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Messaggi - Koba

#241
Tematiche Filosofiche / Re: Il concetto di verità.
28 Luglio 2024, 17:53:41 PM
Vera, insieme ad altre immagini, altrettanto vere, che colgono del labirinto altri aspetti. Per esempio la simmetria, se si trattasse del labirinto dell'Overlook Hotel di Shinning...
#242
Tematiche Filosofiche / Re: Il concetto di verità.
28 Luglio 2024, 17:38:18 PM
Se metti un cane e un essere umano in un labirinto, entrambi cercheranno di uscire.
Il cane probabilmente si affiderà alle tracce olfattive.
L'uomo invece per poter uscire dovrà astrarre da ciò che gli dicono i sensi, tenere conto di tutti i tentativi fatti fino a quel momento e costruirsi un'immagine panoramica del labirinto. Una mappa.
La mappa mentale è qualcosa che soltanto un altro essere umano comprenderà. Al cane non dirà nulla. Ma l'immagine, che magari il nostro uomo disegnerà nella sabbia, rimanda a come di fatto è costituito il labirinto.
Perché l'immagine che lo salverà non deve essere considerata vera?

Evidentemente se non intendi concedere che il nostro esploratore alla fine sia giunto alla verità del labirinto, allora vuol dire che intendi la verità come l'essenza eterna e oggettiva della cosa, la quale implicherebbe il punto di vista di Dio.
Ma visto che tale punto di vista non c'è, visto che la cosa in sé è un concetto aporetico, dal momento che il sapere comporta ineluttabilmente una relazione tra soggetto e oggetto, comporta la presenza di un osservatore, allora mi chiedo che senso ha non concedere che quell'immagine sia vera ma solo esatta?
#243
Tematiche Filosofiche / Re: Il concetto di verità.
28 Luglio 2024, 15:45:20 PM

Citazione di: Alberto Knox il 27 Luglio 2024, 21:11:29 PMla mia tesi l avevo già esposta in "immagina di essere una mosca" ed è la seguente:

La tesi è che la tua vita, il tuo tempo, il tuo spazio ..non sono determinazioni oggettive della realtà cui la nostra mente si adegua ma, al contrario, sono schemi mentali (kant le chiama appunto "forme a priori" ) che precedono, condizionano e strutturano ogni nostra percezione del mondo esterno.

per approfondire prendiamo lo spazio, noi sappiamo che c'è uno spazio intorno a noi, e lo consideriamo oggettivo e di fatti è oggettivabile ma se noi non avessimo nella nostra mente quella facoltà dell orientamento spaziale e dell ordinare spazialmente le cose , cosa sarebbe per noi lo spazio? immagino il caos. Ad esempio il disorientamento spaziale e temporale lo si può riscontrare nel morbo di parkinson o in quella che viene definita sindrome da neglicenza spaziale unilaterale.
La nostra esperienza del mondo è naturalmente diversa da quella di una mosca o di un bruco.
Ma a noi esseri umani è stato fatto un dono che va oltre l'esperienza del mondo, che è la conoscenza.
Tale conoscenza, essendo conoscenza umana, non può che essere espressa da segni linguistici e immagini umane. In questo senso è ovvio che la conoscenza sia relativa, relativa appunto ai caratteri della nostra specie.
Il punto però è questo: al di là della convenzionalità di specie dei nostri segni, le nostre immagini riescono a dar conto delle cose del mondo per come esse sono oppure no?
Per esempio sappiamo dalla biologia molecolare che le proteine riescono a svolgere la loro attività grazia alla loro forma tridimensionale. Questa nozione, qui espressa ineluttabilmente nei termini di una specie che vede il mondo in tre dimensioni etc., è vera? O dovremmo definirla piuttosto un'interpretazione?
O forse è discutibile e descrivibile come interpretazione solo l'aver separato l'attività complessiva della cellula nelle operazioni delle singole proteine, forse è questo a doversi assegnare alla relatività culturale di un paradigma, quello meccanicista, che avrebbe potuto anche non svilupparsi etc.?
#244
Tematiche Filosofiche / Re: Il concetto di verità.
26 Luglio 2024, 09:04:46 AM
Citazione di: Ipazia il 25 Luglio 2024, 17:32:33 PMLa questione non si supera contrapponendo due riduzionismi: scientismo e idealismo etico, ma prendendo atto che l'etica non può che germogliare dall'ethos, ovvero dalla rigorosa conoscenza etologica della nostra specie (evolutivamente determinata) e che essa non è un'automatica applicazione di riduzionismi fisicistici, ma realizzazione di progetti razionali sulla base di ciò che la natura rende possibile e desiderabile.
Quindi nessuna contrapposizione, ma sintesi dialettica tra necessità e libertà.
Ritengo impossibile per la filosofia costruire un discorso teoretico a priori, ignorando ciò che a priori c'è davvero: la natura.
Da non confondersi con la scienza tout court, su cui la filosofia esercita un controllo critico attraverso lo strumento epistemologico, superato il quale la filosofia non può non tenere conto del dato ontologico affluente dalle scienze naturali.
Sulle quali si innesta in modo razionale l'universo delle scienze umane, il nostro margine di libertà esistenziale ed etica, teorica e pratica.

