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Messaggi - Phil

#2266
Le riflessioni sull'intelligenza collettiva, connettiva, etc. tendono a tutelare, o addirittura a valorizzare, l'individualità del singolo "utente", mentre lo scenario da te proposto nel caso 2 (il più radicale) sembra rimuovere totalmente la volontà individuale (che è ciò che crea sia i conflitti che le svolte storiche) rendendo l'individuo una sorta di periferica passiva (decisamente poco umana, anche perchè le emozioni ed i sentimenti non sarebbero più gli stessi...). 
Nel caso 1, ogni soggetto diverrebbe onniscente delle coscienze altrui, ma fino a che punto sarebbe libero di scegliere la modalità di interazione con l'altro? La "totale condivisione", ovvero la mancanza di "maschere" e "filtri" (anche ammettendo che sia tutelata da un impeccabile antivirus) non produrrebbe comunque, se non un "overflow", quantomeno un'alienazione dai consueti processi cognitivi che hanno alimentato lo sviluppo della ragione umana? 

In entrambi i casi, l'incognita principale credo sia il software deputato a gestire questa interazione planetaria: se fosse un deus ex machina (con una sua intelligenza artificiale) che pilota l'umanità come un suo videogioco (rovesciando quanto accade ora), non avrebbe forse più senso parlare di "umanità" in senso umanistico (ci ritroveremmo praticamente in Matrix: uomini-batteria-connessi vs uomini-sovversivi-disconnessi...); se fosse invece un programma che si limita ad agevolare la condivisione di dati, la responsabiliàtà della manutenzione (inevitabile, credo) di tale software sarebbe a dir poco tanto inquietante quanto soverchiante... 
In entrambi i casi, il grado di umanità residua sarebbe inversamente proporzionale alla dipendenza da tale software: più la connessione porta input, oltre che dati, più l'essere connesso finirebbe con il perdere la propria autonomia, diventando sempre più automa (non autonomo e non più homo...).
#2267
Tematiche Spirituali / Re:Karma e buddismo Tibetano
06 Novembre 2016, 15:51:33 PM
Citazione di: Sariputra il 05 Novembre 2016, 01:05:38 AMIl kamma non è morale, né immorale, è una necessità implicita proprio nel processo di costruzione e dissoluzione condizionata. Ma qui sorge la domanda: chi o che cosa decide che un'atto è virtuoso o malvagio? La risposta è: i suoi frutti. Tutto ciò che porta ad una diminuzione di dukkha è virtuoso, di giovamento ai nobili; Tutto ciò che aumenta dukkha è nocivo, da evitare per i saggi.
Queste osservazioni mi fanno porre la seguente questione: che rapporto c'è fra il male come malessere/sofferenza psico-fisica e il male morale?
Il primo è esperibile, ma il secondo (fuori dal giusnaturalismo e dalle religioni rivelate) si presenta come poco più di una convenzione sociale... e, tornando al buddhismo, se il bene (sia psico-fisico che morale) è direttamente proporzionale alla diminuizione di dukkah, allora la morale buddhista si fonda sulla trasposizione socio-culturale del meccanismo fisiologico di avversione al dolore? Questa "immanentizzazione corporale" della morale è una mossa forte... eppure, se siamo "biologicamente programmati" per rifuggire da ciò che il nostro corpo individuale riconosce come doloroso, possiamo davvero coniugare questa repulsione nel rapporto con gli altri? La sola empatia non sarebbe adeguata...

Se non erro, nell'ottuplice sentiero non compare l'altro (il "prossimo" del cristianesimo) ed è un sentiero essenzialmente solitario (anche al netto della differenza fra Theravada e Mahayana...). Certo, la dimensione sociale del buddhismo è storia nota (il gioiello "sangha", il voto di salvare gli altri esseri senzienti, etc.), ma la sua etica non è in fondo il prezzo da pagare (seppur economico!) per adattarsi ad un contesto sociale laico, a discapito del suo nucleo più "profondo"?

