Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - niko

#2266
Citazione di: Ipazia il 19 Dicembre 2022, 08:10:28 AMBasta posticipare il passato all'origine della nostra specie per eliminare il nulla precedente, e limitare il futuro alla morte del pianeta o dell'universo, per porre nell'immanenza il senso, esente da sensi di colpa, dell'avventura antropologica godfree.

Con tutto lo spirituale e la benevolenza necessari ad accettare i fatti così come sono, senza infingimenti metafisici. Amor fati: la forma di amore più spirituale possibile. Dai greci a Nietzsche. Compresi gli orientali.


Amor fati...

Per me significa che vivere in frammento conchiuso di tempo (cosa che e' empiricamente indubitabile: dalla nascita, alla morte) non e' la stessa cosa che vivere una volta sola.

L'uno non e' l'unico.

Non si implicano.

Ne emerge una sottile differenza.

Eterno ritorno... amor fati.

Amare quello che e' unico proprio e specificamente perche' e' unico non e' amare: e' sopportare, tollerare, non vedere l'ora che finisca.

Soprattutto la vita. Soprattutto la propria, di vita.

L'amore e' pazienza infinita, e desiderio, infinito.

L'amore dice:

"Mille volte tornerai da me, e mille volte ti amero'."

Il contrario esatto del valore dell'unico valorizzato in una qualsivoglia relazione, il contrario esatto di una "occasione".

Arrediamo con saggezza il frammento conchiuso di tempo in cui siamo e in cui ci troviamo a vivere, perche' non e' neanche detto che ci dovremo vivere una sola volta.

E dunque... magari non lo so neanche io a favore di che cosa sono, ma sono contro ogni valore salvifico del nulla, come mi e' capitato di dire sia nella precedente discussione sul "distacco", che, tanto piu', in quella su Schopenahuer e l'ascesi.

Il nulla e' nulla, non ha alcuna funzione, nemmeno quella di ritagliare "giuste misure" per il "nostro" tempo.





#2267
A parte le esperienze personali di chi riferisce che seguire Cristo procuri gioia nel presente...

Io, che guardo le cose con interesse filosofico e teologico, perche' cristiano non sono, non posso non notare che nel sistema dottrinario cristiano l'uomo e' un essere eterno e creato; e un essere eterno E creato si distacca dal significato forte della parola eternita' (che potrebbe essere: da sempre e per sempre) per rasentare quello, piu' "debole", della parola perennita' (che potrebbe essere: da ora e per sempre).

Ogni teoria della creazione, dal cristianesimo al big bang, in senso filosofico e' un nichilismo del passato: il tempo "inizia", esiste un istante zero, e quindi esiste un limite assoluto a quanto, a partire da ogni punto, si possa risalire nel passato... che non e' controbilanciato da nessun limite altrettanto assoluto a quanto ci si possa spingere nel futuro.

Chiunque in senso immanente faccia parte di questo sistema, chiunque si incarni nel sistema, e' un essere che puo' al limite aspirare, protendendo al massimo le sue possibilita' e potenzialita', ad essere perenne, ma non gia' mai eterno. Perche' per definizione esso si annichila quantomeno all'istante zero, se non prima. Per ogni anima, per ogni soggetto, c'e' una cesura personale e cosmica all'indietro, che non c'e' in avanti.

La creazione, e con essa la fede, questo tempo infinito gioiosamente, e direi anche un po' incoscientemente, mutilo della sua meta' passata, tanto nell'uomo, quanto nel mondo, diviene la nuova "mensura", dell'uomo, il nuovo compromesso salvifico con la realta' da accettare.

In questo sistema il male, la caduta, e' reversibile perche' il passato conta meno del futuro: il passato digrada da solo nel Dio/nulla.

In ogni punto della "linea semiretta" del tempo di un mondo creato, a prescindere da quanti millenni contenga, il passato e' infinitesimale rispetto a tutte le altre dimensioni del tempo, continuazioni della linea, proprio perche' il mondo e' un mondo creato, e la "mensura" etica imposta ai suoi abitanti senzienti e' quella di accettare con gioia il loro status e ruolo di esseri creati: il bene e' l'atto stesso di confinare il male nel passato, -che e' il luogo del "nullo" in quanto infinitamente piccolo, rispetto a un qualcosa di "grande" nel disequilibrio stesso del tempo- ; e' avere davanti un futuro di beatitudine "eterna" (o meglio, perenne, proprio perche' qui la memoria di morte, la memoria del male, viene eticizzata e dotata di senso: la croce).

Il gaudio dell'essere perenne, e' la gioia perenne, proprio perche' l'essere perenne nasce peccatore e sofferente, partecipa personalmente del nichilismo del passato insito nella sua stessa creazione, oltre che in quella del mondo, e deve conquistarsi la gioia tramite un percorso di trasformazione e purificazione, da cui potra' guardare la sofferenza passata come colma di senso e giusto pegno per la felicita' presente.

