Rispondo in modo abbozzato alle precedenti osservazioni di Sgiombo. Mettendo qualche titolo qua e là per cercare di rendere l'ammasso un po' più leggibile a tutti.
1-TAVOLI E SENSAZIONI
La sensazione per l'essere umano non significa altro che il presentarsi di una domanda: "C'è qualcosa, che cosa è?" E questo è già un significato: ogni sensazione significa precisamente questo.
Il falegname che ha fatto il tavolo della tua sala da pranzo, sapeva benissimo il significato di quello che faceva e perché lo andava fare e il suo fare aveva per lui un significato che richiedeva una risposta condivisa da altri soggetti sempre nell'ambito dei significati: "questo è un tavolo ben fatto", di modo che il suo progetto si realizzasse come un ulteriore significato (questo tavolo significa qualcosa di utile che mi dà da vivere) in cui convenire pubblicamente. Tutto questo è nel mondo delle parole (la nostra vita stessa è nel mondo delle parole e dunque dei significati), non delle cose e io non confondo le cose con le parole, proprio per questo so che "tavolo" è una parola e non una cosa, ma so anche che ogni cosa richiede la parola, un nome che le dà significato di modo da poter apparire chiamandola. In quel nome che però non è e non sarà mai, la cosa è sempre chiamata a partire dalla sensazione che significa "C'è qualcosa, che cosa è?"
2- LE VERITA' E LE SCIENZE
Non ci sono verità tra loro maggiori e minori, semplicemente perché noi ci troviamo sempre nel senso tra noi comune di una sola di queste verità (e questo è il punto fondamentale, per il quale non è possibile nessun "chissenefrega", perché è da qui che si istituisce la prospettiva a cui ci affidiamo). E' da questa verità comune che culturalmente condividiamo che andiamo a misurare tutte le altre e la prendiamo come unità di misura per tutte, il nostro punto di osservazione è sempre al centro ogni volta che giudichiamo del vero o del falso, che lo si voglia o no è il pregiudizio a noi comune. E certo che la scienza istituisce un punto assolutamente centrale in una particolare forma del pensare umano che vuole valere per l'universo intero e poi verifica secondo le condizioni poste da questo stesso modo di pensare che non si verifica, ma è il metro pregiudiziale per ogni verifica. Noi partiamo da questo centro, dove stiamo noi anche quando diciamo che l'universo è infinito e non ha centro, perché qui è centrata la prospettiva del mondo, ma da qui possiamo però riconoscere che ogni prospettiva del mondo è un centro ed è vera nell'ambito della prospettiva da cui è prodotta. Per ogni centro si mostra una verità diversa, quindi la irriducibile pluralità delle verità, tutte fra loro diverse che si rispecchiano e rimandano reciprocamente, tutte in qualche misura in errore, quindi anche la nostra, quindi anche quella scientifica, ma ognuna in errore in modo diverso.
Non ha nessun senso dire che la medicina scientifica è oggettivamente e in assoluto la più vera pratica di cura rispetto a ogni altra mai praticata. E' la più vera per chi abita in questa prospettiva del mondo istituita da un certo modo di fare le cose, di dirle, di pensarle, di utilizzare certi strumenti cognitivi (e questa prospettiva ormai è ovunque nel senso comune di riferimento, anche se, come sempre, ripresenta a se stessa le proprie dirompenti contraddizioni). La nostra prospettiva non ha migliorato per nulla la vita di chi non conosceva o ancora non conosce questa prospettiva di esistenza, questo contesto in cui risulta utile e vera, ma diventa indispensabile quando instaura il suo doversi adeguare ad essa. Il fatto è piuttosto che questa prospettiva è la più potente, non perché è più vera (la potenza non ha nulla a che fare con la verità), ma perché è quella che meglio riesce a illudere chi la adotta di un controllo assoluto sul reale, essa trasforma il reale in un mosaico di tessere, lo smembra con un pensiero analitico che fa a pezzi la realtà. Il problema è che questo stesso pensiero analitico, proprio come una macchina impazzita, si perde sempre di più nei suoi pezzi e viene smembrato dal suo medesimo procedere.
