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Messaggi - Phil

#2296
Provo ad offrire al discorso un'osservazione: nel topic sull'irrazionalità ("tematiche filosofiche") si parla di come il principio di identità sia intuitivo, inconfutabile in quanto principio fondatore di ogni logica conosciuta; nel topic su spiritualità e definizione del nemico ("tematiche spirituali"), si discute di come l'identità religiosa possa declinarsi (e declinare) in aspetti mondani (economico-socio-politici) oppure in una ricerca pertinentemente spirituale; qui si dibatte sul rapporto storico fra identità culturale-psicologica e violenza... il piano di questa triangolazione interdisciplinare è l'insidioso tema dell'identità, e credo che le tre prospettive (logica, esistenziale e sociologica) dialoghino forzatamente ma proficuamente, richiamandosi l'un l'altra nonostante la diversità d'approccio (e sono così un buon esempio di dialogo "utile" fra posizioni differenti... ;)).

Il nostro modo di ragionare, correggetemi se sbaglio, è basato sull'identificazione (logica, esistenziale e sociologica), ovvero sull'individuazione di differenti identità, che in quanto tali pongono la loro negazione, la differenza, l'alterità... ogni "A" definisce inevitabilmente il "non-A" (o viceversa) e, come nelle logiche più elementari, i due si escludono reciprocamente quando si tratta della verità: o è vero "A" o è vero "non-A" (che talvolta viene chiamato B, se poniamo B=-A). Ma se entrambi (semplifichiamo il discorso con solo due elementi) pretendono di essere veri? 
Ecco allora che può denotarsi il nemico, il conflitto e la violenza... "A" spesso non può accettare di essere vero tanto quanto "non-A" (il "principio di non contraddizione" talvolta vige anche esistenzialmente e sociologicamente), così come una religione non può accettare di essere "vera" come le altre, o una visione politica non può accettare di essere "giusta" come le altre, o la "cultura" di una società non può accettare di essere funzionale per la "sua" popolazione tanto quanto lo sarebbero altre... fermo restando che ci possono essere, come da manuale, le dovute eccezioni.

Cosa c'entra questo con l'(eventuale)escalation della violenza e il (eventuale) fallimento della psicologia? La pluralità delle identità è sempre più interconnessa, il mondo è diventato "piccolo" e siamo tutti molto "vicini"; questo pone il problema della relazione fra le identità, che sono molte e dinamiche (da non sottovalutare!), ed una serie di ideali "monistici", secondo cui la verità, il giusto, etc. sono uno solo, e per esso si può anche decidere di combattere con violenza. 
Questa discronia fra un ragionare talvolta "anacronistico" (come fossimo prima del postmoderno) ed una realtà che va velocemente intricandosi (collidendo identità, contaminandole), può portare ad un aumento della violenza e dell'intolleranza come meccanismo psicologico di difesa: spaesato dal frastuono cognitivo, sovraesposto ad input talvolta contraddittori e incapace di afferrare con fede un'identità assoluta, immutabile e inopinabile, l'uomo di oggi (e le differenti "strutturazioni" in cui si differenzia) può "spaventarsi" e, istintivamente, reagire attaccando.
Inevitabilmente, un maggior incontro di identità comporta, potenzialmente, un maggior conflitto di identità (se è vero che l'uomo, per natura, non è incline al pluralismo, inteso come coesistenza... o anche come condivisione della verità, della giustizia, della terra, dei partner e delle patatine fritte ;D).

La psicologia potrebbe aiutare l'uomo ad orientarsi in quest'epoca di complessità crescente, senza però diventare essa stessa quel feticcio da venerare quando ci si sente insicuri? Forse... ma resta pur sempre anche lei una "produzione" della mente umana, una scienza(?) figlia dei suoi tempi e dallo statuto epistemologico problematico... di sicuro, non è come la luce del sole che arriva in tutte le case ed è uguale per tutti, quindi, per quel poco che può "funzionare", presuppone che qualcuno si rivolga a lei (altrimenti non ha senso imputarle fallimenti per tentativi non compiuti). 
La psicologia "seria" non credo sia quella fatta dall'opinionista-psicologo che commenta e interpreta il fatto di cronaca, bensì, se non sbaglio, quella che si attua lontano dalle telecamere e faccia a faccia con l'interessato (o gli interessati). Come dire, "se mi sono storto una caviglia è un fallimento per la medicina?". Direi di no, ma la medicina può forse aiutarmi proprio perché mi sono storto una caviglia (non prima), se le do almeno l'opportunità di provarci... poi, magari, mi operano e sbagliano caviglia, ma la fallibilità fa parte dell'essere umani, no? :)

P.s. Scritto da uno a cui la psicologia sta decisamente antipatica, ma tenta comunque di dare a Cesare quel che è di Cesare...
#2297
La parola del titolo che mi ha colpito, e credo sia un fulcro su cui discutere, è "nemico": il nemico-nemesi è ciò che dall'esterno rafforza l'identità e il senso all'interno (e il senso dell'interno stesso); se poi si parla di un interno che scopre il fianco a ingerenze di tipo economico e politico (come ci insegna la storia delle religioni), allora il nemico diventa quasi più una necessità che una conseguenza (anzi, si possono così avere differenti tipi di nemici: la polemica-polemos diventa inevitabile...). Nella ricerca spirituale il nemico può essere metaforicamente presente, mentre nella prospettiva religiosa è realmente concreto, non è una licenza poetica, ma è il cattivone da combattere (sia esso un demone o un altro uomo).

