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Messaggi - donquixote

#241
Citazione di: sgiombo il 31 Gennaio 2017, 08:57:07 AMBeh, innanzitutto giochi di parole (innocenti; e mi pare anche un po' arguti, almeno per chi segua il motociclismo sportivo, cosa non vietata ai filosofi) mi sembra di averne fatti solo nella mia prima risposta a Vito Ceravolo. Inoltre se, come é perfettamente pensabile (non: possibile nella realtà, dal momento che "pensare" é un evento, dunque "qualcosa e non "nulla") non esistesse o non accadesse realmente alcunché, ovvero esistesse, accadesse (il) nulla, allora "tutto ciò che esisterebbe - accadrebbe" sarebbe "nulla", la "totalità del reale", il "tutto reale" (non "la totalità del pensabile", non "il tutto pensabile") sarebbe (il) "nulla". Questo non mi sembra un gioco di parole ma un onesto ragionamento corretto (fino a prova contraria, se qualcuno me ne proponesse una). Dunque, come sostenevo in quel primo intervento di cui sopra per intenderci (ed evitare reazioni stizzite -almeno così, francamente, mi pare la tua- ma fuori luogo) bisogna innanzitutto distinguere fra realtà (pensata o meno) e pensiero (circa la realtà o meno): nel concetto di "tutto il pensabile (indipendentemente dal fatto che sia anche reale o meno)" é compreso "di tutto e di più" (tutto ciò che non sia autocontraddittorio cioé insensato) , quindi (fra l' altro) anche tutto quanto da te elencato. Ma é pensabile (ipotizzabile) in maniera perfettamente corretta una realtà costituita da nulla, e in questo ipotetico caso "tutto il reale" sarebbe per l' appunto "nulla (di reale)". Il nulla (assoluto; non la negazione di qualcosa di determinato, non il nulla relativo) ovviamente, non comprendendo alcunché che potesse contenere qualcosa (o che potesse contenerlo), non conterrebbe né sarebbe contenuto da alcunché, non sarebbe costituito da alcunché: concetti perfettamente logici, sensatissimi, sebbene (ma questo é un altro discorso) il predicarli realmente accadere sarebbe con tutta evidenza falso contraddicendo la realtà (implicante, nell' ipotesi considerata, per lo meno questa predicazione, e dunque "qualcosa" e non "nulla"). Il nulla non può essere (di fatto) saputo (predicato) essere reale. Ma può benissimo essere pensato (ipotizzato, magari negato essere reale se si vuole predicarne veracemente, se si vuole avere una conoscenza vera su di esso).


Scusa Sgiombo, ma se rileggendo l'inizio del mio intervento posso comprendere che potesse essere interpretato come una reazione "stizzita", questa non era davvero la mia intenzione, e forse solo la fretta mi ha indotto a mantenere una forma colloquiale e non perfettamente asettica, quindi leggibile anche in termini di "toni". Chiarito ciò (spero), entrando nel merito e cercando di essere preciso e non confusionario devo innanzitutto rilevare che la tua frase  "pensare" é un evento, dunque "qualcosa e non "nulla" non ha senso perchè il pensare non è, come magari credeva anche Cartesio, qualcosa. Non si può "pensare" e basta, o "pensare un pensiero", perchè questa frase è solo una parola accanto ad un'altra che non ha alcun senso. Noi ci possiamo costruire un'idea, un pensiero, solo a partire da un evento che accade, da una nostra percezione interiore o esteriore: per pensare bisogna pensare "qualcosa", ovvero formarsi nella mente un'idea di qualcosa che è esterno alla mente stessa. Questa idea che si forma nella nostra mente (e della medesima percezione ognuno si farà magari un'idea diversa) in italiano diamo il nome convenzionale di pensiero ma il pensiero, come del resto tutti gli altri sostantivi del vocabolario, è solo un "contenitore" convenzionale che acquisisce senso (e realtà) solo se vi è anche il contenuto, che esiste indipendentemente dal fatto che questo venga "pensato" da qualcuno. Dunque anche "pensare il nulla" è una frase senza senso, un mero giro di parole perchè se il nulla è effettivamente tale non si può nemmeno pensarlo. Se dunque tutto ciò che è rientra nel "Tutto", si può pensare solo il "Tutto" o una parte di esso, ma non certo il nulla. Si può certo inventarsi un nulla a proprio comodo e ragionarci su, ma avrebbe lo stesso senso logico e la stessa aderenza alla realtà di una frase che dice: "albero per sublima noi che trattoria in andasse volere dunque tomba se immantinente con mangiarono".
Per quanto riguarda il concetto di realtà non so esattamente cosa tu intenda con questo, ma se intendi "reale" con "esistente" allora il "Tutto", essendo reale, è anche necessariamente esistente.
#242
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 22:14:57 PMMentre il nulla non è definibile, se anche il tutto non lo fosse allora nulla sarebbe definibile, neppure le parole che ci scambiamo; oltre al fatto che ciò contraddirebbe l'indefinibilità del nulla e la perfetta determinazione del tutto che in quanto tutto è la determinazione di ogni cosa. In questo senso il nulla non può avere alcun tipo di esistenza perché se l'avesse il tutto non sarebbe tale; deve cioè negarsi all'esistenza all'infinito, implicandola negativamente.

Per definizione non intendo la descrizione che ne darebbe un vocabolario, ma nel senso etimologico di delimitazione (fines=limite) Il tutto non può essere limitato da alcunchè perchè se questo accadesse ciò che lo limita dovrebbe essere esterno al tutto, e quindi lo negherebbe. Se dunque il nulla non può essere definito perchè non contiene nulla anche il tutto non può esserlo perchè contiene tutto. Nessuno dei due concetti ha limitazioni

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 22:14:57 PM
Esiste poi una nuova definizione di esistenza che parte dalle sue origine etimologiche:
L'esistenza è la sostanza d'ogni cosa che è. Ciò che non è prodotto da niente se non da sé. Il suo esistere, cioè avere l'essere, è proprio della sua natura. [p. 118]
 

L'etimologia di esistenza è ex-stare ovvero stare (o essere) fuori, quindi l'esistenza non è, secondo me, la sostanza dell'essere, ma la sua manifestazione; ciò che dell'essere si manifesta, che viene alla luce, che ex-siste.
#243
Citazione di: InVerno il 30 Gennaio 2017, 15:41:28 PMVedi (mi permetto il tu) è stata qui precedentemente evocata la psichiatria (addirittura l'etologia) parlando di disturbi borderline. Allora parliamo di psichiatria. Si definisce "psicopatia culturale" o "narcisismo culturale" quella patologia (apparentemente una "devianza" dalla norma, seppure non ne sarei convinto) che impedisce l'empatia nel caso in cui vi siano elementi culturali a frapporsi tra il soggetto e l'oggetto. Una persona che indossa un capo di abbigliamento strano, una persona che prega in modo diverso, una persona di diverso colore. etc. Questi semplici tratti a quanto pare basterebbero per bloccare il processo empatico tra soggetti, ne deriva l'assurda situazione che venti italiani rimasti sotto una slavina sono una tragedia per cui sperticarsi per una settimana, ma un barcone di mille persone che affonda, nella migliore delle ipotesi "rincuora" quello stesso soggetto che si strappava le vesti per gli italiani sotterrati dalla neve. Vedi qui non si tratta di "ideologie", non si tratta di razzismo, se vogliamo entrare nella psichiatria, qui si parla di patologie, seppure io non sia convinto esista una cura. E mentre uno può tranquillamente pensare "chi se ne frega, in fin dei conti almeno compatisco i connazionali" la fregatura è dietro l'angolo. Perchè un soggetto psico\sociopatico, nel senso che manca di empatia o la cui empatia è facilmente frenabile da quid culturali, nella maggior parte dei casi simula quella stessa empatia di cui è sprovvisto nei confronti dei "connazionali". L'augurio mio, quando un giorno attraverserai la strada e un camion si presenterà di fronte al tuo sguardo, è quello che vicino a te non sia presente questo soggetto. Perchè la simulazione empatica ha dei limiti, e sono prettamente egoistici, è molto probabile che quello stesso soggetto vedendoti in difficoltà e vedendo il rischio di finire sotto il camion egli stesso, se ne fregherà altamente di simulare empatia e di lanciarsi sotto il camion per salvarti (anche connazionale), perchè i rischi saranno nettamente superiori ai suoi guadagni personali, e non ci sarà nessuna empatia a lanciarlo nell'atto romantico di provare a salvarti. Personalmente, se quando attraverso la strada questo soggetto mi starà distante, mi sentirò più sicuro, perchè c'è anche il rischio del contrario, ovvero che per salvare egli stesso butterà sotto me. Senza offesa, e pacificamente. Preferisco attraversa la strada accompagnato da altri.

