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Messaggi - Donalduck

#241
Risposta ad Angelo Cannata.
Mi sembra che nel discorso che fai si possano notare dei modi di ragionare viziati. Vediamo se è possibile far luce.
CitazioneIl problema sta tutto nell'alternativa proposta.
Niente affatto. Questo è l'ultimo dei problemi. Non è che perché ignoro i motivi di qualcosa debba per forza trovare una spiegazione, per quanto campata per aria, tanto per non ammettere la mia ignoranza. Il problema è dimostrare che la "teoria" sia per lo meno plausibile, e prima ancora, che si possa considerare una teoria e non una semplice fantasia.

CitazioneA questo punto si potrebbe osservare che si tratta di due argomentazioni contrapposte, entrambe criticabili: evoluzionismo e creazionismo.
Sbagliato. La tesi (non la considero una teoria, come più volte chiarito, perché ritengo che l'argomento non rientri nelle possibilità attuali d'indagine della scienza) del "disegno intelligente", almeno come lo concepisco io (ma non sono l'unico), non fa alcuna supposizione, mancando dati su cui basarsi, su quale sia la provenienza e le modalità di attuazione di questo progetto. Vedo negli esseri viventi tutti i segni di un progetto e mi limito a prenderne atto (che altro è, ad esempio, il DNA, se non parte di un progetto di un essere vivente?). Supporre che dietro il progetto ci siano solo forze cieche ha già ben poco di razionale. Poi, preferire quest'ipotesi fantasiosa e ingiustificabile (e addiritturla considerla come l'unica plausibile) a quella ovvia di supporre un agente intelligente (per quanto sconosciuto, almeno a me), mi sembra spiegabile solo con pesanti e radicati pregiudizi che di razionale non hanno davvero nulla.

CitazioneL'evoluzionismo, per quanto criticabile possa essere, conserva comunque lo scopo di mantenersi nell'ambito della falsificabilità, sperimentabilità, osservabilità, insomma nell'ambito della scienza.
Già, ma non ci riesce per nulla, dato che cerca di inglobare all'interno della scienza aspetti della realtà non indagabili con i mezzi scientifici attualmente disponibili, e per far (finta di fare) questo ricorre a fantasie irrazionali.

Citazioneaggiungo una nota riguardo alla tentazione che abbiamo di individuare intelligenze, disegni intelligenti, dove prima ci pare: l'autocritica ci ricorda che questo tipo di sospetto è strettamente dipendente sia dalla nostra intelligenza, sia dalle idee che abbiamo su cosa sia l'intelligenza
E su cos'altro dovremmo basarci? E' chiaro che quando parliamo d'intelligenza parliamo di quello che conosciamo e sperimentiamo direttamente nella nostra coscienza, di che altro dovremmo parlare? Se vedo intorno a me qualcosa che ha tutta l'aria di un prodotto dell'intelligenza, ossia di qualcosa progettato e costruito con un fine, con modalità di funzionamento che ben evidenziano questi fini (primo fra tutti la sopravvivenza), mi sembra naturale e ovvio supporre che esista un qualche agente (ripeto, di natura sconosciuta) che l'abbia concepito e realizzato. Questo perché l'esperienza mi dice che un agente intelligente è in grado di generare entità finalizzate sulla base di progetti e tecniche, mentre non ho il benché minimo indizio che mi induca a pensare che forze cieche possano generare entità finalizzate e ancor meno entità intelligenti.
#242
Citazione di: Jacopus il 13 Maggio 2018, 22:38:22 PMLe prove sulla scientificità della teoria si trovano in una serie sterminata di studi di biologia, di genetica, di paleontologia.
Curioso che io ancora non sia riuscito a trovare nessuno che ne citi soltanto una, ovviamente dimostrandone la fondatezza. Quello che fanno tutti è citarle in massa, confidando nell'effetto di aggettivi come "sterminato" "innumerevole"...
#243
Citazione di: baylham il 15 Maggio 2018, 09:31:21 AMSe la finalità esiste, a giudicare dai fatti, i viventi, come individui e come specie, sono finalizzati alla morte e non alla vita.
Nel caso della specie umana circa un 25% dei feti viene abortito spontaneamente, uno scarto molto elevato.
Che la finalità negli organismi viventi esista e sia quantomeno la sopravvivenza non lo mette in dubbio nessuno, biologi compresi. Monod ne Il caso e la necessità ne parla diffusamente (la chiama teleonomia).
In base al tuo ragionamento, anche qualunque automobile costruita dall'uomo sarebbe finalizzata alla distruzione e non al trasporto di persone, dato che prima o poi cesserà di funzionare e verrà rottamata.
Certo, se non ci si sforza un attimo di capire il senso delle cose e ci si butta sui sofismi, si riesce a rigirare le cose a piacimento, ma a che scopo?
#244
antoniy:
Citazione1) quante vite ci sono state nel passato, siamo nell'ordine dei miliardi di miliardi. Tutte queste vite erano soggette a mutazioni genetiche, cioè miliardi di miliardi di mutazioni. Su un miliardo di queste, 999,999,999 erano inutili o dannose, solo una era utile, ma proprio per caso, e solo quella è sopravvissuta, ed essendo utile ha invaso tutta la popolazione (E' dimostrabile matematicamente).
Ciao antoniy, mi dispiace, ma non capisco davvero il senso di quanto scrivi. Neppure dal punto di vista della teoria evoluzionistica. Non mi pare che sia una descrizione di quanto tale teoria sostiene, e inoltre è espressa in termini piuttosto vaghi.
Quel che c'è da dimostrare è

  • innanzitutto che sia possibile, senza presupporre l'intervento di fattori del tutto sconosciuti alla scienza,  che a partire da materia inorganica si possa formare qualcosa di internamente organizzato, funzionalmente autonomo (relativamente) e già in qualche modo finalizzato (alla sopravvivenza dell'individuo e della specie) Questo sarebbe il punto 2, ma in realtà senza questo presupposto, perde senso anche il voler dimostrare l'"automatismo" dell'evoluzione, ossia la non necessità di presupporre fattori sconosciuti
  • In secondo luogo che sia possibile (sempre solo con l'azione di forze cieche), a partire da organismi unicellulari che si formino organismi multicellulari con un grado di complessità e organizzazione di un ordine ancora superiore, ossia "comunità di cellule" che sono ben altro che semplici aggregazioni, ma appunto hanno meccanismi di interazione e coordinazione estremamente complessi e coordinati e finalità ancora più precise e dirette in maniera estremamanete precisa non solo alla sopravvivenza dell'individuo e della specie, ma a tutta una serie di obiettivi specifici legati in maniera più o meno indiretta a tali fini principali.
  • In terzo luogo che, anche ammettendo tali possibilità, variazioni genetiche casuali insieme alla "selezione naturale" possano giustificare il passaggio da una specie all'altra, con caratteristiche notevolmente diverse, come da rettile a uccello
   
La mia tesi è che è del tutto impossibile dimostrare tali possibilità, e che si tratta solo di una fantasia slegata da qualunque dato esperienziale o da qualunque elaborazione razionale di tali dati.
Quindi, non sto dicendo soltanto che non è dimostrato che tutto questo sia avvenuto, ma che sia possibile in linea di principio. Gli evoluzionisti lo danno per possibile senza la minima giustificazione razionale.
Io sostengo che non esiste ragione al mondo per fare anche solo una simile supposizione. In base a quello che vediamo e sappiamo, solo un'entità razionale finalizzata riesce a realizzare "congegni" ossia sistemi organizzati e auto-organizzanti. Non c'è il minimo indizio che questo sia ottenibile da forze cieche (quelle del modello standard della fisica). E se una cosa non è possibile, resta impossibile anche col trascorrere di miliardi di miliardi di anni.