L'eternita', intesa come assenza di differenza temporale, come negativo del nuovo, a un certo punto della storia del pensiero, dopo la millenaria gloria a cui l'aveva consegnata la metafisica platonica, comincia ad andare stretta all'uomo; perche' a partire dalla categoria forte di eternita' non si puo' definire il bene come trasformazione del male in bene, non si puo' fare un vero, valevole di per se' e non metaforico, racconto spirituale della salvezza.

L'eternita' non permette di pensare il bene e il male come due termini di una differenza data nel tempo, non permette di umanizzare e calare nella carne viva le storie di miglioramento e di conversione, o di tradimento e degradazione.

Il nesso tra creazione e attesa di una gioia perenne, non potrebbe essere piu' grande. La gioia eterna, il nietzscheano volere a ritroso, che potrebbe virtualmente essere qualcosa di maggiore della gioia perenne, che potrebbe far saltare il banco di tutta la mistica e la dottrina, e' negata dalla realta' stessa della creazione, dalla cesura in un verso particolare del tempo, e l'uomo deve accettare che e' giusto che sia cosi', deve accettare di essere un peccatore in un tempo della prova.

Deve accettare una mistica di comunione, e non una di unione.
Deve accettare di aver gia' perso la battaglia con il passato. E di avere un' unica speranza per quanto riguarda quella con il futuro. 

Speranza ultima Dea. E seconda virtu'.



#2268
La "consapevolezza" (che in altre parole si potrebbe dire anche "pretesa") di immortalita' propria dei cristiani, non fa che confermare, a livello teoretico, il nesso fondamentale tra FEDE e FUTURO.

Cos'e' un essere creato e immortale, (insomma un uomo venuto al mondo e dotato di un' anima indistruttibile, descritto da certa teologia) potrei chiedere, se non un essere che, a partire dalla sua presenza, nel tempo, "occupa" la totalita' del suo futuro (e' immortale), senza poter reciprocamente occupare pero' la totalita' del suo passato (e' pur sempre un ente creato, e ha fatto esperienza, in vita, della nascita)?

Ecco il nesso tra fede e futuro: l'immortalita', (immediatamente propria dell'anima ma che dopo la seconda venuta vale la pena di ricordarlo sara' anche del corpo) che naturalmente e' un articolo di fede, implica lo squilibrio esistenziale per cui gia' in vita si ha (o almeno si crede, se si e' cristiani, di avere) molto piu' futuro a disposizione, per immagginare e concettualizzare la vita, che non passato.

E di questa immensita' di futuro, che ci capita sulla groppa volenti o nolenti (Dio non ci ha chiesto il permesso, prima di crearci immortali, e in realta' non ce lo ha chiesto prima di crearci in generale) bisogna occuparsene come problema, guadagnandosi il paradiso e fuggendo l'inferno.

Paradiso che non e' l'iperuranio platonico, perche' l'iperuranio e' un luogo di prenascita, il paradiso, luogo dove deporre un immenso e sconfinato futuro che non puo' che fare problema per un piccolo uomo, e' un luogo di post morte.

Piu' in generale, avere fede nel futuro significa credere che il male sia non solo emendabile, ma anche, in qualche, appunto, provvidenziale modo, costitutivo del bene; viceversa  avere "fede", per modo di dire, nel passato, cioe' preferire la conoscenza alla fede, significa credere che il male, e gli eventi malevoli della vita, siano irreversibili.

La "follia" del cristianesimo, e' quindi proprio questo pensare alla redenzione, questo pensare che il male sia reversibile.

Tale follia pero' si innesta su un'altra follia, che e' quella della decadenza e del rifugiarsi in un passato autotrasparente ed eterno privo di male e privo di ogni caduta, il mondo delle idee in tutte le sue declinazioni, dato che il male e' posto come irreversibile, che e' il "farmaco" al male proprio degli antichi: da un punto di vista ateo e disincantato come il mio, altrettanto indigesto, di quello che io considero quello cristiano.



#2269
Purtroppo, in una guerra atomica anche solo eventuale, la distanza conta, non è vero, naturalmente, il mito che ormai la tecnologia, spesso spaziale, risolve ed equalizza ogni problema di distanza o di gittata: è vero invece che avere i punti di lancio e in generale di inizio dell'attacco vicino al bersaglio è ancora un vantaggio enorme, così come avere le contromisure e gli "scudi" vicini a dove si suppone che inizierà un attacco nemico è ancora un vantaggio enorme.

Risultato: nessuna superpotenza, comprensibilmente, vuole le armi atomiche nemiche nel cortile di casa. Tanto meno le difese e le contromisure nemiche, visto che il cortile di casa tende ad essere anche un punto di passaggio.

Gli usa al tempo loro l'hanno fatta, la loro chiara e diretta minaccia di guerra nucleare globale quando i sovietici ci hanno candidamente provato, ad armare nuclearmente Cuba, cioè il loro cortile di casa.

Sovietici scoperti con le mani nella marmellata e costretti a ritornare a casa con la coda tra le gambe.

C'è poco da stupirsi di quale sia stata ai tempi nostri la reazione della Russia ad un processo di occidentalizzazione ed europeizzazione che a lungo termine avrebbe portato ad un'Ucraina ad essa ostile e armata nuclearmente.