In sintesi (e al di là dello spauracchio della rinascita in forme infime), se non c'è un'Io (anatman) come può esserci un Tu, e quindi un'etica di relazione e responsabilità?
Nella citazione che hai riportato, la legge karmica viene presentata come garante della responsabilità sociale (nonostante l'anatman), ma mi pare sia una risposta a posteriori alla "necessità" di calare la dottrina nella società, che tuttavia quasi contraddice il suo nocciolo teoretico: se ogni mia azione negativa produce una conseguenza nefasta, bisogna intendersi su cosa sia "negativo" e "nefasto" per me che compio tale azione, che non coincide necessariamente con una forma di vissuto-dukkah... inoltre per pagare dazio tramite la conseguenza delle mie malefatte, si deve presupporre necessariamente che ci sia un io molto "costante e solido" che espii la sue colpe, oppure un'anima individuale che le sconti nella sua vita successiva, ma entrambi gli scenari vengono scartati dall'impostazione buddhista...
Il passaggio dall'estirpazione del dukkah individuale (ovvero niente illusione di un io) alla dimensione etica (ovvero responsabilizzazione dell'io) non è quasi un paradosso, in cui ognuno dei due "atteggiamenti" ostacola l'altro?

P.s.
Mi è tornato in mente l'epicureismo, meno fortunato storicamente del buddhismo, che ambiva ad una simile eliminazione della sofferenza, almeno in senso fisico (aponia) e a una "liberazione dalle passioni" (atarassia) che ricorda molto lo sradicamento della "passione agitatrice" (raga) propugnato dal buddhismo.
#2268
Tematiche Filosofiche / Re:Nulla è contro-natura
04 Novembre 2016, 21:09:29 PM
Citazione di: Voltaire il 04 Novembre 2016, 19:39:59 PMLa natura è la realtà, il suo manifestarsi e svolgersi, prendendo la definizione da wikipedia: "La natura è l'insieme di tutte le cose esistenti considerato nella sua forma complessiva, nella totalità cioè dei fenomeni e delle forze che in esso si manifestano."
Se accettiamo questa definizione, per cui "natura" e "realtà" sono in fondo sinonimi, allora ovviamente non si può porre il contro-natura, se non come parente dell'irrealtà; a questo punto "artificiale" e "tecnologico" diverrebbero sottoinsiemi di "natura"... se non fosse che la stessa Wikipedia (fonte della definizione precedente) definisce "artificiale" (in "wiktionary") come "prodotto con mezzi tecnologici a imitazione del naturale" e pone tra i sinonimi di "artificiale" l'espressione "non naturale" e come contrario di "artificiale" proprio "naturale"... il che lascia sospettare che l'artificiale non sia un sottoinsieme del naturale... che sia tutta una questione di definizioni?

P.s.
Confesso pubblicamente un personale disagio nel guardare l'automobile ed affermare "anche lei fa parte della natura!", perchè, nel mio modestissimo vocabolario personale, "ente" e "elemento naturale" non sono sinonimi... fermo restando il problema di definizione posto nel "domandone"  ;D

P.p.s.
Citazione di: Voltaire il 04 Novembre 2016, 20:51:46 PMl'uomo può danneggiarsi a tal punto da estinguersi, ma ciò non prescinde il fatto che questo processo sia naturalissimo.
Concordo pienamente.
#2269
Tematiche Filosofiche / Re:Nulla è contro-natura
04 Novembre 2016, 17:31:33 PM
Per evitare equivici, come sempre credo convenga partire dalla definizione dei termini in gioco: 
1) cosa si intende per "natura"?
2) il "contro" del contro-natura, va inteso come semplice negazione (non-naturale) o come ciò che si oppone all'inerzia e alle tendenze della natura?
3) per naturale possiamo intendere lo "spontaneo ed innato" (come le stagioni o gli istinti) e per contro-natura il "tecnologico" o l'"artificiale" (il proiettare la propria immagine su un monitor a 100 km di distanza)?