Citazione3) Non so se sai che il progenitore degli uccelli è stato probabilmente trovato, si tratta di un piccolo dinosauro che camminava su due zampe e che usava gli arti superiori e la coda per equilibrarsi. E' dimostrato che in questo modo aveva un vantaggio in velocità, che permetteva quindi di sfuggire ai predatori, tale vantaggio chiaramente era sempre maggiore quando gli arti superiori facevano sempre più effetto alla e permettevano di fare balzi sempre più lunghi, fino a volare.
Trovo questo genere di ipotesi, oltre che fantasiose e prive di qualunque riscontro, di gran lunga insufficienti a spiegare la transizione da una specie a un'altra (anzi qui si parla addirittura di transizione di classe). Il ragionamento sulla "mezza ala" chiarisce bene i termini del problema. Quello che va ricostruito, perché la "teoria" possa anche solo essere presa in considerazione, è ogni singolo passaggio. Cioè devi intanto fare delle ipotesi su cosa comporti ogni singolo passaggio (ad esempio dall'arto anteriore all'ala) e in base a quale meccanismo (ad esempio la mutazione di un gene provoca la comparsa di una piccola membrana tra le "dita" delle zampe anteriori) e devi dimostrare che questo primo passaggio comporti un vantaggio evidente in termini di soprravvivenza. Già quì siamo nell'altamente improbabile, infatti o abbiamo una mutazione eclatante che ci presenta una variazione morfologica notevole (cosa che non osserviamo mai nelle mutazioni di una singola generazione) oppure la mutazione sarà solo una inutile anomalia o addirittura un handicap. Ma questo è il meno. A questo punto siamo alla seconda mutazione, che dovrebbe rendere questa membrana più grande e "utile", in modo da avvicinarsi alla funzione dell'ala. Come mai avviene una mutazione (che per i darwiniani è del tutto casuale) che determina lo stesso tipo di mutazone della precedente? E tutto questo deve avvenire in un numero consistente di individui, senza che ci sia un'immediata utilità evolutiva, se è vero che le mutazioni sono "graduali". E deve avvenire, sempre nella stessa direzione (verso l'ala del tutto formata) un gran numero di volte, generazione dopo generazione. Dobbiamo considerare che la teoria non prevede che le precedenti mutazioni possano in qualche modo condizionare le attuali e che non esiste alcuna finalità in tali mutazoni.
In sostanza sarebbe necessario:

  • ricostruire (nel modello teorico) ogni singolo passaggio dalla zampa all'ala
  • dimostrare, per ogni singolo passaggio la specifica utilità adattiva della mutazione (che non può essere insignificante, ma per incidere sulla sopravvivenza deve essere di una certa entità)
Ma, anche se si riuscisse in una simile operazione (lontana anni luce dalle possibilità dei biologi), resterebbe da dimostrare un altro fatto eclatante: comè che la mutazione di un gene provoca non solo delle mutazioni puramente morfologiche, ma tutta una serie di mutazioni funzionali dell'organismo, e soprattutto una sofisticatissima capacità di controllo, da parte del sistema nervoso, di tali caratteri morfologici mutati? Immagina il dinosauro che a un certo punto, secondo la fantasiosa tesi evoluzionistica, si ritrova con le "dita" allungate a dismisura e unite da una membrana, a dispetto di tutte le obiezioni che ho fatto in precedenza. Com'è che si ritrova anche con la capacità di usare e controllare queste ali in maniera estremamente precisa, tale da spiccare e controllare il volo?
Gli evoluzionisti, ciecamente, glissano su tutti questi "elefanti nel soggiorno".
#245
Citazione di: Socrate78 il 06 Maggio 2018, 12:28:52 PM
La vera questione è anche un'altra: la resistenza molto forte ad accettare il creazionismo e a preferirvi l'evoluzionismo è di carattere logico o semmai è un ostacolo psicologico, dovuto a condizionamenti culturali e sociali? Io propenderei per la seconda ipotesi. Infatti come si manifesta in fondo la "creazione"? Si manifesta sostanzialmente con il fatto che qualcosa che prima non c'era ad un certo punto compare. L'evoluzione invece è il cambiamento di qualcosa di già esistente. Ora, la teoria del big bang mostra come prima dell'istante zero della nascita dell'Universo il tempo non esistesse e quindi la dimensione temporale in cui viviamo non è affatto il frutto di un'evoluzione di un tempo preesistente. Non esistevano protoni e neutroni, né idrogeno ed elio, quindi questi sono apparsi a partire dall'energia iniziale, e ciò sembra rafforzare il concetto di creazione e non di evoluzione, visto che tutti questi elementi semplicemente non c'erano e non si sono evoluti ad esempio da un prototipo iniziale!
L'ateo Stephen Hawing, pur restando ateo, ha addirittura ammesso che ci sono state molte resistenze ad accettare in ambito scientifico l'ipotesi del big bang, perché esso era troppo vicino al concetto di creazione, in fondo si preferiva la teoria dell'Universo Statico che appunto non prevedeva l'apparire della materia sostanzialmente dal nulla.
Ora, come tali elementi (protoni, neutroni, forza gravitazionale, ecc.) sono apparsi mentre prima non c'erano, per quale motivo non potrebbe essere stata la stessa cosa per tutto il resto? Nulla lo vieta, secondo me è soltanto il condizionamento culturale, psicologico e sociale ad impedirci di accettare l'ipotesi creazionista.
Rigettare come inattendibile la "teoria" evoluzionista non implica abbracciare la posizione creazionista, soprattutto se poi si parla di dei onnipotenti e onniscienti di cui magari si pretenderebbe di conoscere, almeno in parte, i disegni.
L'unico punto di partenza valido per affrontare la questione, secondo me, è ammettere che di come stiano le cose non se ne sa un bel nulla (o se qualcuno ne sa qualcosa, anche ammesso che questo qualcosa possa essere considerato "vero", non è dimostrabile). Questo dovrebbe essere, a mio avviso, il punto di riferimento di ogni discussione: rinunciare a tutte le assurde pretese di aver svelato qualcosa sull'origine della vita e delle specie viventi.
Dopodiché, con i dati che abbiamo, non possiamo fare altro che congetture basate sulla nostra visione del mondo (o anche , si potrebbe dire, col nostro "sentire il mondo") e di quanto la ragione ci può suggerire.

Per quanto mi riguarda non vado oltre la semplice considerazione che non abbiamo alcun motivo di pensare che l'intelligenza sia una prerogativa degli esseri viventi o addirittura della sola specie umana. Mi sembra più semplice e logico pensare che intelligenza e coscienza siano qualcosa di analogo e insieme complementare alle forze fondamentali della fisica, qualcosa che permea e sovrintende l'intera esistenza, in modi che forse non riusciremmo neppure ad immaginare. Infatti gli esseri viventi non solo possiedono intelligenza, ma "contengono" nel modo in cui sono fatti e funzionano, un'intelligenza (e delle precise tendenze finalistiche) ancora più evoluta di quella posseduta dalla mente umana. Quindi risulta semplice e logico ritenere che siano il risultato di un qualche tipo di "progetto" (del resto è i DNA che altro è se non parte di un "programma", del tutto simile a quello di un computer, quindi perfettamente adatto ad essere considerato frutto di un progetto?). E che in quanto esseri umani siamo partecipi di questa sorta di "intelligenza cosmica" di cui però non sappiamo nulla e a cui è arbitrario attribuire qualsiasi identità o qualità (ad eccezione di quelle che rileviamo nella nostra intelligenza).
Questa non è certo una teoria scientifica, ma, come ho già affermato ritengo che si tratti di un argomento su cui la scienza semplicemente non ha i mezzi per pronunciarsi, sia per mancanza di conoscnze, sia, più radicalmente, a causa di delle autolimitazioni conseguenti a quello che Monod chiamava il "postulato di oggettività".
Se ti interessasse, puoi trovare in questo post un'esposizione un po' diversa - e contenente anche altre considerazioni - del mio punto di vista.

Quanto ai vari miti, da quelli dei vari dei a quelli delle cosmogonie esoteriche e quant'altro possa essere stato raccontato, ora come ora (a parte eventuali esperienze soggettive non condivisibili), restano appunto miti, storie tramandate di incerta origine che non possono essere verificate. In certi casi si tratta di storie inverosimili (come, a mio parere, quelle raccontate dalle varie religioni) altre in certi casi verosimili ma indimostrabili (tradizioni esoteriche). Da agnostico, mi limito a fare affermazioni su quanto posso verificare e valutare, e sospendo il giudizio su tutto il resto, pur assegnando vari gradi di verosimiglianza ai vari racconti. Tra tutti i racconti, quelli dei darwiniani mi sembrano appena meno inverosimili dei miti religiosi (per le ragioni esposte nei miei post di due anni fa).