Ognuno difende il suo, di cortile di casa.

Ma so che Eutidemo non sarà d'accordo e non mi va' di fare polemica.

Anche io sono contrario a tutte le guerre nucleari, e credo che il conseguente disastro colpirebbe anche i paesi non coinvolti mettendo a rischio la sopravvivenza di tutti gli esseri umani.

Davvero una cosa da evitare a tutti i costi.

#2270
Citazione di: InVerno il 12 Dicembre 2022, 13:39:33 PMNon mi riferivo a nessuno in particolare, ma colgo l'occasione - in ritardo - di darti il bentornato. Vedo a proposito che sei rimasto saldo sui tuoi cavalli di battaglia, potrei anche essere d'accordo con te, salvo che questo accade perchè la mia definizione di "fede" (e religione) è antropologica, non teologica. Ho parecchie riserve sul come riesci a far tornare il tuo ragionamento usando una definizione cattolica (che io sappia, Ebrei 11) ma immagino siano problemi di lana caprina. Piuttosto sono deluso dal fatto del non essere riuscito a provocare una risposta riguardo al politeismo cristiano. Tu come ti rapporti , ad esempio, con la Madonna, e hai dei santi preferiti che intercedono per le tue preghiere? Saluti.



Posto un video che spiega al di là di ogni dubbio perché il cristianesimo, (a parte le opinioni personali che in senso spirituale sono sempre legittime) sia un monoteismo.

Il video è di un prof di religione.

La questione è che se gli dei sono tanti, si limitano in potenza e in sfera di influenza tra di loro, tornando così a somigliare in qualche modo a degli esseri naturali, simili agli uomini, ma immortali, beati e potenti, mentre un dio unico ha potere infinito, non è limitato da enti finiti e anzi li crea, quindi è intrinsecamente sovrannaturale, e onnipotente.

La questione è proprio che l'uomo intuisce bene che la natura è molteplicità, è il regno della moteplicità e dei vari enti finiti che nel loro nascere e perire si limitano tra di loro, quindi un dio posto al di sopra della natura e definito per differenza e per differimento con la natura, è invece praticamente sempre immaginato come un dio uno e unico.

Nelle religioni monoteiste non troviamo teogonie, insomma Dio è non solo perenne, ma proprio eterno, quindi non nasce, quindi non esiste un racconto di come nasca Dio, solo un racconto di come nasca il mondo ad opera di Dio. Mentre nelle religioni politeiste, i racconti di come nascano gli dei e come nasca il mondo, si intrecciano e si continuano tra di loro, perché non esiste una differenza assoluta tra le due entità, dei e uomini, e quindi nemmeno tra le due possibili "nascite".

Nelle religioni monoteiste, il Dio unico offre salvezza e dà un senso al mondo, nelle religioni politeiste la salvezza è una questione che si pone al di là degli dei stessi, e implica la magia, l'etica, la politica e la memoria collettiva specificamente umana, e in uno stadio tardo e avanzato, anche la filosofia.

https://www.youtube.com/watch?v=X4jiS5IgWml



#2271
Tematiche Filosofiche / Re: SOLIPSISMO 2
14 Dicembre 2022, 12:44:06 PM
Citazione di: daniele22 il 13 Dicembre 2022, 18:23:24 PM
Ciao niko, intervengo perché mi sembrava che il tuo post fosse diretto a me, più che a Pio, comunque Pio può benissimo sentirsi parte in causa, non so. Il tuo discorso non mi sembra più di tanto sensato. Intanto parli di mente sempre dimenticando il corpo. Riguardo al punto 1 non ti sembra che un semplice individuo come E.Musk faccia già quel che vuole abbastanza senza peraltro sapere se si tratti di un solipsista? Forse dovrà accontentarsi di essere un Dio tra altri Dei, ma si dice che chi si accontenta gode. Al punto 2 fai entrare in scena la volontà di cui parlerò più avanti. Ti dirò quindi che il solipsismo è solo un modo di approcciarsi alla conoscenza rispetto ad un altro. Non vi sarebbe nulla di più. O separi il conoscitore da quel che conosce, o non lo separi. Pertanto, visto che almeno nella nostra tradizione abbiamo sempre agito separandolo (il conoscitore dal conosciuto), possiamo ovviamente constatare che i prodotti della nostra conoscenza attuale sono nelle nostre mani, perfettibili ma abbastanza efficienti mi sembra. Ora si tratta di decidere se sia il caso di introdurre l'individuo con la sua conoscenza personale integrandolo con la nostra conoscenza collettiva, oppure no. Cosa cambia? Prima di dire cosa cambia ci sarebbero da fare un paio di osservazioni. La prima è un distinguo tra la conoscenza collettiva e quella individuale. Il distinguo è rivolto alla qualità e non all'adeguatezza o alla quantità. La seconda riguarda la volontà. Per quel che attiene alla volontà bisogna pur dire che tu eserciti più o meno costantemente una volontà: pochi sarebbero cioè i momenti di completo abbandono. Pertanto, quando scrivi qui dentro eserciti una volontà che di sicuro è quella che ti fa digitare i pensieri, ma non è che l'espressione di questi pensieri sia avulsa da una volontà che a noi è senz'altro sconosciuta in tutto e per tutto. E' però cosa certa che quel che scrivi attinge ad una conoscenza, ma questa conoscenza a cui attingi è appunto qualitativamente identificabile con la conoscenza collettiva? No, dico io, qui si tratta di una conoscenza costituitasi su una memoria personale che è al tempo stesso emozionale e razionale, mentre la conoscenza collettiva resta praticamente nei campi di esistenza della sola memoria razionale. Dato che qui siamo in un luogo dove sembra ci sia poco da guadagnare, sia in termini di danaro che di potere, il problema più di tanto non si pone, ma in altri luoghi? Evidenzio quindi un problema abbastanza attuale. Come fai a distinguere una persona onesta nella sua azione o nella sua espressione di pensiero, da una disonesta? In parole povere, quanta vita collettiva è inquinata da coscienze o conoscenze individuali che non agiscono in modo onesto, ovvero agiscono conformemente alle leggi, ma non conformemente all'etica di una persona per bene in tutti i sensi? Per tale motivo io auspicherei che il conoscitore sarebbe meglio integrarlo nel conosciuto, e vedere così da fuori l'unità criticandola sotto una nuova luce, tutto al fine di intervenire in modi più efficaci per noi nella nostra cara realtà umana



