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Messaggi - sgiombo

#2356
Tematiche Filosofiche / Re:sull' etica
09 Ottobre 2017, 17:05:21 PM
Citazione di: Apeiron il 08 Ottobre 2017, 16:47:42 PM
L'etica, o più precisamente la "responsabilità", ha senso come concetto solo se si ammette che l'uomo abbia la facoltà di scegliere in maniera almeno parzialmente autonoma. Questa "autonomia" ovviamente non è totale altrimenti saremmo per così dire "divini" ma deve esserci perchè altrimenti parlare dell'etica dell'uomo sarebbe più o meno la stessa cosa che parlare dell'etica dell'animale. Questa autonomia inoltre si fonda anche sulla conoscenza del bene e del male (ossia di avere una concezione di bene e di male) e quindi in ultima analisi si fonda sul pensiero concettuale, ossia sul logos umano. Il "libero arbitrio" tuttavia è condizionato anche dal contesto sociale in cui uno si trova, nel senso che certe scelte sono possibili solo entro determinati contesti. Lo stesso vale per il contesto economico, il contesto della salute fisica e mentale ecc (un etica "universale" per questo motivo deve tener conto anche di queste particolarità se non vuole essere banale...).

Siccome però scientificamente non si può trovare un indizio a favore del libero arbitrio anche solo parziale (e anche con la sola filosofia) allora ritengo doveroso postularlo, in modo analogo per certi versi a quanto fece Kant.

 
Ma davvero è possibile fare una teoria della natura scientifica o metafisica e da principi generali riuscire a ricavare la presenza di una qualche forma di libero abitrio? A mio giudizio l'unica possibilità è ricorrere ad un postulato.
CitazionePonevo il problema in termini un po' diversi.

Sulla presenza o meno e sulla possibilità del libero arbitrio nella realtà penso che non sia dimostrabile né che ci sia né che non ci sia.
 
Però credo che l' uomo é anche corpo umano materiale pienamente inserito nella natura fisica, e che se agisce nel mondo naturale-materiale é (per lo meno) attraverso il corpo che può farlo.

E credo anche che, perché possa darsene conoscenza scientifica, il mondo naturale-materiale deve divenire ordinatamente secondo modalità o leggi astratte (che il pensiero può astrarre dai fatti particolari concreti) universali e costanti, e dunque deterministicamente; per lo meno secondo una forma "debole" o probabilistica-statistica di determinismo, comunque incompatibile col libero arbitrio come comunemente inteso, cioè come indeterminatezza intrinseca delle scelte (in caso di determinismo debole o probabilistico-statistico potranno essere indeterminate le singole scelte, ma le proporzioni fra le diverse opzioni possibili saranno comunque determinate e non arbitrariamente stabilite secondo una libertà intrinseca da parte di chi le compie).
 
Dunque non so se esiste il determinismo o il libero arbitrio, ma so che se esiste il determinismo, allora é possibile la conoscenza scientifica, se esiste il libero arbitrio no.
 
Inoltre credo che il determinismo (l' assenza di libero arbitrio) sia necessaria anche perché possa darsi sensatamente valutabilità etica dell' agire (almeno, in particolare, dell' agire umano) perché, come ho già argomentato in questa discussione, un agire indeterminato (liberoarbitrario) sarebbe governato dal caso (sarebbe sinonimo di "agire a casaccio"), mentre solo un agire intrinsecamente determinato (dalle proprie qualità etiche, più meno buone o malvagie) potrebbe essere considerato sensatamente, per l' appunto, più o meno eticamente buono o malvagio.

Resta peraltro il fatto che, non essendo noi divinità autocreate, anche in caso di determinismo sarebbe comunque in ultima analisi una questione di pura fortuna o sfortuna se si nascesse virtuosi (o tali scegliere di da diventare virtuosi) oppure malvagi (o tali da scegliere di diventare malvagi).

Ma non per questo chi é "virtuoso" ha alcun motivo di vivere in modo meno convintamente buono (né chi é malvagio di vivere in modo meno convintamente malvagio).
#2357
Tematiche Filosofiche / Re:sull' etica
09 Ottobre 2017, 16:48:50 PM
Citazione di: paul11 il 08 Ottobre 2017, 17:56:49 PM
Sgiombo,
invece il dominio fisco potrebbe essere determinato, ma non per la parte in cui entra in collisione con sistema uomo che infatti vuol dominare la natura trasformandola. Ma proprio perché un essere che ragiona e pensa, tipica peculiarità umana ,pensa, ragiona e DECIDE ,quindi fisicamente l'uomo entra in collisione con il modello deterministico .Non voglio qui ,almeno per ora entrare nel concetto quantistico dell'Osservatore che "spezza"
la formalità di una oggettività fisica.
CitazioneCredo che se si dà determinismo (cosa a mio parere indimostrabile), allora non é possibile (sarebbe autocontraddittorio il pretenderlo!) "entrare in collisione" (cioé negare o superare, se ho ben capito) il determinismo stesso.
Per definizione, perché se lo si facesse non vi sarebbe determinismo, e così si negherebbe la premessa.

Dunque se si dà determinismo allora l' uomo inevitabilmente decide deterministicamente (a seconda di come é deterministicamente portato ad agire).



Tu sostieni il modello deterministico e in quanto tale privo di arbitrio.
E dove lo metti l'arbitraggio come concetto giuridico? L'arbitro è colui che dirima un contenzioso sopra le parti contendenti.
E dove inserisci la storia, per te è deterministica , e la cultura e l'economia di scambio, e il principio utilitaristico, e la dottrina politica? Faccio a meno di inserirvi religioni e spiritualità, non ce n'è bisogno tale è tanta la contraddizione.
CitazioneL' arbitro può benissimo prendere le sue decisioni non liberoarbitrariamente (= indeterministicamente ovvero casualmente) ma invece deterministicamente (può essere libero da costrizioni estrinseche che impediscano il manifestarsi, l' attuarsi del suo determinismo intrinseco).

Lo stesso dicasi per le scelte storiche dell' umanità, le scelte economiche, politiche, religiose, spirituali, ecc.
Non ci vedo proprio alcuna contraddizione.



Non confondiamo il piano teoretico da quello pratico.
Al mio pensiero teoretico è stretta la galera come l'intero universo.
Al mio agire pratica possono esserci delle premesse condizionanti tali che il mio pensiero deve entrare nella logica di un compromesso con l'agire, ma questo non preclude la libertà di pensiero, semmai agita la mia coscienza in
termini di consapevolezza di ciò che posso o non posso fare e posso muovermi per agire nel togliere le condizioni che precludono la mia libertà di azione , ma non certo muta il mio pensiero che rimane intatto sul piano teoretico dell'incommensurabilità.
CitazioneMa tutto ciò, in caso di determinismo, può benissimo accadere deterministicamente: deterministicamente si pensa quello che si pensa (compreso eventualemnte anche il pensiero -falso, nell' ipotesi che stiamo considerando- di essere liberi di pensare e di agire indeterministicamente), deterministicamente si agisce per togliere le condizioni che impediscono, esercitando una coercizione estrinseca, l' agire libero da coercizioni estrinseche, ecc.