Anche l'espressione, da te giustamente usata, "ricerca spirituale" allude ad una differenza non trascurabile: nelle religioni (dall'interno) non si cerca nulla, le risposte sono già tutte fornite dall'orto-dossia (in senso etimologico) e se non sono sufficienti, i ministri del culto hanno la possibilità di aggiornarle, reinterpretarle e contestualizzarle. La sfida, spesso molto ardua, proposta dalle religioni è quella di adempiere ai rispettivi comandamenti, di seguire la via della "Verità" accettata; si prova dunque ad essere buoni praticanti perché si è già trovato quale religione-verità praticare: l'impegno è "pragmatico", non teoretico o esistenziale. Quindi non c'è autentica ricerca, anzi, visto che siamo in tema, c'è il suo "nemico" (metaforicamente  ;)): la fede... che accomuna, identifica ed è l'arma per affrontare il vero nemico (stavolta non in senso metaforico...).
Nella ricerca spirituale, la difficoltà è più "a monte" perché si cerca qualcosa che indirizzi verso le risposte (e che non è una tradizione già canonizzata), per cui non c'è, e forse non ci può nemmeno essere, un nemico reale da combattere. Direi che la "religione organizzata"(cit.) non cerca risposte e combatte i suoi nemici (spirituali, metafisici, ma talvolta anche umani), la ricerca spirituale non combatte ma cerca risposte (al netto delle possibili metafore descrittive...). 

Risulta evidente come la religione fornisca la rassicurazione dell'appartenenza ad una comunità consolidata (con un passato importante), della condivisione di ideali e regole, mentre la ricerca spirituale "freestyle", soprattutto se individuale, ha l'eroismo malinconico dell'avventura esplorativa (con al massimo ostacoli da evitare, non nemici da distruggere).

Ci sarebbe poi da considerare se e come ciascuna delle due prospettive possa dialogare con il pluralismo, e quali ne siano le conseguenze, ma forse è meglio non spalancare troppo il discorso...
#2298
Percorsi ed Esperienze / Re:Nun Me Scuccia'
08 Agosto 2016, 16:50:41 PM
Citazione di: acquario69 il 07 Agosto 2016, 02:56:28 AMecco un altro passo "avanti" verso il mondo nuovo (come quello di Huxley) per una nuova (sub)umanità. http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=54952  
La tecno-scienza si sta spingendo ben oltre: ci sono da anni studi ed esperimenti per "produrre" la vita (espressione rude ma adeguata al caso) senza un partner o da partner dello stesso sesso, a partite dalla manipolazione artificiale di cellule non biologicamente destinate alla riproduzione.

Se si è pratici con l'inglese, ecco un link:
http://www.thedailybeast.com/articles/2015/01/03/men-will-someday-have-kids-without-women.html
#2299
Citazione di: giona2068 il 06 Agosto 2016, 17:53:22 PMQuando creiamo tante categorie di amore ci allontaniamo da quello vero. E' vero che c'è l'amore sponsale ma esso è un'invenzione degli uomini

Non sono informato sull'argomento e, per amore di conoscenza, vorrei chiederti (sembrandomi tu invece molto competente in materia): qual'è il "senso" del matrimonio come sacramento? 
Preciso che non vuole affatto essere una domanda provocatoria, ma i tuoi interventi me l'hanno suggerita e mi sono ritrovato a non saper rispondere...

Pensi sia solo un'"invenzione degli uomini"(cit.)? 
Serve a legittimare e "regolarizzare" il rapporto sessuale a fini procreativi (finalità su cui la Natura e Dio sembrerebbero essere decisamente d'accordo)? 
Sancisce un'amore "speciale" che è tale proprio perché è l'unico all'interno del quale è possibile la copulazione? Se non è basato solo sulla scelta (e sulla "divulgazione" agli occhi della comunità) di un partner sessuale stabilito, in cosa l'amore del matrimonio è un tipo di amore cristiano differente dagli altri (al punto da richiedere un sacramento)?
Se non erro è l'unico sacramento "al plurale", destinato a due credenti, quindi non metto bene a fuoco se è incentrato su una "missione" (procreare), o sancisce un amore "speciale" (diverso da quello per il prossimo e per Dio), oppure "sigilla" una coppia rendendo ciascuno dei partner "occupato" (e, secondo i comandamenti, "da non desiderare" per gli altri) per un cammino di vita condiviso nel reciproco aiuto (e quindi il sesso o un amore "speciale" non c'entrano niente, ma è una questione pragmatica di "altruismo privilegiato"...).

Ribadisco che mi incuriosisce la prospettiva cristiana "dall'interno" (proprio perché ne sono all'esterno) e non sto cercando di fare polemica o trovare contraddizioni nel cristianesimo (non ne guadagnerei nulla in termini di spunti di riflessione).
#2300
Citazione di: Sariputra il 05 Agosto 2016, 10:00:03 AMHo tratto questo passo dall'introduzione alla Metafisica dell'amore sessuale: L'amore inganno della natura di A.Schopenauer. Ringrazio, non ricordo chi, me l'ha fatto ricordare... Se è tutto un'orribile inganno della natura, se c'è solo morte qui per noi, perchè farsi gabbare in questo modo da lei ? Addirittura voler ritornare ad Itaca per consegnarsi alla sua tirannia?
Schopenhauer (ma ora non prendermi per suo "discepolo"!) forse ti risponderebbe suggerendoti di considerare non solo il "rocchetto freudiano", ma anche il pendolo: "la vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia" (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione

