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Messaggi - niko

#2281
Citazione di: PhyroSphera il 02 Dicembre 2022, 00:42:01 AMPer me la tua è una teoria tutta sbagliata sulla storia e sulla filosofia e anche sulle biografie. Inoltre noto che non ti confronti col pensiero altrui.

Mauro Pastore

Vedi quello che ti ho detto nel tread su Schopenahuer: io mi confronto finche' tu, me ne dai la possibilita'.



#2282
Citazione di: PhyroSphera il 02 Dicembre 2022, 00:29:34 AMHo letto i tuoi due ultimi messaggi. Non hai compreso il messaggio filosofico che Schopenhauer ci ha lasciato. Per interpretarlo correttamente dovresti prendere atto che i tuoi presupposti ingenui non sono adatti per approcciarsi al suo pensiero. Si tratta di valutare la differenza tra fenomeno e noumeno. Tu non la pratichi e poi pretendi che nessuno la pratichi. Si tratta di un atteggiamento antifilosofico, difatti ti illudi di ritrarre il pensiero di Schopenhauer e invece fai la descrizione di un'altra cosa. Certo Nietzsche, che tieni per riferimento, non faceva così. Lui ne faceva una questione di valori e di alternative... Che poi la sua alternativa fu causa di disastri, questo è un altro conto.

Mauro Pastore


Ma io non scrivo per te, infatti questo tuo attribuire a Nietzsche il nazismo, o comunque il razzismo e il mitarismo come fonte di successivi disastri, fa il paio con il tuo rifiutare la teoria darwiniana dell'evoluzione delle specie e con il tuo argomentare contro l'aborto invocando la propensione naturale delle donne alla gravidanza.

Siamo proprio su due piani diversi.

Scrivo per me stesso e per chiunque altro voglia  capire e partecipare.

Le critiche sono sempre ben venute quando argomentate.

Anche le tue. Fino a quando ti sforzi a farne. Cioe' per poco, di solito.


#2283
Citazione di: Alberto Knox il 01 Dicembre 2022, 15:33:42 PMNiko a scritto ;
"La volonta' ha un destino di eternita', e quindi di estenzione immanente in tutte le direzioni e dimensioni del tempo, che non terminera' ne' in una soddisfazione ne' in un auto-toglimento ascetico."

(scusate ma da quando ho il pc fuori uso per me è un casino )

Hai detto che la volontà ha un destino di eternità immanente . Puoi spiegare meglio questo passaggio?


La volonta' e' eterna, di una eternita' trascendente, quindi anche immanentemente, nel passatio, nel presente e nel futuro, la puoi immagginare come sempre volente, sempre presente.

Insomma il desiderio si rivolge, come ovvio, ad una mancanza: desideriamo cio' che ci manca.

Quello che e' un po' meno ovvio, e' che per Schpenahuer siamo esseri desiderarti, quindi non solo il desiderio si rivolge ad un qualcosa di mancante, che finche' non e' ottenuto genera sofferenza, ma anche l'eventuale mancanza di desiderio, conseguenza dell'ottenimento e della conquista quando le cose vanno "bene" e un desiderio si realizza e' noia, dunque ulteriore sofferenza.

Il desiderio non solo si rivolge a quello che manca, ma puo' esso stesso, in quanto desiderio, essere desiderato e mancare, essere oggetto mancante.

Mancante a chi si annoia, e vorrebbe nuovi stimoli e desideri.

Quindi se desidero, soffro perche' desidero, se non desidero soffro perche' mi annoio: comunque vada, soffro.

La noia fa segno al fatto che nel mondo non c'e' altro che volonta': la fine della volonta' in un ottenimento di qualcosa genera vuoto, senso di vuoto, cosi' come il desiderio in generale, quando c'e' ed e' attuale, soffre del vuoto del suo oggetto desiderato e mancante.

O ci manca il desiderio, o ci manca l'oggetto del desiderio.

Puo' sembrare crudele, ma e' logico: una volonta' soggiacente a tutto che "porta avanti il mondo" per sempre e da sempre non puo' essere programmara per terminare in ottenimenti ed appagamenti: non avrebbe senso.

E' volonta' di volonta', non volonta' di appagamento. La volonta' di appagamento e' illusoria. Conquistare un oggetto del desiderio getta l'uomo nella noia, cioe' mostra, quando e' ormai troppo tardi, la desiderabita' in se' di un desiderio, desiderabilita' che non si poteva conoscere finche' quel desiderio era -ancora- attualmente desiderato.

Il mondo esiste, quindi la volonta', esiste.

Il mondo e' sempre esistito, quindi la volonta' e' sempre, esistita.

Se si vuole fare una scommessa facile, si puo' scommettere che sempre, esistera'.

Quanto all'ascesi, essa e' semmai un destino di alcuni, fortunati, fra gli uomini, non qualcosa che davvero salvera' il mondo, non un destino in generale della volonta'

#2284
In realta', quello che divise i cristiani dal platonismo fu non tanto il disprezzo per il corpo (ci hai colto), che non era pieno e reale gia' in Platone, e non era pieno e reale tanto meno nel cristianesimo delle origini (ancora di piu', ci hai colto) ma il fatto che il platonismo valorizza la reminiscenza e la conoscenza, dunque il passato, il cristianesimo, figlio dell'ebraismo, valorizza la fede e la profezia, dunque il futuro.

Molto piu' delle possibili divergenze riguardo allo psicosoma, queste due visioni del mondo NON hanno lo stesso sentimento del tempo, la stessa valorizzazione etica delle dimensioni temporali.

Pesiero dell'eskaton da una parte, e pensiero della decadenza, dall'altra.