Quando ci occupiamo di caso, necessità, libertà, divenire, tempo, etc., facciamo il tentativo di articolare un discorso propriamente filosofico, preliminare nel senso di generale e antecedente allo studio specifico delle diverse discipline.
Non è corretto dire che questo discorso sia a priori, perché ovviamente si basa anche sulla nostra esperienza del mondo.
E in esso, quando parliamo di natura, certo ciò che esprimiamo non è il risultato di qualche definizione distaccata dalla realtà, ma l'amalgama di riflessioni su ciò che di essa ha pensato la tradizione e ciò che è riuscito a catturare il nostro sguardo, la nostra esperienza specifica.
In questo senso intendevo dire che solo da una chiarificazione generale di tipo teoretico si può poi per esempio articolare un discorso etico che risulti essere "fondato", nel senso di più consapevole, di più profondo, diciamo così.
#245
Tematiche Filosofiche / Re: Il concetto di verità.
25 Luglio 2024, 08:46:21 AM
Citazione di: Ipazia il 24 Luglio 2024, 15:04:37 PMAbbiamo bisogno dei filosofi per tutte le cose (etica, estetica, politica, norma,...) che non trovano risposta nell'ambito delle scienze naturali. Wittgenstein l'ha esplicato benissimo nel Tractatus.
Mentre le scienze naturali si occupano di tutto ciò che è a priori delle nostre concettualizzazioni e classificazioni. Ovvero il mondo, gli stati di fatto. Con i loro criteri oggettivi (fino a prova contraria"), di verità.

In questo modo ci si condanna a rimanere bloccati per via di due forze contrarie: da una parte la spinta anti-filosofica (a volte inconsapevole) che ritiene che il reale sia conoscibile solo dalla scienza, dall'altra l'esigenza drammatica del nostro tempo di dare risposte alla questione dell'etica.
Se accettiamo che la verità sia sostanzialmente declinata dalla scienza, anche se poi dichiariamo l'importanza del mondo dello spirito umano, su che cosa si potrà mai basare l'etica?
Su una specie di sintesi delle informazioni fisico-biologiche della specie umana?

No, la filosofia ha il compito di costruire un discorso teoretico preliminare, un discorso di filosofia prima o metafisica se volete, in cui si tenti di chiarire la struttura originaria delle cose, da cui poi fondare un'etica, una politica, un'estetica, e via dicendo.

