Ciao @sgiombo,
Da quanto ho capito io, il discorso è meno complesso. In pratica, per fare un esempio pensa ai colori. Il "colore" è una proprietà di oggetti esterni alla coscienza o, invece, sono contenuti mentali che caratterizzano l'esperienza cosciente? Se rispondi che i colori sono proprietà di oggetti esterni, non puoi giustificare il "salto" logico dovuto all'applicazione del principio di causa (o di altra spiegazione) per oggetti fuori dalla nostra esperienza - ovvero, a rigore, non puoi sapere che la tua percezione di colore è dovuto a "qualcosa di esterno". Se rispondi che i colori sono solamente contenuti mentali, invece, cadi in una sorta di "solipsismo" (anche perché, l'esempio dei colori si può estendere a tutta l'esperienza!).
Stranamente (dico "stranamente" perché ad entrambi piacciono filosofi come Kant, Berkeley, Hume
), ritengo invece che noi possiamo in realtà utilizzare il rapporto di causa-effetto e anche le osservazioni quantitive alle sensazioni. In verità, se ci pensi, è quello che in pratica si fa. Esempio banale: prendi un righello e misuri la lunghezza di una linea. Quello che fai è prendere un righello che vedi, spostarlo e eseguire la misurazione della lunghezza. Come dicevo, anche un (idealista e) solipsista può eseguire le misure scientifiche. In tale scenario, tutti i risultati scientifici che si ottengono sono riferiti a sensazioni, a contenuti mentali. Non sono nemmeno pubbliche (un esempio meno "irreale" è una misurazione eseguita durante un sogno). Inoltre, rigorosamente, il rapporto causa-effetto è applicabile alle sensazioni. Perché? perché se diciamo che la materia è "esterna" a noi, cadiamo nel "paradosso" di prima. Infatti non possiamo giustificare l'uso del principio di causa-effetto su qualcosa che noi non conosciamo direttamente. Ad ogni modo, secondo me ci sono regolarità nella nostra esperienza cosciente sia di veglia che nel sogno. Per esempio, anche nel sogno si "vedono" linee di varie dimensioni, le quali si possono, in linea di principio "misurare".
Con la ragionevole assunzione della materia, diventa ragionevole assumere che anche la materia abbia proprietà quantitative
ma non sono necessariamente d'accordo che i fenomeni mentali non possano essere sottoposti ad analisi quantitativa. Ovviamente non tutti. Ma in fin dei conti cos'è la lunghezza se non una quantità confrontando due fenomeni (righello e linea), che in linea di principio potrebbero essere immateriali, come nel sogno. In realtà, la "prova" Kantiana dell'esistenza della materia mi sembra uno dei punti deboli della sua filosofia. Infatti, in Kant c'è un ottimo equilibrio tra soggetto ed oggetto anche senza l'assunzione della materia. Perché? Il soggetto è la coscienza e l'oggetto è il contenuto fenomenico (ciò di cui la coscienza ha, appunto, "coscienza"...scusa il giro di parole ma penso che hai capito
). Parlare della materia (intesa come qualcosa che "sta dietro" ai fenomeni dell'esperienza), secondo me, significa andar fuori dal mondo fenomenico.
Spero di non averti frainteso
Sul primo paragrafo posso essere anche d'accordo. Però si avrebbe la situazione assurda di soggetti completamente isolati l'uno dall'altro che hanno esperienze completamente private. In sostanza, ognuno vivrebbe per sé stesso. Tolto questo scenario, però, devi ammettere che non riesci a giustificare l'insorgere delle apparenze (se non derivano unicamente dalla nostra coscienza, cosa che però è stata esclusa). Sul discorso della corrispondenza biunivoca, vedi dopo.
Sul secondo non vedo differenza tra ciò che dici tu e la frase che hai citato
Ok... quindi per te "coscienza" significa "mente" + "contenuti mentali"? Per me "coscienza" e "mente" (in questo caso)* sono sinonimi. Secondo me, la coscienza/mente ha consapevolezza delle sensazioni.
* dico "in questo caso" perché a volte ho chiamato "mente" qualsiasi "cosa" che processa l'informazione. Ancora sto decidendo se tale utilizzo della parola "mente" è improprio. Ma tutto dipende dallo status ontologico dell'informazione, temo.
Allora... sì, faccio una precisazione. Il "noumeno" è un concetto-limite che introduciamo quando riconosciamo che i fenomeni della nostra esperienza cosciente sono, appunto, mere sensazioni. Siccome abbiamo esperienza delle nostre sensazioni, concetti come "causa-effetto" possono essere applicati, a rigore, solo lì perché "qualcosa di esterno" per noi è inconoscibile (a priori, ovviamente). Il "noumeno" entra, dunque, se rifiutiamo l'ipotesi idealistica (=la realtà è semplicemente, usando il tuo cerco, mente e sensazioni mentali) e del realismo naive (=le nostre sensazioni coincidono con oggetti esterni - oppure, ci è possibile conoscere gli oggetti esterni tramite le sensazioni). Se diciamo che oggetti esterni causano l'insorgere delle sensazioni fenomeniche cadiamo nel realismo naive, visto che le "cose esterne" pur non apparendo nella nostra esperienza vengono conosciute come causa di essa da noi (ovviamente, parlo sempre a livello quanto più "razionale" possibile e non "ragionevole"
