vedi il post n.9 sul pluralismo  ;) ).
L'ideale di un sapere unitario e senza obiezioni è quindi perseguibile solo in ambiti che non coinvolgono l'agire umano (come invece fanno l'etica, l'estetica, la politica, la religione, etc.), e questo ce lo insegna... esatto, proprio la filosofia!

P.s. E visto che sono in vena di citazioni e parafrasi: "per sancire l'inutilità della filosofia, occorre fare filosofia..."
#2257
Tematiche Filosofiche / Re:Perché fare filosofia?
30 Agosto 2016, 16:00:18 PM
Secondo me, il relativismo (pensato come pluralismo) non è un rischio o una malattia destabilizzante, ma la constatazione dell'autoreferenza (storica e logica) di ogni cultura o prospettiva (il che non implica che tutti debbano essere entusiasti di questa consapevolezza); e, per restare in tema, è la condizione di possibilità dell'apertura ermeneutica a cui la filosofia può instradare.

Qualcuno altrove ha citato l'immagine antropomorfizzata della giustizia, la dama con la spada e la bilancia, e credo che, metaforicamente, la signora (o signorina?) ci porga anche un aut-aut, una scelta paradigmatica fra la bilancia (che ci insegna che non esistono un "pesante" e un "leggero" che non siano relativi ad un altro "pesante"/"leggero" usato come criterio) e la spada (che simboleggia l'assolutezza di una unica separazione definitiva fra vero e falso, e fra tutte le altre coppie dicotomiche... assolutezza che può talvolta spingere a combattere ed uccidere chi non è d'accordo, in nome dell'unica verità posseduta...).

Il relativismo porta all'individualismo e alla perdita di valori? Non necessariamente, direi, perché è il contesto pragmatico delle società ad avere esigenze comunitarie: sapere che ogni legislazione, ogni lingua, ogni cultura è relativa (autoreferente, ma non più "giusta" o "vera" delle altre), non impedisce, di fatto, il funzionamento sovra-individuale di quella legislazione, quella lingua e quella cultura... 
Credo che, in generale, sia una questione di consapevolezza: riconoscere che è ritenuto corretto un comportamento, non perché lo vuole un dio (perfetto e assoluto), ma solo perché è il codice civile (convenzionale e arbitrario) ad imporlo, non inficia una autentica e profonda condivisione delle idee di base che motivano quel comportamento... pur nella consapevolezza che altri non sono d'accordo (e che non c'è sempre necessariamente una "ragione" ed un "torto" assoluti, ma sono, appunto, relativi al rispettivo contesto di giudizio...).

P.s. Qualcuno potrebbe obiettare che il relativismo è contraddittorio perché non relativizza la sua stessa prospettiva, ma (senza scomodare la "teoria dei tipi" di Russell che disinnesca tale antinomia), si tratta in fondo di una contraddizione solo apparente: il vero relativista infatti non si (im)pone come "postino della verità", ma propone il relativismo come uno dei molti paradigmi di lettura, sempre relativo ad un orizzonte plurale con altre molteplici possibilità (e se anche tale relativista propende per l'omonimo orientamento, coerentemente, non può esprimere valutazioni assolute sulle altre prospettive...).
#2258
Secondo me l'"astrazione formale" è semplicemente un'operazione logica: ciò che si astrae è proprio la forma, per cui quando vedo due mele, due alberi o due persone, astraggo il concetto formale di "coppia", che potrà essere poi applicato (o "suscitato") anche a coppie che non avevo mai visto prima, proprio in quanto astratto e formalizzato (una volta astratta la forma logica dell'esser-due di qualcosa, posso riconoscerla anche altrove...). 

Come è possibile astrarre allora l'universalità, che in quanto tale non è esperibile? Tramite la cosiddetta "astrazione negativa": individuo (o congetturo) in qualcosa l'assenza di una astrazione pertinente che ho già formalizzato... ad esempio, se ho il concetto astratto (e formale) di "bellezza", guardando qualcosa di brutto non lo potrò assimilare alla bellezza, allora lo considererò non-bello (brutto, appunto), così come, avendo il concetto formale di finito, per astrazione negativa potrò concepire la possibilità del non-finito (infinito); lo stesso dicasi per particolare/universale, umano/divino(o meglio, non-umano), materiale/immateriale, etc... una volta astratta la forma logica di un dato, se ne ottiene un'altra (più o meno legittima) semplicemente usando la negazione.
#2259
@davintro
Credo che in questa problematicità fra permanente ed impermanente, tu abbia convocato un protagonista fondamentale: la memoria... è lei che dà continuità alla (auto)coscienza, consentendole di assecondare la fluidità del divenire; non serve altro... ogni stato di memoria comprende il precedente (non lo cancella) e, così aumentando, percepisce il passare del tempo: oggi mi ricordo tutto il mio passato fino a ieri (ovviamente con molti "vuoti di memoria", ma credo sia chiaro cosa intendo); domani ricorderò anche oggi, e questa "crescita" di memoria, con la sua continuità, mi farà capire che è passato del tempo e la mia vita, accumulando ricordi, è andata avanti. 