Ciao, non posso dirti altro che il vero solipsismo come posizione filosofica si colloca al di la' di ogni possibile distinzione o integrazione tra conoscente e conosciuto, poiche' essa afferma l'esistenza -certa e certificabile- del solo conoscente.

Il conosciuto, e quindi l'altro dall'io, resta in un limbo di pura fenomenicita' ed effettualita' in cui potrebbe anche non esistere; per questo questa posizione e' considerata estrema, e spesso anche criticata in senso etico, poiche' molti si aspettano che il solipsista, proprio per il suo essere solipsista, debba necessariamente essere anche in un certo qual grado superbo, ed egoista (se io "creo" il mondo, in qualche modo io sono Dio, o comunque il centro e il punto di emanazione del mondo: gli altri non esistono, se non al massimo come ombre e fantasmi).

Forse tu fraintendi quello che chiami "solipsismo" per una molto piu' moderata, e diffusa, posizione soggettivista, o spiritualista, in cui, appunto l'integrazione di conoscente e conosciuto e' POSSIBILE, perche' si parte dal presupposto che il conosciuto ESISTA, o quantomeno, SUSSISTA (Heghel, Kant, Cartesio eccetera).

In questo caso sarebbe solo questione di termini, e sul forum saresti in buona compagnia.

#2272
Tematiche Filosofiche / Re: SOLIPSISMO 2
13 Dicembre 2022, 17:10:38 PM
Citazione di: Ipazia il 13 Dicembre 2022, 16:17:55 PML'io solipsistico può ritenere la sofferenza umana come una illusoria proiezione della sua mente, al pari della felicità umana.j Vana ogni ricerca di senso in questa proiezione cinematografica in cui tutto si equivale e diventa reale solo nel regista dello spettacolo: l'io solipsistico.

Forse qui non si e' capito che non si tratta solo di un film: il termine "proiettare", ai fini di questo discorso, significa "essere causa".

Nel solipsismo, l'io ha piu' realta' del mondo perche' l'io e' causa del mondo, e non vale il viceversa.

Questa, e non un'altra, e' la nostra premessa, naturalmente se vogliamo argomentare per assurdo che il solipsismo valga.

Ora, io penso che nessuno, potendo scegliere, sceglierebbe quel fritto misto di felicita' e sofferenza che e' mediamente la vita.

Tutti, potendo scegliere sceglierebbero la perfetta felicita'.

Quindi, se io proietto il mondo, e il mondo mi rimanda il misto di felicita' e sofferenza, se proprio mi incaponisco e per qualche ragione non voglio scartare l'affermazione di base che:

"io proietto il mondo" (quindi ne sono unica causa)

devo mio malgrado ammettere che non ho il controllo della mia stessa proiezione, insomma che  io si' proietto il mondo, ma un po' a casaccio, con dei notevoli errori di sistema che creano problemi non solo ai personaggi di finzione con cui l'ho popolato, ma finanche a me che ne sono il "regista", non come lo farebbe un dio onnipotente e beato.

E' per questo che io trovo l'ipotesi del solipsismo estremamente inquietante.

Se uno la guarda bene, in fondo non e' un'ipotesi paranoica, di controllo sopra ogni cosa, ma angosciosa, di assenza del controllo.

Io proietto un mondo che non e' quello che voglio. Quindi al mondo non c'e' nessun altro che me, a cui domandare il perche', di questa strana differenza, intercorrente tra volere e realta'.

Tanto che potrei dubitare di essere trasparente a me stesso e di avere in me una volonta' univoca in grado di risolversi nel decidere qualsiasi cosa, pur mantenendo il potere "sommo" di proiettare, come la causa l'effetto, il mondo.