).
Se, invece, utilizziamo la corrispondenza biunivoca, la cosa è diversa perché, in questo caso, non abbiamo più la pretesa di conoscere il noumeno. Infatti, se non ci fosse nulla dietro l'esperienza fenomenica allora fenomeno e noumeno coincidono.
Tuttavia, se "pretendiamo" di conoscere proprietà del noumeno utilizzando la nostra esperienza fenomenica + categorie mentali, finiamo nell'aporia. Come dicevo, secondo me questo è l'errore di Kant (e di Schopenhauer) nell'assunzione dell'esistenza della materia. Infatti, la materia non appare nella nostra esperienza (in fin dei conti, anche nel sogno tocchiamo muri, ma questi muri non sono materiali
). Ammettere l'esistenza di oggetti della cognizione non richiede necessariamente l'esistenza della materia.
Ottimo! Qui secondo me sta anche la grandezza di Berkeley
Ok, ma in senso lato sì
Qui concordo
Personalmente, concepisco la "corrispondenza biunivoca" in modo differente. Secondo me, invece, la corrispondenza biunivoca semplicemente è da concepirsi a livello soggettivo, ovvero ammettendo la possibilità che un soggetto riesca a capire pienamente la relazione fenomeno-noumeno. Cosa intendo con ciò? Il noumeno è un concetto-limite che introduciamo quando capiamo la natura della realtà fenomenica. Tuttavia non sappiamo se noumeno e realtà fenomenica coincidono (ovvero non sappiamo se è vero il realismo naive, l'idealismo, il solipsismo o quant'altro). Quello che sappiamo, però, è che vi è una relazione tra i due. Quale? il fenomeno è in pratica il noumeno-visto-da-noi. Quindi vi è una corrispondenza tra noumeno e fenomeno. Ed è "biunivoca" nel senso che a causa della nostra struttura mentale noi percepiamo il fenomeno e dobbiamo introdurre il noumeno mentre la mente "infallibile", di cui parlavo, "vede" il noumeno (e sa che nella nostra limitata condizione dobbiamo distinguerli). Però, questo è il massimo che possiamo dire, in realtà. Ergo, tra fenomeno e noumeno in realtà, per così dire, non c'è vera distinzione "ontologica". In realtà è una distinzione creata a causa della limitatezza delle nostre menti. Quindi, in ultima analisi, la distinzione tra fenomeno e noumeno si riconduce alla distinzione tra le nostre menti e quelle eventuali che conoscono la relazione tra fenomeno e noumeno.
Dire "ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondo unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre" è secondo me dire troppo, nel senso che assumi che il noumeno abbia determinate caratteristiche basandoti sull'osservazione fenomenica delle stesse.
Mmm...forse "costruzione" non era la parola esatta. Ma non intendevo la costruzione come qualcosa di arbitrario, ma di condizionato dalle "proprietà" dalla nostra mente.
FINE PARTE 1
CitazioneIl ragionamento mi sembra un po' contorto, ma se ben capisco ammette che ciò di cui abbiamo esperienza sono mere (inisemi - successioni di) sensazioni ovvero "apparenze (fenomeni) sensibili" (costituenti appunto la nostra coscienza).
Dunque non si tratta di cose in sé reali indipendentemente dalla nostra (eventuale) coscienza.
Ed invece eventuali (indimostrabili) oggetti delle sensazioni della nostra coscienza (in particolare delle nostre sensazioni materiali) non possono che essere altra cosa, ovvero cose reali in sé indipendentemente dalla nostra (eventuale: anche se e quando essa non é realmente in atto) coscienza, così come non possiamo non esserlo noi stessi, soggetti della nostra coscienza (ed eventualmente soggetti-oggetti riflessivamente nel caso delle esperienze fenomeniche coscienti mentali).
Da quanto ho capito io, il discorso è meno complesso. In pratica, per fare un esempio pensa ai colori. Il "colore" è una proprietà di oggetti esterni alla coscienza o, invece, sono contenuti mentali che caratterizzano l'esperienza cosciente? Se rispondi che i colori sono proprietà di oggetti esterni, non puoi giustificare il "salto" logico dovuto all'applicazione del principio di causa (o di altra spiegazione) per oggetti fuori dalla nostra esperienza - ovvero, a rigore, non puoi sapere che la tua percezione di colore è dovuto a "qualcosa di esterno". Se rispondi che i colori sono solamente contenuti mentali, invece, cadi in una sorta di "solipsismo" (anche perché, l'esempio dei colori si può estendere a tutta l'esperienza!).
CitazioneSecondo me il rapporto causa - effetto può essere postulato (ma non dimostrato: Hume) in termini rigorosi solo a proposito dei fenomeni materiali, in quanto misurabili quantitativamente e dunque passibili di astrazioni di caratteri generali del loro divenire esprimibili con certe determinate e precise equazioni matematiche.
Non può essere applicato in questi termini rigorosi, di calcolabilità matematica degli effetti dalle cause o viceversa, ai fenomeni mentali in quanto non misurabili quantitativamente, né tantomeno alla realtà in sé o noumeno, in quanto nemmeno percepibile con i sensi (e dunque a maggior ragione non misurabile).
Stranamente (dico "stranamente" perché ad entrambi piacciono filosofi come Kant, Berkeley, Hume