Quindi per lui è questo oscillare a "giustificare" il vivere l'inganno della natura (che se ne sia consapevoli o meno, non fa molta differenza): poiché non si può comunque sfuggire né alla natura (che ci anima con le sue pulsioni profonde; nonostante Buddha ed altri suggeriscano di "hackerarla"), né alla morte (che ci attende come un capitolo già scritto a priori, epilogo della nostra Odissea), la ricerca di amore (umano o divino, della materia, della verità, della conoscenza o altro...) può far indugiare il pendolo in quella fase transitoria di piacere o momentaneo appagamento (a seconda della "fortuna" che si ha nei tentativi di amare); o quantomeno evita di rendere troppo lunga l'esitazione nella noia o nel dolore (entrambe si "sbloccano" proprio con la ricerca), tenendoci occupati con ludico divertissement prima che il pendolo esaurisca la sua carica...
#2301
Considerando questa "interrogazione"
Citazione di: Sariputra il 03 Agosto 2016, 09:35:48 AMPer questo ci stanchiamo delle persone che abbiamo accanto [...] e ci perdiamo nei sogni di "re-innamorarsi" continuamente? Di ricominciare di nuovo? Un continuo tentativo di afferrarlo, per poi lasciarlo? E questo non è proprio l'opposto dell'amore e cioè...la Morte?
e l'irruzione della morte nel discorso, mi è tornato in mente quello che Freud chiamava il gioco del fort/da (o "gioco del rocchetto") osservato nel suo nipote di 18 mesi:
"Il bambino aveva un rocchetto di legno intorno a cui era avvolto del filo. Non gli venne mai in mente di tirarselo dietro per terra, per esempio, e di giocarci come se fosse una carrozza; tenendo il filo a cui era attaccato, gettava invece con grande abilità, il rocchetto oltre la cortina del suo lettino in modo da farlo sparire, pronunciando al tempo stesso il suo espressivo "o-o-o" [vocalizzo di "fort": via, lontano]; poi tirava nuovamente il rocchetto fuori dal letto, e salutava la sua ricomparsa con un allegro "da" ["qui"] . Questo era dunque il gioco completo — sparizione e riapparizione- del quale era dato assistere di norma solo al primo atto, ripetuto instancabilmente come giuoco a sé stante, anche se il piacere maggiore era legato indubbiamente al secondo atto." (Freud, Al di là del principio di piacere)

Il valore simbolico di questo apparente passatempo infantile è stato capitalizzato da Freud con un interpretazione psicoanalitica su cui non ho le conoscenze per indugiare. Tuttavia, da quel che intuisco, si tratta di un gioco che il bimbo esegue con spontaneità, ma che caratterizza alcuni "moventi inconsci" anche da adulti: il duplice movimento di volontà-di-allontanamento/desiderio-di-riappropriazione è, ad esempio, alla base di quel perenne "rimbalzare via" la felicità anche quando la raggiungiamo fugacemente, oppure, per restare in topic, quell'insaziabile "cercare il fascino del nuovo" (o un "nuovo fascino") di cui alcuni hanno parlato in precedenza... e la morte cosa c'entra? Questo "gioco" direi che vede protagonista anche la "morte" in quanto assenza-perdita-separazione (anche se ludicamente "reversibile") di ciò che si desidera e che si cerca di recuperare...

Sarebbe interessare chiamare in causa anche il piacere "catastematico" epicureo o il concetto di "attaccamento" buddhista e sentire cosa hanno da dire su questo "gioco simbolico inconscio" (che oltre all'amore coinvolge anche altri aspetti della società, come il consumismo/marketing, la ricerca scientifica, il viaggiare...), ma si andrebbe fuori tema...

P.s. Per un approfondimento psicanalitico ho trovato questo testo che sembra interessante, anche se non l'ho ancora letto:
http://www.lacan-con-freud.it/1/upload/fort_da_unico.pdf
#2302
"Quando nacque Afrodite (Venere), gli dei banchettarono: fra gli altri c'era Pòros, l'Espediente (l'Abbondante), figlio di Meti, la Sapienza (o la Prudenza). Mangiato che ebbero, venne Penìa, o la Povertà, ad elemosinare, come è d'uso ai banchetti, e se ne stava sulla porta.

Intanto accadde che Pòros, inebriato dal nettare (perché il vino non c'era ancora), entrato nel giardino  di Zeus, si sdraiò e si addormentò. Penìa, punta dal bisogno, si propose di avere un figlio da Pòros. Si accostò piano piano, giacque con lui e concepì Eros (Amore).

Per questa ragione, ecco quale sorte gli è toccata, poiché Amore è figlio di Pòros e Penìa. Condividendo la natura della madre,  ha per destino di essere sempre povero, tutt'altro che tenero e bello, come se l'immaginano molti; è, al contrario, ruvido e ispido,  scalzo e senza casa; dorme sereno in terra senza coperte, vicino agli usci delle case e in mezzo alla via.

In compenso, conforme alla natura del padre, spia l'occasione favorevole per mettere le mani sulle cose belle e buone, perché è coraggioso, impulsivo, veemente; abile cacciatore tende sempre una qualche trappola; appassionato pensatore, capace di trovare soluzioni brillanti per cavarsela, passa tutto il suo tempo ad amare la sapienza; brillante incantatore, esperto nella preparazione di filtri magici, sofista."
(Platone, Simposio)


Secondo me in questo racconto abbiamo i tre elementi portanti dell'amore: Venere-bellezza (ciò che piace e che attrae, non necessariamente da intendere come proporzioni e doti fisiche), Poros-ingegno (basti pensare al corteggiamento, alle strategie che si cercano di attuare per "conquistare" l'altro/a... perché forse l'amore nasce spontaneo e imprevisto, ma per "stregare" chi ci interessa, per intrecciare la nostra vita con lui/lei, probabilmente non agiamo affatto da fatalisti, ma cerchiamo ogni volta la "mossa giusta"...) e Penia-indigenza (ciò che spinge all'amore è il sentirsi "poveri", nel senso di mancanti di qualcuno, "incompleti come una mezza mela", come si dice in questi casi, citando un altro mito platonico...).