#2273
Tematiche Spirituali / Re: Distacco
13 Dicembre 2022, 15:21:26 PM
Senza essere troppo polemico o filosofico, non posso non fare osservare che, all'atto pratico, il

"rinunciare alla propria volonta' "

Significa:

"Consegnarsi alla volonta' dell'altro".

C'e' sempre qualcuno, in giro, disposto a predare, e a strumentalizzare, e a fare proprie, le volonta' che si sono fatte nulle.

Non c'e' proprio bisogno, di invocare Dio, per capire questo punto. Basta guardarsi in giro in qualsiasi ambiente e panorama umano.

Di qui la mia polemica, che vuole far emergere "semplicemente", la (quasi) assoluta sovrabbondanza di tutto il contesto religioso, ascetico, Eckarthiano e metafisico del discorso, laddove di esempi lampanti di volonta' dell'uno che, volenti o nolenti cedono alla volonta' dell'altro e vi si consegnano, ne e' gia' pieno lo scenario urbano, politico ed economico umano.

Schiavitu', amore, inganno, lavoro, politica, istruzione, fondazione.

E tutte le loro introversioni in forma di autodisciplina e autocontrollo: la grecizzante "enkrateia", laddove un corpo umano diventa sempre in un modo o nell'altro automa e servitore di una mente umana, che puo' ben essere la sua stessa, psicosomaticamente ad esso legata, in nome di un qualche, a volte anche molto mondano, "bene superiore".

Che ne e' dell' "utilita' ", del valore aggiunto ed eticizzabile di un Dio, laddove gia' in natura funziona perfettamente, per chi lo vuole e lo sa vedere, un meccanismo grande e terribile per cui gia' ogni vita puo' essere Dio, anzi Dea, all'altra?

Il fatto che ad una nullificazione interiore di volonta' attuata con sforzo non possa che conseguire un subentrare, "per grazia ricevuta" di una nuova volonta', divina che sia o no;

il fatto che chi NON e' una volonta' -attiva- in una data situazione allora e' nient'altro che un VOLUTO, nel migliore dei casi un ben-voluto, un oggetto di volonta' (il "servo" di Dio, o di chi per Lui), cosa dovrebbe suggerirci, se non il contrario esatto della premessa da cui il trend e' partito, e cioe' che noi non possiamo essere altro che volonta', e che l'essenza profonda del mondo, e dell'uomo, e della vita, e' -proprio- volonta' ?





#2274
Tematiche Filosofiche / Re: SOLIPSISMO 2
13 Dicembre 2022, 12:51:17 PM
Citazione di: Pio il 13 Dicembre 2022, 00:40:34 AMMa è un problema dell'onda l'esistenza della sofferenza non certo del mare. Quello che all'onda appare come male può essere semplicemente il modo necessario di manifestarsi del mare.

Forse sono stato troppo lungo e non chiaro...

Sostanzialmente il solipsismo si puo' intendere in due modi, quindi, possiamo dire ci sono due tipi di solipsismo: o (1) io proietto il mondo come un Dio gnostico o biblico, quindi secondo autocoscienza E secondo volonta' , facendone di fatto un sogno lucido in cui io decido cosa succede e chi incontro, oppure (2) io proietto il mondo si', ma come un semplice e scalcagnato IO (tipico di certa filosofia moderna da Cartesio in poi), cioe' in qualche modo lo proietto SOLO secondo autocoscienza, in maniera "meramente" proiettiva ed illusiva, con la volonta' che resta sullo sfondo e puo' ben essere frustrata, lasciando spazio all'implicazione della sofferenza.

Ora, la 1 la si scarta subito perche' chiunque con un minimo di sale in zucca puo' constatare che lui non e' onnipotente e beato  come il Dio biblico: al mondo c'e' la sofferenza, e lui stesso soffre.

Con cio', fine del solipsismo del Dio, resta solo da analizzare il solipsismo dell'io.

La 2 e' aporetica, nessuno puo' dimostrare ne' che sia vera, ne' che sia falsa.

Pero' e aporetica ed inquietante, perche' io, proiettando il mondo a prescindere dalla mia volonta', sono RESPONSABILE, di tutta la sofferenza che c'e' nel mondo, e della mia sofferenza; se il mondo e' interamente e senza residuo proiezione dell'io, e l'io soffre, e l'io non sa e non "ammette" di voler soffrire, allora ci sono parti e frazioni dell'io, altrettanto proiettive del mondo, ma non manifeste e non espresse, che in qualche modo vogliono soffrire e lo fanno soffrire.

Insomma se al mondo ci sono solo io, la sofferenza non si spiega in altro modo se non che von una mia responsabilita' personale, per quanto non volontaria.



#2275
Tematiche Filosofiche / Re: SOLIPSISMO 2
12 Dicembre 2022, 21:58:15 PM
Il solipsismo come posizione filosofica, secondo me e' intrinsecamente sconfessato dall'esistenza, al mondo, della sofferenza, la quale rappresenta un fallimento, se non della MENTE, quantomeno della VOLONTA'.