Domandone: se l'uomo è per natura "homo technicus" (la clava, la ruota, la capanna, etc. sono un prodotto artificiale di tecnica ma frutto della naturale ragione umana), non è per lui "naturale" essere arrivato, nei millenni, alla manipolazione genetica? Dove finisce la tecnica-naturale (se c'è) e dove inizia la tecnologia contro-natura?

Citazione di: Voltaire il 03 Novembre 2016, 12:44:03 PM
Citazione di: green demetr il 03 Novembre 2016, 11:11:12 AMcredo che anche l'artificiale sia da contemplare come naturale in quanto frutto del lavoro. (e il lavoro è naturale)
Esatto, l'uomo fa parte della natura e così le sue creazioni
In ciò sarei cauto, almeno dal punto di vista strettamente logico: l'uomo fa parte della natura, ma questo non vale necessariamente per tutte le sue produzioni (ciò è sicuramente plausibile, ma non semplicemente per "proprietà transitiva"), proprio come il pizzaiolo è membro dell'arte culinaria, ma quando ti porge lo scontrino ti dà qualcosa che non rientra esattamente nell'ambito culinario :)
#2270
Tematiche Spirituali / Re:Karma e buddismo Tibetano
03 Novembre 2016, 19:32:10 PM
Citazione di: Sariputra il 03 Novembre 2016, 16:18:59 PMil buddhismo ha sempre negato la reincarnazione dell'Io
Non sarò certo io a spiegare a te il buddhismo :)  eppure credo che quello canonico (del Canone "ufficiale") non solo affermi la reincarnazione, ma la spieghi esplicitamente nero su bianco (o su giallo pergamena), almeno stando ai testi... giustamente osservi che questi testi non sono stati scritti dalle mani del Buddha, tuttavia (come per Cristo, Lao Tzu, Socrate, etc.) o ci fidiamo di questa intermediazione storica, oppure andiamo a (legittima?) supposizione personale, poichè non ci sono altre fonti dirette... 
comunque, personalmente, concordo appieno con l'osservazione di Whitehead: il "confezionamento" da religione è stata una sagace operazione di "marketing sociale" ;D

P.s.
Un buddhismo che si emancipa dal mito della reincarnazione credo sia quello zen, grazie al "filtro" operato dalla cultura cinese (e la forma di passaggio "buddhismo chan").
#2271
Tematiche Spirituali / Re:Karma e buddismo Tibetano
03 Novembre 2016, 15:48:11 PM
@Sariputra
Per quanto riguarda il rapporto buddhismo/reincarnazione, segnalerei che nell'Abhidhamma (uno dei tre testi fondanti del canone buddhista, il tripitaka) si parla ampiamente e dettagliatamente della rinascita (soprattutto nel quinto capitolo, se non erro) che viene connessa alla seconda nobile verità; cito "La causa dei questa sofferenza è la brama o attaccamento (tanha) che conduce a continue rinascite".
Se non ho frainteso, la mancata consapevolezza dell'illusorietà dell'io e l'attaccamento che ne consegue sono la causa della rinascita, il cui ciclo può essere estinto percorrendo l'ottuplice sentiero...

@bluemax
Come hai saggiamente osservato, la causalità non è intrinsecamente positiva o negativa: la tonalità del giusto/sbagliato è un'interpretazione (ralativa) che viene sovrapposta al "meccanismo ontologico" causa/effetto... il che porta a chiederci quanto la reincarnazione buddhista sia un'eredità residuale dell'induismo che l'ha preceduta, e quanto sia invece necessaria per fondare il suo orizzonte etico, almeno come deterrente (con la mamma che dice al bimbo "comportati bene, sennò ti reincarnerai in un topo di fogna!", ignorando come il suddetto sorcio non si trovi necessariamente male nel suo habitat e, magari, possa vivere più felicemente di un monaco illuminato  :) ).