#2358
Presentazione nuovi iscritti / Re:Elia, presentazione
09 Ottobre 2017, 08:01:27 AM
Citazione di: altamarea il 08 Ottobre 2017, 20:28:22 PM
Apeiron, concordo con il nuovo arrivato Elia. L'altro forum era diversamente articolato e scrivevano persone colte. Cito a caso il nick Arsenio e le numerose donne, veramente ammirevoli.

In questo forum il faro è la sezione di filosofia. In quella di spiritualità le persone che sanno se ne sono andate. Le altre sezioni sono quasi tutte abbandonate. Quando qualcuno apre un topic viene ignorato.
CitazioneAnch' io ho l' impressione che il vecchio forum fosse più interessante, ma per il motivo opposto: mi sembra che nell' attuale forum di Filosofia tendano a scarseggiare interventi propriamente filosofici e a trovarsi sempre più frequentemente discussioni e considerazioni che starebbero più "convenientemente" (a mio modesto parere) nella sezione "Spiritualità".
#2359
Nel comportamento umano (e anche animale) sono presenti tanto tendenze più o meno egoistiche quanto tendenze più o meno altruistiche.
Il comportamento umano inoltre, in misura assolutamente non paragonabile a quello di alcun altro animale, é caratterizzato da una fortissima plasticità. Cioè varia molto da gruppo sociale a gruppo sociale, da epoca storica ad epoca storica, da persona a persona, e perfino da periodo della vita della singola persona a periodo della vita della singola persona e da circostanza nell' ambito della vita della singola persona a circostanza nell' ambito della vita della singola persona.
Mentre il comportamento degli altri animali é fortissimamente e molto uniformemente condizionato geneticamente (dal rispettivo genoma) "in toto", integralmente", invece quello umano lo é solo per quanto riguarda gli aspetti comuni a tutti i membri della specie o i casi decisamente patologici, essendo invece in maniera variabilissima condizionato epigeneticamente dalle diverse circostanze della vita di ciascuno in ciò che lo caratterizza storicamente, geograficamente, socialmente, individualmente, che é grandissima, non trascurabile e decisamente interessante parte del comportamento umano stesso.

Importante é secondo me non confondere, come spesso fanno coloro che sono tendenzialmente più o meno egoisti, soddisfazione (piacere, felicità, ecc.) che può darsi tanto dell' egoista quanto dell' altruista, con insoddisfazione (dolore, infelicità ecc.), che pure, del tutto parimenti, può darsi tanto dell' egoista quanto dell' altruista (a seconda che le ben diverse aspirazioni degli uni e degli altri, più o meno egoistiche o più o meno altruistiche) siano soddisfatte o meno.

Così ho sintetizzato la questione in un' altra discussione nel forum ("L' elemosina di Hobbes; mi scuso per l' autocitazione):


Non dobbiamo confondere soddisfazione (ovvero piacere, felicità, benessere interiore) con egoismo e insoddisfazione, sofferenza, dolore con altruismo.

C' é una bella differenza!

L' egoista che soddisfa il proprio egoismo (per esempio accumulando ricchezza da taccagno senza fare né dare mai nulla per chi ha bisogno di essere in qualche modo aiutato) é felice (ceteris paribus), ma non per questo non é egoista.

L' egoista che non riesce ad ottenere tutto quello che vorrebbe per sé malgrado la sua taccagneria (e magari invidia altri più fortunati) é infelice (ceteris paribus), ma non per questo non é egoista, non per questo diventa altruista.

L' altruista che non riesce a soddisfare la propria generosità (per esempio perché troppo povero per poter fare regali a chi ne ha bisogno) é infelice, ma non per questo non é altruista.

E l' altruista che soddisfa il proprio altruismo (per esempio elargendo denaro o aiutando in altri modi chi ne ha bisogno; come Thomas Hobbes, per lo meno nel frangente di questo aneddoto, se vero) é felice (ceteris paribus), ma non per questo non é altruista, non per questo diventa egoista.

Egoismo =/= soddisfazione, benessere interiore, felicità

e

altruismo =/= insoddisfazione, sofferenza, infelicità (e anche =/= masochismo).



Quanto alla morale predominante nel capitalismo e nel socialismo reale, secondo me il discorso é estremamente complesso e non può essere adeguatamente affrontato in due righe qui nel forum: tanto l' uno quanto l' altro assetto sociale presenta varianti sincroniche e diacroniche (sono tipi astratti che si manifestano in maniera relativamente, limitatamente diversa nelle diverse occorrenze concrete), presentano una storia (personalmente, essendo seguace del materialismo storico, ritengo che il capitalismo abbia avuto una fase progressiva che tendeva, fra l' altro, a favorire il manifestarsi delle tendenze umane più altruistiche e ormai da secoli si trovi nella sua fase reazionaria che tende sempre più, fra l' atro, a favorire il manifestarsi delle tendenze umane più egoistiche) e inoltre, si sono in non trascurabile misura reciprocamente influenzati e condizionati e per quel che rimane al momento di socialismo reale si influenzano e condizionano in non trascurabile misura.
#2360
Tematiche Filosofiche / Re:sull' etica
07 Ottobre 2017, 21:29:28 PM
Citazione di: paul11 il 07 Ottobre 2017, 15:37:02 PM
Sgiombo,
premetto che non ho avuto il tempo di leggermi l'intera discussione, ma già vedo un problema:
perché la tua definizione di libero arbitrio è casuale e quindi non c'è possibilità di valutazione etica?
Il libero arbitrio per definizione ,se vuoi convenzionale e riconosciuta, è una facoltà di scelta.
Quindi entrano in gioco volontà  soggettiva e possibilità oggettiva, Quindi ciò che ritiene opportuno, diciamo così il soggetto fra un ventaglio di possibilità oggettive ,minimo due, diversamente non ci sono le condizioni.

Il mondo deterministico in toto è contraddittorio perché la volontà umana "spezza" nelle scelte quell'eventuale schema deterministico fatto solo di cause ed effetto.

Strano che un comunista stalinista che quindi ritiene nelle forme organizzative umane un atto di diseguaglianza e
antidemocraticità, la divisione sociale di redditi e quindi la possibilità umana di poter cambiare la forma dominante capitalistica. E' questa possibilità con un atto di volontà e coscienza  che rientra in un libero arbitrio.
O mi sbaglio?
CitazioneInnanzitutto un "mondo deterministico in toto" non é contraddittorio: sarebbe contrtaddittorio casomai un "modo deterministico in toto che inoltre é almeno in parte indeterministico", oppure "un mondo almeno in parte indeterministico che fosse inoltre deterministico in toto".