3- IL SENSO COMUNE E LA REALTA'
Il senso comune è davvero matrice ed espressione dell'intera conoscenza umana, qualsiasi cosa si dica e comunque la si dica riferisce ad esso, ma il senso comune non è né semplicemente definito, né definitivo, è invece una pluralità di sensi che nella storia umana si presenta continuamente in modo diverso: rilegge se stesso, si capovolge e cambia di significati, ritorna sui propri resti e sulle proprie tracce fissate in memoria, ne produce di nuovi che poi re-ingloba e dimentica mutando continuamente i significati per quanto li si voglia fissare con linguaggi astrattamente oggettivi. E' un magma sempre in movimento da cui esalano astrazioni, definizioni, sogni, immagini di grande potenza, scienze, filosofie, miti, superstizioni che continuamente si intrecciano nel loro significare, ossia nel fare segno della cosa per poter dire che cosa è senza mai poterla dire, proprio perché è necessario dirla e dirla di nuovo diversamente, perché è la cosa stessa a chiedere il suo nome che non è la cosa.
E per questo motivo nessun senso particolare è più fondato di un altro, nessuna conoscenza che può solo essere parziale, ma ogni conoscenza è fondata e vera nel contesto di pratiche in cui è prodotta, quando non è fondata si disintegra con grande angoscia di chi vi faceva affidamento. Lo stiamo vivendo oggi, è la nostra catastrofe, che è catastrofe di segni e significati, è catastrofe della nostra conoscenza, non della "realtà".
Sì, la realtà è una sola, ma conoscere non è predicare ciò che realmente accade, perché ciò che si dice che realmente accade è ancora un predicato, non la realtà in-predicata. E ogni predicare, proprio perché predica, è sempre contraddittorio, ha comunque in sé ciò che lo contraddice, il proprio "non (essere così)". Vale anche per quello che sto dicendo, che non è altro che un dire, come non è altro che un dire il tuo che mi contraddice, come non è altro che un dire quello che dice la scienza, ogni filosofia, ogni religione, senza che nessuna di queste forme di conoscenza abbia uno statuto privilegiato di verità rispetto alle altre, perché ognuna presenta la propria verità e il proprio errore cercando di dire meglio che può.
Anche le "componenti materiali" sono un dire, un voler significare. La realtà non ha né componenti materiali né spirituali che sono solo predicati, non conosce né soggetto né oggetto né relazione tra questi, ma continuamente li genera come significati e nomi da poter un po' trattenere qualcosa, dei resti da condividere su cui fissare dei punti di orientamento.
4- TOLLERANZA E ONNISCIENZA
Anche se nessuna verità può coincidere con la realtà, poiché riguarda il suo significato e non il suo essere, pur tuttavia ogni verità è reale parte della realtà e quindi non può essere scelta come si vuole (nessuna), essa è ciò a partire dalla quale riusciamo a riconoscerci e quindi umanamente a vivere. Non possiamo rinunciarvi, ma proporla agli altri, affinché negli altri ci si possa riconoscere (e non c'è altro modo di conoscersi se non negli altri, per questo non può esserci alcuna coscienza unica e assoluta che non ha altro da sé, qualcosa che le rimandi l'immagine di se stessa).
La fondatezza vera delle nostre convinzioni e conoscenze la si può misurare solo negli effetti che producono nell'ambito culturale che li produce, non certo in generale, non certo nell'universo mondo e per tutti, pipistrelli compresi. Il problema sorge invece quando due culture si incontrano, ma questo è un discorso da affrontare a parte.
1-TAVOLI E SENSAZIONI
La sensazione per l'essere umano non significa altro che il presentarsi di una domanda: "C'è qualcosa, che cosa è?" E questo è già un significato: ogni sensazione significa precisamente questo.
Il falegname che ha fatto il tavolo della tua sala da pranzo, sapeva benissimo il significato di quello che faceva e perché lo andava fare e il suo fare aveva per lui un significato che richiedeva una risposta condivisa da altri soggetti sempre nell'ambito dei significati: "questo è un tavolo ben fatto", di modo che il suo progetto si realizzasse come un ulteriore significato (questo tavolo significa qualcosa di utile che mi dà da vivere) in cui convenire pubblicamente. Tutto questo è nel mondo delle parole (la nostra vita stessa è nel mondo delle parole e dunque dei significati), non delle cose e io non confondo le cose con le parole, proprio per questo so che "tavolo" è una parola e non una cosa, ma so anche che ogni cosa richiede la parola, un nome che le dà significato di modo da poter apparire chiamandola. In quel nome che però non è e non sarà mai, la cosa è sempre chiamata a partire dalla sensazione che significa "C'è qualcosa, che cosa è?"
