La "certezza" è un valore intrinseco del diritto, che viene soddisfatto nei casi in cui al cittadino sia riconosciuta la possibilità di conoscere preventivamente la valutazione che il diritto darà delle sue azioni e situazioni concrete e di prevedere le conseguenze giuridiche che deriveranno dalla sua condotta.
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Sulla strada di tale "certezza", storicamente si sono fatti molti passi avanti, a cominciare da quello della "legge scritta"; ma fu un passo molto difficile e contrastato.
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In effetti, a parte qualche precedente orientale (vedi Hammurabi), soltanto nel VI-V secolo a.C. il mondo greco conobbe la legislazione scritta, e poco dopo anche quello romano con la legge delle "Dodici Tavole"; le quali furono pretese dai "plebei" nel quadro delle lotte tra "patrizi" e "plebei" che si ebbero all'inizio dell'epoca repubblicana.
Ed infatti, sino ad allora, il diritto era soltanto "tradizionale" ed "orale", ed era affidato all'arbitrio del collegio sacerdotale dei "pontefici"; il quale era composto esclusivamente da "patrizi".
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Tuttavia, per essere il più possibile "certo", il diritto, oltre ad essere "scritto", deve anche essere composto da norme "generali" e "astratte", "chiare" e "intellegibili"; le quali siano pubbliche e prive di lacune e antinomie.
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Pertanto, a scanso di equivoci, l'art.12 delle nostre "preleggi" sancisce quanto segue:
"Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i princìpi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato."
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L'art.14 delle nostre "preleggi", però, precisa che: "Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati".
Cioè, in tali ambiti, non è ammessa l'interpretazione "analogica".
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I citati articoli 12 e 14 delle preleggi risolvono importanti questioni relative alla interpretazione della "singola disposizione legge"; però, a volte, aiutano poco in un contesto normativo caratterizzato da una pluralità di fonti eterogenee poste a diversi livelli e non sempre secondo una gerarchia ben definita.
In tal caso, infatti, quello che deve essere risolto è il "combinato disposto" di varie normative.
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Ed anche riguardo alla interpretazione della "singola disposizione legge", non bisogna dimenticare che anche gli art.12 e 14 delle "Preleggi" sono delle "disposizioni di legge" come le altre; le quali, quindi, devono essere a loro volta interpretate.
Ad esempio, cosa significa la locuzione "intenzione del legislatore" di cui si parla nell'art.12?
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Essendo tale questione controversa, sono dovuti intervenire i giudici per "interpretare" la norma che disciplina le le "modalità di interpretazione" della legge.
Ed infatti, secondo la Cassazione: "per <<intenzione del legislatore">> si intende la <<volontà oggettiva>> della norma ("voluntas legis"), da tenersi distinta dalla <<volontà soggettiva>> dei singoli partecipanti al processo formativo di essa" (Cass Civ. Sez. III, sent. n. 3550 del 21-05-1988), e, in un'altra occasione: "La volontà emergente dai lavori preparatori non può sovrapporsi a quella obiettivamente espressa dalla legge, quale emerge dal suo dato letterale e logico" (Cass. civ. sez. I 27-02-1995, n. 2230).
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CONCLUSIONE
Poichè l'uomo è per sua natura "imperfetto", nessuna branca delle umane conoscenze può essere "perfetta"; nè lo sarà mai l'operato dell'umanità o dei singoli uomini .
Ed infatti:
- come due medici possono emettere diverse diagnosi, prognosi e terapie riguardo ad una stessa malattia, interpretandone in modo differente la sintomatologia e le modalità di cura;
- allo stesso modo, due giuristi possono formulare diverse interpretazioni riguardo ad una stessa normativa, interpretandone in modo differente il significato, la portata e l'ambito.
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Senza considerare che, essendo "scritta" e poi "votata" da esseri umani, a volte può benissimo capitare che la legge stessa sia stata scritta "male"; cioè, può risultare sintatticamente aberrante, poco comprensibile, ovvero ambigua e contraddittoria.
Ma questo non è colpa del "prodotto legislativo", bensì del "produttore"!
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Cioè:
- se un fornaio non sa fare bene il pane, la colpa non è del pane ma del fornaio;
- se un legislatore non sa fare bene le leggi, la colpa non è delle leggi, ma del legislatore.
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Senza considerare che, purtroppo, esistono anche delle leggi molto chiare e comprensibili, ma che sono state fatte "ad usum delphini", cioè per favorire questa o quella "lobby" economica e/o finanziaria, nazionale o internazionale; o, addirittura, per favorire gli interessi personali dello stesso legislatore (cosa avvenuta non di rado, specie in Italia).
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Intendiamoci, nessuno pretende che il legislatore sia:
- un Solone che sappia scrivere solo leggi perfette;
- un San Francesco che sappia scrivere solo leggi adamantine.
Si pretende solo che il legislatore abbia una minima conoscenza del diritto, e un minimo rispetto della decenza.
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Tuttavia, a parte tali aspetti "patologici", sotto il profilo "fisiologico", come ho già detto, è normale che, così come due medici possono emettere diverse diagnosi, prognosi e terapie riguardo ad una stessa malattia, interpretandone in modo differente la sintomatologia, allo stesso modo, due giuristi possono formulare diverse interpretazioni riguardo ad una stessa normativa, interpretandone in modo differente il significato.
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E' nella natura umana!
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