P.s. Poi ci sarebbe anche Schopenhauer, che (oltre a concordare con Sariputra sull'attitudine rosa al "chiacchiericcio") intravvede un "inganno naturalistico" soggiacente alla poesia dell'amore, ma citarlo non è mai una buona idea... ;D
#2303
Tematiche Filosofiche / Re:Problema Irrazionalità
28 Luglio 2016, 17:36:07 PM
Citazione di: Habboista il 28 Luglio 2016, 02:19:50 AMsi possono giustificare gli "assiomi" che stanno alla base della logica? La logica non è solo un insieme di regole arbitrarie, è universale. Perciò, mi chiedo se tale universalitá sia necessaria, e in tal caso il perché, o casuale.[/font][/size]
Se non ricordo male, i "teoremi dell'incompletezza" di Godel, se applicati alla logica, trattano proprio l'ingiustificabilità degli assiomi, che paradossalmente compromettono la coerenza e la completezza del sistema stesso, essendone l'"eccezione fondante": all'interno di un sistema logico, non è "decidibile"-verificabile se i suoi assiomi siano veri o falsi; ovvero ciò che determina la verità di tutte le altre proposizioni non può autoverificarsi, un assioma non può autofondare la sua verità, viene presupposto ed accettato come evidentemente vero ("anapodittico" direbbe Aristotele).

E, in fondo, basandoci su quali altri assiomi giudicheremmo della verità degli assiomi della logica? Non si esce dall'autoreferenza di ogni sistema logico...

P.s. Probabilmente è più corretto parlare di logiche, al plurale, perché se non erro sono stati formalizzati differenti tipi di logica (con differenti gruppi di assiomi di riferimento) anche se, comunemente, si considera la logica come una sola.
#2304
Tematiche Filosofiche / Re:Problema Irrazionalità
27 Luglio 2016, 20:24:25 PM
Habboista, non sono domande banali, tuttavia, essendo generiche, esigono risposte altrettanto generiche... ma pur nella genericità, è sempre bene chiarire i termini del discorso: "razionalità" e "ragione" li intendi come sinonimi? Se non ho frainteso le tue domande, direi di si e quindi li userò anch'io come sinonimi (sebbene in altri "vocabolari" settoriali non ci sarebbe concesso, ma credo sia funzionale usare un "vocabolario" comune).

"Contraddizione" e "irrazionale" sembrano anche loro essere posti quasi come sinonimi nelle tue domande, ma qui credo sia doveroso distinguerli. La contraddizione viene intesa  logicamente (dall'omonimo "principio di non contraddizione") come l'essere allo stesso tempo "vero" e "falso" e, anche nel parlare comune, questa bivalenza paradossale è ciò che denota la contraddizione (ad esempio, è contraddittorio dichiarare di apprezzare i sapori della cucina italiana, e poi sostenere che sia una cucina immangiabile e sgradevole).
L'irrazionale invece non credo sia (sempre) contraddittorio: è irrazionale ciò che non capiamo, ciò di cui non cogliamo la ragione, ciò che non riusciamo a formalizzare e riconoscere. Ad esempio si parla di "comportamento irrazionale" nel caso di azioni che non sembrano rientrare nei canoni del buon senso, di una strategia strutturata, o semplicemente di ciò che è ritenuto prevedibile (e questo spiega il sottile confine fra genialità e follia...).

Citazione di: Habboista il 27 Luglio 2016, 18:20:48 PMCosa è definito come razionale?
Come accennato prima, mi sembra che ciò che definiamo razionale è ciò che la nostra ragione riesce a formalizzare, a schematizzare e, quindi, ad astrarre e riconoscere. 
Banalizzando: è razionale e ragionevole (li intendiamo sinonimi, giusto?) ciò che capiamo, ciò di cui comprendiamo il "senso". Il resto è "etichettato" come irrazionale e irragionevole (e già qui traspare l'opinabilità dell'interpretare come criterio principe della ragione nel demarcare razionale / irrazionale).

Citazione di: Habboista il 27 Luglio 2016, 18:20:48 PMSapreste dirmi perché seguire la ragione e non la contraddizione o insensatezza? 
Quella di seguire la (propria) ragione è quasi una scelta forzata (quindi quasi una non-scelta), perché ciò che decido di seguire è comunque per me ragionevole, sensato e non contraddittorio (seguire la contraddittorietà, anche volendo, non sarebbe affatto facile e non credo avrebbe vantaggi, mentre se decidessi di fare volutamente qualcosa che risulti "insensato", questa mia scelta avrebbe inevitabilmente un suo senso che si ripercuoterebbe su ciò che scelgo di fare, attenuandone l'insensatezza...).
C'è poi una "ragionevolezza sociale" condivisa dalla comunità di appartenenza, e la mediazione fra le due (la mia ragionevolezza e quella del mio habitat) è ciò che determina il maggior o minor adattamento/"inserimento" pubblico (il privato, come è noto, è ben altro palcoscenico...).