Ma senza questo tentativo, che ovviamente non dovrà essere né reazionario (nel senso di un recupero a-problematico della tradizione metafisica in una delle sue versioni), né superficiale (nel senso di non volersi confrontare sul serio con la tradizione filosofica decidendo fin dall'inizio che certe ontologie non hanno senso e via dicendo), senza questo tentativo, dicevo, si rimarrà al livello della sola espressione dell'esigenza di avere "un'etica al livello della scienza".
#246
Tematiche Filosofiche / Re: Il concetto di verità.
24 Luglio 2024, 09:28:42 AM
Il mio precedente post voleva essere un invito a non perdere tempo in bizzarre elucubrazioni.
Il relativismo filosofico ha l'importante compito di spiegare un fatto: la differenza qualitativa del sapere, la differenza tra doxa ed episteme.
Per esempio: sull'arte della lavorazione dei metalli il fabbro e l'ingegnere ne sanno infinitamente più di me. Se io decidessi di recuperare terreno studiando la tradizione alchemica arriverei sì ad un sapere, ma tale sapere sarebbe sempre inferiore al loro, non solo dal punto di vista dell'efficacia.
Mi verrebbe da dire che il loro sapere è più adeguato all'oggetto, ma dal punto di vista del relativismo, non si può né accettare l'ontologia tradizionale dell'identità dell'oggetto come essenza o forma "interna", che le mie rappresentazioni ed i miei esperimenti vorrebbero gradualmente catturare, né ovviamente il realismo gnoseologico, legato a tale struttura metafisica.
Quindi, come spiegare questi gradi differenti di conoscenza?
Le aporie a cui si va incontro parlando di convenzioni, abitudini, cioè riprendendo in generale un approccio di sociologia della conoscenza, alla fine non si riescono a sciogliere. Non le si può semplicemente dimenticare. Pena: il ritorno regressivo ad ambigue epistemologie un po' kantiane, un po' realiste, etc., che però cozzano completamente con l'impostazione teoretica che vorrebbe essere post-metafisica.
Penso sia su questo che il relativismo serio, realmente filosofico (non quel soggettivismo superficiale), si debba concentrare.
#247
Tematiche Filosofiche / Re: Il concetto di verità.
23 Luglio 2024, 08:56:10 AM
Non penso che nessuno creda realmente che le cose siano "create" dal nostro pensiero.
La materialità delle cose, la fisicità, la durezza, etc., indipendentemente da come le definisco, sono fattori che appartengono alla cosa che sta di fronte a me. Questo è ovvio e non ci sarebbe nemmeno bisogno di ripeterlo.
Questi fattori possono però essere descritti in vari modi.
La scelta dei modi però non è soggettiva. Non è una convenzione.
Se così fosse non ci sarebbe differenza tra doxa ed episteme, cosa che arresterebbe all'improvviso la nostra intera civiltà, essendo essa basata su scelte, operazioni, più pregnanti di altre.
Si può decidere in modo ingenuo di tracciare una riga sul termine verità, poi però bisogna industriarsi per trovare un sinonimo che renda giustizia al fatto che la conoscenza complessiva dei singoli aspetti che la cosa manifesta è superiore a convenzioni immaginate.
Del resto se si asserisce che la realtà si forma dall'interazione tra oggetto e soggetto, non si può poi dimenticare di ciò che viene dall'oggetto.
Se l'oggetto non si nasconde, se l'oggetto si offre al soggetto, se si manifesta, allora ciò che dona, per quanto filtrato dalla nostra particolarità di specie e di singoli, deve evidentemente svolgere un ruolo nella costruzione della conoscenza.
Il fatto che non si possa arrivare mai ad un'essenza definitiva dell'oggetto, che l'identità dell'oggetto sia la sintesi degli infiniti modi di relazionarsi con esso, non implica affatto che tale identità dipenda solo dal soggetto e dalla sua immaginazione nel dare i nomi alle cose.
#248
Tematiche Filosofiche / Re: Il concetto di verità.
21 Luglio 2024, 11:08:45 AM
Il brano di Maral è solo in parte corretto.
In Platone e Aristotele la verità della cosa è cercata al di là di ciò che appare, al di là delle sue manifestazioni.
Che la cristianità latina abbia tradito la filosofia classica greca e preparato le "oscure" manipolazioni della scienza è tutto da dimostrare. Anzi, direi che è un pregiudizio che come tale rimane indimostrabile.
Ma a parte questo, non capisco Iano le tue osservazioni successive.
Anche se ci convinciamo che la cosa in sé non esiste, che non c'è alcuna essenza nascosta della cosa, la cosa, nel suo disvelarsi, si manifesta ad un soggetto.
Il quale a sua volta, non essendo più un soggetto trascendentale puro, ma, esattamente come l'oggetto, essendo privo di un fondamento, essendo il suo essere riportato alle sue manifestazioni, quindi un Io "traballante" e sempre affetto da perturbazioni imprevedibili, si relazione alla cosa con impegno e fatica, dando vita così al processo infinito della conoscenza che è cattura impossibile dell'immagine vera della cosa.
#249
Tematiche Filosofiche / Re: Il concetto di verità.
20 Luglio 2024, 17:18:03 PM
La verità è sempre verità della cosa a cui rivolgiamo l'attenzione.
In alcuni casi la cosa a cui siamo interessati è il tutto, il cosmo, ma per quanto smisurato sia l'oggetto in questione, si tratta pur sempre di un qualcosa.
Non ha senso cioè parlare di verità in generale.
Naturalmente è sempre possibile fare un discorso meta-teorico sull'accezione di verità, come fa Heidegger nei suoi saggi dedicati alla differenza tra verità come adaequatio e aletheia.
Quando invece nel Vangelo si asserisce che è Cristo ad essere la verità, s'intende semplicemente che l'immagine di Cristo, espressa in quei testi, racchiude la verità etica e metafisica dell'uomo. Il suo autentico ethos, la sua essenza, la sua provenienza (Dio) e il suo destino (l'Inferno).