Il giudizio sul tempo e' necessariamente anche un giudizio sull'irreversibile: chi ama il passato (e con esso la conoscenza), stante la realta' innegabile del male, sostanzialmente pensa che il male, la caduta nel male, sia irreversibile; chi ama il futuro (e con esso la profezia e la fede) pensa alla redenzione e all'emandazione del male, alla trasformazione del male in bene, e quindi apre lentamente le porte a quell'immenso cambiamento storico e culturale che portera' da un mondo egemonizzato dal paganesimo e dalla filosofia a un mondo dominato dalle religioni del libro, religioni in un modo o nell'altro della conversione e della redenzione.

E' per questo che i cristiani gnostici, rimasti nell'orizzonte della conoscenza salvifica e della conversione retrospettiva al passato inteso come stato increato, e quindi ideale, del mondo, sono rimasti sostanzialmente platonici.

Gli gnostici sono rimasti nel giorno eterno, sono rimasti in Platone, mentre i portatori della (nuova) ortodossia hanno imposto una sorta di supremazia etica del perenne (ex nunc), sull'eterno (ex tunc), dunque un pensiero della reversibilita' del male e della fede in un futuro indeterminato, che e' assolutamente inesistente in Platone.

Detto questo, ci sono delle affermazioni innegabili di svalutazione del corpo in Platone, e di preferenza della morte sulla vita difficile da giustificare da un punto di vista vitalistico (il canto del cigno nel Fedone, ad esempio, oltreche' il corpo vome prigione dell'anima e tante altre).

La questione e' complessa, e piu' che un odio del corpo, si tenta di delineare un sospetto verso l'io e l'ego, che nel corpo risiedono, per guadagnare una migliore oggettivita' e imparzialita' nell'episteme, nello stesso quadro in cui si tenta di confutare la sofistica, ed esaltare come sommo bene la giustizia, giustizia in cui nessun "io" prevale su un "tu".

Il corpo e' messo sotto accusa in quanto sede di una molteplicita' meno perfetta dell'Uno originario.

Unita' che deve essere ricostruita con il dialogo reale tra persone, e, secondariamente, con il pensiero, in quanto dialogo interiore.

E' sempre chiamata in causa l'inesauribile questione di stabilire quanto è se il personaggio letterario  di Socrate sia portatore unico e preferenziale del punto di vista di Platone, perche' e' sempre il persobaggio di Socrate, che pronuncia le frasi di svalutazione del corpo.

E di fatto poi apprezza in senso inequivocabilmento -omo-sessuale molti ragazzini e uomini, dimostrando di apprezzare gli amori carnali.

La questione e' che tutta la filosofia in Platone vuole presentarsi come un ingentilimento e una sublimazione del rapporto pederastico, che idealmente dovrebbe sfociare nel rapporto maestro-alievo, lasciando nel mistero quanto della componente sessuale originaria rimanga/permanga.

La maggior parte degli interpreti considera le celeberrime ultime parole di Socrate:

 "dobbiamo un gallo ad Asclepio"

Una forte ed ennesima affermazione antivitalistica, di svalutazione del corpo e amoreggiamento con la morte: Asclepio e' il dio della medicina, e Socrate sta bevendo non una medicona, ma un veleno (o meglio un pharmakon, che significa sia medicina, che veleno!) .

Quindi con cio' si vorrebbe definire la morte come medicina e cura della vita: Asclepio ci fa la grazia di farci morire, andando verso una vita extracorpirea migliore, o comunque, quantomeno, verso la fine di tutte le sofferenze, e noi lo ringraziamo, offrendogli in sacrificio un gallo.

Questa e' l'interpretazione ufficiale, quella che va per la maggiore.

Uno dei punti piu' antivitalistici e di condanna del corpo che si possono trovare in Platone, in piu' in una posizione "topica" di massima evidenza, perche' sono le ultime parole di Socrate.

Ma ci sono almeno altre due interpretazioni: una ironica e una assurdamente vitalistica: quella ironica e' semicemente che un uomo in salute ha accettato di bere un veleno in esecuzione di una legge e di una sentenza, accettando la morte per le sue idee e per la coerenza davanti ai propri discepoli, ma facendo con cio' torto ad Asclepio che e' il Dio della salute e della medicina e mai vorrebbe che qualcuno in salute e nel pieno delle forze si stroncasse da solo bevendo veleno, facendo uso sbagliato, ed , di un farmaco: in questo senso, dobbiamo un gallo ad Asclepio, semplicemente perche' Asclepio e' indignato per ogni vita sana costretta a suicidarsi, e bisogna placarlo con un sacrificio, magari, appunto, di un gallo.

Ma l'interpretazione genuinamente vitalistica, anche se difficilmente sostenibile, praticamente fantasiosa, e' che Socrate, con la frase "dobbiamo un gallo ad Asclepio", come in un lampo di imparzialita' e visione non soggettiva delle cose, si rende conto delle ragioni, pratiche, anche se magari non etiche, che hanno portato i suoi nemici a condannarlo a morte, e, dunque, degli aspetti insostenibili, perche', appunto, antivitali, della sua stessa filosofia. Distruggendo tutte le certezze, si distrugge la possibilita' stessa della vita. E Socrate non aveva il "diritto" di far seprpeggiare il dubbio metodico e radicale su praticamente  ogni aspetto dell'etica e della virtu' nella sua stessa citta'; citta' che ora, "giustamente", lo condanna a morte, per difendere i presupposti pratici (fede nei miti, nei poeti, nella tradizione, nel tragico, nella democrazia, nella sofistica, insomma fede in qualcosa piuttosto che nel nulla), a prescindere da quelli etici, della sua stessa vita di comunita' e di citta'.

In questo, senso dice ai suoi discepoli:  "Dobbiamo un gallo ad Asclepio" perche' il torto contro la vita lo abbiamo fatto noi, non i nostri accusatori.

Ci vuole una espiazione pienamente volontaria, non una conseguente a una sentenza.

