A me ha ricordato anche "Il mondo dei replicanti" (goffa traduzione di "Surrogates") in cui, vado a memoria, in un futuro distopico il virtuale si è ormai affermato come interfaccia fra l'uomo e la realtà, al punto che l'umanità dispone del replicante come periferica-definitiva/controfigura per vivere una vita spazialmente differita (sono a casa, mando in giro il mio replicante e, essendo in "simbiosi virtuale" con lui, vivo le "sue" percezioni che innescano anche "mie" emozioni, e la mia vita è quindi surrogata ed iperestesa oltre il sentire locale del mio corpo...).
Inoltre, anche restando dentro la prospettiva proposta, non è facile intuire come penserebbe un uomo medio in una situazione così differente della nostra: la questione del senso della vita (ammettendo che abbia un senso porla...) potrebbe avere una dimensione tanto diversa da quella attuale, tanto quanto sarebbe differente il mondo in cui si vivrebbe...
P.s. Non ho letto tutto il saggio, ma tutta la realtà virtuale in cui saremmo calati, non ha affatto bisogno di "manutenzione" nel mondo reale? Se ne occupa quel 5% che vive nel "mondo vero" (il che solleverebbe alcune domande oltre che, appunto, la famigerata fallibilità umana anti-perfezione noiosa), oppure è gestita da forme di intelligenza artificiale (e qui Matrix è dietro l'angolo...)?
Citazione di: Andrea Molino il 01 Luglio 2016, 15:41:10 PMLa possibilità di vivere in eterno e l'assenza totale di difficoltà, hanno eliminato "il senso della vita"Questa "ipotesi di partenza" mi pare una legittima utopia (concordo con Sgiombo che deve avermi letto nel pensiero!): anche nelle tecnologie più avanzate credo sia inevitabile qualche imprevisto, qualche bug o glitch o inceppo, qualcosa che richiami l'imperfezione e la poliedricità che da sempre caratterizza la dimensione umana. Non sempre esiste il farmaco perfetto: alcuni virus, da bravi esseri viventi, si adattano ed altri ne nascono; poi, socialmente, è molto fantasioso supporre un futuro in cui non ci siano guerre, rivolte o tensioni sociali... insomma, l'"assenza totale di difficoltà" (cit.) per quanto sia un ideale non spiacevole, richiederebbe un'umanità ed un contesto globale che possono essere probabilmente solo fantasticati (non a caso hai parlato correttamente di "teoria fantascientifica"...). Dunque non credo che, per ora, ci siano le basi per "chiudere il cerchio"...
Inoltre, anche restando dentro la prospettiva proposta, non è facile intuire come penserebbe un uomo medio in una situazione così differente della nostra: la questione del senso della vita (ammettendo che abbia un senso porla...) potrebbe avere una dimensione tanto diversa da quella attuale, tanto quanto sarebbe differente il mondo in cui si vivrebbe...
P.s. Non ho letto tutto il saggio, ma tutta la realtà virtuale in cui saremmo calati, non ha affatto bisogno di "manutenzione" nel mondo reale? Se ne occupa quel 5% che vive nel "mondo vero" (il che solleverebbe alcune domande oltre che, appunto, la famigerata fallibilità umana anti-perfezione noiosa), oppure è gestita da forme di intelligenza artificiale (e qui Matrix è dietro l'angolo...)?