Ho la sensazione che tu abbia imboccato una strada sbagliata e tra l'altro credo che la "psicopatia culturale" o la "devianza culturale" (due "patologie" che non avevo mai sentito nominare prima) siano invenzioni alquanto moderne e del tutto funzionali ad un progetto che non voglio chiamare "neoschiavista" per non semplificare troppo ma che comunque ci va molto vicino. Più che l'empatia bisognerebbe considerare l'identificazione come tratto caratteristico di appartenenti alla medesima cultura che porta ad adottare atteggiamenti confidenti nei confronti dei nostri simili e diffidenti nei confronti degli stranieri e che poi conducono a situazioni come la condivisione e la partecipazione a sofferenze causate da tragedie come quella di Rigopiano o l'apparente distacco nel caso delle tragedie in mare. L'empatia è un sentimento individuale che ogni uomo può provare o meno (vi sono persone più empatiche e altre meno) ma è totalmente slegato dalla cultura di riferimento. Una persona naturalmente empatica si preoccuperà della sofferenza altrui da qualunque parte questa provenga, mentre una poco empatica non se ne preoccuperà nemmeno se a soffrire fosse un appartenente alla sua stessa cultura. In ogni caso l'empatia (tratto caratteriale eminentemente femminile che è tanto di moda di questi tempi a causa dell'eccessiva "femminilizzazione" del mondo), al contrario dell'identificazione è molto spesso deleteria e distruttiva: un antico proverbio marchigiano recita: "il medico pietoso fa il dito cancrenoso", quindi il medico empatico che si intenerisce per la sofferenza del paziente che ha una gamba incancrenita evitando di amputargliela per non farlo soffrire ulteriormente finirebbe per ucciderlo, facendogli quindi un servizio peggiore. Nei tempi attuali l'empatia è inflazionata al punto che qualche tempo fa in una trasmissione televisiva la conduttrice assunse un'espressione sofferta empatizzando con una pianta che il fiorista ospite stava potando, e sollecitata si rifiutò di potarla lei stessa. La stragrande maggioranza delle persone che gridano contro gli immigrati sono certo che non sarebbero mai in grado di lasciarli morire in mare senza fare nulla se si trovassero di fronte a loro, così come del resto nessun ragazzino o ragazzina di città, sempre per via dell'empatia, è più in grado di tirare il collo ad un pollo e finirebbe, se lasciato a se stesso, per morire di fame. L'aumento, questo sì patologico, dell'empatia negli ultimi decenni ha fatto un numero enorme di disastri riducendo gli uomini a pappette per neonati, e sarebbe opportuno che diminuisse lasciando spazio al buonsenso, alla razionalità, e soprattutto alla giustizia.

P.S. Fharenight, dato che elogi gli interventi "costruttivi", vorrei pregarti di contribuire in tal senso, senza farti prendere da frenesie che di costruttivo non hanno nulla. Se vuoi scrivere post come quello qui sopra fa' pure, poi una volta che hai scritto e ti sei sfogata anzichè premere "invia post" cancella tutto e ricomincia cercando di argomentare in modo, appunto, costruttivo. Grazie
#244
Citazione di: sgiombo il 30 Gennaio 2017, 20:54:12 PMDissento in toto. Sia "tutto" che "nulla" hanno un senso (denotazione) stabilita per definizione, come tutti gli altri vocaboli (simboli verbali). Essi sono reciprocamente contrari (dunque hanno ciascuno un contrario, rappresentato dall' altro di essi). Se -per ipotesi- il nulla fosse o esistesse (non esistesse alcunché), allora il tutto (esistente) sarebbe costituito dal nulla, ovvero non sarebbe costituito da alcunché; e nulla vi sarebbe fuori di (od oltre ad) esso: dunque continuerebbe tranquillamente ad essere il tutto (esistente), ovvero il nulla che esisterebbe costituendo la totalità dell' esistente (nell' ipotesi considerata). L' esistenza di qualcosa può essere un fatto reale (negarlo significherebbe che non può esistere alcunché, ovvero che deve necessariamente essere il nulla: il nichilismo più "sfrenato"!), anche se é sensatamente predicabile (affermativamente oppure negativamente) solo di un qualche soggetto. 

Invece di fare delle ipotesi e dei giochi di parole che servono solo a confondere  dovresti spiegare cosa ho scritto di sbagliato. Se ogni parola è connotata dalla sua definizione la parola "tutto" (o "totalità") se affermata così com'è senza attribuzioni particolari (la totalità degli uomini, o delle stelle, o delle automobili) che la limiterebbero contiene qualsiasi ente, materiale o spirituale, visibile o non visibile, conoscibile o non conoscibile, manifesto o immanifesto. Nella parola "tutto" sono comprese tutte queste "cose" e se qualcosa rimanesse fuori significa che il tutto non è più tutto, ma solo una parte da cui manca ciò che si trova al di fuori, e dunque non si potrebbe chiamare "tutto" in quanto contraddittorio rispetto alla sua "definizione". E se tutto è contenuto nel tutto da cosa sarebbe costituito il "nulla"? Cosa conterrebbe?
#245
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM«[...] affinché il nulla non esista deve negarsi all'esistenza implicando così l'esistenza stessa. Una logica negativa per cui è necessario che esista l'esistenza per la non esistenza del nulla [...]. [...] Se il "nulla assoluto" è impossibilitato a esistere per la sua identità priva di valore, allora il nulla non può accadere e necessariamente deve accadere qualcos'altro affinché ad accadere non sia il nulla. Che è come dire: il nulla non può esserci, altrimenti il nulla sarebbe, ma se il nulla non può esserci allora "qualcosa"; perché: se non c'è nulla allora o c'è nulla, il che contraddirebbe il non esserci del nulla, o c'è qualcosa. E badate bene: se con l'inversione verbo-soggetto la frase non cambia di significato, allora il misterioso "non c'è nulla" brilla come "nulla non c'è" quindi necessariamente qualcosa. Anche se poi "non c'è nulla" o "nulla non c'è" possano rispondere a domande diverse, pur mantenendo lo stesso risultato. Relativamente si potrebbe dire: "non c'è nulla di quello che intendevo ma c'è altro" oppure "nulla non c'è, guarda bene". A questo punto sospendiamo qui la domanda heideggeriana e riassumiamo le diverse logiche sopra espresse [...]» Ceravolo V.J., Mondo. Strutture portanti, Editore Il Prato, Collana Cento Talleri, 2016 (dicembre), Nihil negativum e privatum, pp. 133-134 Libro sul sito della casa editrice Il Prato, collana Cento talleri academia.edu VJCeravolo facebook VJCeravolo Ciò che qui ho riportato è un piccolo estratto del paragrafo "3.15. Nihil negativum e privatum" del suddetto libro, dove si esamina la differenza fra nulla assoluto e relativo, così da abbattere ciò che Jim Holt (Perché il mondo esiste?) chiama "l'ultimo baluardo del nichilismo".