Di questa esperienza filosofica  che ha diffuso il dubbio fino a mettere in dubbio la "vita", (cioe' fino a mettere in dubbio i valori tradizionali e attuali della citta') ne e' valsa la pena, ma ne dobbiamo pagare, e soprattutto riconoscere, le conseguenze.

Il contrario esatto di uno spirito di vendetta.


#2285
Citazione di: PhyroSphera il 30 Novembre 2022, 21:50:47 PMBisogna capire invece la distinzione tra mondo falso e mondo vero: Schopenhauer descrive un mondo dominato dal male ma lo addita per falso. Le tue osservazioni sulla positività del male non tengono conto che nel sistema di Schopenhauer questa positività è solo illusoria... Per questo non si tratta di negare Dio ma, daccapo, di scoprire che c'è un vero Dio oltre il falso Dio. Senza aderirvi, Schopenhauer stimava e indicava il pensiero teologico di Eckhart pur indicando che era immerso in una mitologia cristiana (non significa che non fosse teologico).


Quanto dici sulla volontà non è l'affermazione di Schopenhauer. Questi indicava la volontà di vita non semplicemente la volontà di sé stessa. Una volontà che volendo la vita vuole anche se stessa e che però ha davanti a sé il destino di volere non più se stessa, perché la vita in atto è già vita e non ha senso rivolere la volontà di vita.

Non hai preso in esame il vero sistema di Schopenhauer...

Quanto al riferimento che hai fatto, a Nietzsche, si tratta di una critica radicale che sta a monte e non può entrare nel merito delle mie osservazioni perché ne nega le premesse. A mio avviso, la critica di Nietzsche è stata un fallimento... Non si può mettere da parte la distinzione tra mondo vero e mondo non vero senza cadere in una disastrosa ingenuità... Platone, Kant e Schopenhauer, indicano ognuno l'unica via possibile per evitare di farsi vittima degli eventi del mondo. In mezzo alle sue intuizioni, Nietzsche rifiutando la tradizione metafisica e le precisazioni kantiane rimase vittima della storia.

Quel che dici su Kant, Schopenhauer e il superamento dell'individualismo non lo trovo esatto. Politicamente sia Kant che Schopenhauer non erano collettivisti, l'andare oltre il principio di individuazione era per Schopenhauer solo la definizione di un nuovo principio intuitivo dell'identità. Sia Kant che Schopenhauer non sacrificavano l'individuo per la collettività anzi ne erano avversi; l'identificazione della realtà da parte di Schopenhauer condusse alla critica dell'ottimismo progressista che individuava nei collettivi la risposta ai principali problemi dell'umanità.

Le conclusioni che trai sulla salvezza e non salvezza sono tue osservazioni inficiate da ingenuo eccesso di ottimismo.

Nel vero pensiero di Kant e Schopenhauer non c'è alcun no alla vita.


Mauro Pastore


No, per Schopenahuer il mondo e' l'illusione/fenomeno (il mondo, appunto, come rappresentazione), e la volonta' che "anima" il mondo e' il reale/noumeno; e il MALE, (il nocciolo del problema, e di quello che fa problema) risiede proprio nella volonta', e non nella conseguente e superficiale rappresentazione: QUINDI, possiamo dire che il male risiede, appunto, nella dimensione del reale, e NON in quella dell'illusione/fenomenizzazione.

Per questo Schopenahuer NON e', per esempio, un Platone, un Plotino o un neoplatonico, non e' un pensatore per il quale il mondo reale e' bello e il mondo illusivo o fantasmatico e' brutto, ma e' un pensatore che ha il coraggio (inedito) di rovesciare, questo tipo, ingenuo, di platonismo, rimanendo, per altri versi, platonista: per Scopenahuer il mondo reale e' brutto, malvagio, negativo, e il mondo illusivo/fenomenico e' eticamente ed esteticamente neutro, ne' brutto e ne' bello, quindi all'atto pratico migliore del mondo reale. E a questo punto un mondo bello, si potrebbe chiedere? Dato che abbiamo stabilito che la realta' svolge la funzione del male, e l'illusione quella dell'irrilevanza/doppia assenza di male e bene, cosa svolge la funzione del bene, nel sistema? Schopenahuer ti risponderebbe che un mondo bello, che un mondo buono, che un bene reale non c'e', che non esiste, per questo e' passato alla storia come il filosofo del pessimismo e della tristezza. Se vuoi un mondo bello vai ad interrogare altri filosofi, come Hegel, Leibniz, Platone stesso eccetera.

Per Schopenahuer il bene e' la diminuzione di intensita' e di potenza del male, e dunque della realta', senza cadere preda di cio' che non e' ne bene e ne' male, cioe' dell'illusione.

Che diminuisca la morsa di una volonta' infinita, e dunque insoddisfatta. Il fatto che NON ci sia una positivita' del bene, rientra sia nella delineazione  problema, pars destruens, che nell'abbozzo di possibili soluzioni, pars costruens.

Che sono tutte "soluzioni" per "liberarsi" dalla sofferenza, senza implicare una vera positivita' ad essa opponibile.

E' il ritirarsi del mondo tipico dell'asceta, del genio, o della personalita' morale.

Se questo sembra assurdo, bisogna considerare che generazioni di teologi cristiani e filosofi cresciuti in un contesto simile si sono tranquillamente "bevuti" l'assurdita' speculare e opposta, che il male sia solo privazione del bene, da sant'Agostino (contro i manichei...) in poi.

La verita' e' lo scandalo, quello che scuote le coscienze in un dato contesto storico o naturale.

Se davvero Schopenahuer avesse detto che in fondo il male e' illusione...

non solo sarebbe stato un ottimista, e tutti i suoi interpreti avrebbero sbagliato tranne te Mauro, ma non si sarebbe distinto dal suo contesto storico e umano dando scandalo, e additando la "verita' ", o almeno la sua, volonta' di verita'.