Della cosa che ci interessa determinare la verità, abbiamo tante sue manifestazioni. Il punto è capire se la verità della cosa è ciò che appare, è l'insieme delle sue manifestazioni, oppure è qualcosa di nascosto, un'essenza interna.
La tradizione occidentale ha sempre cercato di trovare un fondamento sostanziale all'apparire fenomenico. Come a voler salvare la cosa dalla contingenza.
Ma come dice Feynman "quello che al nostro occhio miope sembra immobile è una danza selvaggia".

La cosa non può essere determinata in modo sostanziale e definitivo per due ragioni.
Primo, ogni sguardo specifico rivolto ad un aspetto della cosa esclude gli altri. Posso sì approfondire un lato della cosa, con enorme precisione, ma ciò finisce per oscurare tutti gli altri.
Secondo, l'ente si dà solo nella relazione con l'Io dell'osservatore.
E ciò rimette il prospettivismo di Nietzsche nella sua più interessante ottica, in affinità cioè con l'epistemologia di fine ottocento e con le successive scoperte della fisica novecentesca, quindi ben al di là del relativismo alla Protagora.
#250
A me sembra invece che la scienza moderna cerchi le leggi generale, andando quindi al di là dell'apparenza. Mentre un certo collezionismo pseudo-scientifico, che parte dall'idea della natura come risolta, chiara, quando così non lo è mai per i veri scienziati, è tentata a farsi ontologia definitiva del creato.
#251
Mi interessava fare un commento sulla ricerca spirituale in generale, in relazione alla filosofia e al bisogno di attaccarsi a ipotesi trascendenti ardite (diciamo così), esprimendo un'idea non negativa di queste decisioni prese anche in assenza di qualsivoglia prova empirica.
#252
Citazione di: bobmax il 04 Luglio 2024, 06:44:40 AML'ontologia consiste nell'illusione di studiare l'essere attraverso categorie.
Mentre le categorie si riferiscono sempre all'esistere, mai all'essere.
L'ontologia è perciò in realtà sempre e soltanto una sistemazione della interpretazione di ciò che esiste. Mai di ciò che è.
L'ontologia è analisi dell'esistente che procede, in quanto analisi, tramite distinzioni.
Per comprendere occorre infatti separare per poi relazionare.
La separazione è indispensabile per dare un senso alla esistenza.
Perché solo sulla base della separazione è possibile poi valutare le eventuali relazioni.
Ma se questo approccio, fondamentale per il pensiero razionale, viene poi inteso come ontologia, ossia studio dell'essere, ecco che siamo perduti lungo il sentiero della notte.
Ben altra è la strada della ricerca dell'Essere.
Che non consiste nell'analisi, nella separazione, cioè nell'avanzare nell'esistente. Si tratta invece di fare un passo indietro e ascoltare.
È l'apertura che è richiesta.
Non il possesso, ma l'accettazione.
Perciò non l'ontologia, ma la periecontologia (Jaspers), che è apertura all'Essere
L'Essere, così come accennato da te, sembra un Dio sconosciuto che non può essere mai raggiunto, definito, ma solo contemplato.
Nell'ontologia l'essenza, la forma, di una cosa singola, trascende la sua esistenza.
La metafisica non mi sembra ossessionata dalla classificazione della realtà. È la scienza, nella sua versione più ingenua, che mira a catalogare le cose del mondo e che è convinta che tutto il reale sia ciò che appare (per cui non so se Heidegger, che parte da questa idea, quella della nozione di Essere ridotto a pura presenza, e quindi alla questione della dimenticanza dell'Essere etc., non pensava forse a una generica metafisica degenerata prodotta dal positivismo, piuttosto che alla metafisica classica).
#253
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 08 Luglio 2024, 06:32:32 AM
Grazie per la risposta "filosofica". Vorrei sapere: si tratta di tua esperienza personale o lo hai letto da qualche parte? Se sì, dove? In questo post io sto esponendo i miei progressi nel campo della conoscenza di me stesso, sto raccontando, passo dopo passo, tutto ciò che mi accade, con lo stesso stupore di un bambino di fronte ad ogni scoperta che un adulto ha fatto a suo tempo, ma forse non se ne ricorda. Io credo, giovedì scorso, di aver messo un altro mattone, nella costruzione della mia esistenza, anche di quella che oggi non ricordo, ma che sicuramente è esistita. Se quella non lo fosse, non lo sarebbe nemmeno la mia attuale vita.