Una facoltà di scelta (libera da costrizioni o determinazioni estrinseche) può essere esercitata in maniera liberoarbitraria, cioé non determinata, ovvero non conseguente a nessun determinismo, nemmeno intrinseco al suo autore (oltre che non a cause a lui esterne), non determinata nemmeno intrinsecamente da come "é fatto" il suo autore, dalle sue qualità morali più o meno buone o malvagie, dal momento che se invece la fosse, allora sarebbe una scelta deterministica, anche se determinata non da costrizioni estrinseche ma invece intrinsecamente (dalla maggiore o minore  malvagità oppure bontà proprie di chi la compisse); dunque, non essendo dovuta al determinismo, é dovuta all' indeterminismo, ovvero al caso: é fortuita, aleatoria, dipendendo casomai, anziché alla maggiore o minor bontà oppure cattiveria del suo autore, dalla sua maggiore o minore fortuna oppure sfortuna: se sarà buona vorrà dire che é stato non moralmente virtuoso ma invece semplicemente fortunato, se sarà cattivaa vorrà dire che é stato non malvagio, ma invece casomai che è stato semplicemente fortunato. E allora come potrebbe essere valutata eticamente? 
Oppure può essere intrinsecamente deterministica, cioé causata dal modo di essere di chi la compie (più o meno buona o cattiva a seconda che il suo autore sia più o meno buono oppure malvagio), e questo é il contrario del libero arbitrio ed é compatibile con l' etica: se é buona, allora il suo autore non é semplicemente fortunato ma invece buono, se cattiva, allora il suo autore non é semplicemente sfortunato ma invece malvagio

Quanto al mio comunismo, non vedo proprio perché dovrei lottare con minor energia per il fatto di rendermi conto che la mia scelta di lottare per cambiare lo stato di cose presenti é determinata dal mio modo di essere e non liberoarbitraria: la compio e non poteri non compierla innazitutto perché sento come se fossero fatte a me le enormi ingiustizie e lo sfruttamento di cui sono vittime miliardi di proletari nel mondo attuale.
#2361
Innanzitutto benvenuto!

Nessun problema per il fatto di aver riso per molti nostri interventi (o per lo meno per i miei).
Innanzitutto chi si prende troppo sul serio tende a risultare antipatico; inoltre credo che, salvo l' uso di espressioni decisamente offensive, la franchezza nelle nostre discussioni sia decisamente preferibile alla reticenza nell' esprimere il proprio dissenso; e da ultimo, come si sul dire, il riso fa sempre buon sangue.

Secondo me in teoria (prescindendo da come di fatto stanno le cose in realtà, che richiederebbe qualche non scontata precisazione per evitare malintesi) il nulla potrebbe benissimo essere; infatti, "nulla" significa qualcosa, come tutti i concetti sensati (aggettivo pleonastico; contrariamente a te tendo purtroppo ad essere tutt' altro che lapidario nelle mie considerazioni), nel senso che ha una connotazione o intensione teorica, nell' ambito del pensiero (del pensiero circa la realtà o meno, poiché non é detto che si debba pensare solo ciò che é reale).
Ma il suo significato, inteso come intensione, é "il non esserci (realmente) di alcunché".
Dunque nell' ipotesi, a mio parere sensatissima in quanto tale, che ci sia il nulla, si darebbe il caso del non esserci qualcosa (del non esserci alcuna cosa, che implica il non esserci di alcun "qualcosa" di determinato, né di alcun "qualcos' altro" di determinato).

Ritengo infatti che il linguaggio sia convenzionale (dispone, ovvero mette reciprocamente in relazione, concetti il cui significato é stabilito per definizione arbitraria convenzionalmente accettata dai parlanti, secondo regole sintattiche stabilite altrettanto convenzionalmente e arbitrariamente), ma non autoreferenziale (per lo meno non necessariamente, non inevitabilmente).
Infatti non parla unicamente, necessariamente di se stesso (in funzione di "metalinguaggio"), ma anche di altro: in generale i significati dei concetti si riferiscono non a se stessi, bensì a diverse "cose" dai concetti stessi simboleggiate, presentando necessariamente (per essere tali: concetti; per definizione) per lo meno intensioni o connotazioni reali in quanto oggetti di pensiero, di considerazione teorica (comunque dai simboli verbali stessi diverse, altre); ed inoltre, seppur non sempre necessariamente, possono presentare anche estensioni o denotazioni reali (indipendentemente dall' eventuale essere pure eventualmente significate dai concetti stessi, pensate, o meno).
Può ovviamente essere usato male e generare confusioni e malintesi, ma può anche essere usato correttamente, riferirsi ad altro da sé e consentire al soggetto-interprete-osservatore ovvero l'uomo di comprendere (nel senso di capire, spiegarsi, conoscere; ovviamente in misura limitata, parziale, relativa, e inoltre fallibile, non essendo divino), non certo il tutto, ma comunque (anche) qualcosa di diverso da sé, che va oltre la sua soggettività (questo almeno come possibilità teorica; tenendo conto d quella che personalmente ritengo l' insuperabilità razionale dello scetticismo, cioè dell' incertezza circa la verità dei predicati; che non significa certezza della falsità dei predicati stessi, tesi paradossale in quanto espressione del venerando paradosso "del mentitore": dubitare di tutti i predicati =/= credere tutti i predicati necessariamente falsi).

Per questo ritengo che il filosofare non sia sterile ai fini della conoscenza (per quanto inevitabilmente relativa, limitata, ed inoltre incerta); oltre ad essere per me personalmente interessantissimo (e non "cosa da parassiti nullafacenti", ma da persone attive che si procurano i mezzi per vivere col loro lavoro, ma pensano che si lavora per vivere, ossia per godersi la vita, e non si vive per lavorare).
#2362
Tematiche Filosofiche / Re:sull' etica
07 Ottobre 2017, 13:12:17 PM
Citazione di: Phil il 06 Ottobre 2017, 23:19:21 PM
Citazione di: sgiombo il 06 Ottobre 2017, 22:29:03 PM
Il problema sta tutto in quel "libera ma non casuale".

Secondo me fra "casualità" e determinismo [...] tertium non datur.

Quindi mi sembra che il libero arbitrio sia l' antitesi dell' agire e/o scegliere a seconda delle (essendo determinati dalle) proprie qualità etiche.
Da quel che ricordo (anche dopo la conferma dell'enciclopedia), "libero ma non casuale" è il fulcro del libero arbitrio (almeno per come è solitamente inteso nel linguaggio filosofico), per cui dovrebbe costituire proprio un "tertium" che responsabilizza l'uomo agli occhi della divinità, che ha deciso di lasciarlo libero di fare il bene o il male (altrimenti crolla tutta l'impalcatura soteriologica: peccato, perdono, punizione, beatitudine, redenzione, etc. perdono di senso se l'uomo non è imputabile delle sue scelte, ma soltanto una "risultante condizionata" di biologia, habitat culturale ed eventi contingenti vissuti).
Ovviamente si può non esser d'accordo, ma credo che per i sostenitori del libero arbitrio quel "tertium libero ma non casuale", sia quasi un dogma...

CitazioneQuesto é ciò che pensano i sostenitori del libero arbitrio.

