Provo ad offrire al discorso un'osservazione: nel topic sull'irrazionalità ("tematiche filosofiche") si parla di come il principio di identità sia intuitivo, inconfutabile in quanto principio fondatore di ogni logica conosciuta; nel topic su spiritualità e definizione del nemico ("tematiche spirituali"), si discute di come l'identità religiosa possa declinarsi (e declinare) in aspetti mondani (economico-socio-politici) oppure in una ricerca pertinentemente spirituale; qui si dibatte sul rapporto storico fra identità culturale-psicologica e violenza... il piano di questa triangolazione interdisciplinare è l'insidioso tema dell'identità, e credo che le tre prospettive (logica, esistenziale e sociologica) dialoghino forzatamente ma proficuamente, richiamandosi l'un l'altra nonostante la diversità d'approccio (e sono così un buon esempio di dialogo "utile" fra posizioni differenti...
).
Il nostro modo di ragionare, correggetemi se sbaglio, è basato sull'identificazione (logica, esistenziale e sociologica), ovvero sull'individuazione di differenti identità, che in quanto tali pongono la loro negazione, la differenza, l'alterità... ogni "A" definisce inevitabilmente il "non-A" (o viceversa) e, come nelle logiche più elementari, i due si escludono reciprocamente quando si tratta della verità: o è vero "A" o è vero "non-A" (che talvolta viene chiamato B, se poniamo B=-A). Ma se entrambi (semplifichiamo il discorso con solo due elementi) pretendono di essere veri?
Ecco allora che può denotarsi il nemico, il conflitto e la violenza... "A" spesso non può accettare di essere vero tanto quanto "non-A" (il "principio di non contraddizione" talvolta vige anche esistenzialmente e sociologicamente), così come una religione non può accettare di essere "vera" come le altre, o una visione politica non può accettare di essere "giusta" come le altre, o la "cultura" di una società non può accettare di essere funzionale per la "sua" popolazione tanto quanto lo sarebbero altre... fermo restando che ci possono essere, come da manuale, le dovute eccezioni.
Cosa c'entra questo con l'(eventuale)escalation della violenza e il (eventuale) fallimento della psicologia? La pluralità delle identità è sempre più interconnessa, il mondo è diventato "piccolo" e siamo tutti molto "vicini"; questo pone il problema della relazione fra le identità, che sono molte e dinamiche (da non sottovalutare!), ed una serie di ideali "monistici", secondo cui la verità, il giusto, etc. sono uno solo, e per esso si può anche decidere di combattere con violenza.
Questa discronia fra un ragionare talvolta "anacronistico" (come fossimo prima del postmoderno) ed una realtà che va velocemente intricandosi (collidendo identità, contaminandole), può portare ad un aumento della violenza e dell'intolleranza come meccanismo psicologico di difesa: spaesato dal frastuono cognitivo, sovraesposto ad input talvolta contraddittori e incapace di afferrare con fede un'identità assoluta, immutabile e inopinabile, l'uomo di oggi (e le differenti "strutturazioni" in cui si differenzia) può "spaventarsi" e, istintivamente, reagire attaccando.
Inevitabilmente, un maggior incontro di identità comporta, potenzialmente, un maggior conflitto di identità (se è vero che l'uomo, per natura, non è incline al pluralismo, inteso come coesistenza... o anche come condivisione della verità, della giustizia, della terra, dei partner e delle patatine fritte
).
La psicologia potrebbe aiutare l'uomo ad orientarsi in quest'epoca di complessità crescente, senza però diventare essa stessa quel feticcio da venerare quando ci si sente insicuri? Forse... ma resta pur sempre anche lei una "produzione" della mente umana, una scienza(?) figlia dei suoi tempi e dallo statuto epistemologico problematico... di sicuro, non è come la luce del sole che arriva in tutte le case ed è uguale per tutti, quindi, per quel poco che può "funzionare", presuppone che qualcuno si rivolga a lei (altrimenti non ha senso imputarle fallimenti per tentativi non compiuti).
La psicologia "seria" non credo sia quella fatta dall'opinionista-psicologo che commenta e interpreta il fatto di cronaca, bensì, se non sbaglio, quella che si attua lontano dalle telecamere e faccia a faccia con l'interessato (o gli interessati). Come dire, "se mi sono storto una caviglia è un fallimento per la medicina?". Direi di no, ma la medicina può forse aiutarmi proprio perché mi sono storto una caviglia (non prima), se le do almeno l'opportunità di provarci... poi, magari, mi operano e sbagliano caviglia, ma la fallibilità fa parte dell'essere umani, no?
P.s. Scritto da uno a cui la psicologia sta decisamente antipatica, ma tenta comunque di dare a Cesare quel che è di Cesare...