Poi, mi dici che in Schupenahuer e' piu' sigificativa la volonta' come volonta' di vita che non la volonta' come volonta' senza oggetto che vuole se' stessa, ma, ti ripeto, sono la stessa cosa.

La volonta' ha un destino di eternita', e quindi di estenzione immanente in tutte le direzioni e dimensioni del tempo, che non terminera' ne' in una soddisfazione ne' in un auto-toglimento ascetico.

Assolutamente sbagli tu, nel credere che la volonta' sia destinata a non volere piu' se stessa grazie all'eccezione dell'asceta, magari a questo punto, possibile ulteriore fraintendimento, "preparata" nella scala della vita dall'eccezione in se' dell'uomo. L'asceta e' da intendersi fuor di metafora come una eccezione, non salva il mondo, ma salva se stesso.

Se il mondo esiste, non c'e' stato finora nessun (vero) asceta.

Perche', se un asceta avesse annullato la volonta' di vivere in se stesso, necessariamente, l'avrebbe annullata anche nel mondo. Tra i due termini, tra i due "poli" di possibile annullamento della volonta' non c'e' differenza, anzi, c'e' proprio identita'.

Ma la volonta' di vivere giunge a noi in questo attimo attraverso l'eternita' e testimonia contro, la possibilita' salvifica dell'ascesi/asceta, non a favore.

Perche' non vi e' differenza, -tutto il sistema di Schopenahuer e' impostato sul fatto che non puo' esservi differenza- tra volonta' in noi stessi e volonta' nel mondo.

Il destino della volonta' in noi stessi e' lo stesso destino della volonta' nel mondo.

Se non c'e' mai stato un asceta in noi stessi, non ve ne e' mai stato uno, nel mondo.

Ma Schpenahuer con questo intende dire che l'esperienza ascetica e' un'esperienza prototipica, nuova sotto il sole, uguale-a-nulla, e dunque autentica, e puoi essere proprio tu, vivendo una vita autentica, quell'asceta che finora non c'e' mai stato.

Con questo non salverai il mondo, al massimo, ma proprio al massimo, salverai te stesso.

Poi, mi dici che filosofi che hanno criticato il concetto di individuo e di individuazione dovrebbero essere collettivisti, e, se non lo sono, allora sicuramente non hanno criticato il concetto di individuo: che ti devo dire, in filosofia non c'e' solo la zuppa e il pan bagnato, c'e' anche la complessita', lasciamo perdere che e' meglio...


#2286
La Meloni ha scelto e preferito di chiamarsi "il presidente" e non "la presidente" per presentarsi al mondo come donna non stereotipatamente femminista e per ribadire la sua contrarieta' a certe battaglie linguistiche tipicamente femministe, e anche, lgbt.

Io che odio la Meloni, e sono d'accordo con molti temi femministi ed lgbt, in questo caso specifico sono d'accordo con lei.

La battaglia linguistica e per i pronomi e' proprio l'ultima delle priorita', fumo negli occhi, e la sinistra lo dovrebbe capire, che e' impossibile creare consenso intorno a puttanate del genere.

Se la gente fosse libera, anche sessualmente e identitariamente, se ne infischierebbe, di come la chiamano gli altri.

Con quale pronome.

Cosa si vuol dimostrare?

L'importanza di un divenire (conquiste femministe, conquiste dei transessuali) rispetto a un essere o a un essere/stato (mondo in cui le donne o i transessuali avevano meno diritti degli altri, comunque passato individuale, in cui la persona transessuale nasce nel sesso che sente come sbagliato)?

Bene, ma queste cose non si fanno obbligando gli altri a parlare in un certo modo o con la dannazione della memoria di un passato che, anche giustamente, non ci piace.

Chi vuole essere diverso dal passato, lo dimostrasse, nei fatti.

Non rivendicando la targhetta/medaglia (di latta...) del divenire a buon mercato, tale per cui il pronome si adatta alla persona, e non la persona, al pronome, con la conseguenza, paradossale, che finche' la persona non esplicita come voglia essere chiamata, si deve tacere e di fatto escluderla per non offenderla, perche' a questi estremi, stiamo arrivando.

L'opzione per cui ognuno parla come gli pare (nei limiti del non offendere o insultare gli altri, naturalmente), sta sempre a significare che il presente coesiste, insieme, al passato, che ci piaccia o no.

Cioe' la realta'.



#2287
Io penso che in Schopenahuer il vero dramma e' che il bene e' negazione del male, non esiste un "bene" dotato di una "esistenza" primaria e autonoma.

L'emancipazione dalla sofferenza e' il non soffrire.

La tradizionale via apofantica e procedente per negazioni, lui la intraprende proprio rispetto al concetto di bene, che e' appunto negazione silente del male, prescindendo completamente da Dio e dell'eventuale dentificazione del bene con -un- dio.

Siamo davanti ad una teodicea rovesciata, in cui il bene e' "privatio mali", e il male invece esiste, e ha esistenza primaria e non ulteriormente da fondare, (il mondo come VOLONTA', eterna, dunque inappagata) per questo, per quanto tu ti arrovelli per argomentare il contrario, il concetto di Dio in Schopenahuer e' irrilevante.

Il desiderio di sussistenza dell'individuo nel tempo, e quindi anche il desiderio cieco di riproduzione insito nella vita, deriva dal piu' generale desiderio di sussistenza della volonta' nel tempo, e quindi da una cesura cosmica di ogni volonta' con il suo oggetto; insomma da un desiderio del desiderio, da una volonta' che in fondo sa di volere sempre il negativo di un oggetto, un oggetto si', ma in quanto assente e marchiato dalla condizione specifica della sua assenza, e dunque se stessa, e non un presentificabile oggetto, e dunque un vero Altro.

La negazione che separa il bene dal male in questo sistema, come tipo di negazione, e' logica, non storica o naturale. E, come ogni negazione logica, e' potenzialmente anche duplicante. E' solo un operatore logico di "non" , o un segno matematico di "meno" a separare il bene dal male. Ma per il resto, potrebbero essere la stessa cosa.