Ma io non lo sono, e credo invece che la "libertà di fare il bene o il male", intesa non nel senso del non dover subire coercizioni estrinseche, imposte ineluttabilmente da altri con la forza (con forza soverchiante quella di che subisce la coercizione estrinseca stessa), bensì nel senso del non essere intrinsecamente determinata dal proprio modo d essere (più o meno buoni o più o meno malvagi, per l' appunto) non possa avere nessun altro significato (e mi piacerebbe che i sostenitori del libero arbitrio così inteso me ne mostrassero uno) che quello di un agire del tutto casuale, aleatorio, esattamente come se prima di compiere una scelta si lanciasse una moneta e la si compisse in base al risultato del lancio: testa o croce (scelta che non dimostrerebbe affatto le qualità morali positive o negative di chi la operasse, ma casomai solamente la sua fortuna o sfortuna) .

Certo che se il libero arbitrio per qualcuno é un dogma, non c' niente da discutere: o lo si accetta (acriticamente) o lo si respinge (acriticamente o, come credo sia il mio caso, in seguito a critica razionale).


Secondo me, anche il determinismo resta comunque una lettura umana (inevitabilmente!) della realtà: così come le categorie (spazio, tempo, causa, etc.) non hanno probabilmente senso sostanziale al di fuori delle prospettiva umana (che le pone e le usa), parimenti spiegare l'agire umano con un approccio causalistico-deterministico rappresenta (per me) solo una chiave di lettura, che, essendo "antropica", può essere tanto funzionale (anche nella prassi) quanto priva di una valenza oggettivamente reale (il che decostruisce l'eventuale ambizione veritativa del determinismo, o meglio, in questo credo che il mio determinismo, sfoci in un'estetica o in un'ermeneutica, piuttosto che in un'epistemologia in senso "forte"  ;) ).
CitazioneTutto ciò che l' uomo può pensare della realtà (fisica - materiale e non solo) tautologicamente é (innanzitutto, per lo meno) pensiero umano.
Ma (per lo meno in linea teorica) può anche riferirsi a qualcosa di oggettivamente reale oltre il pensiero umano.
E a quanto pare molte credenze umane (soprattutto conoscenze scientifiche) funzionano nella pratica (nel bene o nel male), il che indurrebbe a pensare che é per lo meno "come se" esse fossero, almeno in parte, almeno relativamente, vere, come se dicessero almeno "qualcosa" di come oggettivamente stanno le cose.
Ferma restando, secondo me, l' insuperabilità razionale dello scetticismo (da me più volte affermata).

Col che mi sembra (ma dimmi se sbaglio) che concordiamo per lo meno "nella sostanza delle cose", pur esprimendoci in termini (e con sfumature valutative circa ciò che affermiamo) almeno in parte diversi.
#2363
Tematiche Filosofiche / Re:sull' etica
06 Ottobre 2017, 22:29:03 PM
Citazione di: Phil il 06 Ottobre 2017, 22:11:05 PM
Citazione di: sgiombo il 06 Ottobre 2017, 20:21:45 PM
l' affermazione per cui <<il libero arbitrio non mi pare sia definibile con "= casualità delle scelte">> (e ti chiedo: in che altro modo lo si potrebbe definire?)
Per inquadrare meglio il "libero arbitrio" sono andato a sbirciare sull'enciclopedia on-line, che conferma che viene solitamente inteso come (cito) "capacità di scegliere liberamente, nell'operare e nel giudicare. L'espressione, usata a indicare la libertà del volere umano", ovvero il riconoscimento della volontà individuale come strumento della ragione ("libera" ma non casuale), e quindi garante dell'imputabilità individuale della responsabilità delle azioni (non a caso pare che il dibattito sia nato in ambito teologico per "ancorare" i peccati al loro portatore, in contrasto con la predestinazione...). Quindi è piuttosto l'antitesi dell'agire e/o scegliere a caso.
CitazioneIl problema sta tutto in quel "libera ma non casuale".

Secondo me fra "casualità" e determinismo (a parte il probabilismo che può essere considerato tanto determinismo debole quanto casualismo debole a seconda dei gusti soggettivi; ma che comunque nella misura in cui non é deterministico -i singoli eventi- é casuale, nella misura in cui non é casuale -le proporzioni fra i diversi eventi in serie numerose di essi- é deterministico) tertium non datur.

Quindi mi sembra che il libero arbitrio sia l' antitesi dell' agire e/o scegliere a seconda delle (essendo determinati dalle) proprie qualità etiche.



Citazione di: sgiombo il 06 Ottobre 2017, 20:44:40 PM
Sbaglio o questo "qualcuno" potrebbe essere Giona?
Sicuramente è un "qualcuno" liberamente ispirato all'attitudine "esorcista" di alcuni credenti (che certamente sono mossi da buone intenzioni :) ).
CitazioneE su questo concordo.
#2364
Citazione di: davintro il 06 Ottobre 2017, 20:04:39 PM

L'intelligibilità non la intendo tanto come sinonimo di "comprensibilità", bensì come carattere dei contenuti che apprendiamo attraverso la mente, e non dai sensi corporei. Tuttavia il nesso comprensibilità-intelligibilità è un dato fondamentale per rendersi conto che riducendo la relazione gnoseologica soggetto-oggetto allo stadio della pura esperienza sensibile nessuna conoscenza del mondo sarebbe possibile, perché sono le categorie ideali, cioè intelligibili che permettono alla mente di individuare, dal flusso dei dati sensibili, delle forme distinte che poi permettono la concettualizzazione degli oggetti e la conseguente possibilità di legare tali oggetti in nessi di causa-effetto, rendendo così il mondo comprensibile. E dunque dato che tale concettualizzazione è resa possibile dalla presenza originaria in noi di un sistema di categorie (tra cui rientrano ad esempio la nozione di "causalità" e di "unità"), questo sistema non potrebbe essere il derivato da alcuna dialettica di concetti precedentemente assunti, dato che ogni concettualizzazione la presuppone.
CitazioneMa non ho mai sostenuto che la conoscenza sia riducibile alla sola esperienza sensibile.
 
Ho invece sempre negato (ma qui non ripeto le argomentazioni già in precedenza esposte) che ogni concettualizzazione è resa possibile dalla presenza originaria in noi di un sistema di categorie (tra cui rientrano ad esempio la nozione di "causalità" e di "unità"), questo sistema non potrebbe essere il derivato da alcuna dialettica di concetti precedentemente assunti, dato che ogni concettualizzazione la presuppone.
 
Per me ogni concettualizzazione presuppone invece (di reale, realmente in atto e non meramente potenziale) solo la capacità di concettualizzare, l' "intelligenza" necessaria a farlo.