Se il mondo fosse una creazione balzana e stravagante del mio io/ego, sicuramente lo creerei e lo "proietterei", sullo schermo della mia stessa mente, conforme ai miei personali gusti e desideri, e finanche criteri di perfezione, come quando, in un sogno, accortici di stare sognando, riusciamo a modificarne i contenuti e i dettagli, facendo in modo che il sogno si svolga sempre piu' o meno come piace a noi.

Il fatto che al mondo non solo ci sia in generale sofferenza, ma ci sia anche proprio la mia personale sofferenza, cioe' la mia volonta' in gran parte frustrata e inappagata, gia' di per se' dimostra che il mondo non e' un sogno lucido, non e' una creazione diretta della mia volonta'.

Quindi delle due, l'una:

1 o al mondo c'e' altro rispetto al mio io/ego, che non e' tutto ma frammento piu' o meno esiguo del tutto, e non ha potere indefinito e illimitato di plasmare il mondo

2 o il mio io ego, che pure ha in se' il potere di proiettare il mondo, ha parti segrete di se stesso che vogliono soffrire, ed entrano in contrasto con le parti manifeste, che invece non vogliono soffrire.

Penso che, stando cosi' le cose, la stragrande maggioranza delle persone sane di mente sceglie la 1, abbandonando completamente l'ipotesi del solipsismo.

Comunque esiste, e non si puo' negare, anche la possibilita' 2, che porta direttamente nel cuore dell'io onnipotente e protettivo e delle sue reali caratteristiche e proprieta' la "molteplicita' " negante il solipsismo, che di solito l'opinione comune individua invece nel mondo "esterno",  lasciando cosi' intatta l'ipotesi del potere protettivo dell'esistenza in un mondo nullo se non fosse per il soggetto.

Insomma o l'altro dall'io, l'oggetto per il soggetto,  porta nel mondo la sofferenza, o le parti inespresse del mio io, le istanze segrete di un se' di fatto onnipotente ma conflittuale, portano nel mondo la sofferenza.

Comunque, come da prima nobile verita' del buddismo non si puo' negare che la sofferenza al mondo c'e', e quindi il solipsismo come ipotesi si adombra e si incrina, non come solipsismo della percezione/mente, ma a livello molto piu' essenziale e profondo, come solipsismo della volonta'.

La sofferenza qui intesa nella sua realta' dinamica di differenza e dilazione tra desiderio e realta', insomma come immediatamente manifesto altro-dalla volonta', e quindi, sinteticamente e antropicamente, come altra-volonta'.



#2276
Tematiche Spirituali / Re: Distacco
11 Dicembre 2022, 22:05:52 PM
L'unico modo di non essere una volonta' e' essere un capo chino ad una logica di gregge e di pastoreggiamento di qualche tipo; l'unico modo di non essere una volonta' e' essere un voluto.

L'uomo, animale sociale per eccellenza, aime', ci riesce benissimo.

A farsi volere, dico.

Ad essere il voluto della volonta' di altri, e perduti, uomini.

Non a vivere la preesistenza logica dell'affermazione sulla negazione come fosse una preesistenza anche temporale.

Non a fare storia.

Non a cominciare adesso.

Non a farsi amare.



#2277
Per il marxismo l'equivalente concettuale del noumeno e' la struttura/materia, e il fenomeno la sovrastruttura/ideologia.

Tale distinzione, non e' gratuita, ma getta il SOSPETTO (che non e' il disincanto o il velo di maya, ma un'attitudine critica nel ricercare) sull'equita' e sulla trasparenza, appunto, dei rapporti sociali capitalisti, e sulla loro fenomenologia politico economica.

La caverna, da cui uscire, e' quella dei rapporti sociali mercificati e feticistizzati, per contemplare il reale automovimento della materia, vivente e non.

Non e' difficile, da capire, a meno che non si voglia, fingendo di dibbattere, solo rivendicare il primato, ideologico appunto, sulla distinzione tra fenomeno e noumeno.

Pero' qui bisognerebbe aprire la sezione di forum:

"Antimarxismo gratuito della domenica"

Al nobile fine di consentire tanto agli utenti marxisti, quanto a quelli totalmente disinteressati dalla annosa questione di marxismo e antimarxismo, che immaggino saranno molti di piu', di glissare su certe perle.

Personalmente l'unica grande madre che conosco e mi interessa e' la Russia Eurasiana, e mi basta e mi avanza.