2- LE VERITA' E LE SCIENZE
Non ci sono verità tra loro maggiori e minori, semplicemente perché noi ci troviamo sempre nel senso tra noi comune di una sola di queste verità (e questo è il punto fondamentale, per il quale non è possibile nessun "chissenefrega", perché è da qui che si istituisce la prospettiva a cui ci affidiamo). E' da questa verità comune che culturalmente condividiamo che andiamo a misurare tutte le altre e la prendiamo come unità di misura per tutte, il nostro punto di osservazione è sempre al centro ogni volta che giudichiamo del vero o del falso, che lo si voglia o no è il pregiudizio a noi comune. E certo che la scienza istituisce un punto assolutamente centrale in una particolare forma del pensare umano che vuole valere per l'universo intero e poi verifica secondo le condizioni poste da questo stesso modo di pensare che non si verifica, ma è il metro pregiudiziale per ogni verifica. Noi partiamo da questo centro, dove stiamo noi anche quando diciamo che l'universo è infinito e non ha centro, perché qui è centrata la prospettiva del mondo, ma da qui possiamo però riconoscere che ogni prospettiva del mondo è un centro ed è vera nell'ambito della prospettiva da cui è prodotta. Per ogni centro si mostra una verità diversa, quindi la irriducibile pluralità delle verità, tutte fra loro diverse che si rispecchiano e rimandano reciprocamente, tutte in qualche misura in errore, quindi anche la nostra, quindi anche quella scientifica, ma ognuna in errore in modo diverso.
Non ha nessun senso dire che la medicina scientifica è oggettivamente e in assoluto la più vera pratica di cura rispetto a ogni altra mai praticata. E' la più vera per chi abita in questa prospettiva del mondo istituita da un certo modo di fare le cose, di dirle, di pensarle, di utilizzare certi strumenti cognitivi (e questa prospettiva ormai è ovunque nel senso comune di riferimento, anche se, come sempre, ripresenta a se stessa le proprie dirompenti contraddizioni). La nostra prospettiva non ha migliorato per nulla la vita di chi non conosceva o ancora non conosce questa prospettiva di esistenza, questo contesto in cui risulta utile e vera, ma diventa indispensabile quando instaura il suo doversi adeguare ad essa. Il fatto è piuttosto che questa prospettiva è la più potente, non perché è più vera (la potenza non ha nulla a che fare con la verità), ma perché è quella che meglio riesce a illudere chi la adotta di un controllo assoluto sul reale, essa trasforma il reale in un mosaico di tessere, lo smembra con un pensiero analitico che fa a pezzi la realtà. Il problema è che questo stesso pensiero analitico, proprio come una macchina impazzita, si perde sempre di più nei suoi pezzi e viene smembrato dal suo medesimo procedere.
Citazioneperché non fondare una cultura che affermi l' immortalità umana con la stessa validità e verità (secondo le tue pretese) delle teorie scientifiche (efficaci, che curano efficacemente esattamente come affermano di fare -cioè non in assoluto, non infallibilmente- tantissime malattie)?Mi sembra chiaro a questo punto: è impossibile in quanto non siamo noi a decidere di fondare culture, noi ne siamo i prodotti e non i fondatori e in questo esserne prodotti troviamo verità che poi contribuiamo a cambiare. Non siamo noi gli autori dei nostri pensieri, non li scegliamo noi.
CitazioneMa la scienza (le scienze naturali), astrattamente intesa, si pone (di fatto, se e quando correttamente praticata, tende a porsi) di fronte al mondo in maniera avalutativa, ha per scopo il cercare ciò che é/accade realmente e non ciò che è bene che sia/accada realmente.No, questo è il trucco, ormai svelato da molto tempo. La scienza parte sempre da una prevalutazione dei dati, quindi non si pone per nulla di fronte al mondo in maniera avalutativa, ma al contrario comincia sempre con una valutazione dei dati da considerare in base a presupposti procedurali prefissati che sono dati e accettati prima di qualsiasi altro dato. Chiunque pratica la scienza, soprattutto se "dura", quantificata e oggettiva, fa sempre valutazioni a priori, anche se poi rimuove questo fatto.
3- IL SENSO COMUNE E LA REALTA'
Il senso comune è davvero matrice ed espressione dell'intera conoscenza umana, qualsiasi cosa si dica e comunque la si dica riferisce ad esso, ma il senso comune non è né semplicemente definito, né definitivo, è invece una pluralità di sensi che nella storia umana si presenta continuamente in modo diverso: rilegge se stesso, si capovolge e cambia di significati, ritorna sui propri resti e sulle proprie tracce fissate in memoria, ne produce di nuovi che poi re-ingloba e dimentica mutando continuamente i significati per quanto li si voglia fissare con linguaggi astrattamente oggettivi. E' un magma sempre in movimento da cui esalano astrazioni, definizioni, sogni, immagini di grande potenza, scienze, filosofie, miti, superstizioni che continuamente si intrecciano nel loro significare, ossia nel fare segno della cosa per poter dire che cosa è senza mai poterla dire, proprio perché è necessario dirla e dirla di nuovo diversamente, perché è la cosa stessa a chiedere il suo nome che non è la cosa.