Citazione di: Habboista il 27 Luglio 2016, 18:20:48 PMDiamo sempre per scontato che una cosa irrazionale non possa esistere/verificarsi, perché la contraddizione non è corretta?
(Partendo dal presupposto che "irrazionale" non è "contraddittorio") Direi che ciò che è irrazionale lo è solo in virtù del paradigma che lo valuta e lo inquadra come tale (per gli extraterrestri magari è irrazionale l'importanza "sociale" che ha il calcio in Italia, ma per un "calciofilo", invece, non c'è nulla di irragionevole, anzi...). Di eventi irrazionali, o meglio, interpretati come irrazionali (poiché per me ogni evento è essenzialmente e semplicemente solo un evento, il suo senso o razionalità è sempre una sovra-struttura), ce ne possono essere: i miracoli (per chi ci crede), gli "x files" (per passare dal sacro al profano), alcune aporie o paradossi scientifici (non sono pratico, quindi potrei sbagliarmi più del solito!); come già ricordato, anche il comportamento e le scelte di alcune persone possono risultare irrazionali, forse anche alcune reazioni istintive, e persino il tentare di rispondere ai famigerati "misteri della vita" può avere (per alcune prospettive  ;) ) un certo "coefficiente di irrazionalità"...
#2305
Citazione di: paul11 il 25 Luglio 2016, 18:38:56 PMPhil, come fa a non essere immanente, 
Devo non aver usato le parole giuste: ciò che non credo sia immanente è il relazionare-logicamente i vari domini dell'ordine (operazione astratta dell'uomo); l'ordine in sé è certamente immanente. Come dire: la formula della forza di gravità o dell'acqua non sono immanenti, proprio in quanto formule (perché sono un'astrazione formale, linguistica e scientifica), ma ciò che chiamiamo "la forza di gravità" e "l'acqua" sono indubbiamente immanenti.

Citazione di: paul11 il 25 Luglio 2016, 18:38:56 PMquesto soggetto conoscitivo ha una coscienza ( lo diamo per certo o vogliamo rimetterlo in gioco?), che ha raccolto le verità empiriche, ma si chiede il senso del suo stesso ruolo dentro questo ordine e dello stesso ruolo di lettore, ovvero di decodificatore di quello stesso ordine(perchè ci è leggibile?)
Ci è leggibile perché usiamo un linguaggio (e, direi quasi, non possiamo non usarlo); linguaggio che può fornirci spiegazioni ma anche ingannarci (scusa se mi ripeto), e diventa tanto più fallibile quanto più la coscienza problematizza ciò che la circonda (probabilmente, la coscienza dei procioni non si sbaglia perché è puramente rivolta all'azione e ai bisogni primari, senza porsi questioni esistenziali... forse...). Proprio le attività della coscienza, della logica, della razionalità, dell'intelletto "evoluto", sono la condizione necessaria e sufficiente per avere una visione del mondo potenzialmente esplicativa e chiarificatrice, ma anche erronea e fantasiosa (il procione, suppongo, non ha una visione errata della realtà, ma solo molto più minimalista e "ignorante"... in senso letterale e senza offesa per la simpatica creatura!).

Citazione di: paul11 il 25 Luglio 2016, 18:38:56 PMInsomma quale il ruolo di un soggetto intelligente e con coscienza che codifica e decodifica i messaggi del mondo, QUALE è LA RELAZIONE FRA NOI E L'ORDINE IMMANENTE ED ETERNO ,se ci ha concesso la possibilità di leggerlo (con tutta la difficoltà ed approssimazione che noi umani abbiamo)
Già parlare di "ruolo" (e di "possibilità concessa") preorienta il discorso su un sentiero di ricerca che trascende il semplice essere nel/del mondo, ed allude ad un "eccesso di senso" che, per me, non è affatto immanente ed "innestato" nel reale... e se la relazione fosse, banalmente, di mera appartenenza? Ovvero, apparteniamo all'ordine immanente che ci circonda e non c'è alcuna trascendenza da svelare (anche se, istintivamente, non ci alletta la semplicità tutta  immanente di questa prospettiva...).

Citazione di: paul11 il 25 Luglio 2016, 18:38:56 PME' un problema logico, è un problema esistenziale, è un problema metafisico, fisico, 
Tale relazione è un problema dai mille volti solo se viene data per apodittica; altrimenti, si tratta prima di accertarne una seppur vaga "sussistenza", e poi problematizzarla (è su questo passaggio che mi lasci indietro, facendo un passo avanti che mi lascia diffidente...)

Citazione di: paul11 il 25 Luglio 2016, 18:38:56 PMma cosa ci stiamo a fare quì a penare e gioire se non siamo solo natura come gli altri esseri animali e vegetali,
Ecco, qui esiterei prima di dare per scontata la differenza ontologica (quelle di altro tipo sono lampanti) rispetto agli altri esseri viventi... 
Abbiamo una coscienza, ma proprio come il linguaggio che la abita, si tratta di distinguere quando funziona concretamente (studiando e spiegando) e quando invece trascende la sua funzione (perdendosi talvolta in falsi problemi e domande infinite, senza accorgersi, magari, di fare poesia piuttosto che scienza... e non vuole affatto essere un rimprovero!).