#2278
Citazione di: Socrate78 il 09 Dicembre 2022, 12:01:29 PMQuindi non è possibile il dialogo tra te e un credente, perché per definizione è impossibile il dialogo tra chi considera illogico il punto di vista di un altro, è la stessa identica cosa di quando l'inquisitore nel Seicento considerava per forza errato il punto di vista dell'eretico di turno e non era disposto a rivedere mai le sue teorie, anche l'ateismo (soprattutto di tipo materialista) sa essere dogmatico come le tradizionali religioni monoteiste. Tanto valeva quindi che non aprivi nemmeno questo post, poiché per te chiunque è contro la tua visione (non solo nella religione, anche in altri ambiti mi sembra di comprendere....) è nell'errore.
Ma la scienza stessa, che è spesso arrogante, in realtà non sa rispondere a tutta una serie di domande, ad esempio da dove ha origine la coscienza? Dove si trova esattamente nel cervello? E' un prodotto del cervello oppure è indipendente da esso? Sono tutte questioni APERTE, solo che i materialisti le vogliono ritenere questioni chiuse e quindi non sono disposti come te al dialogo con chi la vede diversamente, infatti liquidano qualsiasi racconto sul trascendente come un'allucinazione, una visione.
Inoltre se dopo la nostra vita ci fosse il Nulla, che senso avrebbe ad esempio imparare e studiare? Non avrebbe alcun senso ultimo, perché tutte le nostre conoscenze si perderebbero, quindi tutto sarebbe azzerato. Ancora di più, che senso avrebbe amare? Assolutamente nessun senso, anzi, sarebbe meglio non avere legami affettivi con nessuno, perché così non si soffrirebbe quando le persone a cui siamo legati muoiono. Come vedi se io assumo che dopo la morte vi è il Nulla, il modo di considerare il senso della vita cambia di molto, e se si è atei coerenti non si può che essere NICHILISTI. Saluti.


Per un piu' ampio dibattito filosofico, andrebbe compreso che la posizione nichilista per cui nulla avrebbe valore dato che la vita termina col nulla, si puo' anche rovesciare, e, a livello di storia del pensiero e' effettivamente stata rovesciata, nel suo opposto:

se la vita termina con il nulla, ogni anche apparentemente piccola ed effimera cosa della vita HA VALORE INFINITO, perche' la vita per noi e' la nostra unica ed estrema occasione, contrapponibile solo ad un'infinita', e ad un'eternita', di "nulla".

Insomma il carpe diem oraziano, riscoperto nelle posizioni decadentiste ed estetizanti alla D'annunzio, o nel titanismo, spesso politico o esistenziale, dei pensatori del romanticismo ottocentesco.

In realta' la mia posizione e' che il nulla non valorizza ne' svalorizza la vita: per quanto cio' possa essere difficile, bisogna riuscire a pensare oltre il presunto valore salvifico (come ricorreva nella precedente discussione su Schpenahuer) del nulla, e, allo stesso tempo, oltre il problema nichilista e pessimista della morte intesa come un sonno senza sogni eterno, insomma oltre il -cupo- problema del "terminare", dopo la morte, nel nulla.



#2279
Citazione di: Ipazia il 03 Dicembre 2022, 16:04:59 PMLa soluzione etica è,  fin dalla notte dei tempi, intersoggettiva, ponendo nelle tavole della legge principi cui tutti devono sottostare. Gli antichi deliberanti avevano già risolto l'inghippo della "simpatia", lasciando ai metafisici i rovelli del dubbio, e delle eccezioni che interessano pure i detentori del potere etico e politico.

Che Platone ci faccia un panegirico a ritroso nel cuore dell'iperuranio è un rafforzativo retorico per convincere anche i più diffidenti che il bene è una cosa seria.

Dire che questi metafisici antichi del bene guardassero nostalgicamente indietro mi pare riduttivo della coscienza che essi avevano della loro missione intellettuale. Uno non scrive "la Repubblica" e non inventa il mito della caverna per nostalgia, ma perché guarda avanti, nel futuro.


Platone e' anche il Platone dell'eta' dell'oro e del mito di Atlantide, il Platone che guarda al passato in un mondo, che guarda al passato...

la Repubblica non ha una collocazione specificamente futuristica e futura, come potrebbe averla una comune socialista o anarchica propria dell'utopia moderna, ma ha una collocazione secondo il kairos e l'occasione: laddove si verifica  l'occasione (un re che si "converte" e diventa filosofo oppure un gruppo di filosofi che fanno il colpo di stato e prendono il potere) li' si concretizza la Repubblica, che quindi e' una possibilita' che occupa tutta l'estenzione del tempo, passato presente e futuro.

In generale l'utopia moderna (socialismo, fascismo, anarchia, liberalismo...) si propone di forgiare l'uomo nuovo, e quindi ha una vera e reale preferenza etica verso il futuro; viceversa la Repubblica, che costituisce una, per modo di dire, "utopia antica", si suppone sia possibile proprio perche' nell'anima dell'uomo (considerata nella sua eternita', e soprattutto attualita') c'e' gia, una parte buona, e degna; quindi la sua possibilita'/kairos occupa tutto l'arco del tempo, senza preferenze per un avanti o un indietro nel tempo stesso.

Ovunque sia "ubicata" la Repubblica nel tempo, ovunque si trovi l'isola felice del "momento magico" nell'oceano di fango di un "triste tempo", il saggio e' gia', cittadino della Repubblica, perche' si lascia guidare gia', dalla parte migliore della sua anima.

L'iperuranio non e' un panegirico, proprio perche' in Platone e' serio il tentativo di ricondurre la conoscenza, come tecnica e virtu', alla dinamica memoria/oblio.