Passando al big-bang, ritengo che sia anch'esso un altro mito. Alcuni scienziati (non dimentichiamo, solo alcuni) si fanno prendere la mano dalla matematica e fanno proiezioni "all'infinito" o "all'infinitesimo" dei risultati delle loro equazioni e pretendono che queste soluzioni corrispondano a "fatti". Ma altri si rendono conto della differenza tra scienza e metafisica (ossia tra l'adozione e la verifica sperimentale di modelli interpretativi e la pretesa di dire come stanno e come sono andate le cose "in realtà") e non si avventurano al di là dei confini della scienza senza dichiararlo esplicitamente (ossia senza attribuire alla scienza il compito di dare una rappresentazione "ontologicamente o metafisicamente vera" del mondo), incappando in paradossi e contraddizioni irrisolvibili. Ad esempio è assurdo parlare di "inizio del tempo", come alcuni fanno, perché se non c'è il tempo non esiste alcun inizio, e se c'è il tempo può sono iniziare qualcos'altro, non il tempo stesso. Idem per quest'idea del "nulla" concetto sostanzialmente privo di senso (tranne che se usato in senso relativo: in questa stanza non c'è nulla, per indicare una stanza vuota). La teoria del big-bang contiene anche altri concetti paradossali come lo spazio che "si estende" (inflazione) come se fosse una "cosa", una sorta di fluido che contiene tutte le cose. In modo analogo al tempo si usano concetti spaziali e li si attribuiscono allo spazio stesso (solo così è possibile una "espansione dello spazio") come se fosse contenuto all'interno di sé stesso o di un altro spazio.
#246
iano:
CitazioneTrovo interessante il tuo post ,anche se , diversamente  da me però non sembri propenso ad accettare la teoria dell'evoluzione .
In effetti per me è perfino difficile capire quali siano le difficoltà ad accettarla.
Ho messo apposta i riferimenti ai miei post precedenti, per evitare di riscrivere cose già scritte. In quei post cerco di esporre nel modo più chiaro e sintetico possibile le mie ragioni.
Comunque, per maggior comodità  riporto qui il primo post, che già dà un'idea abbastanza chiara della mia posizione:

Il dibattito sull'evoluzionismo non è facile da proporre, non per sue caratteristiche intrinseche, ma perché molti lo considerano obsoleto o comunque ampiamente sviscerato. Io penso invece che ci sia ancora molto da dire e da discutere, in particolare su un aspetto cruciale e, a mio parere, estremamente debole della teoria darwiniana: la teoria della mutazione-selezione.

Comincerei con questi stimoli:

1) Quali sono le "prove" a sostegno della teoria della mutazione-selezione? Bisogna precisare che non stiamo parlando di prove dell'esistemza di un processo di evoluzione delle forme di vita, e neppure di prove che delle mutazioni casuali possano portare a una maggiore o minore capacità di sopravvivenza (è ovvio), ma che delle mutazioni casuali (ossia prive di una pianificazione intelligente, qualunque possa essere la sua origine e natura) insieme all'interazione con l'ambiente (che seleziona le forme più adatte alla sopravvivenza) possano costituire il "motore" (ossia possano essere i fattori principali ed essenziali) di questa evoluzione, che ha portato da forme relativamente semplici (monocellulari) alla incredibile complessità, ingegnosità e varietà di forme di vita che possiamo vedere attualmente. Invito chi ritenesse di avere queste prove (o anche solo forti indizi) ad esporle.

2) Non dimentichiamo (anche se non è questo il tema centrale) che la teoria dell'evoluzione racconta il film a partire dal secondo tempo. Infatti non spiega affatto l'origine della vita, ossia come si sia passati, sempre con processi di natura fisica e chimica non pianificati, ossia soggetti solo alle cieche forze descritte da queste discipline, dalla materia bruta a esseri viventi, ossia a sistemi biologici. I due discorsi sono molto legati tra loro. E a questo proposito va precisato che non si tratta di spiegare come si può arrivare da materia inorganica a materia organica, ma come si arriva all'organizzazione e all'azione coordinata e sinergica, finalizzata alla sopravvivenza e alla riproduzione a partire dalla materia organica, ma non ancora organizzata. E lasciamo stare l'ulteriore problema di spiegare la coscienza e l'intelligenza...

3) Prendiamo un'obiezione "classica", stradiscussa: quella della "mezza ala". Per chi non fosse al corrente, l'obiezione è questa: "Se è vero che le mutazioni sono graduali, e che per arrivare da un essere non alato a uno alato, ci vogliono molte generazioni, come mai non si trova traccia delle specie intermedie? E come mai queste sono sopravvissute alla selezione prima che le mutazioni potessero avere qualche utilità per la sopravvivenza?".
L'obiezione in genere viene formulata in maniera piuttosto rozza e approssimativa parlando soltanto di "mezza ala", anziché porre l'accento su tutti gli stadi intermedi, al che (faccio fatica a crederlo, ma è così) i darwiniani rispondono tirando in ballo le membrane degli scoiattoli volanti e dicendo: vedete, anche delle mezze ali possono essere un vantaggio per la sopravvivenza!
A parte il fatto che le membrane degli scoiattoli o altri animali plananti non sono affatto delle "mezze ali" avendo una struttura completamente diversa, quello che la teoria dovrebbe mostrare, se fosse plausibile, è come è possibile giustificare il centesimo (o millesimo) di ala, i 2, 3, 4 centesimi di ala eccetera. Questo significa spiegare in base a quale meccanismo può accadere che non una, ma centinaia di mutazioni che non portano nessun vantaggio (prima di arrivare a una forma "vantaggiosa") non solo passano la prova della selezione (non dovrebbero proprio, perché prima di raggiungere una forma "vantaggiosa" sarebbero delle anomalie che impacciano soltanto e che la selezione dovrebbe eliminare; al massimo "per caso" ne potrebbe passare qualcuna) ma si susseguono una dopo l'altra andando tutte coerentemente nella stessa direzione (formando una serie incredibile di coincidenze successive) che porta alla formazione di un'ala. Perchè mai a una mutazione che porta alla formazione di una piccola membrana (inutile) dovrebbe seguire un'altra mutazione (che non è in alcuna relazione con la precedente) che porta a una ulteriore espansione della membrana (ancora inutile per parecchie generazioni), e così per molte generazioni successive? Inoltre, come già accennato, bisognerebbe spiegare come mai si non trovino mai resti di esseri con queste mutazioni intermedie di per sé inutili.
Non solo, ma resta anche da spiegare come una serie di mutazioni casuali, possano portare contemporaneamente alla modifica di ossa, muscoli, tessuti connettivi, nervi e cellule cerebrali in perfetto coordinamento tra loro col risultato di permettere all'animale di pilotare con grande precisione queste ali, che nessuno ha progettato per volare, ma che, guarda caso, sono opere di alta ingegneria e di complesso funzionamento, perfettamente adatte al volo e dotate di precisissimi meccanismi di controllo. C'è una straordinaria e perfetta "collaborazione" tra un gran numero di "mutazioni casuali" che portano, chissà come e perché, alla creazione di un meccanismo altamente organizzato e coordinato ed estremamente sofisticato e complesso (in sostanza lo stesso tipo di problema che si pone per l'origine della vita).
Qualcosa che si possa considerare a una vera teoria dovrebbe render conto di ogni singolo passo intermedio e non limitarsi a vaghe fantasie che lasciano nell'oscurità tutto quello che succede tra due specie "stabilizzate". Ossia dovrebbe descrivere in maniera dettagliata e precisamente rappresentabile come si passa da uno stadio al successivo, cioè come agisce la combinazione mutazione-selezione in ogni singola generazione fino ad arrivare alla forma stabile e come si produce questo straordinario e precisissimo coordinamento tra le diverse mutazioni, senza presupporre qualche tipo di azione intelligente. Ossia si dovrebbe poter costruire un modello realistico di cui sia possibile descrivere nei dettagli il funzionamento. Di un simile modello sarebbe possibile realizzare una simulazione al computer. E sto parlando di simulare la formazione dell'ala (senza naturalmente inserire alcun dato relativo all'ala), non di qualche stupido programma che crei rozzi simulacri di forme di vita primordiali che "imparano" da un altreattanto rudimentale ambiente artificiale a "sopravvivere" (e naturalmente sopravvivono le "entità" che "imparano" prima, e grazie tante...). Programmi come questi dimostrano che l'acqua calda non è fredda, ma non aiutano a capire alcunché.