In generale (e suddivido in tre punti, che vogliono indicare molto per sommi capi tre tendenze importanti del pensiero occidentale contemporanee o prossime a Scopenahuer, per essere piu' chiaro)

* un certo fiorire di vie moderne e laiche di riscoperta dell'ascesi, come appunto in Schopenahuer (lo scopo della vita e' imparare a non volerla, quindi la vita ha uno scopo, dischiuso dalla pratica dell'ascesi, negativa della vita stessa),

* come pure, ogni estetismo decadente e sterilmente anti-ascetico che si protenda a valorizzare l'effimero e l'attimo con l'argomento, e con l'incombenza, della morte (insomma valorizzare il mondo a partire dalla realta' della morte, come coincidenza, appunto, tra l'effimero e l'unico)

* cosi' come, anche, ogni leopardianesimo e foscolismo della morte come grande consolatrice e del trovare conforto nella limitatezza, e finitudine, mortale appunto, della sofferenza umana per quanto essa sia vista come insensata e inevitabile,

dimostrano proprio e soltanto che non e' bastato liberarsi da Dio, dal Dio cristiano intendo, per liberarsi completamente e contemporaneamente anche da un presunto valore salvifico del nulla/niente nella cultura occidentale, dimostrano che il valore salvifico del nulla/niente e' in qualche modo persistito nelle menti e nella cultura oltre Dio, insomma che era necessario un Nietzsche, profeta che, incatenandoci all'infinita' identica e insensata della vita (eterno ritorno) ha saputo guardare oltre ogni presunto valore salvifico del nulla e della morte: in senso ascetico, in senso edonistico, in senso consolatorio, in tutti i sensi che ho provato ad elencare sopra, egli ha fatto piazza pulita, di questa ultima illusione possibile oltre Dio, consistente nel fare del nulla, un Dio.

Bisogna responsabilizzarsi davanti alla vita proprio perche' la vita non termina, non ha termine, nel nulla (ma neanche in un radicalmente altro cosi' diverso e inconcepibile dal presente da avere valore di nulla, e di nullificazione del presente).

Egli ha ri-detto -contro il suo maestro Schopenahuer- che il limite e il contrario della sofferenza umana e' un piacere memorico e reale, declinabile anche storicamente e naturalisticamente, e non una negazione logica di un soffrire totalizzante che fa mondo, non una mera non-sofferenza che si contrapponga, duplicandola, alla sofferenza.

Non una vita che si conclude nella morte e' il tema di Nietzsche ma parti e sussulti della vita, che si concludono in altre parti e in altri sussulti, della vita.

Non il problema della salvezza come qualcosa da conseguire, ma la salvezza in se' che fa problema, perche' il bene e' inestricabile dal male, la salvezza implica il ritorno, del bene e insieme del male, insomma la salvezza, una volta correttamente compresa, non puo' essere desiderata superficialmente.

Kant e Schopenahuer rispetto a tutto cio' sono ancora dei cercatori di salvezza, ma hanno avuto il merito di criticare il concetto di individuo e individuazione fino a far affiorare il dubbio che la -agognata- salvezza stessa possa non essere, una salvezza individuale.

Salvezza dell'anima non implica salvezza dell'io, anche grazie a loro comincia a incrinarsi qualcosa nell'edificio teologico del cristianesimo, siamo piu', appunto in senso gnostico, nell'ordine di idee di una salvezza dello spirito, di un quanto di non-individuale presente negli individui.






#2288
Storia / Re: Tutti abbiamo un tallone d'Achille
30 Novembre 2022, 12:49:49 PM
Sorprende come sempre la saggezza dei Greci, secondo I quali il figlio di un dio e di un -o una- mortale era destinato ad essere una personalita' straordinaria, insomma una personalita' che si sarebbe assolutamente distinta tra gli uomini, ma pur sempre mortale.

La sua -inevitabile- morte sarebbe stata in un certo senso ancora piu' tragica della morte di un individuo comune, perche' avrebbe privato il mondo e dunque gli altri, a lui sopravvissuti, mortali, di tale personalita' straordinaria.

La morte di Achille, di Eracle, di Castore.

Una morte senza redenzione, senza appello.

Tranne forse per Eracle, il semidio che si conquisto' l'immortalita' e fu e accolto tra gli dei, comunque in una apoteosi che fu parvenza di morte, e lo separo' per sempre dai mortali.

Come non paragonare tutto cio' al "mito" fondativo cristiano, secondo il quale il figlio di Dio e di una mortale e' Dio egli stesso, e destinato a trionfare sulla morte. E a far trionfare sulla morte tutti quelli che crederanno in lui.

Il Figlio come persona della trinita'.

La madre come matrice, come colei che e' mortale, ma genera figli immortali, o comunque trionfanti sulla morte.

Le culture piu' aderenti al tragico, quelle in cui, ad esempio, ci vogliono due genitori immortali e non uno per fare un figlio immortale, sono anche quelle piu' aderenti alla realta'.





#2289
Attualità / Re: Kherson è una trappola russa?
27 Novembre 2022, 20:42:52 PM
Citazione di: anthonyi il 27 Novembre 2022, 17:29:31 PMBisognerebbe allora capire per quale motivo fanno trincee (in doppia linea) nel collo che unisce la Crimea al resto dell'ucraina.

Per prudenza, per dissuadere da un gia' comunque improbabile attacco... non credo ci saranno mai grandi attacchi di terra dell'Ucraina verso la Crimea, ributtare indietro i russi dal territorio ucraino strettamente inteso per come era prima dell'invasione e' la loro priorita', dividere le forze in due obiettivi entrambi difficili (ributtare indietro gli invasori e contemporaneamente prendere la Crimea) sarebbe una stupidagine da parte loro e un probabile regalo ai russi, ma se mai cedera' il fronte della Crimea (quindi vittoria schiacciante dell'Ucraina armata e foraggiata dai soliti noti oltre ogni piu' realistica prospettiva) saranno cazzi, la Russia rischiera' la disgregazione, ma il mondo rischiera' la guerra nucleare...

a certi super falchi occidentali piacerebbe pure questa prospettiva, ma a me no...