Il vocabolo nulla così come il vocabolo Tutto hanno una connotazione particolare e non hanno un opposto; non trattandosi di vocaboli sottoposti a "definizione", quindi a limitazione, non c'è niente che gli si possa opporre poichè l'opposizione dovrebbe situarsi al di fuori del loro limite, della loro definizione, che non esiste. Il Tutto comprende tutto ciò che è (quindi da esso niente può essere escluso) e dunque il nulla è solo un opposto in senso grammaticale che non ha e non può avere alcun tipo di esistenza. È solo una parola senza alcun significato e senza alcun nesso con la realtà, per quanto ampia la si possa considerare. Se il nulla  fosse o esistesse (sotto qualunque forma) allora il Tutto non sarebbe più tale poichè vi sarebbe qualcosa al di fuori di esso e dunque non sarebbe più il Tutto. L'esistenza non può sussistere di per sé perchè l'esistenza è un predicato, un attributo, una condizione secondaria che per sussistere necessita di una condizione primaria: l'essenza; la frase "il nulla esiste" è doppiamente contraddittoria poichè non è possibile attribuire una qualità (l'esistenza) a qualcosa che non ha essenza. "Non c'è nulla" o "nulla c'è" sono solo modi di dire colloquiali e semplicistici che non hanno alcuna valenza filosofica, come se ne sentono tanti tutti i giorni.
#246
Citazione di: Fharenight il 30 Gennaio 2017, 02:07:12 AMChiedo scusa, Freedom , Paul e gli altri, però quando la digressione si prolunga approfondendo altri temi, e se altri utenti poi tornano al tema principale, sarebbe meglio aprire un topic a parte, altrimenti si finisce col dividere l'argomento in due o più filoni sullo stesso topic. Purtroppo gli argomenti sui forum non si possono strutturare come un libro e suddividerlo in parti, capitoli e paragrafi, con indice, rimandi e note a piè di pagina. Non che non ritenga interessante il tema sul comunismo primitivo come metodo economico e sociale alternativo al capitalismo ma per non passare da un approfondimento ad un altro e spezzettare il filo del discorso.

Provo io a introdurre una connessione fra i due argomenti che mi sembra tutt'altro che irrilevante, anche se indubbiamente concordo su fatto che se bisogna discutere di colpe o meriti "storici" di comunismo e capitalismo e delle loro radici filosofiche è opportuno farlo altrove. L'elemento "politico" che mi pare determinante e incisivo nei comportamenti dell'Europa post 1989 è che i partiti tradizionalmente di sinistra, che si ispiravano al marxismo e nella loro versione storica si sono sempre occupati di difendere gli interessi degli sfruttati (i proletari) contro quelli degli sfruttatori (i padroni o "borghesi"), dopo il crollo dell' URSS hanno abbracciato di fatto l'ideologia liberalcapitalista (significativo il viaggio che fece D'Alema nel 1999 nella "City" di Londra per ottenere la legittimazione del suo governo, il primo post-comunista della storia d'Italia, da parte della élite finanziaria europea) e si sono nel contempo trasformati adeguandosi alle ideologie dei democratici (i cosiddetti "liberal") statunitensi, che se pur colà vengono definiti "di sinistra" questo appellativo ha tutt'altro significato rispetto a quello tradizionalmente in uso in Europa. Da qui il progressivo spostamento dell'attenzione della cosiddetta "sinistra liberal" nostrana dalla difesa degli operai e dei disoccupati a quella delle donne, dei gay, dei transgender, degli immigrati e anche degli animali, quindi una conversione verso quella che loro chiamano "globalizzazione dei diritti" che è del tutto trasversale e non più classista, e lungi dall'essere espressione di una cultura la nega in radice poiché ogni cultura ha un proprio equilibrio interno fra diritti e doveri che deriva dai principi (e dalle loro gerarchie di importanza) sui quali si basa per elaborarlo. E non è affatto un paradosso che la cosiddetta "destra" sia vista come più funzionale alla difesa dei più poveri, dei più sfruttati, della cosiddetta "classe lavoratrice", poichè oltre alla destra considerata "liberale", giolittiana, è sempre esistita (da un secolo almeno) la cosiddetta "destra sociale" che tentava di coniugare i valori nazionalistici con quelli della giustizia sociale, al contrario della sinistra che quando era tale era anche fieramente mondialista e fautrice dell' "internazionalismo proletario". Il risultato di questa trasformazione è stato che, se la sinistra "liberal" americana difendeva i diritti di cittadini americani che non ne avevano perchè la società di quel paese era ancora nel profondo razzista e schiavista, quella de noantri è costretta a difendere gli immigranti che ancora non sono immigrati poichè qui da noi lo schiavismo non c'era più da secoli e il "razzismo" è stato perlopiù limitato all'antisemitismo, raggiungendo con una paradossale eterogenesi dei fini e per mezzo di politiche insensate l'obiettivo di reintrodurre in Europa queste disgraziate pratiche.

Citazione di: altamarea il 29 Gennaio 2017, 23:49:21 PMNicola Matteucci si domandava:"Quanta diversità può sopportare una società al suo interno? L'ideale è ex pluribus unum; ma cosa succede se quei "pluribus" diventano divaricanti?"

Questo motto, guarda caso adottato dagli Stati Uniti e riportato nel suo simbolo, è esattamente l'opposto di quello che era in vigore di fatto in Europa, che si può sintetizzare con "ex unum, pluribus". La regola è questa mentre l'altra, la versione americana, non è nemmeno eccezione, ma solo confusione. L'Europa, a differenza degli Stati Uniti, era (secoli fa) culturalmente unita da Roma alla Scandinavia e dai Pirenei (e poi, dopo la "reconquista", dall'Atlantico) alla Russia, poi si è divisa prima negli stati-nazione che hanno rivendicato una cultura loro propria e poi in gruppi culturali sempre più piccoli (indipendentemente dai confini geografici); gli Stati Uniti al contrario sono partiti da gruppi culturali divisi e frammentati (che già erano tali in Europa e che in territori diversi hanno potuto esaltare la loro identità) e quindi hanno avuto la necessità di trovare un punto d'unione. Dato che gli USA non hanno mai avuto una cultura comune in cui riconoscersi (la loro costituzione è l'esaltazione di valori negativi e non affermativi) hanno dovuto trovare il punto d'unione nella difesa del loro "way of life" contro i nemici che di volta in volta dovevano essere inventati per unire il popolo contro di loro ed evitare l'esplosione di conflitti interni incontrollabili.
Gli uomini sono il prodotto della loro cultura, sono come le foglie di un albero che ad ogni stagione muoiono e ricrescono ma il tronco rimane sempre il medesimo con le radici ben piantate nella terra e  consentono alle foglie di vivere e nutrirsi. Se si tolgono le foglie e le si ammucchia insieme queste inevitabilmente si seccheranno, così come se si sradica un uomo dalla sua cultura questo diverrà inevitabilmente un apolide culturale. L'Europa illuministica ha reciso le radici culturali dei popoli europei lasciandoli in balia di loro stessi e assecondando la progressiva secchezza culturale, consentendo così ad altri "cespugli" culturali (che alcuni amerebbero definire "gramigna") di prendere piede e occupare il posto delle  foglie secche che essendo tali possono essere spazzate via da un alito di vento.