Non serve uno spirito o un'anima per tenere assieme il flusso di coscienza ("joyciano") o per organizzare la memoria: bastano un cervello sano ed un'annessa autocoscienza... il fatto che io viva la vita dal mio punto di vista prospettico (in senso fisico, non metaforico!), e che ciò che ho visto un attimo fa sia seguito da ciò che vedo ora, mi garantisce l'identità e la coesione del mio essere lo stesso soggetto-percipiente che esperisce sensazioni successive e a cui accadono fatti in sequenza (una sorta di dimostrazione per assurdo: non credo che i malati di Alzheimer abbiano un'anima "difettosa", ma la loro crisi d'identità e il loro rapporto conflittuale con l'ordine del divenire, sono dovuti, se non erro, ad un problema di funzionamento esclusivamente fisiologico...)

Banalizzando: il mio computer non ha un'anima (spero!) eppure tenendo traccia della cronologia (delle operazioni che compie, dei siti che visita, etc.) che aumenta giorno dopo giorno, se fosse intelligente, o se avesse addirittura una coscienza, potrebbe percepire anche lui il suo divenire, il suo fluire nel/del tempo. Secondo me, basta avere una memoria cosciente e si può essere consapevoli del proprio divenire e del divenire di ciò che ci circonda...

Con questo non voglio criticare chi crede in un'anima e le ascrive il compito di essere tutore dell'identità dell'individuo, ma solo suggerire che, forse, la coscienza del divenire può anche fare a meno di entità trascendenti o mistiche...

P.s. Buon compleanno!
#2260
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 13:14:45 PMPrajna , un termine sanscrito che però non ha un esatto equivalente nella nostra lingua (Conoscenza intuitiva? Visione intuitiva? Legato al meditare...)
Molto interessante la Prajna come intuizione indotta dalla meditazione (o meditazione che porta all'intuizione), ovvero, se ho ben inteso, come esperienza dalle conseguenze "illuminanti"(o "risveglianti"), estranea alla logica del conoscere formalizzato, alla razionalità del comprendere linguistico e al misticismo dell'ascesi a dio. 
Credo non ci sia un termine adatto a tradurre "Prajna" perché la cultura occidentale (greco-cristiana) probabilmente non ha mai concepito un tipo di """conoscenza""" basata su un "uso del corpo", basti pensare alla differente sfumatura semantica del verbo "meditare": in occidente viene inteso soprattutto come ponderare, riflettere, valutare, mentre in oriente viene inteso perlopiù come pratica disciplinata del proprio corpo (con attenzione al respiro, alla postura, etc.).

Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 13:14:45 PMIn questo giorni avrei bisogno di qualcuno che mi aiutasse a riverniciare gli infissi delle finestre. Pago poco però...un prosecchino di Valdobbiadene o un caffè napoletano vanno bene lo stesso? Serviti dalla Vania naturalmente... :D :D :D
Grazie per l'invito, ma, in tutta onestà, non mi ti consiglio... sarei un manutentore estremamente inadeguato ( ;) ), rischierei di verniciare anche i vetri... magari ne verrebbero giochi di luce interessanti  ;D
#2261
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 10:01:09 AMl'intuizione e le forme dell'Arte si avvicinano di più alla "conoscenza" del reale, a parer mio. Proprio perchè trascendono i limiti del linguaggio concettuale.
Se mi è concesso, vorrei prendermi la libertà di "ristrutturare" questa tua osservazione, non perché sia "fatiscente" (anzi!), ma proprio perché vorrei provare ad "abitarla" e, com'è noto, ogni inquilino "personalizza" sempre il suo "habitat" (non mi chiederai l'affitto, giusto? Confido nella tua ospitalità  ;) )

Un elemento che eliminerei è l'intuizione (se intesa laicamente come  balenare di una possibile verità): secondo me, è troppo vincolata a ciò da cui nasce (la mente, l'inconscio...) per essere ritenuta adeguatamente affidabile (intendiamoci, a volte lo è, e ci risolve persino alcuni problemi...). Per inciso, penso che nel silenzio alinguistico (di cui si è parlato in precedenza) non si intuisca, ma si esperisca. Che differenza c'è? Che l'intuizione, secondo me, convoca l'angusto problema della verità con più facilità di quanto lo faccia l'esperienza (ma ammetto che è una distinzione molto personale).