Con la ragionevole assunzione della materia, diventa ragionevole assumere che anche la materia abbia proprietà quantitative


Spero di non averti frainteso

CitazioneNon vedo aporie nel fatto che abbiamo conoscenza [o meglio, secondo me, coscienza, sensazione empirica] degli oggetti dell'esperienza (mere percezioni).
Le percezioni sono dipendenti dalla nostra esistenza, ma secondo me nulla impone (non é una deduzione cogente) che se escludiamo il solipsismo, dobbiamo ammettere che tali percezioni derivano da altro, qualcosa di esterno da noi.
Questo lo possiamo solo credere (e personalmente lo credo) fideisticamente, indimostrabilmente.
Che significa che "gli oggetti dell'esperienza derivano da oggetti separati da noi"?
In realtà sono i "contenuti fenomenici" dell' esperienza (le sensazioni coscienti) che possono essere creduti (ma non dimostrati) "derivare" da, o meglio essere in corrispondenza biunivoca con (e non propriamente trovarsi in un rapporto di causazione rigorosamente inteso come espressione di una legge del divenire esprimibile mediante equazioni matematiche) oggetti in sé separati da noi e non costituiti dalle nostre sensazioni fenomeniche (noumeno)
Sul primo paragrafo posso essere anche d'accordo. Però si avrebbe la situazione assurda di soggetti completamente isolati l'uno dall'altro che hanno esperienze completamente private. In sostanza, ognuno vivrebbe per sé stesso. Tolto questo scenario, però, devi ammettere che non riesci a giustificare l'insorgere delle apparenze (se non derivano unicamente dalla nostra coscienza, cosa che però è stata esclusa). Sul discorso della corrispondenza biunivoca, vedi dopo.
Sul secondo non vedo differenza tra ciò che dici tu e la frase che hai citato