Penso che ogni possibilità debba essere indagata, ogni mondo possibile esplorato.
È la filosofia che ci può rendere liberi per queste avventure, perché essendo animata dal dubbio, sempre, riesce a scovare le false certezze che ci imprigionerebbero in concezioni ideologiche della realtà.
Nello stesso tempo però, appunto in quanto essenzialmente animata dal dubbio, non ci permette di assestarci su posizioni che vorremmo provare a credere, almeno per un po', come evidenti, certe.
Qui poi si apre la possibilità di una decisione: di radicarci in una specifica possibilità, anche se essa, come tutte le altre, non ha fondamento.
Qualcosa del genere è il senso della fede in Pascal. La filosofia moderna, dubitando, fa a pezzi una tradizione, la cui fondatezza è ormai irrecuperabile, e però l'angoscia che ne deriva nello stesso tempo spinge proprio per una scelta "assurda", quella appunto della fede in Cristo.
Così ora non si diventa più cristiani per la ragionevolezza delle prove del disegno di Dio, ma paradossalmente a seguito dei paurosi sentimenti scatenati da un mondo che si perde negli abissi del tempo e dello spazio.
Prima, quando ci sentivamo al centro del cosmo, noi creature predilette, eravamo come costretti ad amare Dio (il dovere di amare Dio...).
Ora invece il nostro amore per Dio (o per qualcosa di analogo) è una decisione, la cui sensatezza e intelligenza può essere determinata solo dal singolo che se ne fa carico.
#254
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 04 Luglio 2024, 15:39:29 PM
Buongiorno, oggi è una data molto importante per la mia evoluzione spirituale: questa mattina una canalizzatrice ha aperto i miei registri akashici [...]