#247
Citazione di: paul11 il 29 Gennaio 2017, 14:03:08 PM
Citazione di: Eretiko il 29 Gennaio 2017, 09:13:38 AM@Donquixote Il comunismo, almeno nel pensiero di Marx, non e' semplicemente un modello alternativo al capitalismo, ma un suo ineluttabile completamento che avrebbe eliminato l'alienazione derivante dallo sfruttamento intrinseco di una societa' capitalista, mediante una redistribuzione di quel capitale la cui accumulazione, nella visione marxista (materialismo storico), e' avvenuta togliendo qualcosa agli altri. Marx insiste sull'alienazione, e non su una presunta felicita' derivante da beni materiali.
Con permesso.... Il concetto marxista è impadronirsi dei mezzi di produzione che costruiscono la disparità della disuguaglianza in quanto costruisce quel plusvalore che non è altro che il profitto privato. Quindi l'abolizione della proprietà privata e la restituzione alla comunità non direi solo della redistribuzione, ma anche della produzione della ricchezza, perchè sono due fasi importanti e distinte. Ad esempio la fiscalizzazione negli Stati liberal-democratici è il tentativo di ricostruire(o dovrebbe essere...) l'eguaglianza nella fase della ridistribuzione senza intaccare la proprietà privata dei mezzi di produzione e la libera imprenditorialità.. Lo Stato ,come concetto trascendente di una società, in quanto personalità giuridica ( e c'è tutta una storia sul concetto di personalità giuridica e fisica nella nostra cultura ) diventa centrale di un partito che avrebbe dovuto, dal pensiero marxista alla prassi leninista dell'organizzazione del partito e delle forme organizzate dei mezzi di produzione (soviet) consentire quell'uguaglianza nel popolo come comunità. La fase finale (escatologica?) è il dissolvimento dello stesso Stato nel pensiero marxista, vale a dire l'anarchia. Il principio cardine dell'analisi marxista in economia è lo studio del ciclo economico, delle fasi interne di accumulazione del plusvalore, investimenti, riduzione del costo del lavoro, rivendicazioni di classe, sovraproduzione,ecc....il discorso è lungo e rischio di esser o,t. E' vero comunque, che il pensiero marxista insiste sulla negatività. sfruttamento, alienazione e non positività, felicità ecc. Forse ritene che sia implicito nella materiailità dello sfruttamento che si estrinseca nel plusvalore, quindi togliere lo sfruttamento porta alla "felicità",intesa come nuova possibilità di costruire o ricostruire relazioni umane più fraterne e solidali

Da qualunque parte lo si guardi il marxismo mette al centro il lavoro e il controllo dei mezzi di produzione, ovvero gli strumenti per modificare la materia. Non offre, rispetto al capitalismo, un'alternativa "ideale" valida e credibile, anche considerando che nei paesi liberalcapitalisti vi è almeno la libertà di professare un culto (per quanto la religione sia ridotta a fatto "privato") mentre in quelli comunisti la religione era proibita per legge (e abbiamo visto la reazione del popolo russo dopo il 1989 come ha ricominciato a frequentare le chiese, tanto che i paesi ex comunisti e la Russia in particolare sono ora quelli nettamente più religiosi d'Europa). Se queste idee sono nate per difendere gli oppressi e gli sfruttati non si può però considerarle  esaustive della necessità di senso della vita umana; se qualcuno mi libera dalle catene gli sarò grato, ma questa libertà non darà certo senso alla mia vita, e dovrò comunque trovarlo altrove. Il capitalismo, con il cosiddetto "american dream", ha proposto invece un modello che ha avuto successo, e ormai chiunque nel nostro mondo si spende e si spreme in tutti i modi possibili, leciti o meno, per avere ricchezza, fama, successo e riconoscimento da parte dei propri simili. La mistica del vincente è l'ideale del capitalismo, ma quello del comunismo qual è?
#248
Citazione di: altamarea il 29 Gennaio 2017, 18:28:53 PMPer tornare al tema del topic: "multiculturalismo e multirazzialità"... Il Presidente Trump ha firmato due decreti esecutivi per tenere fuori dall'America i terroristi ed ha bloccato per quattro mesi il programma di accoglienza per i profughi provenienti da alcuni Stati dell'Africa e del Medio Oriente. Subito si sono levate voci di protesta. Paolo Gentiloni, presidente del Consiglio, su Twitter ha scritto: "Società aperta, identità plurale, nessuna discriminazione. Sono i pilastri dell'Europa". "identità plurale" ? Nell'ambito della psicologia sociale per "identità" s'intende le caratteristiche che rendono specifico un individuo, mentre per "identità plurale" le caratteristiche che definiscono un gruppo (valori, credenze, esperienze comuni) e permettono al singolo di riconoscersi e di essere riconosciuto come membro. Il sociologo polacco Zygmunt Bauman, nel suo libro "La società individualizzata", afferma che l'identità è divenuta oggi un prisma, ed il giornalista Gad Lerner nel suo libro titolato "Identità plurali" ribadisce che vivendo in società pluralistiche non si può considerare la propria singola visione del mondo come l'unica e "la" giusta. Bisogna accettare e convivere con tutte le differenze, e questo rappresenta non un limite, bensì la vera ricchezza del nostro mondo (?). Le identità plurali rispecchiano la complessità delle società occidentali e molte persone racchiudono in sé identità diverse (pluralità identitaria), paradigma di un processo di meticciamento. I processi di ibridazione esistono con l'homo sapiens sapiens, ma l'ibridazione culturale ed il meticciato biologico inducono a convivere in pace e solidarietà o può condurre molte persone al disturbo dissociativo d'identità ? Lo psichiatra Otto Friedmann Kernberg ha introdotto il concetto di "diffusione dell'identità" come elemento centrale nelle personalità borderline. La diffusione di identità induce a rappresentazioni di sé e dell'altro parziali, anziché integrate, che risultano da meccanismi di difesa psicologica, come la scissione.