Per ora mi fermo qui, sperando di poter suscitare una pacata, onesta e approfondita discussione.
#247
E' un argomento che ho affrontato tempo fa in due discussioni: Ma davvero chi non è d'accordo con i darwiniani è un retrogrado? e Scienza, filosofia, fede e "Testimoni di Darwin".
La tesi che porto avanti è che non solo la teoria non è attendibile ma non è neppure una teoria scientifica e non ha neppure basi razionali, trattandosi di una pura presa di posizione ideologica basata su una sorta di fede per molti aspetti simile a quella religiosa.
Diversi argomenti da me portati a sostegno della mia tesi sono simili a quelli esposti da Socrate78, fondati su semplice buonsenso e logica basilare. Chi volesse conoscerli può leggere le discussioni sopra menzionate. Volendo, è anche possibile riprendere quelle discussioni, nonostante risalgano a quasi due anni fa (a quanto pare non hanno una scadenza).

La grande rilevanza della questione secondo me non riguarda tanto l'evoluzione e l'origine delle specie e della vita stessa (senza che sia reso esplicito, la teoria è intimamente legata a una concezione dell'origine "spontanea" della vita dalla materia bruta, la cosiddetta abiogenesi) quanto la formidabile potenza dei condizionamenti.
Tra i numerosi sostenitori della "teoria" ci sono menti di evidente intelligenza e capacità speculativa e critica. Com'è possibile, considerata la povertà delle argomentazioni addotte e il gran numero di ragionevoli obiezioni rimaste senza risposta?

Uno dei motivi può essere fatto risalire a quanto ricordato da Iano:
Citazione... la conoscenza della teoria dell'evoluzione andrebbe inquadrata nell'incredibile clima di rivoluzione culturale in cui è nata di cui la teoria è solo uno dei prodotti.
Una rivoluzione culturale che cercava di liberare definitivamente la scienza dalla residua influenza dei dogmi religiosi che per secoli avevano dettato legge (col la forza della sopraffazione e della repressione) con le loro assurde e contradditorie "verità rivelate" (emblematico il caso di Galileo, che solo pochi anni fa è stato ridicolmente "riabilitato" dalla chiesa cattolica).

Il problema è che, a distanza di un secolo e mezzo, con una situazione ormai del tutto mutata, sono ancora presenti i residui deteriorati di quel clima rivoluzionario, dando alla scienza una coloratura riduzionistica che non ha nulla di scientifico né di razionale. Si tratta più che di una corrente di pensiero, di una concezione del mondo basata su un "sentire" non razionale a sua volta pesantemente condizionato dal clima culturale. Oserei dire che attualmente, anche molte persone che sostengono di essere credenti, e addirittura aderenti a qualche religione sono di fatto materialiste in tutto e per tutto, e hanno nell'intimo una visione del mondo assai simile se non identica a quella portata avanti dai riduzionisti materialisti, per i quali l'universo è una sorta di congegno meccanico fatto di energia (di cui la materia è un particolare stato) venuto fuori "per caso" dal "nulla" insieme a un insiemi di leggi formalizzabili matematicamente che lo governano, la vita un fenomeno "emerso" sempre "per caso" dalla materia bruta (ma su cui "sicuramente" la scienza "un giorno" farà chiarezza), la coscienza (e con essa la mente e l'intelligenza) un "epifenomeno" privo di qualunque potere causativo (potere riservato alle leggi fisiche che governano l'energia).

Interessante notare l'analogia tra i metodi usati dai teologi e dai riduzionisti: i teologi, ogni volta che si imbattono in una palese contraddizione o in una grossa falla del loro "sistema di pensiero" tirano fuori il jolly del "mistero della fede": si applica l'etichetta "mistero" è tutto si aggiusta. I riduzionisti invece, laddove trovano un gigantesco e irriducibile punto interrogativo (un mistero, appunto) tirano fuori il jolly del "caso". Se c'è un termine vicino al nonsenso più assoluto è il "caso" usato in questa maniera. In sostanza dire che una cosa accade "per caso" significa che accade e basta e che mi limito a registrarne l'accadimento, rinunciando ad andare oltre nella catena delle cause. Un termine usato per mascherare la precisa volontà di non indagare oltre, di non cercare ulteriori cause, soprattutto cause finali e, quel che è peggio, di scoraggiare in tutti i modi simili indagini. Il che non sarebbe poi sbagliato (restando nel ristretto ambito della scienza), dato che si tratta di questioni che vanno molto al di là delle attuali possibilità della scienza. Se non fosse che anziché mantenerle fuori dall'ambito scientifico, vengono "risolte" con fantasie fatte passare per "teorie scientifiche". Il solito maledetto vizio dell'uomo di non saper accettare la sua ignoranza e sostituire l'ignoto con i miti più assurdi. Nonostante le enormi differenze di mentalità la tartaruga che sorregge il mondo e lo spazio-tempo-energia che sorge per caso dal nulla sono esempi della stessa tendenza a "rattoppare" la conoscenza con la fantasia.