"Non è vero che "La conoscenza implica sempre l'adeguatezza del soggetto alla natura dell'oggetto";per esempio un soggetto del tutto incapace di nuotare può benissimo avere una più che adeguata comprensione del concetto di "nuoto" o uno che non abbia mai ballato può benissimo avere una più che adeguata comprensione del concetto di "walzer" o di "tango"; nessun critico d' arte che io sappia sa scolpire, ovvero è minimamente "adeguato alla natura delle sculture", ma ciò non impedisce loro di parlare a ragion veduta dei bronzi di Riace o del Mosè di Michelangelo. La conoscenza (teorica), ben diversa dall' operare pratico, non implica necessariamente la capacità pratica di realizzare ciò che si conosce (teoricamente; avverbio pleonastico)."



Io non so nuotare e di fatto non conosco la tecnica adeguata per saper nuotare, se la conoscessi, magari dopo averla imparata con delle lezioni, potrei applicarla e nuotare. Ciò che posso sapere del nuoto è qualcosa di generico, come il significato del concetto di "nuotare", ma questa conoscenza generica può solo limitarsi a farmi riconoscere cosa intende dirmi qualcuno se mi dice: "ieri mi son fatto una bella nuotata", cioè so che intende dire di aver attraversato un certo corso d'acqua. Lo stesso dicasi del ballo, in ogni caso ogni livello di conoscenza di una certa cosa coincide con un certo "rendersi simile" all'oggetto. Lo stesso critico d'arte, per quel che ne so, non si occupa delle tecniche di creazione artistica, non è tenuto a conoscerle nel dettaglio, quindi non ha bisogno di essere a sua volta un artista. Il suo lavoro consiste in un'ermeneutica del prodotto finito, un'analisi dei dettagli estetici dell'opera finita che li riconduce alle idee, le intenzioni, le influenze dell'artista, riuscendo così a coglierne il senso. Per far questo il sapere di cui ha bisogno è essenzialmente dato dalla ricostruzione del periodo storico in cui l'opera è stata compiuta, il contesto sociale, culturale, politico, la biografia dell'autore... mentre può sorvolare (fino a un certo punto) sui dettagli tecnici della fabbricazione dell'opera. Il critico d'arte non è un restauratore. Sinceramente ce li vedo poco Sgarbi (laureato in filosofia) o Bonito Oliva come esperti dei processi chimici di conservazione degli affreschi o delle pitture a tempera...

CitazioneErgo, Non è vero che "La conoscenza implica sempre l'adeguatezza del soggetto alla natura dell'oggetto".


Anche qua emerge che la pratica altro non è che applicazione performativa della teoria, e ciò conferma il principio di corrispondenza del soggetto con l'oggetto nella conoscenza: ogni pratica presuppone sempre un adeguarsi del soggetto alla natura dell'oggetto per manipolarlo sulla base dei propri fini, e l'adeguazione presuppone la conoscenza della realtà oggettiva, cosicché la conoscenza teorica di un soggetto nei confronti di un oggetto viaggia parallela rispetto al "farsi simile" del soggetto all'oggetto che conosce, per potervicisi adeguare e dunque agire su di esso pragmaticamente.

CitazioneNon mi sembra che la conclusione "principio di corrispondenza del soggetto con l'oggetto nella conoscenza" consegua dalla premessa "la pratica altro non è che applicazione performativa della teoria".






Il discorso delle rimemorazioni voleva essere un'esemplificazione della non coincidenza fra il raggio degli oggetti sottoposti alla nostra attenzione "attuale", il "rendersi conto" pienamente riflesso, e la totalità dei contenuti interiori della nostra mente, dell'idea per cui non sempre il "rendersi conto" produce dal nulla i suoi contenuti nel momento a-posteriori in cui si pone in atto. Non mi sfugge la differenza tra un procedimento a ritroso che consentirebbe di recuperare all'attenzione delle nozioni già presenti in noi ma comunque derivate da un'esperienza esterna ed un far riemergere contenuti davvero innati. Ma il punto è che per legittimare una posizione innatista (o "apriorista" come sarebbe preferibile dire dato che "innato" rimanda troppo all'idea di nascita, quindi ad un piano biologico di genetica, ereditarietà, riconducibile ad un'impostazione naturalista, certamente interessante e importante, ma che rischia di portarci troppo fuori dal piano strettamente filosofico-trascendentale), non c'è alcun bisogno di negare la necessità dell'esperienza sensibile per la formazione di ogni concetto: perché sia legittimata basta che tale esperienza esterna, pur necessaria, sia riconosciuta come insufficiente alla formazione di certi concetti. Non ho mai negato la necessità dello stimolo esterno, e non mi illudo di poter portare un bambino di 3 anni a fargli pensare a un'idea di infinito o di noumeno semplicemente spingendolo a prestare più attenzione. Ciò sarebbe impossibile, in assenza del raggiungimento della fase di uno sviluppo scandito da eventi esterni che formano le facoltà cognitive astrattive, come l'insegnamento scolastico, ma il punto è che lo "sviluppo" non va visto come creazione dal nullo, ma progressiva attualizzazione di strutture latenti, comunque già presenti in noi. Quando dico che l'esperienza esterna è un' "occasione" per il rinvenimento di nozioni latenti in profondità mica la voglio squalificare o denigrare... ne ammetto la necessità, ma anche l'insufficienza, perché se l'apprendimento esterno fosse sufficiente allora, qua mi ricollego all'osservazione di Paul 11, allora dovremmo porci il problema sul perché un animale non potrebbe raggiungere, a parità di stimolo esterno, gli stessi livelli di sviluppo di una persona. L'unica soluzione è ammettere nella persona un'interiorità distinta da quella degli animali che le consente di non limitarsi ad assorbire passivamente e meccanicamente lo stimolo sensibile, ma a trasformarlo in concetto, oltre che a elaborare idee non identificabili con oggetti dell'esperienza esterna, esperienza che li risveglia in noi ma senza crearli. La pura passività dall'esterno, l'idea della "tabula rasa" sarebbe ammissibile solo presupponendo che a parità di stimolo qualunque soggetto risponda necessariamente allo stesso modo, così non è. Lo stesso concetto di "guida didatticamente attiva" credo testimoni tutto ciò: L'attività è la condizione in cui un soggetto attivo interviene su un oggetto portando qualcosa di sé su di esso, svolge un'attività in un certo modo performativa, foss'anche a livello psichico nel far riafforare, seppur esternamente supportato, alcuni contenuti latenti. Una tabula rasa nella sua vuotezza non potrebbe essere in alcun modo soggetto attivo, anche se non autosufficiente, pura indeterminatezza.
CitazioneMa per sostenere una tesi "aprioristica" della conoscenza non basta che si ammetta la necessità dell'esperienza sensibile per la formazione di ogni concetto; perché sia legittimata occorre anche che tale esperienza esterna, pur necessaria, sia dimostrata come insufficiente alla formazione di certi concetti.
Ma a me sembra di aver dimostrato che é sufficiente; oltre ovviamente alla capacità di ragionare sull' esperienza esterna (a posteriori) stessa (che metaforicamente é costituita dal materiale di cui é fatta e dalle caratteristiche fisiche che sono proprie della "tabula rasa" degli empiristi).
 