Giovanni Sartori, in un libretto intitolato "multiculturalismo, pluralismo ed estranei" afferma che il pluralismo culturale è praticamente l'opposto del multiculturalismo, poichè quest'ultimo tende a formare dei gruppi chiusi che non riconoscono la cultura di altri gruppi ritenendola sbagliata, mentre il pluralismo è un'insieme di formazioni, di associazioni, che sono certamente indipendenti e riconoscibili come tali, ma caratterizzate dal fatto di essere volontarie e non esclusive, aperte ad affiliazioni multiple. In pratica, da come ho capito io quel che intende Sartori, le società pluralistiche sono le democrazie liberali moderne, società aperte ove i gruppi possono essere paragonati ai partiti politici a cui chiunque può affiliarsi volontariamente ma anche cambiare partito, e se fra partiti diversi sorgono frequentemente dei conflitti tutti si trovano d'accordo sul loro metodo di composizione (nel caso dei partiti questo è il consenso elettorale). Le idee e i progetti dei partiti politici sono stati spesso confusi con le "culture" tout court definendo le persone "di cultura comunista", "di cultura liberale" eccetera (del resto, in particolare per quanto riguarda i comunisti, esisteva anche un'etica e una ritualità particolari che li caratterizzavano), e questa idea del tutto sballata (poichè le culture propriamente dette sono tutt'altra cosa e sono essenzialmente chiuse) si è poi diffusa a tutti i gruppi sociali (abbiamo la cultura garantista, quella giustizialista, quella del sospetto, quella dell'accoglienza, del complotto e così via) tanto che ormai il termine "cultura" è tanto inflazionato quanto irrilevante. Siccome non ritengo Sartori un ignorante e siccome ha cominciato a pronunciarsi chiaramente su queste questioni da quando si sono create frizioni fra i gruppi di religione islamica per affermare che l'ingresso in Europa dovrebbe essere vietato a costoro, sono costretto a pensare che mostri una discreta malafede, poichè non poteva non sapere cos'è effettivamente una cultura e quindi non poteva in nessun modo paragonare un gruppo di cultura buddhista o taoista o protestante o ebraica ad un partito politico o ad una associazione culturale purchessia, dato che molti gruppi "chiusi" sono presenti in Europa da sempre ma il problema è sorto solo negli ultimi anni. Sartori, nelle sue dotte analisi sulla democrazia e le sue definizioni, non ha mai sollevato un problema di tal genere, ma invece esaltava la "tolleranza" lockiana nei confronti di chiunque come un valore fondante del liberalismo.
#249
Citazione di: Freedom il 28 Gennaio 2017, 09:54:11 AMLe vostre analisi sono, in qualche modo, centrate. Le differenze che reciprocamente sollevate diventano un ginepraio meramente intellettuale. E non consentono di arrivare alla radice del problema. Alla profondità delle cause. Che, a mio avviso, sono magistralmente riassunte nel celeberrimo dialogo tra Michel Douglas e Charlie Sheen nel film Wall Street del 1987. Quello sull'avidità........ e se non lo avete presente ve lo vado a cercare perchè veramente merita. E' quello il problema! Il resto è sovrastruttura. E' tuttavia vero che, nell'attesa di una ricetta che possa risolvere o almeno lenire l'avidità umana, da qualche parte bisognerà pur cominciare e qualcosa bisognerà pur fare. Ebbene, nonostante io non sia mai stato comunista (sono sempre stato anarchico) credo che forse tendere alla società comunista sia, allo stato attuale, l'unica alternativa proponibile. Voi direte che il comunismo è stato il più grande fallimento del XX secolo e avete pienamente ragione. Ma perchè? Perchè è una proposta irricevibile o perchè è stato sbagliato qualcosa nella sua applicazione pratica? Non ho la presunzione di avere la risposta ma una cosa è certa: non possiamo accettare l'esistente come il migliore dei mondi possibile!

L'avidità è una semplice caratteristica umana fra le tante, presente da sempre in tutti gli uomini (molte storie di uomini avidi sono presenti in tutti i luoghi e in tutti i tempi, a cominciare dal mitico re Mida) e quindi non può essere questa la causa principale (o addirittura unica) di una situazione che è esplosa negli ultimi tre/quattro secoli. Se l'avidità appare però più evidente nei tempi moderni è perchè ha trovato un modello intellettuale che l'ha esaltata anzichè tenerla sotto controllo, come si faceva nei tempi antichi e come si fa nelle (poche) culture tradizionali che ancora sono rimaste in vita. Ogni peculiarità umana può essere esaltata o mortificata dalla cultura in cui gli uomini sono inseriti, e quella attuale è una cultura che esalta proprio l'avidità, la competitività, la sopraffazione (quindi il conflitto permanente, nelle sue varie forme) e mortifica l'equilibrio, la solidarietà, l'armonia, in una parola la giustizia. Che io sappia il solo Max Stirner, fra gli intellettuali e i filosofi che conosciamo, ha teorizzato l'avidità umana come una caratteristica positiva, ma non è necessario esaltarla direttamente affinchè questa si sviluppi e progredisca, basta fornire agli uomini un modello di vita che abbia l'avidità quale motore indispensabile per essere realizzato. Da quando i filosofi illuministi hanno cominciato a dire che esiste solo la materia, gli uomini hanno iniziato a pensare che la loro felicità potesse dipendere solo dal possesso di quanti più oggetti materiali possibile o di mezzi per ottenerli (leggi: denaro), facendo così la fortuna di borghesi, industriali e mercanti che in pochi decenni hanno acquisito il potere sulle vite altrui. Ma siccome gli oggetti materiali (e la materia in generale) non è infinita coloro che ambivano a possederne in maggior misura per poter essere dunque più "felici" furono costretti a sottrarli ad altri uomini (o alla natura, che da allora si è sempre più impoverita); l'avidità risultava quindi determinante ai fini del conseguimento di tale obiettivo e dunque, ultimamente, del raggiungimento della felicità. Col tempo poi questa è aumentata  e si è diffusa sempre di più fino a raggiungere i livelli attuali. Il capitalismo industriale e mercantile ha continuato a cavalcare ai propri fini questa caratteristica umana volgendola in positivo e proclamando, con Von Mises, "non è bene accontentarsi di ciò che si ha", condannando così l'umanità ad una infelicità permanente. Appare chiaro a chiunque che nei paesi capitalisti le persone non sono affatto felici, e non solo quelle sfruttate ma anche quelle che rientrano nella categoria degli sfruttatori. Gente che guadagna milioni di dollari al giorno che non dorme la notte per curare i propri affari e guadagnare sempre di più la si può chiamare felice? Sono solo, tecnicamente, degli squilibrati che non troveranno mai un punto di arrivo della propria felicità e del proprio benessere perché saranno costretti dal sistema di cui anche loro sono in qualche modo vittime a spostare quel traguardo sempre più avanti, all'infinito.

Il comunismo, modello teoricamente alternativo al capitalismo, non poteva e non può che fallire poichè essendo basato sui medesimi presupposti (il possesso e lo sfruttamento dei beni materiali ai fini del raggiungimento della felicità) ha il grosso difetto di non essere una vera alternativa ma solamente un'altra teoria economica che ultimamente non fa altro che "ridiscutere" l'allocazione di tali beni materiali; non tenendo nella giusta considerazione l'avidità, ovvero la natura umana, quest'ultima come sempre accade ha avuto la meglio. Come convincere infatti la gente ad accontentarsi di meno di quel che ha se quel che ha non è mai abbastanza? Sarebbe come dire: "sii felice di essere infelice". Si è provato a farlo con i regimi assolutisti e la propaganda, ma nonostante l'apparato propagandistico e la violenza in tutte le forme i risultati sono stati quelli che abbiamo visto. Anche il capitalismo utilizza un sistema mediatico e propagandistico poderoso per autoalimentarsi, ma lo fa assecondando una caratteristica naturale dell'umanità, quindi gli riesce anche più facile fare breccia nell'immaginario collettivo: se tu remi controcorrente andrai innanzitutto più piano, poi finirai per stancarti e la corrente avrà la meglio; se invece andrai favore di corrente potrai arrivare alla foce senza remare, e se lo farai ci arriverai più velocemente.
L'unico modo quindi di sconfiggere il capitalismo selvaggio è spostare il centro d'interesse verso beni immateriali, spirituali, che per loro natura e al contrario di quelli materiali possono essere posseduti in massima misura da chiunque senza togliere nulla a nessuno (io posso in teoria possedere tutta la sapienza divina senza che ciò impedisca a te o a chiunque altro di possederla tutta a sua volta): in tal modo l'avidità non produrrà alcun danno ma anzi potrà essere il motore di un circolo virtuoso; se tutti applicassero l'avidità nei confronti dei beni immateriali nessuno ci perderebbe ma tutti ci guadagnerebbero, anche se per acquisire un tal genere di beni l'avidità è perlopiù inutile e quindi questa pulsione diminuirebbe.
Migliaia di anni fa l'uomo sapeva bene queste cose senza alcun bisogno di antropologia, filosofia, sociologia, economia, psicologia e tutte quelle altre discipline che hanno falsamente convinto l'uomo moderno di essere più "intelligente" ed "evoluto" di quello antico, mentre è solo infinitamente più insipiente, e dunque i saggi e i sapienti di ogni parte del mondo predicavano in questo modo: "Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore."
#250
Citazione di: Eretiko il 26 Gennaio 2017, 15:31:44 PM
Citazione di: donquixote il 26 Gennaio 2017, 11:08:05 AMI suoi seguaci affermano che la globalizzazione ha strappato dall'indigenza oltre un miliardo di persone negli ultimi 20 anni ma invece...
Io non sono seguace di niente, non sono amministratore delegato di una multinazionale, semplicemente sono nato in questo mondo e cerco di comprenderlo per quanto possibile. Esistono forse ingenui che credono che la famosa "globalizzazione" sia stata decisa a "tavolino" da N persone? Ci sono stati altri modelli, ci sono state "terze vie", tutto fallito. Dunque? Potrà non piacere, ma questa è la realtà. O forse c'è qualcuno ancora più ingenuo da credere che è esistita un'era bucolica in cui tutto era bello e perfetto? Ci piaccia o no questo è il capitalismo e il modello, e noi ci siamo dentro, tutti, come schiavi, sia nella globalizzazione sia nel localismo e nel protezionismo.