P.s. 
La minuziosità con cui vengono dettagliate le procedure e i possibili esisti della rinascita (leggendo il canone buddhista), sono sintomo di come ci sia dell'arbitrarietà di fondo: se non c'è un dio che ha rivelato quelle leggi karmiche (e nel buddhismo non c'è), e non trattandosi di leggi fisiche osservabili e sperimentabili (ricodiamo che qui c'è di mezzo la morte!), come è stato possibile comprendere tutti quei dettagli e sistematizzare l'intero processo della reincarnazione? 
Concordo con Sariputra: filologia a parte, è un processo indimostrabile...
#2272
Tematiche Filosofiche / Re:Il saggio rabbino
01 Novembre 2016, 23:17:30 PM
Citazione di: Sariputra il 01 Novembre 2016, 20:46:37 PM3-Il pluralismo non approda ad un sistema universale. Un sistema pluralistico sarebbe una contraddizione in termini. L'incommensurabilità fondamentale dei diversi sistemi non può essere oltrepassata.
Giustamente, pluralista può essere "l'approccio" (o "impostazione" o "prospettiva" o altro...) non il sistema stesso: l'approccio del rabbino (o meta-sistema) sostiene che ognuno dei sistemi esposti dalle due fazioni abbia una sua "ragione", o meglio, una sua verità contingente (altrimenti non sarebbe vero che entrambi hanno la medesima ragione, pur divergendo e opponendosi...).

Citazione di: Sariputra il 01 Novembre 2016, 20:46:37 PMLa verità però, per Panikkar, non è nemmeno molteplice. Se ci fossero molte verità, cadremmo in evidente contraddizione. 
Eppure avrei detto il contrario: se la verità non è plurale (le verità), allora il pluralismo o si limita al riconoscimento dell'esistenza di differenti posizioni (ma è una constatazione un po' sterile), oppure concepisce la pluralità in modo "gerarchico", in una scala in cui alcune posizioni sono più vicine alla verità (che, se è una, non può essere "equidistante" da tutti i contrastanti sistemi che la cercano...), ma questo sarebbe in contraddizione con il punto 2 "Il pluralismo accetta gli aspetti inconciliabili delle religioni e delle filosofie"(cit.), questa "accettazione plurale" non è lecitamente possibile se la verità è una...

Citazione di: Sariputra il 01 Novembre 2016, 20:46:37 PMPluralismo non sta per pluralità, in questo caso pluralità di verità. Il pluralismo mantiene una posizione a-dualistica (o advaita) che difende il pluralismo della verità in quanto la realtà stessa è pluralistica, incommensurabile sia con l'unità , sia con la pluralità. 
Mi pare che il pluralismo non possa essere incommensurabile con la pluralità, ma può spiegarla adeguatamente proprio pluralizzando la verità... se la posizione è a-dualistica significa che viene meno il dualismo vero/falso per cui: o tutto è vero (e quindi non ha più senso parlare di verità), oppure le verità sono tante per cui il dualismo non è più adeguato a renderne conto (ma, appunto, il pluralismo si...).

Citazione di: Sariputra il 01 Novembre 2016, 20:46:37 PMNella storiella del rabbino la relazione tra le tre affermazioni è dialettica. Ma la relazione tra le due fazioni in polemica non è dialettica. Il rabbino vede la completezza relativa di ciascuna posizione, sebbene questo implica la contradditorietà delle affermazioni su un piano intelletuale, come rileva iil gruppo di anziani e scribi che non sono coinvolti sul piano esistenziale. 
Sottolinerei che il rabbino vede anche la "completezza relativa" dell'obiezione della commissione degli anziani (a cui dà la stessa risposta) e, tappa cruciale, dovrebbe anche vedere la "completezza relativa" della sua stessa posizione sul contenzioso (altrimenti non è pluralista fino in fondo  ;)).