Non ho mai sostenuto che lo "sviluppo" delle conoscenze umane sia una creazione dal nullo; ma ho sempre affermato che esso é progressiva attualizzazione di potenziali capacità intellettive (e non affatto di conoscenze aprioristicamente) già presenti in noi (non di strutture latenti intese come nozioni a priori, ma come mere potenzialità, capacità sviluppabili di ragionare).
 
 
Un animale (non umano) non potrebbe raggiungere, a parità di stimolo esterno, gli stessi livelli di sviluppo di una persona umana per il semplice fatto che é molto meno intelligente, ha capacità di astrarre, confrontare, collegare, ecc. i dati di esperienza (a posteriori) di gran lunga minori.
In questo consiste nella persona un' interiorità distinta da quella degli animali che le consente di non limitarsi ad assorbire passivamente e meccanicamente lo stimolo sensibile, ma a trasformarlo in concetto, oltre che a elaborare idee non identificabili con oggetti dell'esperienza esterna, esperienza che non li risveglia in noi, né li crea, ma invece consente alle nostre capacità "interiori" intellettive di, per così dire crearli, o meglio ricavarli, elaborarli a posteriori, a partire dall' esperienza.
 
 
Per continuare con la metafora della tabula rasa, ricaviamo (attivamente ragionando sull' esperienza, e non certo "passivamente"!) diverse credenze e conoscenze gli uni dagli altri sia (secondo me soprattutto) perché le esperienze di due persone umane non sono mai perfettamente identiche (ovvero sono sempre in qualche misura diverse), sia perché "il materiale" di cui é fatta la tabula rasa di ciascuna persona umana e "le sue caratteristiche fisiche" sono in qualche (secondo me assai limitata!) misura diverse da quelle dalle tabulae rasae di tutte le altre persone umane (soprattutto per diversi fatti intervenuti durante lo sviluppo fisiologico, e poi anche intellettuale, mentale di ciascuno non per cause genetiche, se non in casi decisamente patologici).
Attività che mi pare di aver dimostrato comunque non consista affatto nel far riaffiorare, seppur esternamente supportato, alcuni contenuti (di conoscenza, alcuna nozione, alcun effettivo, reale sapere) latenti.
 
 
A parte il fatto che una metafora non é mai una descrizione "perfetta", per filo e per segno di ciò cui allude (non sarebbe più una metafora ma invece una esposizione letterale), ribadisco che il materiale di cui é fatta la tavola, le sua caratteristiche fisiche condizionano "attivamente" le possibilità che l' esperienza (a posteriori) vi scriva certe credenze e certe conoscenze e non certe altre.









Per Phil

la differenza fondamentale tra l'ammissione di contenuti ideale innati latenti nei livelli profondi della psiche e la pretesa che gli altri credano che ho un pappagallo invisibile sulla spalla consiste nel fatto che mentre l'idea del pappagallo invisibile, pur di per sé infalsificabile, non ha nemmeno alcuna ragione di essere creduta, per il semplice motivo che è una credenza del tutto inutile a risolvere dei problemi teoretici riguardo la realtà: Se conoscere vuol dire "conoscere le cause", allora il pappagallo invisibile è totalmente inutile all'ampliamento della conoscenza razionale del mondo, in quanto pur teoricamente non impossibile, non risolve alcuna questione, non risponde ad alcuna possibile domanda. Non è irrazionale, ma è certamente a-razionale. Diversa è la questione delle idee latenti innatamente. Tale idea di latenza trae una sua razionalità dall'essere una possibile soluzione ad una ben sensata questione gnoseologica: l'origine delle idee dal contenuto intelligibile che non troverebbe adeguazione nei contenuti sensibili dell'esperienza a-posteriori. Se l'esperienza esteriore appare, pur necessaria, insufficiente a produrre in noi contenuti qualitativamente distinti da quelli sensibili, cioè le qualità intelligibili, allora occorrerà rivolgersi all'interno.

CitazioneE qui basterà trovarci l' intelligenza umana.

Messe così le cose non si può dire che la tesi innatista sia infalsificabile in assoluto: sarebbe falsificabile nel momento in cui si riuscisse a dimostrare che l'esperienza sensibile fosse condizione non solo necessaria ma anche sufficiente della forma di tutti i concetti (sensibili e intelligibili), e del contenuto di quelli intelligibili, e questo, nonostante le varie obiezioni, non lo vedo dimostrato, almeno per il momento

CitazioneEd é falsificata (oltre che quanto già da me in precedenza argomentato) dal fatto che all'interno di noi le nostre capacità intellettive colmano egregiamente l' insufficienza dell' esperienza a produrre in noi contenuti qualitativamente distinti da quelli sensibili, cioè le qualità intelligibili.
#2365
Tematiche Filosofiche / Re:sull' etica
06 Ottobre 2017, 20:44:40 PM
Citazione di: Phil il 06 Ottobre 2017, 20:22:44 PM
Ad esempio, se arrivasse qualcuno a dirmi "smettila di bestemmiare! Sei in cattiva fede, accecato del demonio che ti abita!", una parte di me ammetterebbe che potrebbe anche aver ragione (filtrando la questione della possessione  ;D ) ; certo, per farmi cambiare idea dovrebbe argomentare un po' meglio, ma di certo non mi impegnerei alacremente per cambiare la sua (anche se magari vorrei comunque saggiarne la solidità per confrontarla con la mia ;) ).
CitazioneSbaglio o questo "qualcuno" potrebbe essere Giona?

Se sbaglio ho già (metaforicamente, non esageriamo!) pronto un bel mucchietto di cenere con cui cospargermi il capo.
#2366
Tematiche Filosofiche / Re:sull' etica
06 Ottobre 2017, 20:21:45 PM
Citazione di: Phil il 06 Ottobre 2017, 19:19:02 PM

Dall'interno della tua prospettiva deterministica (se l'ho ben compresa :) ) non si potrebbe nemmeno parlare di "al meglio delle mie possibilità" (o di "cercare di agire meno malamente"), poiché, inevitabilmente, fai ciò che puoi fare, né più né meno; la tua scelta è dovuta ad una causalità stretta e condizionante in cui il tuo voler "fare al meglio" (o "meno peggio") è l'unica possibilità che trovi ragionevole, e che (e)segui di conseguenza... un determinismo radicale non lascia spazio per la discrezionalità del "meglio possibile" o il "peggio possibile", perché si realizzerà indubbiamente l'unica scelta deterministicamente causata... che tuttavia verrà giudicata come se fosse stato possibile non scegliere ciò che si è scelto, ovvero come se la volontà avesse potuto volere qualcosa di differente... ma se così fosse, sarebbe stata un'altra volontà, non quella che, di fatto, è.
CitazioneQuella della vita come recita di un copione non da noi scritto era solo una metafora per dire che ci si può ben impegnare per i nostri ideali, e trarre soddisfazione da questo impegno, anche se ci si rende conto che la nostra volontà é o condizionata da altro (Dio o natura deterministica, non fa differenza in questo), oppure casuale.