Socrate78 cita giustamente tra le opere più rappresentative del pensiero evoluzionistico (e, direi, materialistico-riduzionista) Il caso e la necessità di Jacques Monod (un libro fortemente consigliato a tutti gli interessati a questi temi). Si tratta di un libro serio, caratterizzato da un sincero sforzo di sviscerare l'argomento in tutti i suoi aspetti. Proprio per questo rivela anche ciò che altri tentano di nascondere, anche se finisce per portare avanti tesi del tutto arbitrarie. Ecco un passaggio particolarmente interessante:
CitazioneLa pietra angolare del metodo scientifico è il postulato dell'oggettività della Natura, vale a dire il rifiuto sistematico a considerare la possibilità di pervenire a una conoscenza 'vera' mediante qualsiasi interpretazione dei fenomeni in termini di cause finali, cioè di 'progetto'.
...
Postulato puro, che non si potrà mai dimostrare poiché, evidentemente, è impossibile concepire un esperimento in grado di provare la non esistenza di un progetto, di uno scopo perseguito, in un punto qualsiasi della Natura.
Il postulato di oggettività è consostanziale alla scienza e da tre secoli ne guida il prodigioso sviluppo. È impossibile disfarsene, anche provvisoriamente, o in un settore limitato, senza uscire dall'ambito della scienza stessa.
Qui il termine "postulato" è usato in maniera impropria. Si tratta piuttosto di una regola metodologica arbitraria che, se accompagnata dalla consapevolezza di avere solo una validità convenzionale e limitata all'ambito delle discipline cosiddette scientifiche, che sono ben lontane dall'esaurire le possibilità dell'umana conoscenza, ha una sua ragion d'essere e una sua validità. Fin qui, se si tralascia la forzatura di considerare tale assunto come vincolo permanente per la scienza, negando che possa essere abbandonato in tutto o in parte in eventuali sviluppi futuri, queste affermazioni si possono considerare corrette.
La fallacia emerge nel momento in cui si tenta di spacciare la scienza per l'unico modo per pervenire a una conoscenza "vera" (per fortuna anche Monod ha avuto il buonsenso di mettere questo termine tra virgolette) non solo al suo interno, ma in generale. Ossia quando si scambia la scienza per lo scibile, o peggio ancora per la "verità". Ancora Monod:
CitazioneÈ evidente che il porre il postulato di oggettività come condizione della conoscenza vera rappresenta una scelta etica e non un giudizio di conoscenza in quanto, secondo il postulato stesso, non può esservi conoscenza 'vera' prima di tale scelta arbitraria.
...
L'etica della conoscenza non si impone all'uomo; al contrario è l'uomo che se la impone, facendone assiomaticamente la condizione di autenticità di qualsiasi discorso o di qualsiasi azione.
Qui risulta evidente che non siamo più nell'ambito della scienza, ma emerge la pretesa di nominare la scienza rappresentante e interprete unica della conoscenza e della "verità" e la paradossale pretesa di ribaltare la concezione di un'etica fondata sulla conoscenza in quella di una conoscenza fondata su un'etica arbitraria.
#248
bobmax:
CitazioneOccorre decidere, secondo me, se la psicologia sia da considerarsi scienza oppure no.
Se lo è, essa si basa necessariamente sull'oggettività. Se invece si pensa ne possa prescindere allora non è più scienza ma metafisica. In questo secondo caso penso sarebbe più corretto chiamarla appunto metafisica.
In quanto scienza la psicologia si sviluppa in varie branche, come qualsiasi altra scienza.
In quanto metafisica ha ancora senso parlare di psicologia?
Temo che neppure questa distinzione tra scienza e non scienza mi trovi d'accordo. Prima di tutto non esiste nessuan "scienza" in generale, ma ci sono molte scienze diverse con approcci diversi che hanno in comune solo l'uso, più o meno pervasivo, del metodo scientifico utilizzato nella maniera più rigorosa ed esclusiva solo nelle scienze fisiche. Ma tutte le scienze non si limitano all'uso del metodo scientifico e conservano sempre una certa dosa di arbitrarietà nell'interpretazione dei dati raccolti.
Per la psicologia, insisto, non è solo questione di branche diverse, ma di approcci completamente diversi all studio della psiche, approcci a volte persino incompatibili tra loro, come accade per le teorie economiche, sociali o politiche. Quindi parlare di psicologia in generale ha poco senso.
Tra le psicologie, ce ne sono che si basano in maniera prevalente sui metodi scientifici canonici (ma le interpretazioni restano in parte estranee al metodo scientifico), altre li usano solo come strumento ausiliario di maggiore o minore rilevanza. Il comportamentismo e le cosiddette neuroscienze sono tra le prime, i diversi tipi di psicoanalisi tra le seconde.
Io non parlerei di oggettività, a proposito delle scienze, ma di verificabilità e replicabilità, che sono concetti molto diversi. Il mio concetto di oggettività comprende tutto ciò che si presenta alla coscienza, contrapposto alla soggettività, attributo della sola coscienza osservatrice. E il termine che userei per indicare ciò che normalmente è designato da "oggettività" tout-court potrebbe essere "oggettività intersoggettiva" o "oggettività condivisa".
La scienza spesso sconfina nella metafisica, ed è inevitabile. Infatti spesso gli scienziati si convincono che la loro scienza ci faccia vedere le cose "così come sono in realtà", che è una comune fallacia scientifica (e anche filosofica, dal mio punto di vista). Ma qui la confusione è enorme. A rigore la metafisica dovrebbe solo supervisionare i risultati delle scienze fisiche, andando a coincidere più o meno con l'epistemologia, ma il significato comune è più ampio e indistinto, più o meno coincidente con la descrizione del mondo, esterno e interiore, nalla sua "verità oggettiva" ossia assoluta. Dal momento che nel mio pensiero non trova posto nessuna verità assoluta, non trova posto neppure una simile concezione della metafisica.
Comunque, usando i termini nel significato che sembri attribuirgli, direi che ogni scienza è un miscuglio, con proporzioni variabili, di "scientifico" (verificabile e replicabile) e di "metafisico" (affidato unicamente alla forza di convincimento del pensiero e all'intuizione). Nelle scienze "hard" prevale la prima componente, in quelle "soft", come le psicologie, la seconda.

CitazioneBuber Martin, con il suo: "Colpa e sensi di colpa" chiarisce a mio avviso molto bene l'insufficienza dell'approccio psicologico nell'affrontare situazioni-limite. In sostanza la psicologia altro non fa che curare i sintomi, depotenziandoli, facendo perdere così l'occasione data dalla situazione-limite.
Karl Jaspers, grande psichiatra oltre che filosofo, fonda buona parte della sua filosofia proprio sulle situazioni-limite. E infatti la sua è metafisica.
Si direbbe che tu abbia ignorato del tutto quanto ho detto a proposito della psicologia, in particolare di quella transpersonale, e continui a identificare questa indistinta "psicologia" con alcune prassi di alcuni tipi di psicologia, scambiando una baia per l'intero oceano. La psicologia è sempliceente lo studio del mondo interiore umano e si serve dei metodi e delle contaminazioni più svariate. Si serve di scienza, filosofia, dottrine e pratiche spirituali, che spesso coesistono senza soluzione di continuità. La conoscenza non è a compartimenti stagni, i vari approcci si completano a vicenda e non sono mutuamente esclusivi.

CitazioneComunque la questione chiave, a mio avviso, riguarda la fede nella Verità. Che non può avere alcuna ragione per esserci. Siamo solo noi, in perfetta solitudine, a dover decidere.
 Quando la si rifiuta, compaiono "verità relative" incluse comunque in un orizzonte di senso che, seppur implicitamente, pretende si stabilire cosa sia la Verità.
Un orizzonte che può essere l'indefinito allargamento della coscienza, così come il vuoto nichilista.
Nel primo caso l'"informazione" in quanto tale assurge a fondamento, e quindi in buona sostanza a verità assoluta.  Nel secondo, neppure l'informazione ha effettivo valore, vero è soltanto che nulla ha valore.
Di modo che, senza la fede nella Verità, vi è sempre, in un modo o nell'altro, una pretesa verità implicitamente considerata assoluta.
Quello che non capisco è come pensi che possa seguire il filo dei tuoi pensieri se non mi dai un appiglio, un bandolo della matassa da cui partire. Io conosco solo la mia coscienza, l'osservatore, e i dati della coscienza, l'osservato. E confido che tali elementi di conoscenza siano condivisi anche dagli altri centri di coscienza simili al mio (quasta si può considerare la mia unica fede).
Se tu non cerchi di farmi capire cosa sia questa "Verità" nelle tua effettiva esperienza, come dato della coscienza, dato che non c'è nulla nella mia esperienza che abbia quei connotati di assolutezza di cui parli, non abbiamo alcun modo di intenderci. Non solo, ma, ripeto, non sento nessun bisogno di immaginare l'esistenza di questà Verità o di qualsiasi assoluto, ritengo che tutto quello con cui abbiamo a che fare, quello di cui è fatta la nostra oggettività, sia un intreccio di relazioni. Non percepisco altro che relazioni, non concepisco altro che relazioni, non vedo come possa esserci qualcosa di non relativo. Se un altro percepisce o concepisce altro, va bene, ma se non mi spiega che posto abbia questo assoluto tra i dati esperienziali, non so proprio che collocazione, che rappresentazione dargli, e che bisogno ce ne sia.

Non so se conosci la storiella, riportata tra gli altri da Stephen Hawking: una signora, a difesa della tesi del mondo piatto sorretto da un tartaruga gigante, all'obiezione "ma cosa sorregge la tartaruga?" risponde "it's turtles all the way down" che in sostanza significa che a sorreggere una tartaruga c'è sempre un'altra tartaruga. Io sono d'accordo (metaforicamente) con la signora: c'è sempre una "verità" che ne sorregge un'altra, ma non c'è nulla che giustifichi il pensiero che vi sia un "fondamento ultimo" una "tarataruga ultima o assoluta" che sorregge tutte le altre e non è sorretta da niente. E non sono neppure sicuro che queste tartarughe restino sempre uguali a sé stesse e non possano essere sostituite o trasformarsi in altri animali. Quindi diciamo che, per usare i tuoi termini, per me "l'orizzonte di senso" è variabile sia in estensione che in conformazione, non ha stabilità, e l'informazione assume un ruolo fondamentale. Ma questo non significa affatto che assuma anche l'attributo di assoluto.