#2290
Attualità / Re: Kherson è una trappola russa?
27 Novembre 2022, 16:32:12 PM
Che i Russi preparino una controffensiva in Ucraina su tempi lunghi, in primavera, lo diceva ieri perfino Repubblica, che e' un giornale assolutamente filoucraino e allineato.

La Russia puo' assestare delle batoste psicologiche non indifferente riprendendosi qualsiasi importante citta' che abbia perso in precedenza, come appunto Kherson: se riesce a "dimostrare" il teorema strategico secondo cui le principali citta' contese passano di mano in mano come in alcune delle fasi della prima guerra mondiale e non ci sono risultati "definitivi" in questa guerra, questo indurra' la parte debole in termini di risorse uomini e mezzi, cioe' gli ucraini, a trattare.

Perche' i primi a non volere una guerra infinita sono proprio gli ucraini, che hanno bisogno stringentemente di una vittoria importante  relativamente rapida (ad esempio che l'intera controffensiva Russa di primavera si infranga in un nulla di fatto...) per ottenere il loro obbiettivo migliore tra quelli realistici quello cioe' di tornare ai confini preinvasione e salvare al cento per cento l'integrita' territoriale; viceversa tutto cio' che anche senza implicare un risultato netto e definito strascina risultati indefiniti, operazioni bloccate e capovolgimenti di fronte per tempi lunghi e lunghissimi fa comodo sempre solo alla parte forte di questa guerra, cioe' alla Russia.

In questo quadro riprendere Kherson o simili grandi citta', sarebbe una batosta estrema.

Batosta che la Russia, se vuole ottenere il suo obbiettivo migliore tra quelli realistici, cioe' occupare gli stati che si e' formalmente annessa da referendum e su questa posizione di forza terminare la guerra, deve pur, prima o poi, provare ad assestare.


#2291
Citazione di: niko il 26 Novembre 2022, 18:05:41 PMIn realta' si tratta di gettare il cuore oltre l'ostacolo e intravedere le pretese metafisiche e autoillusive insite finanche concetto leopardiano o foscoliano di nulla, e di destino nullificante che ci attenderebbe nella, e oltre, la tomba.

Bisogna stanare la volonta' di verita' e di potenza tipica della vecchia volpe umana finanche nella tana estrema che essa si e' costruita nel concetto di nulla extramondano dove si "andrebbe a finire" dopo la morte. Finanche nel suo piu' tipico disincanto moderno, che e' sempre, anche, un disincanto romantico.

Se troveremo cosa vi e' di illusivo o di egoicamente esaltante nella "tomba ignuda" di un Leopardi o nei "Sepolcri" di un Foscolo, troveremo anche cosa vi e' di umano (troppo umano...), in questi concetti, perche' avremo individuato in essi la volonta' di potenza che strepita e si agita, un volerci credere, che e' simile al volerci credere, per esempio, del cristiano o del buddista che invocano come dopo morte la loro reincarnazione, o il loro destino ultimo.

L'ostacolo quindi, oltre cui dobbiamo gettare il cuore sembra essere grande: cosa vi puo' essere dunque, di egoicamente esaltante o tanto piu' di illusivo, nella "lagna nichilista pura" di chi crede, dopo la morte, di essere semplicemente annientato?

Eppure dobbiamo sostenere lo sguardo di questo abisso, dobbiamo guardare per vedere...

Innanzitutto, io vi vedo, la grande consolatrice, la signora materna -seppure matrigna- con la falce, la pretesa di essere consolati:

Se con la morte finisce tutto, anche la sofferenza finisce. La finitudine della sofferenza e' buona novella, e' di per se' motivo di gioia.

La morte non puo' essere usata come minaccia, come punizione. Solo la sofferenza puo'.

In secondo luogo non e' univocamente vero, che la morte vanifichi tutto: c'e' il contraltare che, davanti all'infinita' di estensione e di durata del nulla della morte come luogo e tempo in cui andare a terminare, ogni piccolo ed effimero piacere della vita, ogni cosa esigua, acquisisce valore infinito.
Ogni cosa e' unica e insostituibile, per ogni cosa vale la pena di lottare.
Il concetto stesso dell'occasione e della fortuna.

Ed ecco ancora la volonta' potenza che si agita, che scalpita nascosta dal paravento della lamentazione e della lagna di fronte alla morte, e della prospettiva
ateo-nichilista sulla morte.

In terzo luogo, e questo e' secondo me il punto fondamentale e piu' difficile da capire, il nulla della morte non esiste nel mondo oggettivo, non e' una "cosa", non e' in verita' un tempo e non e' luogo, quindi andare a finire nel nulla, nel nulla di essere e di coscienza che ci aspetta o ci aspetterebbe nella tomba, e' continuare ad essere un Ego, continuare ad avere una verita' soggettiva e soggettuale da testimoniare.

Il nulla della morte non sta in nessun altro luogo e in nessun altro tempo che non nella coscienza annientatata del morto, e' un oltremodo, una metafisica.

E' un sopravvivere nel proprio circuito spaziotemporale chiuso di annientamento un continuare a testimoniare la propria verita'.

"Ora, le pupille guardano all'interno"

Diceva poeta romantico tedesco Rielke a proposito, appunto, delle pupille dei morti.

I morti non solo stimolano la NOSTRA introspezione, ma, essendo testimoni di un nulla extramondano, che non esiste in un mondo compattamente e inconcussamente "fatto", costituito di essere, sono, o almeno sembrano essere, portatori di una LORO propria introspezione. Che testimonia della verita' di un nulla che non esiste in quanto cosa o in quanto datita' in un mondo esteriore essente ed esistente.





