Citazione di: maral il 01 Settembre 2016, 20:05:24 PMA chi ritiene che la realtà sia data dall'esperienza dei particolari sensibili da cui l'intelletto astrae concetti generali di portata metafisica ideale (il bello dalle cose belle, il buono dalle cose buone, il due dall'una cosa e un'altra cosa) verrebbe da chiedere ma in che modo si può sentire che quelle cose nella loro diversità sono tutte belle o buone se non è già presente l'idea (o solo il sentimento) di una bellezza e di una bontà, in che modo si può concepire che uno e uno sia due, se già non c'è da qualche parte l'idea di una dualità? I giudizi sintetici a priori non sono forse questo? Come si possono mai negare affermando che tutti i giudizi sintetici non possono altro che essere a posteriori se non a mezzo di un giudizio sintetico che è ancora a priori?Quando parlavo del ruolo dell'astrazione ho evitato volutamente l'insiodioso termine "realtà", così come l'altrettanto periglioso termine "idea": parole troppo ricche di tradizione e di metafisica, per non creare dispersione concettuale nel discorso.
Dal mio punto di vista, il ruolo del linguaggio e della sua acquisizione viene spesso sottovalutato: se è vero che è il linguaggio a strutturare l'orizzonte di senso in cui ciascuno vive, le idee-ops!-astrazioni concettuali vengono prima apprese dalla cultura in cui si cresce (o costruite per "induzione linguistica" come suggerisce Sgiombo con l'esempio della bellezza), poi, esperendo e riflettendo, possono essere personalizzate... se riconosco e definisco qualcosa come "bello" o "duplice" o "astratto" è perché mi è stato precedentemente insegnato e spiegato cosa significa "bello" e "duplice" e "astratto", e come individuare queste caratteristiche nell'esperienza (oppure, in alternativa, creerò dei neologismi...).
L'astrazione per eccellenza è quella del linguaggio, e proprio il linguaggio (con la sua logica) è l'unico paradigma imprescindibile per il ragionamento (idealista o materialista che sia), ma già nel riconoscerne il funzionamento si ha qualche indizio per risolvere le sue apparenti aporie: se non mi fosse stato insegnato che esiste "il bello", o meglio, che si può parlare di un'esperienza/percezione come "bella", non mi si potrebbe porre la dialettica viziosa fra percezione-del-bello/criterio-della-bellezza.
Quindi, per me, tutto parte dal linguaggio, dall'acquisizione "eteronoma" delle sue parole-definizioni-concetti, per poi proseguire il laborioso tentativo di "calibrazione" del proprio vocabolario basandosi sull'esperienza.
P.s. In questa constatazione dell'egemonia della linguisticità, non scorgo traccia nè della metafisica, nè di paradossi...