Per quanto riguarda poi il "valore", quello è nostra esclusiva scelta e responsabilità. Assumersi questa responsabilità significa assumersi l'onore e l'onere di essere umani. Ma fare scelte implica la possibilità di sbagliare e di correggere. Immaginare di stabilire, attraverso queste scelte, una verità assoluta non solo è fuorviante, ma anche pericoloso, come dimostrano i vari tipi di fondamentalismo.
#249
green demetr:
CitazioneMa questo fraintendimento mortale, in cui è l'anima che muore, ecco che mi diventi ateo.
Ma allora come parlare poi di spiritualità? I miei dubbi su di te, aumentano.
Intendi dire che per avere interessi spirituali, compiere pratiche spirituali, occuparsi di spiritualità bisogna essere teisti? Non direi proprio...
#250
sileno:
CitazioneL'intelligenza reca dolore e solitudine, La vita è tragica.
Questi sono chiari segni di sindrome depressiva, chiunque l'abbia scritto in qualunque epoca.
Filosofeggiare su felicità e infelicità lo trovo, scusa la franchezza, abbastanza futile e fuori luogo. Un po'come filosofeggiare sui gelati alla fragola. Non sono questioni che riguardano la speculazione razionale. Una persona può essere felice in condizioni esistenziali ingrate, e può essere infelice quando apparentemente non gli manca nulla.
E per fortuna che è cosi, altrimenti saremmo tutti infelici per il solo fatto che prima o poi dobbiamo morire.
Ma, se vogliamo provare ugualmente ad affrontare la questione razionalmente (immaginando che la razionalità possa influire sul nostro stato psichico), direi che la tristezza, l'infelicità sono sempre eminentemente irrazionali. Infatti avere uno stato d'animo negativo non fa altro che peggiorare le cose e rende più difficile e penoso affrontare qualunque azione e qualunque problema, qualunque sia la situazione in cui ci si trova. Probabilmente conoscerai la parabola del saggio che poco prima di cadere nel dirupo gusta per l'ultima volta una fragola, vivendo nel momento.
Aggiungerei che  se un sistema di pensiero ha come conseguenza l'indurre sentimenti negativi, è la prova che è sbagliato. A mio parere l'unico pensiero che vale davvero è quello che infonde armonia e benessere al nostro essere. Non parlo di azioni consolatorie o di guardare la vita con gli occhiali rosa, ma di allargare, evolvere la coscienza in modo da poter accogliere tutto il male dell'esistenza senza restarne affetta.
#251
Tematiche Filosofiche / Re:Il populismo filosofico
22 Aprile 2018, 15:19:00 PM
A mio avviso la questione è mal posta. Considero un sacrosanto diritto di chiunque definirsi filosofo e porsi su un piano di parità con coloro che lo sono in un modo o nell'altro "di professione". Il "grande filosofo" può dire emerite fesserie e il "pizzicagnolo sotto casa" può avere illuminanti intuizioni. Ognuno dovrebbe giudicare in base ai propri mezzi intellettuali e non in base ai titoli o al prestigio di chi parla.
Ovviamente ci sono pensieri e pensieri, profondità e superficialità, ma questi attributi vanno assegnati a ragion veduta e non per fede o simpatia o deferenza o fascinazione. E finire con esporre "nozioni confuse e inverificabili", perdersi nei meandri dei propri stessi pensieri credo che sia in qualche misura inevitabile per chiunque, compresi i "grandi filosofi", affronti temi al limite delle capacità della mente umana, come si finisce per fare andando sempre più a fondo nelle speculazioni.
In sostanza, giusto cercare il massimo rigore possibile nell'uso della ragione, ma sbagliato pensare che questo sia patrimonio dei "pensatori accreditati" e non delle persone comuni. Sono nettamente contrario a questa tendenza a dare per scontata la "competenza" in campi non strettamente tecnici (e anche in quei campi la fiducia va accordata con molta cautela). Se dovessimo dar retta alle attuali tendenze, abbiamo "esperti" di qualunque cosa, pronti a riempirci la testa con le loro idee che a volte sono autentiche baggianate. Non lasciamoci plagiare da titoli, fama e carisma. Buyer beware!

CitazioneComplessa è la strada per ripulire termini e concetti rifiutando il magico e il religioso.
Per quanto sia personalmente nettamente contrario alle religioni, non si può negare che il "settore di coscienza" su cui le religioni pretendono di dettar legge, sia qualcosa di ben reale e ineludibile. Viviamo immersi nel mistero. E la magia in quanto sensazione (quella sensazione che si prova ascoltando o leggendo o guardando certi prodotti dell'immaginazione umana, anche semplici favole, o certi spettacoli della natura) ha sicuramente un significato che si sottrae alle indagini razionali. Mai dimenticare i limiti del nostro pensare.
Quindi giusto guardarsi dal "credere", tanto più con leggerezza, ma nient'affatto giusto rifiutare tutta una dimensione dell'esperienza umana perché resiste a qualunque indagine razionale. E' un'altra forma di superstizione e conduce a sistemi di pensiero monchi e saturi di preconcetti come il riduzionismo materialista.
#252
bobmax:
CitazioneLa psicologia offre senz'altro un utile aiuto per superare molte difficoltà della nostra vita. Tuttavia, essa può essere davvero fuorviante se le questioni che ci troviamo davanti sono di natura esistenziale.
Infatti la psicologia riduce l'anima a psiche, ossia all'insieme delle nostre funzioni mentali. Mentre le questioni esistenziali, e quindi tipiche dell'anima, trascendono queste funzioni.
Un modo per cogliere l'esistenza, nella sua incommensurabilità rispetto al psicologico, è quello di affrontare una situazione-limite.
La psiche (termine tratto direttamente da quello greco che significa anima) non è "l'insieme delle funzioni mentali", che è rappresentato, appunto dal termine "mente", ma sta a indicare il mondo interiore nel suo insieme. E non esiste "la psicologia", ma tante psicologie profondamente diverse nell'impostazione e nel modo di vedere l'interiorità umana. E uno dei settori di interesse è quello della cosiddetta "psicologia transpersonale" ce si occupa di tutto ciò che trascende la mente e comprende anche quelle che chiami situazioni-limite.

CitazioneSebbene sia presente in tante situazioni di vita, di solito non ci accorgiamo del limite, perché condizionati dal nostro stesso pensiero razionale. Per il quale esiste solo ciò che è oggettivo, concreto.
E quando invece ci capita d'avvertirlo, il limite, proviamo un'impressione straniante, un disagio indeterminato, anche angoscioso, e di norma ci affrettiamo a cancellarlo, tornando nel nostro rassicurante mondo razionale.
Neppure quest'uso del termine "razionale" mi trova d'accordo. L'esperienza della vita, della coscienza, ci mette di fronte un mondo e un'identità (ciò che chiamiamo "io") misteriose, sfuggenti, paradossali, indefinibili. Ignorare tutto ciò non ha nulla di razionale, proprio il contrario: un arbitraria, quindi irrazionale (motivata da fattori emotivi e non razionali) censura dei dati esperienziali, scartando tutto ciò che suscita troppo sgomento, in modo da avere una rappresentazione rassicurante e facilmente gestibile, anche se fittizia, del mondo.

CitazioneD'altronde la situazione-limite, che pur abbiamo percepito, non ci può fornire alcuna informazione, alcuna "verità". Può essere stata benissimo il frutto di una nostra allucinazione...
Qualunque cosa arrivi alla nostra coscienza è informazione. Non ha senso dire che un dato esperienziale "non fornisce informazione". Colgo l'occasione per accennare al fatto che considero il concetto di informazione come la chiave di interpretazione più efficace e proficua per qualunque tipo di fenomeno, e non mi stupisce che alcune tendenze della moderna fisica considerino l'informazione come il concetto più fondamentale col quale interpretare il "mondo fisico".