Quando parlo dei seguaci della globalizzazione non mi riferisco in particolare a te, ma solo appunto ai suoi seguaci, che mi risulta essere molti ad iniziare dal presidente cinese che ha fatto una spericolata conversione ad U rispetto all'ideologia da cui proviene. Mi rendo conto che il mondo è questo, che la direzione verso cui sta andando è chiara e definita, ma il fatto di non poterci fare niente non mi impedisce comunque di evidenziarne la profonda ingiustizia, che certo non si limita alle disuguaglianze economiche di cui fra l'altro non mi potrebbe fregare di meno e che a mio avviso sono meno criticabili di tanti altri aspetti. Il modello non è il capitalismo, al quale sono state opposte le alternative che hanno fallito, ma è, più profondamente,  l'idea moderna che la felicità e il benessere dell'uomo debbano dipendere dal possesso e dal consumo (quindi dalla distruzione) di quanti più oggetti materiali possibile, idea che ha decretato il successo dell'industrialismo che è stato declinato poi nel capitalismo e nelle ideologie alternative. Il modello che critico è questo, e non certo una delle sue declinazioni che sono solo delle varianti ugualmente deprecabili.
#251
Citazione di: InVerno il 27 Gennaio 2017, 11:52:28 AMNon c'è identità senza solidarietà, e la solidarietà è minata in quel subdolo modo che Niemoller riassunse nel "prima vennero a prendere i.." La solidarietà è l'unico modo che hanno le persone per combattere l'accentrazione di potere (Adam Smith, non Marx). L'assenza di soldarietà è comoda solamente alle plutocrazie, anche se forse non hanno ancora ben compreso che cosa significhi portare l'individualismo all'estremo e quali sono i pericoli di una oclocrazia anche per i plutocrati stessi. Eleggere un plutocrate per "salvaguardare" la propria identità culturale, quando è nel suo interesse e della sua schiera, che avvenga esattamente l'opposto, è come eleggere un lupo a guardia di un pollaio. L'unica identità che al plutocrate capitalista interessa è quella del consumatore, possibilmente il più individualista possibile, incapace di associarsi con altri in condizioni peggiori o simili. L'idea di pagare le tasse lo repelle, e repelle tutti i suoi seguaci, perchè il suo motto smithiano è "tutto a me ed agli altri niente". Figurarsi i cosidetti "35€", mai spesa pubblica è stata più vicina all'essere odiata. Prima vennero a prendere i 35€ e a me andava bene, perchè non volevo quei zozzoni. Poi vennero a prendere la scuola pubblica, e a me andava bene, perchè non avevo figli.. poi etc etc. Nel caso poi specifico di Trump le cose si complicano vista la potenza economica che andrà a comandare, la sua totale avversità alle politiche di rispetto ambientale se dovesse regnare gli states per un periodo considerevole, andrà a impattare gravemente sul terzo tipo di migrazioni ancora marginali, quelle climatiche (Messico in primis). Ovviamente sempre per fare un favore alla plutocrazia. Se uno si meraviglia del paradosso insito nei babbucchioni che urlano e sbraitano per i 35€ ai migranti ma se ne strafottono di vedere immense e innimmaginabili quantità di denaro ammucchiate nelle mani dei plutocrati, non ha ancora visto il meglio del meglio. Difensori dell'identità nazionale e del monoculturalismo, che si lamentano su internet. Di gran lunga lo strumento principe della multiculturalità, equivalente a miliardi di "barconi" di compenetrazione culturale e di "inquinamento" identitario giornalieeri, il no-global usa internet (e mentre lo fa, smussa lentamente la sua identità stessa).Come girare un documentario contro le videocamere ed il cinema. Poco importa se come atto inziale, un VERO difensore della monocultura dovrebbe cacciare dalla finestra il proprio computer (e convincere più persone possibile a farlo - indizio anche per non udenti dell'impossibilità della sua missione) esso continua indefesso a scrivere su internet quanto esso sia "contro il rimescolamento delle culture", come quando i difensori dell'impero romano padano si preoccupavano assiduamente dei posti di lavoro rubati, della disonestà insita nel "terun" che ci avrebbe portato al collasso, salvo mai pensare di spegnere quella televisione (e quelle scuole) che pian piano stavano omogeneizzando l'Italia (a partire dall'insegnare una singola lingua). Il punto è che a nessuno interessa difendere la propria cultura, la xenofobia è una cosa diversa, è una fobia appunto, non c'è nessuno spirito costruttivo o difensivo in essa, è irrazionale come tutte le altre fobie e nell'irrazionalità coltiva il paradosso.