CitazioneQui mi sembra che tu confonda i concetti di "mente" e di "esperienza fenomenica cosciente" o più brevemente "coscienza".
La nostra mente é la parte "di pensiero" (res cogitans: ragionamenti, calcoli, deduzioni, ricordi, immaginazioni, sentimenti, "stati d' animo", ecc. "interiormente avvertiti") nell' ambito dell' esperienza fenomenica cosciente; la quale, oltre ad essa comprende anche una parte materiale (res extensa: quanto percepito "esteriormente" con i cinque o sei sensi corporei).
Dunque colori, suoni, ecc. sono certamente cose che esistono solo in quanto apparenze; ma in quanto apparenze materiali (e non mentali) nell' ambito della nostra coscienza e non de- (quella parte della nostra coscienza che è) -la nostra mente.
Ok... quindi per te "coscienza" significa "mente" + "contenuti mentali"? Per me "coscienza" e "mente" (in questo caso)* sono sinonimi. Secondo me, la coscienza/mente ha consapevolezza delle sensazioni.
* dico "in questo caso" perché a volte ho chiamato "mente" qualsiasi "cosa" che processa l'informazione. Ancora sto decidendo se tale utilizzo della parola "mente" è improprio. Ma tutto dipende dallo status ontologico dell'informazione, temo.
CitazioneLa concettualizzazione si riferisce ai fenomeni (materiali o mentali), ma é diversa cosa dai fenomeni concettualizzati stessi: é costituita da altri, diversi fenomeni (esclusivamente mentali), cioé dai pensieri di fenomeni che ne sono oggetto (o "materia", "contenuto": "oggetto in un senso ben diverso da quello per cui le cose in sé sono "oggetto" -e/o soggetto- delle sensazioni fenomeniche).
Certo, se vogliamo usare la causalità per spiegare l'insorgenza dei fenomeni (ma ripeto che ritengo più corretto parlare di "relazione di coesistenza biunivocamente corrispondente", una causazione in senso rigoroso, nomologico essendo possibile postulare solo nell' ambito de i fenomeni materiali per via della loro misurabilità quantitativa), in fin dei conti, andiamo fuori dall'"isola fenomenica" (come la chiamava Kant); ma in questo non vedo alcuna aporia: le cose in sé, ben diverse, distinte dai fenomeni in un certo senso (lato, non rigoroso) "causano" i fenomeni (nel senso che necessariamente coesistono-codivengono in corrispondenza biunivoca con essi: dove starebbe mai il paradosso o al contraddizione?
Le scienze non vanno mai (non possono andare) alla inattingibile empiricamente cosa in sé, ma si limitano alla conoscenza dei fenomeni.
Allora... sì, faccio una precisazione. Il "noumeno" è un concetto-limite che introduciamo quando riconosciamo che i fenomeni della nostra esperienza cosciente sono, appunto, mere sensazioni. Siccome abbiamo esperienza delle nostre sensazioni, concetti come "causa-effetto" possono essere applicati, a rigore, solo lì perché "qualcosa di esterno" per noi è inconoscibile (a priori, ovviamente). Il "noumeno" entra, dunque, se rifiutiamo l'ipotesi idealistica (=la realtà è semplicemente, usando il tuo cerco, mente e sensazioni mentali) e del realismo naive (=le nostre sensazioni coincidono con oggetti esterni - oppure, ci è possibile conoscere gli oggetti esterni tramite le sensazioni). Se diciamo che oggetti esterni causano l'insorgere delle sensazioni fenomeniche cadiamo nel realismo naive, visto che le "cose esterne" pur non apparendo nella nostra esperienza vengono conosciute come causa di essa da noi (ovviamente, parlo sempre a livello quanto più "razionale" possibile e non "ragionevole"

Se, invece, utilizziamo la corrispondenza biunivoca, la cosa è diversa perché, in questo caso, non abbiamo più la pretesa di conoscere il noumeno. Infatti, se non ci fosse nulla dietro l'esperienza fenomenica allora fenomeno e noumeno coincidono.
Tuttavia, se "pretendiamo" di conoscere proprietà del noumeno utilizzando la nostra esperienza fenomenica + categorie mentali, finiamo nell'aporia. Come dicevo, secondo me questo è l'errore di Kant (e di Schopenhauer) nell'assunzione dell'esistenza della materia. Infatti, la materia non appare nella nostra esperienza (in fin dei conti, anche nel sogno tocchiamo muri, ma questi muri non sono materiali

CitazioneQui credo di averti ben capito.
Concordo sulla falsità del realismo "naive" che identifica i fenomeni coscienti (il cui "esse est percipi") con le cose in sé reali indipendentemente dalle esperienze coscienti (il cui "esse non est percipi", per così dire).
Ottimo! Qui secondo me sta anche la grandezza di Berkeley