L'arte si avvicina alla "conoscenza" del reale? Vorrei innescare al massimo la potenzialità di quelle virgolette, fino a tramutare "conoscenza" (parola gravida di concetti elucubrativi come soggetto/oggetto, verità, sapienza, etc.) in "esperienza". Ciò che infatti ritengo l'arte faccia accadere è l'esperienza, non una "comunicazione gnoseologica"... esperienza del vero? Solo se ci accostiamo all'arte ciecamente affamati di verità e quindi (auto)suggestionati dal desiderio di trovarla (finendo per vedere dappertutto le sue tracce...).

L'arte e l'intuizione trascendono i limiti del linguaggio concettuale? Direi che hanno un loro linguaggio che non è quello logico: l'intuizione ci comunica "qualcosa" (che tuttavia non possiamo formalizzare logicamente in modo esatto), l'arte ci comunica un "input" che fa accadere l'evento estetico (la sua comunicazione quindi può essere solo parafrasata con parole e concetti, ma di per sé non è un "dire"...). Forse risponderei alla domanda dicendo che il linguaggio, anzi, i linguaggi dell'intuizione e dell'arte non hanno limiti concettuali (più che "trascendere" quelli del linguaggio formale: si tratta di linguaggi differenti, non necessariamente "comunicanti" fra loro).


P.s. Forse abuso dei termini "accadere" ed "esperire", ma sono due parole "dinamiche" che arrancano nel tentativo di descrivere la temporalità del divenire, per evitare di cristallizzare la vita in monolitiche identità che si prestano alla rigida speculazione metafisica (nobile per storia, ma che ragiona solo in termini di "fotogrammi", incapace di comprendere, anzi, esperire il "filmato"...).

P.p.s. Ecco, ora che ho "ristrutturato" la tua osservazione, mi rendo conto che ho trasformato un accogliente monolocale in una cuccia per cani... sarà per questo che non faccio l'architetto?!
#2262
Tematiche Filosofiche / Re:Perché fare filosofia?
27 Agosto 2016, 20:53:16 PM
Citazione di: cvc il 27 Agosto 2016, 19:00:44 PMassumere un atteggiamento, un modo di pensare troppo astratto che faccia perdere di vista l'importanza pratica del filosofare
Questa considerazione mi ha fatto venire in mente due episodi, riguardanti Talete, che ben descrivono i due stereotipi della filosofia, quello della "testa fra le nuvole":
«Come successe a Talete, o Teodoro, che mentre osservava le stelle e guardava in alto cadde in un fosso, ed una serva tracia, si dice, si burlò di lui molto spiritosamente, domandandogli come potesse pretendere di osservare le cose del cielo quando non sapeva vedere quel che aveva davanti ai piedi»
(Platone, Teeteto)

e quello della "saggezza", anche in senso pratico:
«Raccontano dunque che qualcuno, rinfacciandogli la sua povertà, asserisse che la filosofia non era di alcuna utilità pratica; allora Talete, che, grazie alle sue conoscenze astronomiche, prevedeva una grossa raccolta di olive, prese in affitto fin dall'inverno i frantoi di Mileto e di Chio a condizioni vantaggiose perché nessuno ne offriva di più, dando come caparra un po' di denaro di cui disponeva. Al momento opportuno, quando la richiesta divenne forte e urgente, li cedette di nuovo al prezzo che voleva e ne trasse molto denaro» (Aristotele, Politica)

In entrambi i casi il filosofo ha scrutato il cielo, ma quanto è stato differente il risultato!  ;D
#2263
Tematiche Filosofiche / Re:Perché fare filosofia?
27 Agosto 2016, 16:06:00 PM
Anche stavolta temo non si possa prescindere dal chiarire il termine centrale: cosa si intende con "filosofia"?

Proporrei due osservazioni:
- "fare filosofia" non credo comporti sempre "dedicare la propria vita alla filosofia"(semi-cit.): la prima è una laboriosa attività mentale (semplificando), la seconda sembra quasi alludere ad un mestiere (che quindi richiede qualifiche, orari, "dipendenze" ed una certa "produttività"...).
- Gasacchino, perché hai l'impressione che la filosofia "poggi sul nulla"(cit.)? Per me è il contrario: la filosofia è "parassitaria", non può prescindere dallo "sfruttare" ciò che è altro da lei (basta pensare alle cosiddette filosofie "al genitivo": filosofia della scienza, della religione, dell'arte, della politica, della matematica, della storia, etc.). 
La filosofia si può applicare a tutto ciò che è linguaggio (verbale, artistico, scientifico o altro...), e se ciò non è possibile, allora Lei traduce in linguaggio ciò che non lo è (l'esperienza sensibile, un intuizione metafisica, un meccanismo inconscio, etc.) per poterci "lavorare".

