Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 15:49:23 PMa mio giudizio o accettiamo che il noumeno non ci sia o accettiamo che la logica non si applichi al noumeno. Ma ciò vorrebbe dire accettare inconsitenze che proprio la filosofia occidentale non vuole. [...] e questo è ciò che tormentò a quel tempo Kant, Wittgenstein e anche me ora: è filosoficamente "legittimo" accettare l'esistenza di un "noumeno" inconoscibile? Il problema è che un noumeno "inconoscibile" non è "inconoscibile" in quanto vengono date ragioni per cui è "inconoscibile".Il concetto di limite logico mi sembra sia il punto archimedeo della questione: ogni ambito d'indagine/azione ha bisogno di un limite entro cui agire, altrimenti non è possibile definire un "campo di indagine/azione" e dunque l'indagine/azione rischierebbe di essere dispersiva e caotica.
Tale limite deve essere postulato ma insondabile, poichè se il limite non fosse insondabile verrebbe indagato dall'indagine stessa (seppur dall'interno) e potrebbe, in teoria, essere anche valicato, perdendo così la sua funzione stessa di limite (si rivelerebbe piuttosto solo un confine provvisorio).
Il limite "perfetto" è il limite che non può essere tematizzato, quindi non conosciuto e tantomeno "scavalcato".
In matematica c'è l'infinito, in religione c'è la divinità, in logica c'è il principio di identità, per la conoscenza c'è il reale/noumeno/mondo-in-sè, etc. ciascuno di questi ambiti presuppone il suo rispettivo limite insonsabile e proprio grazie ad esso può avere il suo ambito definito, grazie ad esso può strutturarsi, operare (e eventualmente indagare) all'interno del "terreno" che il limite delimita.
L'interrogarsi sul limite non trova "oggetto" abbastanza definito da poter essere indagato, per cui non può nemmeno delineare la sua risposta. Del limite si sa soltanto che delimita, che non può essere spostato né tematizzato (tantomeno conosciuto), ed è logicamente neccessario che sia così, altrimenti non sarebbe un vero limite. "Dare ragioni per cui è inconoscibile"(cit.) significa che dall'interno è possibile individuarlo come limite; e come facciamo a capire che non è semplicemente esterno, ma è esattamente il limite che sancisce l'interno e l'esterno? Perchè se fosse solamente esterno ed estraneo, non avrebbe ripercussioni fondamentali (e fondanti) su tutto il sistema interno (come accade invece nel caso del "mondo-in-sè" per la conocenza, della divinità per la religione, dell'identità per la logica, etc.), invece la constatazione che tale elemento non sia dentro il sistema, ma gli sia nondimeno estremamente pertinente, determinante eppure insondabile, lo individua adeguatamente come limite.
Superare il limite è comunque possibile teoreticamente con un gesto tanto ardito quanto radicale: rinunciare, andando oltre pur senza spostarsi, a quell'ambito di indagine ed alle "leggi" che lo governano... se mi astengo dal voler matematizzare il mondo, l'infinito non delimita più il mio ragionare; se rinuncio a formalizzare logicamente il mondo, l'identità non è più un limite; se non mi limito alla fede in una divinità, allora... (non concludo per non innescare le pure lecite considerazioni di chi è "dentro" quell'ambito
). Lo stesso vale per la gnoseologia.Per questo Wittgenstein può alludere (non "tematizzare"!), al limite della sua "scala", al silenzio ed al mistico... chi resta sulla scala, non la usa davvero fino in fondo (se non erro Budda proponeva la stessa dinamica parlando della barca da cui bisognerebbe scendere dopo aver compiuto il viaggio...).

), come è inevitabile che sia, non essendoci più "le società di una volta" ed essendo il mutamento sociale, tecnologico, etc. una costante della storia dell'uomo...
).