Io direi, al contrario, che non c'è solidarietà senza identità, poichè la prima sorge dall'identificazione dell'altro in me stesso, in un mio simile, in uno che la pensa come me e vede le cose nel mio stesso modo. Se quella nei confronti di un mio simile è solidarietà quella nei confronti dello straniero è ospitalità, che se in ogni cultura è considerata un dovere sacrosanto superiore spesso al dovere verso se stessi e i propri simili, d'altro canto bisogna considerare che quella dell'ospitalità è una situazione contingente e temporanea (l'ospite è come il pesce). L'accoglienza sine die non è più ospitalità, e si può realizzare solo quando lo straniero assume l'identità comune in cui ogni appartenente alla comunità si riconosce. Il borghese, il mercante e il plutocrate hanno tutto l'interesse a minare l'identità comune in quanto una massa di singoli è decisamente più funzionale ai loro interessi che non un popolo unito, e mi appare strana quella frase di Smith che hai citato dato che il medesimo teorizzava il perseguimento degli interessi privati di ognuno dato che poi ci avrebbe pensato la "mano invisibile" del mercato a creare un equilibrio favorevole alla collettività.  Che poi sia un'assurdità eleggere un plutocrate per salvaguardare la propria identità è palese, ma in un mondo (e soprattutto in una nazione) dove si possono eleggere solo plutocrati le alternative sono inesistenti o impraticabili (anche perchè di fatto gli Usa sono una nazione senza identità nata in un momento in cui borghesi, mercanti e plutocrati la facevano già da padrone) e in fondo si chiede al plutocrate non di difendere un'inesistente identità ma la "robba". Per quanto concerne il sermone di Niemoller (che alcuni attribuivano a Marcuse) questo ha senso appunto in un luogo senza più identità, frammentato in gruppi separati che vivono ognuno alla propria maniera ed è più facile sottomettere o eliminare; se tutti si riconoscessero nella medesima identità non avrebbe senso dire "prima vennero a prendere..." perchè quelli saremmo già noi. Il multiculturalismo auspica proprio questa frammentazione, in cui i mercanti e i plutocrati avranno buon gioco a mantenere e consolidare il potere; anzi la progressiva invasione dello straniero sarà funzionale proprio a questo scopo, alimentando una guerra fra poveri e miserabili in cui solo il ricco potrà avere la meglio e sfruttare la situazione favorevole. Per quanto riguarda il computer questo non è lo strumento principe della multiculturalità, ma semmai quello della cultura unica, della diffusione ovunque di informazioni nella quasi totalità dei casi inutili e spesso anche dannose così come si fa con le merci che nella grande maggioranza dei casi sono inutili o dannose, la qual cosa crea confusione e mina dall'interno le culture ancora in vita che necessitano di continuo impegno nel rinnovamento in coerenza con la tradizione. Se internet è come un'immensa biblioteca in cui si può trovare tutto e il suo opposto è però anche possibile in teoria scegliere, come in una biblioteca, le informazioni che possano essere funzionali alla salvaguardia di una cultura e contribuiscano a rafforzarla: basta saper scegliere. E mi sembra insensato auspicarne la non frequentazione da parte dei difensori delle culture e delle società "chiuse", in quanto in una città ove il 100% dei cittadini frequenta i McDonald anche al più feroce critico dei fast food capiterà di mangiarci, una volta ogni tanto. L'estremismo, da qualunque parte arrivi, è sempre deleterio.
#252
Attualità / Re:Non è bello ciò che è bello!
27 Gennaio 2017, 13:13:19 PM
Citazione di: Fharenight il 27 Gennaio 2017, 12:06:56 PMPer "razza" non intendiamo specie diverse ma differenziazioni di gruppi della stessa specie. Forse il termine sarà sbagliato, ma chiamiamola come vogliamo, anche "etnia", per me cambia poco. Le differenze fisiche, seppur minime, ci sono. Il problema potrebbe insorgere quando qualcuno volesse discriminare senza motivo le persone servendosi delle diversità etniche, in questo caso si parlerebbe di "razzismo" ma forse neanche, si tratterebbe di simpatia o antipatia verso determinate caratteristiche fisiche. Se io non assumo un africano o un mediorientale perché ritengo che abbia piú diritto un italiano o perché non ha le competenze richieste, non è razzismo. Rimanendo nell'ambito delle discriminszioni, se io non assumo una donna che intende indossare il burka sul posto di lavoro, in quanto lo ritengo non opportuno, non consono per il lavoro che deve svolgere ed anche perché il burka offende la mia sensibilità che rifiuta ogni discriminazione verso le donne, non è discriminazione religiosa. Sarebbe discriminazione se respingessi la persona solo sulla base del fatto che non è cristiana. Tornando all'aspetto puramente fisico, faccio un altro esempio. A me, come a molti altri, dà particolarmente fastidio il lezzo di sudore specialmente d'estate nei posti affollati, chiunque sia la persona poco curata che emana tali effluvi, le persone di etnia con pelle piú scura, in particolare nera, hanno, forse per una tipica acidità della pelle, un odore piú pungente, per me ancora piú insopportabile, sono razzista? Gli uomini non curati con la barba lunga (lasciamo perdere i barboni, è un altro discorso) non mi piacciono, li trovo repellenti, sono razzista?

Se si intende con "razza" gruppi diversi della stessa specie allora ognuno di noi fa parte di varie "razze": la razza degli impiegati, quella degli iuventini, quella dei fumatori, quella di coloro che preferiscono le more e così via... mi pare alquanto assurdo fare una distinzione del genere, in quanto ognuno potrà essere quotidianamente accusato di razzismo ogni volta che parlerà male in termini generali di qualunque categoria (i politici, i cinefili, i culturisti, gli uomini con la barba ecc). Se si vuole parlare di razza e razzismo bisognerebbe rimanere nell'ambito corretto, e non utilizzare un termine che si rivela improprio per identificare persone con caratteristiche ad esempio solo fisiche diverse visto che ognuno di noi è diverso da tutti gli altri. A me non piacciono le bionde finte, quelle col lifting e con le tette in silicone, ma non mi sono mai posto il problema se queste preferenze costituiscano razzismo o meno. E la religione non c'entra un tubo con il razzismo perchè se io ritengo che i neri siano inferiori ai bianchi non cambio idea se mi trovo in un paese dell'africa subsahariana a maggioranza cristiana. Ormai sembra che il razzismo sia diventato il più banale e comune degli insulti, tanto che viene utilizzato spesso anche da parte delle comunità gay nei confronti di coloro che non condividono ad esempio le unioni civili o non amano le loro pittoresche esibizioni: cosa c'entra in questo caso il razzismo visto che i gay possono essere di tutte le razze? Forse sarebbe opportuno comprendere meglio il concetto di razza (o di etnia) e solo sulla base di quello affibbiare o meno patenti di razzismo. In ogni caso il razzismo, essendo un'ideologia (e un tempo anche teoria scientifica), è l'affermazione intellettuale della superiorità di una razza rispetto ad un'altra, e non certo il fastidio provocato da determinate caratteristiche fisiche o intellettuali di qualcuno.
#253
Attualità / Re:Non è bello ciò che è bello!
27 Gennaio 2017, 11:04:39 AM
Citazione di: altamarea il 26 Gennaio 2017, 22:48:01 PMVoglio continuare questo threed di Fharenight ampliando il discorso non solo alla bellezza estetica ma anche alla razza ed al razzismo come fattori determinanti per la scelta del/la partner. Per evitare fraintendimenti debbo premettere: 1. Sul sostantivo "razza" c'è ampio consenso in ambito scientifico nel ritenere tale termine inutilizzabile se riferito all'umanità, che ha caratteristiche biologiche comuni, ereditate dall'Homo sapiens sapiens. Però possiamo considerare la razza umana come un insieme differenziato da tratti somatici e colore dell'epidermide. Popolazioni accomunate da caratteristiche somatiche indipendentemente da nazionalità e lingua. 2. Dal sostantivo "razza" deriva il sostantivo "razzismo", che erroneamente considera l'umanità divisa in razze, con la "bianca" biologicamente diversa da quella nera. Tale pregiudizio culturale se assume una connotazione politica può diventare alibi per giustificare apartheid, intolleranza, prevaricazioni, segregazioni, violenze verso etnie diverse dalla propria. Il razzismo può indurre a separazioni, discriminazioni e persecuzioni per garantire la "purezza" della "razza bianca" dal meticciato, da me citato in un altro topic. 3. Per quanto riguarda l'estetica mi attengo al titolo del topic e mi soffermo sulla bellezza fisica e non alla disciplina filosofica. La bellezza fisica, ovviamente soggettiva, è collegata al piacere estetico, all'esperienza estetica, studiata dalla neuroestetica, ramo della psicofisiologia. Il neurofisiologo Semir Zeki sostiene che noi non "vediamo" con i nostri occhi ma con il nostro cervello; gli occhi sono il filtro attraverso cui i segnali visivi passano e vengono indirizzati verso le aree visive cerebrali e al sistema cognitivo. La bellezza tende a collegarsi alle emozioni, ad un paragone interiore cosciente oppure inconscio, con un canone di riferimento che può essere innato oppure acquisito per istruzione o per consuetudine sociale. Se ciò è vero, io davanti a due belle donne, una bianca ed una nera, dovessi scegliere una delle due e scegliessi la bianca, sono razzista ? Ci sono neri che esteticamente detesto e neri che mi sono simpatici, in tal caso sono razzista ? Se meticciato deve essere, e se preferisco che avvenga tra persone di etnia diversa ma con lo stesso colore dell'epidermide, sono razzista ?