Coniugando i due punti precedenti possiamo, secondo me, iniziare a tratteggiare una risposta alla domanda su cosa sia la filosofia: è un'attività mentale (che quindi produce direttamente poco di materiale, al massimo qualche libro o filmato di conferenza... anche se indirettamente le sue conseguenze cambiano la storia...), che è comprensiva e comprendente di ciò che la circonda, ovvero è "curiosità problematizzante".

Parafrasando il titolo del topic, assecondando la prospettiva proposta (come si fa con i matti!): perché cimentarsi in un'attività mentale che muta la curiosità in problemi? Con quale utilità?

Non voglio rispondere ora per lasciare che altri affrontino il discorso, magari da altre prospettive...

P.s. Mentre scrivevo ha postato Jacopus, di cui condivido in gran parte il discorso, tranne l'affermazione che il "fare filosofia" sia "elitario": non il fare, ma il campare facendo filosofia, è elitario  ;D
#2264
Citazione di: paul11 il 26 Agosto 2016, 19:45:04 PMPhil tu presumi la reincarnazione, non la posso scartare come ipotesi
Non presumo affatto la reincarnazione: è una congettura religiosa in cui non credo... per questo ho scritto di non essere d'accordo con la prospettiva di Nisargadatta
Citazione di: Phil il 25 Agosto 2016, 16:16:32 PMche non rappresenta esattamente la mia visione del mondo, soprattutto per quanto riguarda la reincarnazione

P.s. Sono proprio così illeggibile? ;)
#2265
@paul11
Vediamo se ho capito la tua prospettiva (è divergente dalla mia ma voglio comprenderla!): c'è un Dio (eterno), c'è lo spirito/i che eternamente genera anime che accompagnano (letteralmente "animano"!) il corpo dell'uomo nella sua avventura materiale (detta "vita") nel mondo; quando questa vita termina, l'anima (che ha abitato l'uomo carnale) torna al suo spirito eterno. Ho frainteso?

Trovo comunque molto pertinente la questione aperta da Sariputra
Citazione di: Sariputra il 26 Agosto 2016, 09:26:38 AM
Ma l'agente eterno , lo spirito o l'Essere che dir si voglia, lo vedi creato da una divinità? Perchè se come sostieni è eterno, presistente, non può essere creatura.
Che sia, per assonanza, l'eterno Spirito Santo della trinità? Se così fosse resterebbe comunque il problema della sua quantità:
Citazione di: Sariputra il 26 Agosto 2016, 09:26:38 AME' unico e assume in sè le varie anime individuali, come un cesto che raccoglie le individualità ?
Credo che Paul risponderebbe di no, avendo parlato di "spirito individuale":
Citazione di: paul11 il 26 Agosto 2016, 10:13:35 AMnoi ritorniamo allo spirito individuale(il nostro Essere)
anche se aveva già preventivamente accennato all'indecidibilità riguardo tale spirito:
Citazione di: paul11 il 26 Agosto 2016, 01:44:45 AMNon chiedetemi come e dove sia lo spirito, il paradiso, ecc. in questo la penso come la teologia negativa, simile alla spiritualità orientale.Noi quì nel divenire non possiamo dire degli eterni come concetto esistenziale, non è esperibile ,sarebbe davvero solo fantasticare privo di una razionalità.

Mi restano quindi alcune domande:
- se lo spirito è individuale (ed eterno), allora è corretto parlare di spiriti, al plurale, come moltitudine, proiezione metafisica di tutti gli individui vissuti e dei corpi che esisteranno... ma allora i nostri spiriti (miliardi!) sono "coetanei" di Dio? Ma forse questa è una sotto-domanda dell'obiezione di Sariputra e chiama in causa l'impossibilità della risposta...
- l'anima, una volta ricongiunta con il suo corrispettivo spirito eterno, muore? Dove va? Si dissolve/risolve in esso?

Mi risulta un po' oscura anche la tua concezione di "essenza":
Citazione di: paul11 il 26 Agosto 2016, 01:44:45 AML'autocoscienza deposita a sua volta il sapere della propria essenza esistente all'anima e dopo la morte l'anima porta allo spirito l'essenza di quella persona al proprio essere eterno ,preesitente, lo spirito.
Citazione di: paul11 il 26 Agosto 2016, 10:13:35 AMnoi ritorniamo allo spirito individuale(il nostro Essere) con le nostre essenze portate dall'anima nel divenire del corpo fisico
Cosa intendi con "essenze" che l'anima "porta" (accumula?) durante la vita, essenza il cui sapere "l'autocoscienza deposita" nell'anima?
Che fine fa questo deposito quando l'anima ritorna al suo spirito eterno? Che "senso" ha tale depositare?

P.s. Ho cercato di usare il tuo "vocabolario", spero di esserci riuscito  :)