E per questo motivo nessun senso particolare è più fondato di un altro, nessuna conoscenza che può solo essere parziale, ma ogni conoscenza è fondata e vera nel contesto di pratiche in cui è prodotta, quando non è fondata si disintegra con grande angoscia di chi vi faceva affidamento. Lo stiamo vivendo oggi, è la nostra catastrofe, che è catastrofe di segni e significati, è catastrofe della nostra conoscenza, non della "realtà".
Sì, la realtà è una sola, ma conoscere non è predicare ciò che realmente accade, perché ciò che si dice che realmente accade è ancora un predicato, non la realtà in-predicata. E ogni predicare, proprio perché predica, è sempre contraddittorio, ha comunque in sé ciò che lo contraddice, il proprio "non (essere così)". Vale anche per quello che sto dicendo, che non è altro che un dire, come non è altro che un dire il tuo che mi contraddice, come non è altro che un dire quello che dice la scienza, ogni filosofia, ogni religione, senza che nessuna di queste forme di conoscenza abbia uno statuto privilegiato di verità rispetto alle altre, perché ognuna presenta la propria verità e il proprio errore cercando di dire meglio che può.
Anche le "componenti materiali" sono un dire, un voler significare. La realtà non ha né componenti materiali né spirituali che sono solo predicati, non conosce né soggetto né oggetto né relazione tra questi, ma continuamente li genera come significati e nomi da poter un po' trattenere qualcosa, dei resti da condividere su cui fissare dei punti di orientamento.
4- TOLLERANZA E ONNISCIENZA
CitazioneScusa eh, ma a parte la reiterazione veramente fastidiosissima (al limite dell' offensivo) della Verità con l' iniziale maiuscola riferita del tutto indebitamente a me, qui cadi nella stessa fallacia di Angelo Cannata consistente nell' identificare del tutto indebitamente "convinzione ritenuta certa" con intolleranza delle convinzioni altrui" e "indifferenza" con "tolleranza"!No, ogni contesto genera del tutto lecitamente delle convinzioni certe e deve farlo, non si può essere né indifferenti alla verità, anche se si sa che in qualche misura è sempre in errore, né comunque tolleranti. Perché è solo in questa nostra prospettiva relativa che noi viviamo che troviamo senso, non certo nella "realtà" assoluta, quindi si tratta di difendere quello che siamo, quello in cui possiamo vivere propriamente noi stessi.
Anche se nessuna verità può coincidere con la realtà, poiché riguarda il suo significato e non il suo essere, pur tuttavia ogni verità è reale parte della realtà e quindi non può essere scelta come si vuole (nessuna), essa è ciò a partire dalla quale riusciamo a riconoscerci e quindi umanamente a vivere. Non possiamo rinunciarvi, ma proporla agli altri, affinché negli altri ci si possa riconoscere (e non c'è altro modo di conoscersi se non negli altri, per questo non può esserci alcuna coscienza unica e assoluta che non ha altro da sé, qualcosa che le rimandi l'immagine di se stessa).
La fondatezza vera delle nostre convinzioni e conoscenze la si può misurare solo negli effetti che producono nell'ambito culturale che li produce, non certo in generale, non certo nell'universo mondo e per tutti, pipistrelli compresi. Il problema sorge invece quando due culture si incontrano, ma questo è un discorso da affrontare a parte.
CitazioneBeh, se invece di filosofia, come mi era sempre parso, intendi discutere di religione, la cosa non mi interessa (più).Parlavo di Dio filosoficamente, non certo religiosamente. Il Dio onnisciente è un Dio che gode la panoramica trascendente su tutto l'universo, quindi deve essere fuori da esso e infatti lo crea dal nulla e così lo conosce. Credo che il tecnico scienziato (ma non solo, anche un certo tipo di filosofi), abbia inconsciamente ereditato dalla religione questa immagine così suggestiva. D'altro canto è più allettante cercare di assomigliare a Dio che a un pipistrello, soprattutto dopo che la scienza spiega cosa sono "oggettivamente" i pipistrelli mostrandoci che solo dei selvaggi o dei matti possono vederci degli Dei.
E comunque non mi pare che quel Dio (se è quello cui credo tu alluda), per il fatto di non essere di questo mondo, abbia mai negato di poterlo conoscere.
Moltissimi teologi che vanno per la maggiore gli attribuiscono anzi l' "onniscienza"!
Sempre se ho inteso bene a quale Dio alluda (ma a me risulta un solo Dio che abbia affermato che il suo regno -e dunque anche lui in esso- non è di questo mondo).