Citazione di: paul11 il 25 Luglio 2016, 18:38:56 PMse c'è un ordine immanente ed eterno noi eravamo già in origine e quindi la morte fisica nel divenire diventa contraddittoria rispetto ad immanenza eterna,
Che qualcosa sia eterno, non può essere verificato (tautologia), e scomodare l'eterno o l'infinito o l'assoluto, è sempre una scelta azzardata che, per me, indebolisce tutta l'argomentazione, perché il "peso logico" dell'indimostrabilità di tali concetti, rende la "facciata" del discorso quasi un trompe l'oeil... quindi mi limiterei ad "ordine immanente".
La vita è una condizione; se la morte fosse solo un cambiamento di "stato", non ci sarebbe alcuna contraddizione (nemmeno per la logica umana), giusto?

Citazione di: paul11 il 25 Luglio 2016, 18:38:56 PMStò esaurendo le mie modeste capacità comunicative
Non è una responsabilità solo tua (sono complice/colpevole!), l'impasse è dovuta a due prospettive forse inconciliabili... il linguaggio serve per comunicare, e talvolta persino quello scritto (più meditato e ponderato) non riesce ad andare oltre il semplice affiancare due argomentazioni che continuano a correre parallele, a costeggiarsi, senza mai infrangersi l'una sull'altra... 

P.s. Certo che, a rileggere il titolo, siamo andati fuori topic con l'accuso!  ;D
#2306
Citazione di: paul11 il 25 Luglio 2016, 00:39:47 AML'immanenza dell'ordine è per forza eterno [...] e non ha necessità di trascendere [...] l'uomo è l'unico in grado attraverso il trascendere di relazionare i diversi domini con una unità di senso.
Eppure questo relazionare mi pare puramente intellettualistico quindi contingente, artificiale (ed artificioso), non è affatto genuinamente immanente, anche se relativo a domini immanenti; per questo mettevo in guardia dal farsi fuorviare dal linguaggio e dalle sue costruzioni astratte... 
Questa "unità di senso"(cit.), questo "olismo omniesplicativo", pongono un domandare infinito (inesauribile), un po' come chiedersi, parafrasando il tuo esempio: che senso ha la luna? Se cercassi di rispondere a questa domanda con un "senso trascendente la luna", probabilmente mi resterebbero tre vie da seguire: la poesia (onanismo linguistico, nell'accezione edonistica), l'ammissione del non saperlo, oppure una ricerca infinita di un senso che ho solo supposto (e forse più che da scoprire, è da inventare...).
Al riguardo di quest'ultima, la ricerca, per meglio capire la tua posizione: per "senso dell'esistenza" intendi un fattore che spieghi (ma non in modo causale) la totalità di ciò che è, il suo ordine intrinseco e il suo perché? Una risposta definitiva ed univoca per domande differenti (il post-mortem, l'origine del cosmo, etc.)? Scusa se magari l'hai già chiarito, ma non ricordo...

Citazione di: paul11 il 25 Luglio 2016, 00:39:47 AMOgni cosa rivela una verità solo se viene trascesa 
Già, perché la verità è sempre linguistica (almeno finché è dicibile) ed infatti il linguaggio trascende il reale, ma se si tenta di restare aderenti all'immanenza, senza costruirci sopra torri troppo alte di trascendenza, forse si possono evitare domande che scagliano la risposta sempre oltre il loro stesso orizzonte... (lo so, sono un cercatore pigro e pavido ;D)

Citazione di: paul11 il 25 Luglio 2016, 00:39:47 AMla coscienza ci chiederà in quanto eco originario di quell'ordine immanente di svelare gli enti, di continuare a conoscere ,ma soprattuto di trovare un senso, di superare le contraddizioni.
A parer mio, in quel "soprattutto" si cela un uso rischiosamente distorto del domandare (come nel suddetto esempio della luna), e le stesse contraddizioni sono tali solo per la lingua della logica (così come i paradossi, salvo rare eccezioni, sono botole fatte di parole, ma che non hanno una corrispondenza nel mondo esterno...). 
Davvero ha senso proiettare, in forma di domanda, la struttura linguistica (segno-traccia -> significato-senso) sulla totalità dell'esistenza?

Citazione di: paul11 il 25 Luglio 2016, 00:39:47 AMSe ogni vita ha un senso, il ciclo del tempo del conoscere della scienza non corrisponde al ciclo di vita dell'uomo, ecco perchè ogni esistenza richiede le significazioni oltre l'empirico, oltre l'induttivo
Questo "se" iniziale, che precede la petitio principii ("ogni vita ha senso, quindi ogni esistenza richiede significazioni oltre l'empirico") è ciò che esige un domandare attento, secondo me... non perché non sia possibile porre la domanda del "se c'è un senso" (ovviamente è possibile!), ma se abbia davvero senso porla... è una domanda istintiva? Molti istinti sono da addomesticare proprio con il pensiero (crescere, da bambini, è soprattutto questo!), ed educarsi a porsi solo domande sensate è un'attività che può durare una vita (parlo per me, ovviamente...).

P.s. "Le significazioni oltre l'induttivo" (cit.), possono essere anche incentrate sul contemplativo, sull'intuitivo, sul supposto, ma anche sul semplice negativo (posso indurre/dedurre, contemplare, intuire, supporre, un senso, ma anche, se è il caso, negarlo...)
#2307
Paul11, le tue riflessioni sulla trascendenza sono estremamente provvidenziali per poter chiarire il discorso. Distinguerei infatti fra la trascendenza del linguaggio, della scienza, dell'arte e di altre attività umane (quindi la trascendenza intesa come astrazione compiuta dall'uomo), e la Trascendenza di ciò che invece non è umano (divinità o altro... "il Trascendentale") e può essere ciò che fonda e giustifica ogni immanenza, quello a cui l'uomo anela con le sue domande più radicali...
Parlando della ipotetica prospettiva in cui l'ordine è tutto immanente agli enti, alludo ad un ordine in sé estraneo ad entrambe le trascendenze (anche se può essere umanamente "tradotto", astraendolo, nel linguaggio scientifico in modo da risultare intelleggibile...).