Citazione di: Sariputra il 01 Novembre 2016, 20:46:37 PMconsapevolezza della relatività della varie posizioni, che non significa la loro mancanza di verità.
Direi che il relativismo è il pluralismo visto "dall'interno": ogni posizione, consapevole che ci sono più verità (plurali) "al di fuori" di lei, riconosce la propria come relativa alla sua strutturazione/conformazione intrinseca (e questo dovrebbe coerentemente valere anche per il pluralismo stesso: ci sono tante verità relative al rispettivo sistema o approccio e quindi ci sono anche verità relative agli approcci che non sono pluralisti...).
#2273
Tematiche Filosofiche / Re:Il saggio rabbino
01 Novembre 2016, 18:09:45 PM
Ognuno ha le sue ragioni... e la ragione del rabbino che gli fa dare ragione a tutti è una meta-ragione  ;D
#2274
La scelta aprioristica del tipo di approccio "vizia" il ricercare, non nel senso etico, ma, secondo me, nell'impostazione epistemologica/metodologica: se sorgono problemi spontanei e li si affronta con il presupposto "voglio essere metafisico" o "voglio essere empirista", significa, per me, che non si affrontano tali problemi con limpidezza ed apertura, ma si sceglie di preimpostare l'indagine con un paradigma già selettivo, che non è detto sia sempre quello più pertinente o più funzionale... 
Pensiamo (esempio sciocco, ma, spero, chiaro) quali sarebbero le conseguenze se un elettricista, a casa sua, trovandosi di fronte ad un rubinetto che perde, dicesse "voglio ragionare da elettricista" ed iniziasse a "smanettare" come se i tubi fossero invece fili elettrici... forse farebbe meglio a chiamare un idraulico (ammettendo che le sue conoscenze non sono adeguate a risolvere quel problema), oppure affrontare il problema non da elettricista, ma da "idraulico improvvisato"...

Differente è riconoscersi "metafisici" o "empiristi" o altro, non per scelta, ma perchè si "scopre" di esserlo (ma non ci si sente in dovere nè di volere esserlo...).

L'atteggiamento più proficuo forse è affrontare i problemi senza volersi limitare o condizionare prima ancora di confrontarsi con essi, cercando piuttosto (metaforicamente) di lasciarli parlare la loro lingua (cercando di comprenderla) e non di fargli parlare forzatamente la nostra ("snaturandoli" e/o fraintendendoli...).
#2275
Citazione di: paul11 il 30 Ottobre 2016, 00:51:40 AM
Citazione di: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:19:15 PMIl darsi da fare è invece legato al riconoscimento del male che ci abita dentro. A partire da quel male soltanto possiamo, se proprio vogliamo essere metafisici ( e io lo voglio essere), risalire all'origine del senso.
non posso che condividere la richiesta di un senso originario di una male che ci abita dentro
Mi incuriosisce questo "male che ci abita dentro"(doppia cit.): nel caso di paul11 che, se non fraintendo, non lascia il sacro religioso fuori dalla sua prospettiva, è possibile "innestarlo" in una metafisica classica (per cui il Male è uno degli attori protagonisti della dimensione umana e c'è un Senso originario da interrogare); nel caso di green demetr che (sempre se l'ho ben capito) ha una visione dell'uomo più laica, questo "male metafisico" come si connota e, soprattutto, su cosa si fonda?
Si tratta di una metafora per la fallibilità, ignoranza o immoralità dell'uomo (ed è quindi comunque un'interpretazione relativa) oppure ha una sua "sostanza" propria?

P.s.
@green demetr: quel "io lo voglio essere"(cit.) è molto dionisiaco, ma il voler-essere-metafisici non è una scelta che preclude a priori la possibilità di trovare risposte non metafisiche? Fino a che punto il voler essere metafisico, o nichilista o empirista o altro (è una domanda in generale, non personale su di te  :) ), può essere una scelta che "vizia" il ricercare?
#2276
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
29 Ottobre 2016, 16:13:29 PM
Citazione di: Eutidemo il 29 Ottobre 2016, 06:11:23 AMa-ter) Se REALMENTE "io" esisto "in quanto Pippo Pippi impiegato del catasto, sposato con Pippa Pippi ecc., allora esiste un mondo materiale che mi circonda e mi definisce, e di cui sono parte quale individuo. 
Infatti, il punto a-bis non sostiene l'inesistenza del mondo, ma solo che "la reale esistenza del mondo è confinata in ciò che esperisco" (auto-cit.), ovvero il mondo che c'è, è quel "poco" che sperimento...