Avrai di certo capito che rifuggo da termini come "verità" usati in senso assoluto, come del resto dalla pretesa di discutere di questo fantomatico "assoluto" in generale, e di tutto ciò che ne è figlio: il definito una volta per tutte, l'immutabile, l'esistente di per sé, i "fondamenti ultimi". Secondo me si tratta solo di proiezioni-estrapolazioni di dati esperienziali (che sono l'unica cosa di cui effettivamente disponiamo), a cui conferiamo arbitrariamente un'esistenza indipendente dalla nostra immaginazione. I primi rappresentanti dell'assoluto, l'infinito e il nulla, si prestano bene a chiarire il senso di queste proiezioni. Quello che conosciamo, che percepiamo direttamente non è l'infinito o il nulla, ma l'illimitato, in grandezza o in piccolezza., l'"arbitrariamente grande" e l'"arbitrariamente piccolo"
E' interessante riflettere sui concetti matematici di infinito e di zero: la loro introduzione è inscindibile dal carattere arbitrario delle regole ad esse associate, diverse in modo eclatante da quelle a cui sottostanno tutti gli altri numeri, che restano aderenti a quelle che la nostra esperienza delle quantità nel "mondo esterno" ci mostrano. E ancora più interessante considerare il concetto matematico di limite. Il limite a cui tende il valore di una funzione è qualcosa che viene raggiunto "all'infinito", a cui il valore si avvicina con l'aumentare o il diminuire di un parametro della funzione. Assegnando valori arbitrariamente grandi o piccoli al parametro, il valore sarà sempre più prossimo, senza limiti di approssimazione. Quindi possiamo dire che il valore limite esprime in effetti il concetto di illimitato approssimarsi, e quindi di illimitatezza. Del resto anche il concetto geometrico di punto privo di dimensioni non trova riscontro alcuno nell'esperienza, pur essendo di fondamentale e insostituibile utilità. Ma se in matematica ragionare per proiezione è cosa buona e giusta, non altrettanto lo è nel comporre una rappresentazione della realtà, sganciati dalle regole fisse e convenzionali della matematica.

In sostanza il concetto di infinito è una proiezione dell'illimitato (ossia di qualcosa che può essere espanso o ristretto arbitrariamente), ma solo l'illimitato è un dato esperienziale, di cui possiamo legittimamente testimoniare, mentre testimoniare dell'infinito (ossia asserirne un'esistenza al di là della dimensione concettuale) sarebbe falsa testimonianza, dato che non fa parte dell'esperienza della coscienza.

Quindi, sgombrato il campo da ogni "verità assoluta", mi rimane la più modesta "verità relativa", che esprime il modo migliore che posso trovare di mettere d'accordo tra loro i dati dell'esperienza. Questa verità è sempre perfettibile ma mai perfetta. Del resto i dati dell'esperienza cambiano e si accrescono (nella memoria) in continuazione, rendendo impossibile qualunque verità immutabile.

Se, come ho sostenuto, ogni cosa che arriva alla coscienza è informazione, non ha senso etichettare questa informazione come "reale" o "irreale", "esistente" o "non esistente" dal momento che non disponiamo di nient'altro che non sia la coscienza e i dati pervenuti alla coscienza, che "sono" e basta. Quello che possiamo e risulta utile fare, è assegnare (come ho già illustrato in precedenti post) una modalità di esistenza a ciascun dato. In questo contesto che senso ha ipotizzare che le tue "situazioni-limite" siano "allucinazioni"? Cosa vuol dire? Che cosa aggiunge o toglie quest'etichetta all'esperienza? La mia risposta è: nulla. Molto più proficuo chiedermi quale sia il contenuto informativo di queste esperienze, l'unico modo che ho, in fin dei conti, per definirle o dar loro un senso.

CitazioneSe vissuta però esistenzialmente (cioè con la più vigorosa fede nella Verità), la situazione-limite può scuoterci nel profondo e risvegliare in noi una consapevolezza inusitata.
Qui introduci un altro concetto-chiave: la consapevolezza. Per me il senso di queste esperienze è mostrare l'inadeguatezza della consapevolezza rispetto all'esperienza stessa. Se vuoi darle un senso devi cercare di espandere la consapevolezza, colmare quei vuoti che ti lasciano smarrito e privo di mezzi di comprensione, spingendoti alla rimozione dell'esperienza stessa. Occorre entrarci dentro, vivere l'esperienza e il suo ricordo con la massima attenzione possibile. Si tratta di quel genere di pratica che viene chiamato meditazione: un'immersione esplorativa nel mondo interiore priva, nei limiti del possibile, di pregiudizi e aspettative, pronti a cogliere ogni dato, senza discriminazioni o censure, superando le ribellioni della mente e dell'emotività, cercando di avvicinarsi il più possibile alla condizione di "osservatore puro".
In sintesi, direi che queste situzioni-limite più che risvegliare la consapevolezza, rivelano la necessità di una sua espansione e integrazione. Integrazione nel senso di conciliare i diversi aspetti della nostra complessa esperienza, senza rimuoverne una parte consistente per eliminare sbrigativamente quel senso di mistero, di paradosso, di inesplicabilità che pervade tutta la nostra coscienza.
Ma non direi che questo implichi una qualche "fede nella Verità", si tratta semplicemente di ricevere correttamente dei dati ed elaborarli, così come per ogni altra esperienza. Non c'è altra "verità" al di là dei dati dell'esperienza e di quelli ricavati dalla loro elaborazione. E' se di fede vogliamo parlare, direi che l'unica che serve è la fiducia nelle capacità della coscienza di raggiungere equilibrio e armonia.

CitazioneLa morte può essere una situazione-limite, quando squarcia il velo delle quotidiane sicurezze per farci intravedere, dietro il nostro esserci mondano, il Nulla.
Questo Nulla ci interroga: "E adesso?" Rigettandoci a noi stessi, perché a nessun appiglio possiamo aggrapparci se non a noi stessi.
Di fronte alla morte di una persona cara, posso o lasciarmi sopraffare dalla disperazione chiudendomi nel mio sordo dolore, o ragionarci sopra razionalmente inquadrando l'evento come ciò che purtroppo capita nella vita e bisogna farsene una ragione, oppure... viverla come una situazione-limite! Ossia sforzandomi di stare di fronte a quell'evento terribile, senza piombare nella disperazione che mi annichilisce e neppure cercare di razionalizzare ad ogni costo la cosa, depotenziandone così il pathos. Questa è la realtà! Inaccettabile, ma vera...
E affrontare così lo sguardo della Medusa, che m'interroga mostrandomi l'orrore del mondo, senza nulla sperare, perché quello è!
E lì, forse, tornare a me stesso.
Non c'è nessun "nulla" nella nostra esperienza, e neppure possiamo farcene una rappresentazione. Il nulla è un concetto che nasce per opposizione, ma resta confinato nel regno del pensiero astratto. Quello che qui chiami Nulla io lo chiamo paura. Paura di cosa? Questo è il mistero. Tutto quello che posso arrivare a dire è che si tratta della paura della morte indotta dall'animalesco "istinto di consevazione" proiettato in una dimensione astratta, artificiale. Ma c'è qualcosa di più profondo, abissale, oscuro e misterioso. Qualcosa che mi induce a pensare che la mia coscienza sia troppo ristretta per accogliere ed elaborare quel tipo di esperienza. Infatti sono assai poco incline a pensare che un essere vivente sia fatto in modo da essere incapace di accettare la vita (che implica la morte) e il mondo così come sono. Mi sembra molto più sensato ritenere che si tratti di un limite da superare, una sfida da accettare.
Quindi sì, certe cose sembrano inaccettabili, ma siccome, come dici, "questa è la realtà", sono in effetti un'esortazione ad espandere la capacità della coscienza.

Uno degli effetti più importanti delle pratiche meditative è la "coagulazione" di un "centro di gravità" (come lo chiamava Battiato, rifacendosi a Gurdjeff) attorno al quale costruire la propria visione del mondo e a cui l'esperienza, momento per momento, possa riferirsi.
Si potrebbe anche dire che tale centro si rivela man mano che l'accettazione di "ciò che è" (cio che si presenta alla coscienza) progredisce. Paradossalmente la risposta all'eterna domanda "chi sono io" si risolve in una spersonalizzazione e in una identificazione con "cio che è" che implica il superamento del comune senso dell'io, e allo stesso tempo forma un punto di riferimento "interno" fisso (tornare a sé stessi, per usare un tuo termine) individuale e universale allo stesso tempo, qualcosa di indefinibile a cui si può solo alludere.
A questo punto non cerchi più sicurezza negli altri, nel pensiero comune, nei miti o nella scienza o nella filosofia, ma avverti che solo la consistenza del tuo centro di gravità te la può dare.
#253
bobmax:
CitazionePer esempio, mi capita ormai non di rado di andare all'inferno.
L'inferno non è un luogo di un ipotetico aldilà. L'inferno è un luogo esistenziale presente qui e ora. Vi posso accedere in qualsiasi istante, è sufficiente che rifletta sulle mie colpe.