Sul "non si sa ancora": lo intendo come un invito a non affrettarsi, a non accontentarsi di risposte vagamente plausibili (perché sono comunque meglio di niente), ma, data proprio la difficoltà nel trovare una risposta, a farsi ulteriori domande sul domandare stesso...
#2308
Tematiche Filosofiche / Re:Sull'Onesta Intellettuale
24 Luglio 2016, 15:47:46 PM
Secondo me, sulla scia di quanto già scritto dagli altri, l'onestà intellettuale, come altre forme di onestà, da un lato è una trasparenza che non ha nulla da temere (poiché non c'è nulla che venga nascosto o camuffato), dall'altro, è il rispetto di norme condivise anche quando queste risultano scomode, mettono a disagio e pongono dei "problemi" (e proprio come le altre forme di onestà, anche quella intellettuale, è tanto più manifesta quanto più viene messa alla prova da una situazione concreta...).
Direi che l'onestà intellettuale è quella che pratichiamo quando giochiamo a "carte scoperte", con noi stessi e con gli altri, e quando chiamiamo ogni "carta" con il nome che ha, e non con quello che vorremmo avesse: per cui "presupposto" non è sempre "verità", "speranza" non è "certezza", "opinione" non è "oggettività", "fiducia" non è "dimostrazione", "ipotesi" non è "causa", etc e, ovviamente, viceversa...
Recentemente ho anche sperimentato come l'onestà intellettuale (correggetemi se sbaglio) possa essere anche l'ammettere semplicemente di non avere risposte... anche quando ci si trova a non condividere le risposte proposte da altri, e questi magari vorrebbero avere una contro-risposta e non si accontentano del socratico "non-sapere"...
#2309
Citazione di: donquixote il 24 Luglio 2016, 08:39:36 AMDividere un messaggio di tre righe in svariate parti perdendone dunque il senso complessivo è un altro esempio di poca onestà intellettuale. 
Se ho disperso il senso complessivo del tuo discorso, me ne scuso, e ti assicuro che quando ho selezionato le citazioni era esattamente ciò che ho cercato di evitare...

Citazione di: donquixote il 24 Luglio 2016, 08:39:36 AMche la scienza non possa raggiungere alcuna verità certa non è affatto un "pregiudizio radicale", ma un dato di fatto incontrovertibile [...] Il metodo scientifico è inadatto per raggiungere qualsiasi verità che non sia contingente, e se qualcosa è contingente (ovvero è vero nel momento in cui lo affermi ma potrebbe non esserlo più un attimo dopo) non può essere "verità" tout court. 
Direi che dipende da quali verità scientifiche consideriamo: la chimica ad esempio, pare avere qualche verità nella sua "arte combinatoria" degli elementi. Se unisco l'elemento x con l'elemento y in un rapporto quantitativo z ottengo il composto k che ha le caratteristiche a,b,c,d... e tutto ciò è replicabile (quindi non contingente), per cui è vero che quegli elementi hanno quelle peculiarità e possono avere quelle combinazioni con quelle determinate caratteristiche etc.... 
Non so se è un esempio che illustra bene ciò a cui alludo...

Citazione di: donquixote il 24 Luglio 2016, 08:39:36 AMNon vi è una distinzione netta fra comprendere e condividere perché molto spesso non si condividono spiegazioni o tesi semplicemente perchè non si è in grado di comprenderle. 
Vero e proprio per quello la distinzione comprendere/condividere mi sembra invece considerevole: per condividere davvero devo prima comprendere, ma comprendere non significa affatto dover condividere (posso capire il tuo punto di vista, ma non condividerlo). Inoltre, ci sono casi in cui si condivide "formalmente" senza aver davvero compreso (condivisione per fede, per convenienza o altro).

Citazione di: donquixote il 24 Luglio 2016, 08:39:36 AMSe uno non riesce a riconoscere e "accantonare" almeno per un attimo gli schemi mentali (pregiudizi) con i quali giudica i fenomeni non potrà mai comprendere qualcosa che esula da tali schemi.
Purtroppo non concordo: si può preferire uno schema mentale, adottarlo, utilizzarlo, ma essere in grado di comprendere anche altri schemi (per fare un esempio per nulla originale: un idealista può comprendere lo schema di un materialista, la sua logica interna, ma non reputarlo attendibile, quindi non condividerlo...).


Citazione di: donquixote il 24 Luglio 2016, 08:39:36 AMSe la scienza non sa rispondere e altre spiegazioni non sono accettabili allora "proviamo" una fantasiosa spiegazione che però si rifà ancora alla scienza che si è già chiamata fuori?
[Sarò "inadeguato" nel fare esempi, ma almeno mi applico nel cercare di rispondere alle domande ;) ]
Per rispondere a questo quesito sento di dover rimettere in ballo il suddetto "ancora non si sa" che, seconde me, resta un sintomo, magari difficile da "tollerare", di onestà intellettuale...

Citazione di: donquixote il 24 Luglio 2016, 08:39:36 AMallora usiamo un altro verbo anzichè "programmare" (che certo non ho usato io per primo) 
Il "programmare" l'ho introdotto solo come metafora, e ti ho invitato ad uscirne perché m'è parso che il discorso rischiava di restarci impantanato; grazie per aver assecondato questa mia richiesta!