Citazione- Ripeto che in termini rigorosi non si può parlare di autentica causazione fra noumeno e fenomeni (lo si può fare ma sol in senso decisamente lato e a rigore improprio).
Ok, ma in senso lato sì

Citazione-Se fosse vero il "realismo naive", il mondo fenomenico (comunque reale anch' esso, non meno del noumeno) coinciderebbe con il mondo in sé o noumeno. Per i realisti naive, infatti, noi conosciamo direttamente la realtà-così-come-è-in sé (che sarebbe autocontraddittoriamente costituita da sensazioni fenomeniche reali anche se, "dove" e quando non esistono-accadono realmente).
- Il solipsismo si potrebbe forse evitare (indimostrabilmente, per fede) anche senza noumeno (per esempio ammettendo una sorta di "leibniziana armonia prestabilita" fra la "propria" ed altre, diverse esperienze fenomeniche coscienti.
Qui concordo

Citazione- (Soprattutto) quanto scrivi qui é una sorta di descrizione con altre parole del fatto che i fenomeni sono una cosa, il noumeno o cose in sé sono altra cosa; ben diverse "cose" che (però) divengono in reciproca corrispondenza biunivoca: ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondo unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre. Anch' io in altri interventi nel forum ho scritto che in un certo senso un determinato cervello in un determinato stato funzionale é la stessa cosa in sé che si manifesta come tale (determinati fenomeni materiali cerebrali) "in qualità di oggetto di sensazioni fenomeniche*" ad altre cose in sé "soggetti di sensazioni fenomeniche*" e che si manifesta come un certo stato mentale** (come determinati fenomeni cogitativi**: pensieri, ragionamenti, sentimenti, ecc.) a se stessa riflessivamente "oggetto, oltre che soggetto", di sensazioni fenomeniche**".
Personalmente, concepisco la "corrispondenza biunivoca" in modo differente. Secondo me, invece, la corrispondenza biunivoca semplicemente è da concepirsi a livello soggettivo, ovvero ammettendo la possibilità che un soggetto riesca a capire pienamente la relazione fenomeno-noumeno. Cosa intendo con ciò? Il noumeno è un concetto-limite che introduciamo quando capiamo la natura della realtà fenomenica. Tuttavia non sappiamo se noumeno e realtà fenomenica coincidono (ovvero non sappiamo se è vero il realismo naive, l'idealismo, il solipsismo o quant'altro). Quello che sappiamo, però, è che vi è una relazione tra i due. Quale? il fenomeno è in pratica il noumeno-visto-da-noi. Quindi vi è una corrispondenza tra noumeno e fenomeno. Ed è "biunivoca" nel senso che a causa della nostra struttura mentale noi percepiamo il fenomeno e dobbiamo introdurre il noumeno mentre la mente "infallibile", di cui parlavo, "vede" il noumeno (e sa che nella nostra limitata condizione dobbiamo distinguerli). Però, questo è il massimo che possiamo dire, in realtà. Ergo, tra fenomeno e noumeno in realtà, per così dire, non c'è vera distinzione "ontologica". In realtà è una distinzione creata a causa della limitatezza delle nostre menti. Quindi, in ultima analisi, la distinzione tra fenomeno e noumeno si riconduce alla distinzione tra le nostre menti e quelle eventuali che conoscono la relazione tra fenomeno e noumeno.
Dire "ad un' unica e sola certa determinata situazione in sé corrispondo unicamente e solamente certe terminate situazioni fenomeniche (una per ciascuna coscienza) e non altre" è secondo me dire troppo, nel senso che assumi che il noumeno abbia determinate caratteristiche basandoti sull'osservazione fenomenica delle stesse.
CitazionePer me il mondo fenomenico non é propriamente una "costruzione" (arbitraria) della nostra coscienza, ma é ciò che accade nella nostra mente in relazione di ineludibile, necessaria, non arbitrariamente modificabile a piacere corrispondenza biunivoca con le cose in sé.
Mmm...forse "costruzione" non era la parola esatta. Ma non intendevo la costruzione come qualcosa di arbitrario, ma di condizionato dalle "proprietà" dalla nostra mente.
FINE PARTE 1