Se non possiamo andare oltre la nostra volontà, ovvero non possiamo "volere ciò che non vogliamo", allora credo che tanto il libero arbitrio (non mi pare sia definibile con "= casualità delle scelte" ;) ) quanto la responsabilità etica siano da pensare a partire da un preponderante ruolo egemone della volontà individuale (escludendo casi di manipolazione farmaceutica, plagio, circonvenzione di incapace, presunto ipnotismo, etc.), ovvero considerando che non si può modificare la nostra volontà dall'interno, poiché anche il voler cambiare, il voler fare ciò che non ci piace, il voler andare contro i nostri istinti, sono comunque voleri della nostra stessa volontà (la cui la capacità di automodificarsi è quindi limitata...). Ciò non toglie che, in una vita civile regolata, sia utile e necessario prendere provvedimenti, per il sovrano "quieto vivere", verso chi ha una volontà disfunzionale (o potenzialmente nociva) al contesto che lo circonda (e invitare gli altri a comportarsi bene per evitare le fiamme dell'inferno o la dannazione eterna o il reincarnarsi in un topo, è una strategia di comunicazione di massa molto efficace ;D ). E anche questo stesso meccanismo di autoconservazione delle società credo sia frutto di un determinismo causale, selettivo e adattativo, in cui il volere "privato" è una risultante di fattori condizionanti (perlopiù esterni) e allo stesso tempo confluisce nel volere "pubblico" (almeno in democrazia... almeno sulla carta  ;) ).
Di conseguenza, valutare cosa sia "bene" o "male" dal punto di vista etico, richiede criteri la cui fondazione (e l'annessa arbitrarietà, per i non credenti) cozza con la matrice "volontaristica"-deterministica della libertà d'azione, per cui "il bene" e "il male", demistificati, risultano solo giudizi-condizionati di una volontà-condizionata su l'operato-condizionato di un'altra volontà-condizionata (e anche tale consapevolezza è condizionata!).

L'iniziare a pensare alla "mente" (intelletto, volontà, comportamento, istinti, inconscio, capacità varie, etc.) come una risultante condizionata, causata da altro da sé (genetica, società, vissuti ed esperienze, etc.) piuttosto che come una "scintilla divina", un motore immobile che muove una "volontà libera"(?), credo sia il primo passo per aprirsi al disincanto in cui le prospettive etiche risultano una necessità antropologica, non più un "gioco di ruolo" in vista del giudizio divino (se invece si immette in questo orizzonte una divinità, allora il determinismo e il causalismo vanno in cortocircuito con il ruolo stesso della divinità; si prospettano allora differenti soluzioni, più o meno escludenti o diplomatiche...).
Citazione
A parte l' affermazione per cui <<il libero arbitrio non mi pare sia definibile con "= casualità delle scelte">> (e ti chiedo: in che altro modo lo si potrebbe definire?), sono d' accordo col resto di queste considerazioni (per fare il pignolo preciso che secondo me l' efficacia del' invitare gli altri a comportarsi bene per evitare le fiamme dell'inferno o la dannazione eterna o il reincarnarsi in un topo, come strategia di comunicazione di massa é indubbiamente notevolissima, ma comunque limitata -e credo che in questo siamo d' accordo- e inoltre che non ci può essere autentica democrazia senza uguaglianza economico–sociale, ovvero socialismo-comunismo; e su questo per lo meno dubito molto che tu convenga).


#2367
Tematiche Filosofiche / sull' etica
06 Ottobre 2017, 10:56:13 AM
 
CitazioneNella discussone su "L' Osservatore, chi o cos' é cosa fa? l' ultima vivace schermaglia polemica fra me e Carlo Pierini termina con questo scambio di battute (si era andati alquanto fuori tema):

CARLO
(citando Sgiombo): <<...non essendo responsabile del fatto di essere responsabile di ciò che fa, allora (transitivamente) non é responsabile di ciò che fa>>!!!!
Mi sembra incredibile leggere cose come queste in un forum di filosofia!
Cos'è che hai sniffato? ...Un sacchetto di cemento a presa rapida?

Citazione
CitazioneUn tossicomane sarai casomai tu ! ! !

Per lo meno in senso metaforico.

Infatti la differenza filosofica fondamentale fra me e te é che io cerco la verità (le credenze vere), quale che sia, (meglio se anche soddisfacente o piacevole, ma) fosse pure insoddisfacente o spiacevole, mentre tu cerchi credenze soddisfacenti o piacevoli, quali che siano  (meglio se anche vere, ma) fossero pure false. 


Vorrei meglio precisare, molto schematicamente, i termini dell questione per come la vedo io.

E riproporla a tutti gli amici del forum perché mi pare importante (e francamente mi stupisco di non avere trovato finora (in quella discussione) argomentazioni critiche (ma solo la taccia di "pesantissimo tossicomane"). 

 
a)    Libero arbitrio = casualità delle scelte = impossibilità di valutare eticamente le scelte stesse.
 
b)    Determinazione estrinseca = impossibilità di valutare eticamente le scelte di chi la subisca (ma casomai quelle di chi la imponga).
 
c)    Determinismo con determinazione intrinseca delle scelte (da parte di chi le compie, autonomamente, "liberamente -?-) = valutabilità etica delle scelte stesse: sono più o meno buone (e dimostrano la maggiore o minore bontà di chi le compie) oppure, in alternativa sono più o meno cattive (e dimostrano la maggiore o minore malvagità di chi le compie) in conseguenza non dal caso (come accadrebbe in caso di libero arbitrio) ma invece, per l' appunto, delle qualità etiche dei loro autori.
 
Ma nessuno è creatore di se stesso, tutti ci si trova ad essere come si è (più o meno buoni o più o meno malvagi) non per proprio merito etico ma invece indipendentemente dalla propria volontà. E dunque le scelte che si compiono o rientrano nel caso "b" (siamo stati deterministicamente fatti così come siamo fatti da "altro" -in generale: un Dio personale o il determinismo naturale- e in conseguenza di ciò agiamo più o meno bene oppure male), oppure nel caso "a" (siamo stati fatti come siamo casualmente e dunque il nostro agire è casuale, non eticamente valutabile).
 
Queste considerazioni non sono scalfite dal fatto che ci si può impegnare a cambiare se stessi, dal momento che: o lo si fa casualmente (e dunque in maniera eticamente irrilevante: libero arbitrio), oppure deterministicamente, ma allora si decide di (cercare di) cambiare e di essere diversi da come ci si è trovati ad essere non per propria responsabilità a seconda (deterministicamente in conseguenza del fatto) di come nel momento in cui si decide di farlo ci si è trovati ad essere non per propria responsabilità.
Dunque in ultima analisi il nostro agire più o meno bene o più o meno è casuale, oppure è determinato dal nostro essere più o meno buoni oppure più o meno malvagi che comunque è a sua volta determinato non da noi, bensì da noi subito (casi "a" oppure "b").
 