Il ricordare e' intermedio tra il sapere e il non sapere, e' il "filo" della filosofia, l'amore della sapienza: il ricordare e' la dimensione, piu' che la condizione, in cui vive Socrate.

E il ricordare implica una certa preferenza nel tempo e in quello che si vuole "ottenere" dal tempo, implica lo scrutare nel passato con l'aspettativa, e il desiderio, di vedere.

Platone vive in un mondo che prende sul serio la morte, la fredda morte: il mondo greco la morte non la occulta, pensando allo shopping di natale e altre cose amene, come facciamo  noi, e non si racconta la favola del paradiso cristiano, come magari potevano fate i nostri bisnonni; e, fregandosene della magra consolazione dei "campi elisi" considera come unica forma di sopravvivenza "importante", tale da far quasi sopportare l'orrore del non senso, l'accesso del singolo alla memoria collettiva tramite il potere dell'epica e della poesia: considera l'immortalita' di Ettore, di Achille e di Elena, e, al limite le vicende di Orfeo e Euridice.

La possibilita' stessa di sopravvivere alla morte, era consegnata a una dinamica collettiva, e dunque in certo grado intersoggettiva, di memoria/oblio; Platone visse presso un popolo epico, oltreche' tragico.

Popolo che stava passando da una cultura orale a una cultura scritta con forti complessita' e resistenze, che riverberarono nella posizione -ambigua- stessa che Platone assunze rispetto alla tecnica della scrittura.

Tale decadenza, e tale contemplazione eticizzante del passato come dolce accompagnamento alla morte, che caratterizza il mondo OMERICO, in cui nasce e si muove Platone, poteva solo essere trasfigurata, e in un cero senso razionalizzata, nella "nuova" (propriamente platonica) teoria della reminiscenza e della conoscenza salvifica/intellettualismo etico, non poteva essere superata in nessun socialismo ante litteram di uomini titanici, che guardassero al futuro con speranza.

Il theorein stesso, in quel mondo, la possibita' di guardare contemplativamente, era riservata al presente e al passato, non al futuro. Tanto che i poeti e gli indovini, che al futuro "guardavano", per modo di dire, erano ciechi.

Al futuro, caratterizzato da mancanza insanabile di oggetto noto, da realta' vivente della contraddizione, si accedeva con i sensi non della teoria.

La morte, era il futuro.

Il contrario esatto dei panorami visionari futuristici della scienza e dello sviluppo, il contrario di quello che siamo noi adesso.

Nella sostituzione dei discorsi ai miti, il fondamentale sentimento del tempo resta lo stesso, anzi si rafforza.

Quello che cambia, soprattutto e' che il theorein che scruta nel passato per sfidare la morte, da principalmente sonoro, e comunitario -epica e poesia- , diviene, con Platone e con l'inizio di una filosofia culturalmente egemone, principalmente visivo, e attinente all'individuo -teoria delle idee, cioe' delle forme-.

Da cui tutto dipende, compreso il bene come conoscenza salvifica.


#2280
Uno dei problemi della dottrina dell'intellettualismo etico e' l'egoismo umano nudo e crudo: quello che secondo verita' e' "bene" per me, potrebbe non essere "bene" per un altro.

La classica situazione della competizione nello sport o nella lotta, in cui ognuno vuole vincere, e in cui agli occhi di ognuno e' un "bene" la vittoria, bene che pero' si puo' raggiungete solo a scapito degli altri.

Dunque e' aporetica la collocazione della figura dell'egoista puro (ad esempio, l'homo economicus moderno) all'interno di una dottrina dell'intellettualismo etico "puro": egli conosce, e fa, il bene per se', ma non per gli altri!

Bisogna comunque riconoscere che il Socrate platonico aveva un concetto abbastanza alto di giustizia da ritenere colui che facesse il bene solo per se stesso escludendo gli altri non un vero "buono", ma un buono deviato, non conoscitore del vero bene, e quindi di fatto un malvagio.

Il bene del Socrate platonico prevede l'intersoggettivita', e quindi la giustizia.

In generale la dottrina dell'intellettualismo etico valorizza sopra ogni cosa la conoscenza: in essa la conoscenza dischiude l'accesso al bene, la conoscenza salva.

La conoscenza in Platone, e quindi nel Socrate platonico, e' reminiscenza, e' legata a uno stato disincarnato prenatale, nel quale avvenne la contemplazione delle idee, e quindi l'unica vera possibilita' di conoscenza, che comunica con il presente tramite il ricordo.

E se la conoscenza e' salvezza, ed e' anche reminiscenza, la salvezza stessa e' reminiscenza.

Dipende dal nostro rapporto col passato, dalla chiarezza teoretica di questo rapporto.

Naturalmente si puo' svalutare il mito dell'iperuranio prendendolo come una metafora, ma io personalmente credo che il sentimento del tempo in Platone, e vieppiu' nella cultura in cui egli e' vissuto, sia fondamentale, ed e'un sentimento del tempo che valuta come migliore il passato.

La conversione al bene come antecedente logico, la ricerca delle cause del mondo materiale nell'intelligibile, parla la lingua della conversione al bene come antecedente temporale, la lingua della della nostalgia.