Ogni colpa è per sempre, e a nulla vale un eventuale pentimento. Se ne sta incastonata in quell'istante che fu è non si può più tornare indietro a cancellarla.
Di modo che l'inferno è luogo senza speranza.
Qui siamo parecchio fuori tema, ma l'argomento lo trovo interessante e le tue parole risuonano nella mia coscienza.
Anche a me è capitato di fare questa riflessione, più in generale sul dolore, la sofferenza per ciò che appartiene al passato e vive nella memoria.
E' vero, può capitare che un senso di colpa non vada mai via, come anche il dolore per la morte o una condizione di sofferenza permanente di una persona cara. Sono come buchi neri che, se dai loro retta, ti assorbono totalmente e non ti offrono alcuna via d'uscita. Davvero una sorta d'inferno.

Ma è radicalmente differente l'interpretazione e il valore che diamo a queste esperienze. Per me si tratta di disturbi psichici, probabilmente indotti, almeno in buona parte, da un'educazione cattolica (come è stata la mia) o da influenze culturali riconducibili direttamente o indirettamente alle religioni, o comunque a una concezione distorta e patogena dell'etica. Disturbi psichici largamente condivisi, disfunzioni psichiche collettive, paragonabili ai virus dei computer, indotte col preciso scopo di inabilitare le coscienze e renderle facilmente manipolabili. Il concetto di "peccato originale" è quello che rende meglio il compito di questo virus: farti sentire sempre e comunque inadeguato, sbagliato e bisognoso di qualcosa che ti redima (qualcosa che non troverai mai, perché non c'è niente da redimere). In realtà il peccato originale è la religione stessa, e più in generale la credenza: prendere un prodotto della tua immaginazione (indotto dall'immaginazione collettiva) e trattarlo alla stregua di qualcosa che ha un'esistenza indipendente dall'immaginazione, qualcosa che possa essere in qualche modo percepita come percepiamo i fenomeni che si presentano imperativamente alla coscienza. Quindi Dio, Inferno, Paradiso vengono assimilate a realtà oggettive, intersoggettive.

Ritengo che una mente sana, una coscienza integra (qualcosa che per almeno la maggior parte di noi è solo una meta più o meno lontana) sia immune dai sensi di colpa e dai dolori spirituali cronici, che sono un modo insensato di reagire agli eventi. Se hai sbagliato e sei integro, cerchi per quanto puoi di rimediare agli errori fatti e ti impegni a non ripetere gli stessi errori: questo è quanto puoi fare e ciò che è giusto e appropriato fare, e questo dovrebbe bastare a farti sentire in pace. Dovrebbe, ma il virus lo impedisce, anzi spesso il virus ti impedisce anche di cercare di rimediare ai tuoi errori e di evitare di ripeterli. Finisce col trascinarti in un vortice autodistruttivo che ti tiene in un continuo stato di inazione e senso di colpa. L'inferno è una malattia.
E anche il dolore per una perdita o per la sofferenza altrui, una mente sana dovrebbe essere in grado di accettarla, e smettere di tuffarcisi dentro masochisticamente. Una mente sana è empatica ma non inutilmente autolesionista: conosce e usa l'empatia, ma non lascia che degeneri in identificazione e attaccamento al dolore.

Quanto al Paradiso e a Dio, non posso che ribadire: se non me lo spieghi, non so di cosa tu stia parlando.
#254
bobmax:
CitazioneMa certo che non so cosa sia la Verità! 
Conoscere vuol dire in sostanza possedere. Mentre la Verità non può essere assolutamente posseduta, semmai è la Verità a possederci, totalmente.
Ma se non sai che cosa sia, perché pensi che ci sia? Siamo sempre lì: io ti chiedo che bisogna hai di postulare questa Verità, e ti chiedo cosa sia mai questa verità nell'esperienza della coscienza, in modo che io possa in qualche modo farmene una rappresentazione, un'idea, e tu me ne parli come se fosse qualcosa di condiviso o condivisibile, quasi scontato, e allo stesso tempo qualcosa che non si sa cosa sia. Non è né scontato né condiviso o condivisiabile: non conosco nessuna Verità, non sento il bisogno o la mancanza di nessuna Verità, in sostanza, lo dico sinceramente, non so di cosa tu stia parlando. Lo stesso se mi parli Dio.
E la condivisione è condizione necessaria per qualunque scambio di idee, altrimenti diventa un'alternanza di soliloqui.

CitazioneNon vi è nessuna certezza che la realtà sia intersoggettiva. Il soggetto potrebbe essere uno solo. 
Sia perché il solipsimo non può essere escluso del tutto, è sia perché i pur molteplici soggetti potrebbero in realtà essere la manifestazione di un unico soggetto. 
Inoltre neppure l'interpretazione materialista, dove il soggetto è solo un epifenomeno dell'oggettivitá in sé, può essere esclusa.
Questi, secondo me, sono i labirinti senza uscita in cui ci si infila se si perde il contatto con l'esperienza della coscienza. Proprio per questo sono partito dalla definizione di esistenza e di realtà. Se non definisco cosa sia esistere e cosa non esistere, cosa sia reale e cosa no, nell'esperienza della coscienza, se non stabilisco dei criteri concretamente applicabili per distinguereli, se non cerco di dare un effettivo, verificabile significato a questi termini, posso affermare tutto e il contrario di tutto senza che sia possibile argomentare pro o contro, ma quello che dico sarà solo un gioco di parole, un "effetto speciale" verbale, analogo a quelli dei film.

CitazioneIl referente si trova certamente in noi stessi, dove se no? Ma non può assolutamente essere individuato. Non perché è una sensazione, ma perché è il fondamento!
Per cui non si tratta di intuizioni extra razionali, ma di ciò che noi siamo.
Anche qui, non ho mezzi per capire di cosa parli. Cos'è questo "noi stessi"? E se il referente non può essere individuato, perché continui a postularne l'esistenza (che ancora attende di essere definita, tra l'altro)? Che bisogno abbiamo di stabilire un "fondamento" dell'esperienza della coscienza? Se si tratta di un bisogno di una "causa", resta il problema insolubile dell'eterna ricorsione: il fondamento ha bisogno di un fondamento, e così via. Non è un problema da liquidare con un colpo di spugna e neppure da aggirare con un atto di fede. O meglio , la fede può anche funzionare, soggettivamente, ma non è discutibile.
#255
davintro ha scritto:
Citazioneed ecco perché forse è limitante concepire "essere" e "nulla" come dimensioni nitidamente distinti da un ben definito e discreto confine in base a cui collocare chiaramente i diversi concetti in una sfera o nell'altra, ma è più valido piuttosto vederli come delle "polarità" opposte che delineano una tensione che contraddistingue ogni ente, che partecipa a una delle due sfere in modo maggiore o inferiore, ed allora avrebbe senso dire che qualcosa "è" più di un altra che ci sono diversi gradi di partecipazione delle cose all' Essere, rivalutando un certo modo di intendere l'ontologia, come ad esempio quello tomista, che prevede appunto diversi livelli, superiori e inferiori, di adesione degli enti all'essere.
Una visione non troppo dissimile da quella da me proposta, con l'importante differenza che io non stabilisco livelli superiori e inferiori e non sento il bisogno di un "essere" contrapposto al "nulla". Continuo a trovare più utilizzabile e meno problematica la concezione di diverse modalità piuttosto che livelli di realtà (o esistenza che dir si voglia), che sono in qualche modo in relazione tra loro, ma hanno anche una loro relativa indipendenza. Nella mia concezione non c'è nessun "nulla" e non c'è niente di "irreale".
Comunque sia, non riesco a ricavare dalla tua esposizione un significato di "reale" e "irreale" che sia definito in base ai dati che la coscienza ci fornisce (come ritengo sia la definizione da me proposta), uscendo dal solito circolo vizioso terminologico.