Queste mi sembrano comunque considerazione meramente teoriche, senza alcuna conseguenza pratica apprezzabile (ma non per questo meno interessanti, almeno per chi sia razionalista): non per questo chi ha la fortuna -?- di essere nato buono, onesto, coraggioso, generoso, ecc. (o di essere nato tale che lo é diventato di conseguenza) ha alcun motivo per non continuare ad agire meno bene, onestamente, coraggiosamente, generosamente, ecc. di come ha fatto in precedenza, né chi ha la sfortuna -?- di essere (nato o diventato) malvagio, disonesto, vigliacco, egoista ha alcun motivo per non continuare ad agire meno malamente, disonestamente, vigliaccamente, egoisticamente, ecc. di come ha fatto in precedenza.

Sono solo un attore che recita un copione scritto da altri (dovrei essere un Dio perché le cose stessero altrimenti).
Ma non per questo non sono contento di recitarlo al meglio delle mie possibilità.
#2368
Citazione di: Apeiron il 05 Ottobre 2017, 21:34:48 PM
Per @sgiombo
Faccio solo un appunto: rispetto le posizioni che ho citato (per come sono riuscite a capirle io) ma non coincidono con la mia "visione delle cose" (che più o meno è quella del Sari  ;) e ancora in evoluzione). Rimarco ancora che:
1) i nostri concetti hanno un campo di validità limitato, quindi l'argomento per cui "c'è tanto male nel mondo, ergo..." non dimostra niente;
CitazioneEvidentemente non è facile intendersi fra razionalisti e irrazionalisti.
Anche perché da un punto di vista irrazionalistico si può affermare tutto ***e*** il contrario di tutto (contemporaneamente); mentre il razionalismo concede al massimo di affermare tutto ***o*** il contrario di tutto.
Da un punto di vista razionalistico l' argomento "c'è tanto male nel mondo, ergo..." dimostra inequivocabilmente, col massimo di certezza possibile , la certezza logica, che (se si accetta la premessa, ovviamente) non può essere reale (e nemmeno pensato sensatamente in quanto realmente esistente) un Dio sia onnipotente sia buono (e il fatto che chi nasce non ha ovviamente la possibilità di essere previamente interpellato per sapere se sia disposto a correre il rischio dell' infelicità, sia pure in cambio della possibilità della felicità, dimostra che non può esistere un creatore (ma nemmeno un genitore) giusto (secondo un concetto di "giustizia" che imponga fra l' altro il diritto di correre rischi unicamente se si decide autonomamente di farlo e non per imposizione subita da altri).



2) la questione è molto più complessa di quello che sembra - ovviamente si deve "ammettere" che la "realtà" è per così dire "più densa" di quello che sembra (si potrebbe fare un argomento molto esteso su come le varie filosofie trattano il problema del male - e ci sono devo dire somiglianze talvolta sorprendenti. Per esempio in alcune filosofie orientali non si può parlare di "teodicea" visto che non si ha a che fare con un Dio Personale ma resta comunque un qualcosa di simile alla "caduta"...). Riguardo alla "densità/complessità" della realtà ho accennato qualcosa in questi argomenti: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/ateismo-e-proiezione-umana-di-dio/ e https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/buddhismo/ (in particolare da fine di pagina 4 in poi). Anche se ovviamente l'argomento non è veramente approfondito, ma è in forma per così dire di "spunti"  ;) .
3) un'analisi filosofica del problema del male con la sola premessa (ossia senza caratterizzare come è avvenuto la Creazione, cosa è avvenuto dopo, come siamo arrivati qua ecc) "Dio è buono e ha creato il mondo" a causa del punto (1) non può arrivare ad una conclusione in un senso o nell'altro. Ovviamente se rigetti la validità di (1) (e di (2)) allora è chiaro che l'argomento della teodicea diventa molto più forte. Così come è altrettanto ovvio che se aumenti il numero di premesse il risultato è ben diverso.

Per quanto riguarda la frase enigmatica attribuita alla Weil (anche se non sono riuscito a trovare la fonte ancora) secondo cui "se non ci fosse il male non si parlerebbe di Dio" - io la interpreto così: noi vediamo il male come "male" perchè...ecc

(rispetto comunque il tuo punto di vista non fraintendermi)

P.S. Non so sgiombo se hai visto il film "Arrival", te lo consiglio. Tratta la difficoltà di comunicare e di interpretare linguaggi diversi da quello umano, quindi per certi versi mi pare in tema.
CitazioneA causa del punto 1, che però può essere creduto solo da un irrazionalista, per il quale può essere vero di tutto ***e*** di più contemporaneamente (dunque non da parte mia ...se non per quel che potrebbe ipotizzare un irrazionalista, quale non sono), non si può mai arrivare a una conclusione in alcun senso su niente (i nostri ragionamenti hanno un campo di validità limitato  su ogni e qualsiasi questione).

Anche che in un' argomentazione si possa aumentare ad libitum il numero di premesse, inserendone anche eventualmente di reciprocamente contraddittorie, cosicché il risultato sia ben diverso da quello inizialmente atteso (possa essere qualsiasi risultato e il contrario di qualsiasi risultato) può essere accattato solo da chi sia irrazionalista.

(Il rispetto dei punti di vista è ovviamente reciproco; come mi pare evidente anche da questo mio ultimo intervento).
#2369
Citazione di: Apeiron il 05 Ottobre 2017, 09:02:50 AM
Sgiombo, non era mia intenzione convertirti. La mia era solo un cercare di vedere il problema da un altro punto di vista.
Concordo con te che ovviamente andando di "misteri" alla fine si crede a tutto, questo il problema. Vedi tra l'altro il problema tra i credenti stessi. Ci sono vari modi e motivi per cui credere... e per cui non credere ::) non a caso per esempio alcuni prendono solo il significato letterale mentre la maggior parte no. Idem alcuni non credenti, non credono per le ragioni per cui non credono altri.
Ergo in fin dei conti: "La vita può educarci a credere in Dio...esperienze, pensieri - la vita può imporci quel concetto in noi" (Wittgenstein). D'altronde non tutti nella vita hanno le stesse esperienze, lo stesso condizionamento sociale ecc  ;)

CitazioneNemmeno io presumevo di convincere te, semplicemente giustapponevo la mia scelta razionalistica alla tua
#2370
Citazione di: Apeiron il 04 Ottobre 2017, 20:06:03 PM
Grazie Sari  ;) come interpretazione direi che anche io la vedo così. Chissà il buon Tagore a cosa stava pensando  ;D



D'altronde per il problema della teodicea in fin dei conti alla fine si arriva a cercare di smettere di chiedere "perchè?". Ma come la Weil curiosamente dice in un'altra domanda attribuita a lei: "chi parlerebbe di Dio se non ci fosse il male?"  ::)  vabbeh però in fin dei conti sto facendo come Giobbe. Meglio lasciar lavorare il vasaio ;D
CitazioneMa se per credere al vasaio si devono ammettere tante contraddizioni (dette "misteri"), allora personalmente, essendo razioanalista, preferisco credere che non c' é nessun vasaio.