Citazione di: Eutidemo il 29 Ottobre 2016, 06:11:23 AMb-ter) Se, invece, un mondo materiale esterno che mi circonda non esiste, io solo FITTIZIAMENTE credo di esistere in quanto Pippo impiegato del catasto, sposato con Pippa Pippi ecc., perchè se è un'illusione l'intero universo, è un'illusione anche Pippo Pippi in quanto individuo; non può esistere una parte di un intero che non esiste...
Il punto b-bis invece sostiente che la percezione del mondo, e il mondo stesso, può essere un'illusione, come in un sogno... ma se il mondo-per-come-viene-percepito non esiste, non significa che allora non esista nemmeno il solipsista percipiente (il sognatore esiste materialmente, il sogno di cui fa parte no...).

Citazione di: Eutidemo il 29 Ottobre 2016, 06:11:23 AMIn effetti Pippo, tecnicamente, non è un sogno di "qualcun altro"...cioè di un altro Pippo (o di una farfalla), ma, semmai, è ' unIO individuale sognato dal suo più intimo SE' universale; figurativamente, si potrebbe dire che sia un'onda che si crede mare. Non è che l'"onda" (l'io individuale) non esista; ma esiste solo "sub specie" di "onda"...finchè si intestardisce a non capire che la sua vera sostanza è il mare. 
La sostanza è il mare, ma l'individuazione parziale di tale sostanza è l'onda; come dire: sono parte della (di ciò che viene definito come) "vita sul pianeta terra", ma non sono tutt'Uno con tutta la vita... infatti se un'onda dicesse "sono il mare", si ingannerebbe, proprio perchè è solo un'onda "fatta"di mare... che poi sia fatta di una sostanza che la accomuna alle altre onde, non implica che ogni onda sia la medesima onda o che ogni onda possa acquisire coscienza di tutta la vastità del mare... 

Citazione di: Eutidemo il 29 Ottobre 2016, 06:11:23 AME ciò che lo frena è soprattutto la sua illusoria "volontà" individuale, che gli impedisce di prendere consapevolezza di quello che realmente "è": è "Lui", ma non è "lui".
La volontà individuale, come forza che "guida" alcune azioni di un determinato vivente, non mi pare illusoria, il che tuttavia non comporta che non possa essere molto meno "libera" di quanto comunemente si pensi...
#2277
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
28 Ottobre 2016, 19:34:54 PM
Citazione di: Sariputra il 28 Ottobre 2016, 15:32:21 PMnon potrà avere "ragioni" ma troverei Pippo Pippi alquanto coione ( termine filosofico desueto...) se , essendo causa del suo mondo, si affannasse a costruirselo pieno di sensazioni di sofferenza
Distinguerei l'essere-percipiente, l'essere-"ingegnere della percezione" e l'essere-causa: percepisci qualcosa e di questa tua percezione non dubiti (puoi invece dubitare della realtà dell'esterno alla percezione o di quanto tale percezione sia affidabile), ma ciò non significa che tu possa progettarla e decidere che tipo di percezione essa debba essere (piacevole o spiacevole), tantomeno che tu sia la causa della percezione... l'impiegato catastale solipsista Pippo Pippi non è causa del suo mondo (sgiombo mi correggerà se fraintendo la sua affermazione), piuttosto non si fida ciecamente del fatto che ci sia un mondo (e di come sia tale mondo) che lo circonda nell'infinito spazio-temporale...

Citazione di: Sariputra il 28 Ottobre 2016, 15:32:21 PMc'è un istintivo intuire pre-logico che così non può essere ( un intuire da persona comunemente designata come "sana di mente") e infatti agiamo tutti sulla base di questa intuizione pre-logica, azzuffandoci come se Pippo Pippi fosse veramente solo un comune impiegato del catasto.
L'essere "sani di mente" ha un suo legame con il senso comune, il che invita a prenderlo con la dovuta circospezione: i "sani di mente" erano anche quelli che vedevano il sole muoversi in cielo e lo interpretavano come un suo moto (invece era solo apparente); i "sani di mente" pensavano che fosse impossibile arrivare in america in 6-7 ore o parlare in tempo reale con persone a migliaia di chilometri di distanza; i "sani di mente" pensavano che il ruolo della donna dovesse inevitabilmente essere quello di "angelo del focolare", che la democrazia avrebbe fatto contento tutto il popolo e che ci fosse una sola verità... i "sani di mente" sono i primi a restare un passo indietro, anche se nessuno di loro resta mai solo...