Dunque per concludere, (mi autocito perche' non sono riuscito a fare un unico post)...

Anche nell'idea che dopo la morte ci sia il nulla, il destino di annullamento, vi e' insito un afflato egoico, metafisico nel senso nichilistico di metafisica come scienza che insegna a sopportare con delle cullanti, e giovevoli illusioni, la durezza, e il non-senso di un mondo troppo duro da sopportare.

Questa idea, apparentemente la piu' deprimente, e disumana, appunto che dopo la morte finisca tutto, e' ancora fin troppo conciliante, e umana.

Non sono dunque quelli che credono ad un approdo metafisico in senso classico, tipo paradiso o inferno, ad avere l'esclusiva sulla condizione di dell'illusione o di autoinganno insita nella loro credenza.

La posizione piu' realistica mi sembra dunque quella agnostica (sospensione del giudizio), e al limite quella dell'eterno ritorno -della stessa vita rivissuta infinite volte- come posizione legata all'agnosticismo, insomma mi sembra sensato che la vita trovi limite in se' stessa e che si capisca che il termine "naturale" di un'identificazione tra un se' e una coscienza (quello che gia' in vita siamo) sia un oblio, e non un nulla.

L'eterno ritorno, e anche la reincarnazione/metempsicosi, sono quei destini intramondani in cui l'oblio, e la dinamica memoria/oblio gioca un ruolo fondamentale e quindi i piu' legati ad una posizione agnostica: un'anima all'inferno o in paradiso potrebbe -o no- dimenticare la vita terrena, mentre che la vita terrena venga dimenticata e' indispensabile per immaginare il ciclo infinito delle reincarnazioni o il destino di una vita destinata a riviversi infinite volte.

Oblio che e' un non-sapere oltre la morte, e non un annientarsi nella morte.



#2292
Citazione di: Socrate78 il 25 Novembre 2022, 17:23:25 PMA me non importa nulla se rimango nei pensieri e nei ricordi di chi resta, se io non esisto più che cosa me ne deve importare? Assolutamente niente, perché non posso gioire di questa cosa non esistendo più. Se dopo la morte non c'è niente allora niente ha valore, non ha valore conoscere alcunché, perché il mio sapere dopo la morte è azzerato, non ha valore nemmeno amare, perché avrò soltanto generato attaccamento affettivo inutile in chi è amato e quindi esso sentirà la mia mancanza ed io non potrò più rivederlo, non ha valore nemmeno aver faticato per ottenere ricchezza, prestigio e potere in vita, perché con la morte tutto ciò è spazzato via. Se dopo la morte c'è il nulla, allora ha ragione il grande poeta pessimista Leopardi quando diceva che "la vita è male", poiché il disvalore finisce per invadere ogni aspetto della vita e renderlo una fatica vana, uno sforzo verso il nulla.



In realta' si tratta di gettare il cuore oltre l'ostacolo e intravedere le pretese metafisiche e autoillusive insite finanche concetto leopardiano o foscoliano di nulla, e di destino nullificante che ci attenderebbe nella, e oltre, la tomba.

Bisogna stanare la volonta' di verita' e di potenza tipica della vecchia volpe umana finanche nella tana estrema che essa si e' costruita nel concetto di nulla extramondano dove si "andrebbe a finire" dopo la morte. Finanche nel suo piu' tipico disincanto moderno, che e' sempre, anche, un disincanto romantico.

Se troveremo cosa vi e' di illusivo o di egoicamente esaltante nella "tomba ignuda" di un Leopardi o nei "Sepolcri" di un Foscolo, troveremo anche cosa vi e' di umano (troppo umano...), in questi concetti, perche' avremo individuato in essi la volonta' di potenza che strepita e si agita, un volerci credere, che e' simile al volerci credere, per esempio, del cristiano o del buddista che invocano come dopo morte la loro reincarnazione, o il loro destino ultimo.

L'ostacolo quindi, oltre cui dobbiamo gettare il cuore sembra essere grande: cosa vi puo' essere dunque, di egoicamente esaltante o tanto piu' di illusivo, nella "lagna nichilista pura" di chi crede, dopo la morte, di essere semplicemente annientato?

Eppure dobbiamo sostenere lo sguardo di questo abisso, dobbiamo guardare per vedere...

Innanzitutto, io vi vedo, la grande consolatrice, la signora materna -seppure matrigna- con la falce, la pretesa di essere consolati:

Se con la morte finisce tutto, anche la sofferenza finisce. La finitudine della sofferenza e' buona novella, e' di per se' motivo di gioia.

La morte non puo' essere usata come minaccia, come punizione. Solo la sofferenza puo'.

In secondo luogo non e' univocamente vero, che la morte vanifichi tutto: c'e' il contraltare che, davanti all'infinita' di estensione e di durata del nulla della morte come luogo e tempo in cui andare a terminare, ogni piccolo ed effimero piacere della vita, ogni cosa esigua, acquisisce valore infinito.
Ogni cosa e' unica e insostituibile, per ogni cosa vale la pena di lottare.
Il concetto stesso dell'occasione e della fortuna.

Ed ecco ancora la volonta' potenza che si agita, che scalpita nascosta dal paravento della lamentazione e della lagna di fronte alla morte, e della prospettiva
ateo-nichilista sulla morte.

In terzo luogo, e questo e' secondo me il punto fondamentale e piu' difficile da capire, il nulla della morte non esiste nel mondo oggettivo, non e' una "cosa", non e' in verita' un tempo e non e' luogo, quindi andare a finire nel nulla, nel nulla di essere e di coscienza che ci aspetta o ci aspetterebbe nella tomba, e' continuare ad essere un Ego, continuare ad avere una verita' soggettiva e soggettuale da testimoniare.