Il nostro modo di ragionare, correggetemi se sbaglio, è basato sull'identificazione (logica, esistenziale e sociologica), ovvero sull'individuazione di differenti identità, che in quanto tali pongono la loro negazione, la differenza, l'alterità... ogni "A" definisce inevitabilmente il "non-A" (o viceversa) e, come nelle logiche più elementari, i due si escludono reciprocamente quando si tratta della verità: o è vero "A" o è vero "non-A" (che talvolta viene chiamato B, se poniamo B=-A). Ma se entrambi (semplifichiamo il discorso con solo due elementi) pretendono di essere veri?
Ecco allora che può denotarsi il nemico, il conflitto e la violenza... "A" spesso non può accettare di essere vero tanto quanto "non-A" (il "principio di non contraddizione" talvolta vige anche esistenzialmente e sociologicamente), così come una religione non può accettare di essere "vera" come le altre, o una visione politica non può accettare di essere "giusta" come le altre, o la "cultura" di una società non può accettare di essere funzionale per la "sua" popolazione tanto quanto lo sarebbero altre... fermo restando che ci possono essere, come da manuale, le dovute eccezioni.
Cosa c'entra questo con l'(eventuale)escalation della violenza e il (eventuale) fallimento della psicologia? La pluralità delle identità è sempre più interconnessa, il mondo è diventato "piccolo" e siamo tutti molto "vicini"; questo pone il problema della relazione fra le identità, che sono molte e dinamiche (da non sottovalutare!), ed una serie di ideali "monistici", secondo cui la verità, il giusto, etc. sono uno solo, e per esso si può anche decidere di combattere con violenza.
Questa discronia fra un ragionare talvolta "anacronistico" (come fossimo prima del postmoderno) ed una realtà che va velocemente intricandosi (collidendo identità, contaminandole), può portare ad un aumento della violenza e dell'intolleranza come meccanismo psicologico di difesa: spaesato dal frastuono cognitivo, sovraesposto ad input talvolta contraddittori e incapace di afferrare con fede un'identità assoluta, immutabile e inopinabile, l'uomo di oggi (e le differenti "strutturazioni" in cui si differenzia) può "spaventarsi" e, istintivamente, reagire attaccando.
Inevitabilmente, un maggior incontro di identità comporta, potenzialmente, un maggior conflitto di identità (se è vero che l'uomo, per natura, non è incline al pluralismo, inteso come coesistenza... o anche come condivisione della verità, della giustizia, della terra, dei partner e delle patatine fritte

La psicologia potrebbe aiutare l'uomo ad orientarsi in quest'epoca di complessità crescente, senza però diventare essa stessa quel feticcio da venerare quando ci si sente insicuri? Forse... ma resta pur sempre anche lei una "produzione" della mente umana, una scienza(?) figlia dei suoi tempi e dallo statuto epistemologico problematico... di sicuro, non è come la luce del sole che arriva in tutte le case ed è uguale per tutti, quindi, per quel poco che può "funzionare", presuppone che qualcuno si rivolga a lei (altrimenti non ha senso imputarle fallimenti per tentativi non compiuti).
La psicologia "seria" non credo sia quella fatta dall'opinionista-psicologo che commenta e interpreta il fatto di cronaca, bensì, se non sbaglio, quella che si attua lontano dalle telecamere e faccia a faccia con l'interessato (o gli interessati). Come dire, "se mi sono storto una caviglia è un fallimento per la medicina?". Direi di no, ma la medicina può forse aiutarmi proprio perché mi sono storto una caviglia (non prima), se le do almeno l'opportunità di provarci... poi, magari, mi operano e sbagliano caviglia, ma la fallibilità fa parte dell'essere umani, no?

P.s. Scritto da uno a cui la psicologia sta decisamente antipatica, ma tenta comunque di dare a Cesare quel che è di Cesare...