Per conoscere realmente una singola cosa non basta dire che quella cosa che abbiamo di fronte è X, oppure che ha certe caratteristiche etc.
Questo tipo di conoscenza, che si basa sulla differenza, sulla separazione, cioè che sradicata la cosa dal tutto per assegnarle delle determinazioni, è un sapere superficiale. È doxa, opinione. Che naturalmente svolge una funzione pragmatica nella vita degli umani. Ma tale rimane.
Per conoscere una cosa è ineludibile incamminarsi nel Tutto, cioè seguire le infinite connessioni della cosa singola con il Tutto.
Noi, gli essenti che chiamiamo "umani", non facciamo eccezione. Conoscere se stessi significa seguire le infinite relazioni che ci legano a tutte le altre cose, al Tutto.
In quanto essenti, come tutte le cose del mondo, veniamo da un Origine, e in essa siamo destinati a tornare.
Pensare che io, l'essente Koba, sia destinato al dissolvimento, alla morte, significa rimanere nella doxa, nel sapere superficiale, nella semplificazione, perché Koba non è solo "uomo", "mortale", "cittadino", non è una di queste semplici determinazioni, ma un'infinità di connessioni con la natura nelle sue infinite espressioni.
Ma l'Origine, la Sorgente, la Destinazione, non possono essere attinte dalla vera conoscenza, rimangono sullo sfondo del pensiero. Questo limite è invalicabile e va quindi accettato.
L'immaginazione, volendo varcare questi limite, ci riporta, malgrado i suoi buoni propositi, alla doxa, al pensiero che manca di saggezza, che manca di visione filosofica, e infatti si metterà a raccontare di vite singole, di destini privati, e rimarrà quella sensazione di invenzione interessata.
#255
Tematiche Filosofiche / Re: Le radici della guerra
23 Giugno 2024, 15:44:00 PM
Citazione di: bobmax il 23 Giugno 2024, 14:32:41 PMLa fede nella Verità può essere messa a dura prova quando si tratta di affrontare il male.
La Verità può essere il Male?
Non vi è nulla che mi possa rassicurare che la Verità è senz'altro il Bene.
Se non... me stesso.
Solo io, in perfetta solitudine, posso affermare: "Il Bene è!"
La Verità è il Bene!
La guerra è un male, tra i tanti, che sfida questa mia fede.
Non vi è proprio lì, indubitabilmente, il male?
Se perciò mi ingannassi?
Se la mia fede non fosse che una pia illusione?
Cosa devo fare per confermare a me stesso, nonostante tutto, di essere invece comunque nel giusto?
Devo approfondire la mia ricerca della Verità.
Anche a costo di sprofondare vieppiù nell'orrore.
Perché se in aggiunta il libero arbitrio individuale non esiste, questo male, questa guerra, assumono una colorazione ancor più orrenda.
Ma è davvero così?
O non è invece che proprio qui incomincio a percepire una luce, pur flebile, in fondo al tunnel del male...?
Se il libero arbitrio non esiste, se siamo tutti condizionati a fare ciò che facciamo, allora la verità del mondo è la necessità. Non è il bene, ma la necessità.
Quindi se sono partito dall'idea che la verità sia il bene (come atto di fede, senza sapere però se poi questa fede ha un suo correlato reale), preso atto del fatto che il libero arbitrio non esiste, mi vedo costretto a rettificare il convincimento iniziale e a concludere che la verità, la vera struttura del reale, è la necessità.
Dopodiché mi chiedo: la necessità è un bene, è il bene che intuivo all'inizio?
Che forse il male che vedo così diffuso è solo un male dalla prospettiva di una creatura particolare, quindi solo un'illusione?
Certamente ciò che per me è male per altri "giocatori" può essere positivo, questo può accadere, è un dato di fatto.
Ma il punto secondo me è come possiamo vedere il tutto, la necessità del tutto: per ciò che sappiamo della natura, del mondo, e della storia, quindi dal punto di vista del sapere, il tutto non ci può più apparire come un tutto razionale e organico, ma solo come caos e indeterminazione.
Restiamo condizionati, senza libertà, ma ad ogni causa non segue sempre un effetto "coerente" ma spesso un effetto smisurato e incomprensibile, che produce disastri esponenziali.
La necessità del tutto non è la necessità delle filosofie antiche, impersonale ma pur sempre impregnata di logos, ma una necessità schizofrenica e apocalittica.