Citazione di: donquixote il 24 Luglio 2016, 08:39:36 AMA meno che tu non voglia arrivare a dire che tale "programma" o tale ordine non abbia alcun autore (maschile, femminile o neutro) e quindi esiste qualcosa che deriva dal "nulla". Ma allora a ritroso tutto deriva dal "nulla". E sarebbe interessante sapere come faccia il nulla a produrre qualcosa. 
Quando parlo di "ordine immanente" alludo proprio a questa "terza via": non c'è un creatore-ordinatore, non c'è un'aporetica derivazione dal nulla, ma c'è una strutturazione intrinseca che determina gli enti per come sono (prendo atto che l'esempio dell'acqua è risultato solo un buco nell'acqua...).

Citazione di: donquixote il 24 Luglio 2016, 08:39:36 AMCerto l'acqua è un ente ordinato, come tutti gli enti: ma come fa l'acqua a possedere tale "ordine"? chi, o cosa, glielo ha fornito? o se lo è fornito da sola? o proviene dal nulla?
Come si discuteva già con Paul11, il domandare non è mai "neutro", e spesso alcune domande hanno il "doppio fondo" e ne contengono molte altre, per nulla marginali... questa tua serie di domande (ma come tu stesso notavi con un motto zen "l'acqua è semplicemente quello che è") parte dal presupposto che l'ordine che noi leggiamo nella realtà debba essere preordinato da qualcosa d'altro... è su questo presupposto che si basa la nostra divergenza, ma, a scanso di equivoci, lo scopo del mio frammentario argomentare era che tu lo comprendessi (nonostante i miei "tristi" esempi), ma non certo che lo condividessi ;)

Citazione di: donquixote il 24 Luglio 2016, 08:39:36 AMUn conto è riconoscere un ordine immanente ad un ente, e non bisogna essere dei geni per farlo: un altro è cercare di capire come mai ogni ente lo possieda, e da dove questo derivi visto che si è soliti pensare che "tutto ha (almeno) una causa" e anche la sua relazione con tutti gli altri indefiniti "ordini" di cui possiamo renderci consapevoli.
E qui si giunge al bivio e ci separiamo: io mi fermo all'area di sosta temporanea "non si sa ancora", tu prosegui pure il tuo viaggio di ricerca seguendo la rotta consigliata dal tuo navigatore...
#2310
Se
Citazione di: donquixote il 23 Luglio 2016, 19:56:01 PMAccontentarsi di uno schietto "non si sa ancora" significa semplicemente essere vittima del pregiudizio [...] è tutto meno che "onestà intellettuale"
come mai poi
Citazione di: donquixote il 23 Luglio 2016, 20:36:09 PMonestà intellettuale vorrebbe che si ammettessero i propri limiti
?

Ammettere i limiti delle conoscenze attuali con un sincero "ancora non si sa" dovrebbe lasciare il posto a 
Citazione di: donquixote il 23 Luglio 2016, 19:56:01 PMla necessità di accontentarsi di "verità" potenzialmente false
?
Perché questa impazienza e questo ripiegare volutamente sull'incerto?
Non è una strada che trovo personalmente interessante, ma ovviamente se altri decidono di seguirla non li biasimo, è pur sempre una questione di scelta :)

Fra i due pregiudizi radicali
Citazione di: donquixote il 23 Luglio 2016, 19:56:01 PMdi coloro che ritengono che le cose sono spiegabili solo attraverso il "metodo scientifico". 
e
Citazione di: donquixote il 23 Luglio 2016, 19:56:01 PMl'ammissione della incapacità della scienza di raggiungere qualunque tipo di verità a causa dei suoi metodi d'indagine
sarei propenso per una terza via, che mi sembra logicamente legittima: quella del provare a rispondere anche con la cosiddetta scienza.
Ragionevole, no?

La considerazione che 
Citazione di: donquixote il 23 Luglio 2016, 19:56:01 PMvi possano essere spiegazioni diverse da quelle scientifiche che coloro in possesso degli schemi mentali strutturatasi attraverso il "pregiudizio scientifico" non sono in grado di comprendere 
per quanto mi riguarda, possiamo anche accantonarla (sperando di non averti dato questa impressione, al netto della distinzione fra "comprendere" e "condividere"...).

Citazione di: donquixote il 23 Luglio 2016, 19:56:01 PMBene, allora se non va bene il chi uso il "cosa": Cosa ha programmato questo ordine biologico immanente? Se ne fai una questioni di pronomi mi spieghi chi guarderebbe il dito e chi la luna? 
[corsivo mio]
Finché si continua a restare dentro la metafora del "programmare", secondo me, si continua a guardare il dito... 
P.s. Confondere "chi" con "cosa" non mi sembra irrilevante ai fini del domandare; ammenoché non sia irrilevante il domandare stesso...


Citazione di: donquixote il 23 Luglio 2016, 19:56:01 PMla composizione dell'acqua H2O è un'invenzione umana, non un fatto oggettivo indipendente dall'uomo. L'acqua è semplicemente quello che è
Eppure ciò che quella composizione descrive, seppur solo convenzionalmente, non è forse un ente "ordinato", ovvero riconoscibile grazie ad alcune sue caratteristiche immanenti solo alla sua natura?
Chiaramente, se anche questo esempio-dito non è calzante (Sariputra direbbe che sono "inadeguato" nel fare esempi!), spero almeno che il resto del mio discorso-luna sia stato vagamente intelligibile, pur senza giovarsi di esempi accettati...