Il nulla della morte non sta in nessun altro luogo e in nessun altro tempo che non nella coscienza annientatata del morto, e' un oltremodo, una metafisica.

E' un sopravvivere nel proprio circuito spaziotemporale chiuso di annientamento un continuare a testimoniare la propria verita'.

"Ora, le pupille guardano all'interno"

Diceva poeta romantico tedesco Rielke a proposito, appunto, delle pupille dei morti.

I morti non solo stimolano la NOSTRA introspezione, ma, essendo testimoni di un nulla extramondano, che non esiste in un mondo compattamente e inconcussamente "fatto", costituito di essere, sono, o almeno sembrano essere, portatori di una LORO propria introspezione. Che testimonia della verita' di un nulla che non esiste in quanto cosa o in quanto datita' in un mondo esteriore essente ed esistente.











#2293
I Russi non accetterebbero mai (e giustamente, secondo me) bombardamenti a lungo raggio, tipo su Mosca e San Pietroburgo, che avvengano con missili occidentali (quindi principalmente con missili usa e gb) "gentilmente" regalati all'Ucraina: non li accetterebbe Putin, e non li accetterebbe un eventuale successore di Putin se questi venisse rovesciato, perche' ne andrebbe del prestigio e della sicurezza interna della nazione chiunque ne sia il leader.

Se ne subissero, risponderebbero con almeno una delle due tra:

* mobilitazione totale, con leva di tutti maschi adulti anche non riservisti per una definitiva conquista e smilitarizzaziine dell'Ucraina.

* colpo di avvertimento nucleare.

Solo un paese barzelletta in linea di principio si fa bombardare per procura con missili cortesemente dati in prestito a un paese nemico "testa di ponte" senza reagire durissimamente, cotro la testa di ponte e contro chi la arma; e della Russia tutto si puo' dire fuorche' che sia un paese barzelletta.

Usa e gb lo sanno, e l'ultima cosa che faranno sara' "riequilibrare" la situazione rifornendo l'Ucraina di missili a lungo raggio. Perche' non sarebbe un "riequilibrio" ma un disastro.

Soprattutto gli usa dovrebbero saperlo, loro che non hanno esitato a minacciare una guerra nucleare, e giustamente dal loro punto di vista, il giorno che i sovietici hanno candidamente PROVATO ad armare con missili a lungo raggio un loro nemico nel loro cortile di casa (Cuba).



#2294
Attualità / Re: La decima mas
21 Novembre 2022, 18:55:56 PM
Citazione di: anthonyi il 21 Novembre 2022, 18:01:09 PMIl problema é che non tutti vedono allo stesso modo ciò che é giusto. Per noi col senno di poi é certo più facile, ma neanche tanto. Gli anni 20-30 erano scossi dal terrore della dittatura comunista che si era imposta in Russia, e io non lo so tra questa prospettiva e la dittatura fascista cosa fosse peggio.


La rivoluzione comunista rappresentava (l'unica) l'alternativa, al comando borghese di perpetuare la guerra ingiusta, e in essa morire per nulla.

L'interesse universale contro la guerra degli interessi particolari.

La cooperazione universale tra gli uomini si puo' almeno teoricamente perseguire e attuare; anche se in un certo grado autoritariamente comandata, che piaccia o no essa e' l'oggetto di un comando eseguibile; non abbiamo difficolta' insormontabili a immaginare gli uomini componenti l'umanita' nella loro totalita' impegnati a fare tutti lo stesso girotondo o a costruire la stessa piramide. Per quanto si possa discutere dell'opportunita' o meno di quel girotondo o di quella piramide in un dato contesto.

La competizione, e tanto piu' la guerra per la competizione (sociale, razziale, economica o nazionale che sia) se e' tale, c'e' sempre uno che la vince e uno che la perde. Vista nella sua interezza, non e' l'oggetto di un comando eseguibile.

Perche' ognuno, singolarmente, combatte in una guerra, in una lotta o una competizione, anche, per esempio, sportiva?

Per la vittoria.

Eppure non possiamo immaginare una guerra tra due o piu' contendenti in cui alla fine vincano tutti, e nessuno perda.

Una partita tra Roma e Lazio in cui alla fine vincano sia la Roma, che la Lazio.

Non si puo' ordinare una competizione con il mandato di vincere tutti.

Neanche autoritariamente.

Il vari re che ordinano la competizione, complessivamente, se visti in uno sguardo d'insieme, sono nudi.

Il loro comando di vincere, non puo' valere come massima kantiana, come legge universale.

Non possono rendere ragione del loro potere, non possono essere i re di tutti.

Anche se, nella loro frenesia di guerra, vorrebbero ciascuno esserlo.




#2295
Attualità / Re: La decima mas
21 Novembre 2022, 16:53:19 PM
Citazione di: anthonyi il 21 Novembre 2022, 16:30:15 PMIo rispetto moralmente chi si rifiuta di fare una guerra che vede ingiusta, questo non vuol dire che chi invece la fa per rispetto delle leggi sia uguale a chi quella guerra l'ha posta in essere. Le responsabilità storiche sono cose precise e distribuirle a pioggia serve solo a sminuire la responsabilità dei grandi responsabili.

Io invece penso che tutti possano fare la differenza nella storia, finanche con le loro azioni e scelte individuali, quindi le folle e le masse anonime che obbediscono anche in buona fede ai dittatori (e ai "re" fuori tempo massimo che abbiano aperto le porte del potere e del governo ai dittatori) arrivando fino a uccidere e morire per questi, anziche' ribellarsi e disertare, hanno le loro responsabilita'.

Quelle masse sono composte da individui, ognuno padrone del proprio destino e ognuno inchiodato singolarmente alle proprie responsabilita'.

Le leggi ingiuste si sovvertono, senza auto immolazione e senza vittimismo.