Citazione di: Eutidemo il 28 Ottobre 2016, 15:39:46 PMperchè se partiamo dal presupposto che tutto sia il sogno di uno specifico individuo Pippo Pippi [...] allora i casi sono due: 
Se partiamo dal suddetto presupposto i due casi seguenti sono contraddittori al presupposto (e viceversa!), per cui si tratta solo di stabilire di chi ci fidiamo di più, per poi dedurre chi falsifica chi (con dimostrazione "per assurdo"). Tuttavia, in ottica solipsista, un'argomentazione del genere (supponiamo che Tizio sogni, etc.) non ha senso, perchè si dubita, a monte, che ci sia un Tizio-che-non-sono-io (altrimenti non si è davvero solipsisti  ;) ).

Ciò premesso, affrontiamo la questione da una prospettiva non-solipsistica:
Citazione di: Eutidemo il 28 Ottobre 2016, 15:39:46 PMa) O Pippo Pippo esiste davvero, come un individuo che viene aristotelicamente definito "per differenza specifica" rispetto ad altri individi (ed entità) aventi autonoma e indipendente esistenza in un esistente mondo reale, [...] 
b) Oppure il mondo reale non esiste, e allora non può esistere neanche "Pippo Pippi" che sta lì a sognarselo, bensì esiste una SOLA MENTE che trascende lui e tutto il resto, e sogna (rectius: "è")il TUTTO
Se fossi Pippo, proporrei una "variazione catastale" delle due posizioni:
a-bis) esisto, in quanto Pippo (il celeberrimo "pippo ergo sum"), ma la reale esistenza del mondo di cui mi fido è confinata in ciò che esperisco... e potrei persino sbagliarmi... 
b-bis) esisto, altrimenti non potrei fare queste riflessioni (o non potrei darmi una bastonata), ma sull'esistenza reale del mondo sono diffidente (sogno o son desto? Direi che comunque non sono un sogno di qualcun altro, altrimenti non avrei una mia volontà...)


P.s. 
Mi diletto a fare l'avvocato dello scetticismo e dell'impiegato catastale solipsista, ma, fuori dal forum (ovvero "fuorum"  ;D ), sono, per pigrizia e comodità, un "sano di mente" (il "gioco della società" ha le sue regole e, per ora, preferisco stare al gioco...).
#2278
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
27 Ottobre 2016, 21:24:00 PM
Credo sia anche lecito chiedersi (forse è una radicalizzazione di quanto osserva sgiombo): gli altri esseri umani non fanno parte del noumeno? Non sono essi stessi qualcosa che identifico (parlandone), percepisco (mi vengono rappresentati dai sensi), interpreto (relazionandomici), esattamente come faccio con altri oggetti esterni ed estranei alla mia autocoscienza?

L'intersoggettività (che vuole slanciarsi oltre il solipsismo) mette in salvo "gli altri umani" dall'inattingibilità del noumeno, ma come dimostrare che in fondo non siano anch'essi "noumenici"?
#2279
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
27 Ottobre 2016, 17:46:56 PM
Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PMil Silenzio non mi soddisfa in quanto suggerisce che tutta la mia ricerca è stata inutile. Che senso ha un percorso filosofico se poi ti porta al solo silenzio?
Se non erro, il silenzio di Wittgenstein non è il silenzio dell'assenza di risposta o il silenzio che non sa che dire, è invece un silenzio come rispota e un silenzio che non può e non deve dire nulla ("si deve tacere" dice il Tractatus, se non ricordo male).
Il silenzio rigorso che testimonia il raggiungimento della soglia del limite è un "silenzio deontologico" per il ricercatore: quel silenzio dà voce proprio a tutto ciò che non è silenzio, e che è quindi il "dicibile" della ricerca. Un percorso/discorso filosofico che non ha zone di silenzio o è una (improbabile) onniscienza oppure non ha uno statuto epistemologico ben definito (ovvero limitato, ovvero circondato dal silenzio...).

Come osserva Sariputra, se si decide aprioristicamente di non accettare un tipo di risposta, la ricerca non è autentica, perchè si è disposti ad ammettere solo il tipo di risposta che si è già deciso di ottenere (e ciò vizia irrimediabilmente sia il ricercare che il rispondere...).

Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PMPurtroppo sono uno che vuole capire e non riesco ad accontentarmi di risposte del tipo "qui non puoi indagare".
Il capire che "qui non puoi indagare" è una "tappa" utilissima perchè richiede o di cambiare il metodo/strumento di ricerca (così da poter indagare anche qui) oppure indica semplicemente che si sta cercando la risposta nel "posto" sbagliato.
D'altronde, se usando la logica formale volessimo indagare la poesia, la sua risposta non sarebbe esattamente un serafico "qui non puoi indagare" seguito da un "quindi devi restare in silenzio"?

Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PMCi vorrebbe o il noumeno o un altro tipo di pensiero completamente diverso.
Quel "ci vorrebbe" allude ad una necessità: si tratta di un'esigenza logica, psico-logica, onto-logica o esistenziale?


P.s.
@sariputra: il mistico di cui parla Wittgenstein è il mistero inteso come rebus irrisolvibile per la logica razionale, non tanto il mistico di matrice religiosa, spiritualistica o folkloristica... e concordo appieno sul fatto che sia comunque una "parolaccia"!  ;D
@green demetr: quando parlo del "mistico", parlo della prospettiva di Wittgenstein, non della mia  :)
#2280
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
26 Ottobre 2016, 20:41:27 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMI problemi qui sono 2: stabilire se esiste e capire quando ha senso "smettere di salire la scala" [...] ogni proprietà di un oggetto sembra nascere da come lo si osserva (cioè da cosa osserva tale oggetto). Se è così le proprietà sono "rappresentazioni" "fatte" dal soggetto. A questo punto: come posso stabilire dall'interno della rappresentazione che c'è un noumeno? 
Il senso delle mie osservazioni è proprio che l'oggetto è un postulato (o un "mito"?) necessario al "funzionamento" della nostra logica comune, ma non potremmo mai stabilire se esiste con certezza, proprio perchè è esso stesso il limite fondante della nostra logica (praticamente è la versione gnoseologica dell'"indecidibilità" di Godel  ;) ). 
Non credo si possa uscire dalla nostra ragione interpretante senza perdere al contempo la ragione stessa (d'altronde, o si sta sulla scala, o si sta "fuori" dalla scala...). Sarebbe come cercare di vedere con i propri occhi (senza strumenti!) cosa succede nel buio pesto, in assenza di luce: bisogna ammettere che se possiamo vedere è perchè c'è la luce, come sia il mondo quando non è illuminato dalla luce, i nostri occhi non potranno mai saperlo (ovviamente è solo una metafora... niente cavilli sui visori notturni  ;D ).
Se si sta dentro la rappresentazione non si può sapere esattamente cosa c'è fuori (e se c'è); se invece si sta fuori allora non c'è più (bisogno di) rappresentazione...

Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMUna volta stabilita l'esistenza si può pensare di gettare via la scala. 
Non ne sono convinto, se l'esistenza del noumeno fosse verificata e dimostrata, allora si potrebbe stare fieramente in cima alla scala (finalmente giunti al noumeno!), ma se si buttasse via la scala si butterebbe via anche il percorso che porta al noumeno e forse il noumeno stesso... per questo gettare la scala senza noumeno (come suggerisce Wittgenstein) apre ad altri orizzonti in cui il problema del noumeno non si pone (essendo andati oltre... o almeno oltre la settima proposizione!).