Fino a qualche decennio fa il sostantivo "razza" era ampiamente utilizzato in tutti gli ambiti, compreso quello scientifico, senza alcun problema o limitazione. Poi si è trovato più corretto sostituirlo con "etnia" per questioni di politically correctness, ma la sostanza non cambia di una virgola. Nei questionari americani è ancora necessario indicare la propria "razza" di appartenenza, anche se il vocabolo "race" è stato cambiato con "ethnicity". La divisione della specie umana in razze non è quindi niente di più che una distinzione a volte biologica e a volte culturale presente in ogni comunità umana e vi sono addirittura alcuni popoli che con la nostra parola "uomo" identificano solo gli appartenenti alla loro comunità, alla loro "razza", sottintendendo con ció che tutti gli altri esseri sono in qualche modo "non umani". Ogni cultura ha sviluppato e tramanda dei canoni di comportamento che ovviamente ritiene i migliori possibili, e anche i canoni estetici rientrano in questo schema (dunque è vero che si vede più con il cervello che con gli occhi). Quindi se sono stato educato a considerare "bella" o "brutta" una donna secondo i canoni della mia cultura (che peraltro qui da noi sono anche cambiati nel tempo), li applicherò necessariamente agli appartenenti al genere femminile di altre etnie tendendo a generalizzare magari dicendo che "le donne nere sono più brutte delle bianche". Dunque il razzismo, ovvero l'ideologia che presuppone la superiorità di una razza rispetto alle altre, non è qualcosa di condannabile di per sé, anzi è del tutto normale; si tratta poi di vedere se e come viene declinata questa ideologia. Quando in Europa il razzismo venne classificato fra le teorie scientifiche il darwinismo e le sue innumerevoli e spesso distorte interpretazioni erano già in voga da anni, e l'unione fra queste ideologie creò un cortocircuito micidiale perché si cominciò a pensare anche "scientificamente" ciò che da secoli era già in voga fra gli intellettuali: che alcune razze erano "superiori" perché più "evolute" in senso darwiniano. Se gli altri popoli che affermano la propria superiorità "razziale" si limitano ad evitare il cosiddetto "meticciato" (moglie e buoi dei paesi tuoi è un detto che, in varie forme, esiste dovunque) noi, che evidentemente ci riteniamo da secoli investiti del compito di rettificare e migliorare il mondo, abbiamo deciso di aiutare la natura a "migliorare la razza", tentando di indurre gli altri a diventare come noi dato che ovviamente la nostra razza era ritenuta il culmine dell'evoluzione umana. Questa "missione" è stata portata avanti attraverso la "civilizzazione" forzata delle popolazioni dei paesi colonizzati, e ove questo non era possibile con veri e propri genocidi come in America e Australia (se non si può rendere migliori i peggiori l'unica alternativa è quella di eliminarli). Poi siccome i puri, come diceva Nenni, troveranno sempre qualcuno più puro di loro che li epurerá, questa idea si è diffusa anche in Europa con alcune "razze" (tipo quella germanica) che ritenendosi superiori alle altre "razze" europee avrebbero avuto il diritto-dovere di "purificarle" per migliorare la specie umana. Il razzismo è visto come il demonio in occidente non perché effettivamente lo sia, ma essenzialmente per le conseguenze a cui conduce. Non è l'idea in sé ad essere sbagliata, ma è sbagliata la sua assolutizzazione; io sono padrone di pensare che l'uomo sia superiore ad uno scarafaggio o anche ad un'altra razza di uomini, ma questo non deve avere come conseguenza l'eliminazione di tutti gli scarafaggi o di tutti gli uomini diversi dai "migliori". Se si pensa che quel che facciamo noi è "bene" si tende ad assolutizzare questa visione ed esportarla ovunque per fare anche il bene altrui, ma questa visione distorta e sbagliata è quella che ha causato i maggiori danni degli ultimi secoli. Se ognuno pensasse che ciò che è bene per lui lo debba essere anche per tutti ognuno cercherebbe di imporre la propria visione, causando danni e conflitti per ogni dove e contravvenendo alla famosa regola d'oro che recita "non fare ad altri quel che non vorresti fosse fatto a te". 
Tutto sommato e a dispetto delle leggi e della propaganda l'occidente è ancora profondamente razzista (nel senso peggiore del termine) poiché l'esportazione della democrazia, dei diritti umani, dell'economia di mercato e del benessere materiale in tutto il mondo rispecchiano una visione secondo la quale i popoli di tutto il mondo non hanno il diritto di essere se stessi (e magari "peggio" di noi, secondo una visione razzista, se così sta bene a loro) ma devono diventare come noi, come i "migliori".
#254
Citazione di: paul11 il 26 Gennaio 2017, 13:19:40 PMPenso che sia proprio questo uno dei motivi dell'immigrazione, dopo il fallimento di costruire democrazie e modelli occidentali nel terzo e quarto mondo. Vista la storia degli USA e degli immigrati europei, ci sono tre buoni motivi: 1) contenimento del costo di manodopera anche dei residenti europei; 2) il denaro guadagnato dagli immigrati viene comunque gestito dal potere finanziario; 3) cambiargli la mentalità. Stiamo parlando di persone non legate ai tempi finanziari e cicli industriali, è l ostesso passaggi odala contadino all'operaio infabbrica. Cambia tutto il metabolismo biologico, adattato ai tempi economici. Nutro delle perplessità da anni se ricchezza voglia dire felicità.Certo il minimo di sopravvivenza e poi? Rincoglionimento nel mondo di "plastica"? La stiamo già subendo noi, figuriamoci loro. La sicurezza (che poi non è mai sicura) economica in cambio della perdità di identità personale, culturale? Il fallimento di esportare il modello democratico in paesi dove il legame familiare, parentale, comunitario è concepito diversamente dal nostro attuale che tende a frantumare tutti i legami a cominciare dalle famiglie (almeno a Natale ci vediamo tutti insieme?.... sappiamo parlare senza avere un televisore acceso?) potrebbe essere anche uno dei motivi, di piallare, standardizzare le personalità. Che poi vuol dire avere un popolo di servi e il massimo e renderli felici della propria sottomissione , facendoli diventare popolo di consumo e di nuovo altri mercati... ed ecco preparata la strada per implementare il modello di pseudo democrazia sui loro territori. Ma capisco anche che per l'italiano, ma non solo, è sentirsi aggredito da una quantità enorme di immigrati par ad una città ogni anno.. Ma come, ci chiediamo, siamo in crisi economica e vengono altri, e sono trattati meglio dei nostri "clochard" che muoiono all'adiaccio come mosche. E' vero, ci sono incongruenze. Noi stiamo meglio di loro e per loro già questo è tanto, e noi stiamo peggio di prima e il futuro non ci rallegra.abbiamo già i nostri problemi e altri ne creano ulteriori. I politicanti. lo sanno, ma giocano di retorica da due soldi , perchè le tensioni socio-economiche sono foriere di disastri anche politici, di chi cavalca il populismo, salvo a suo tempo averlo legiferato. Stiamo subendo una situazione che come popoli non andrebbe bene nè a noi e nemmeno a loro,costretti a lasciare Paesi di origine. Il rischio è la "guerra fra poveri".


Se la mia famiglia vive in un villaggio e ha un pezzetto di terra su cui crescono frutta e ortaggi, razzolano polli e magari grufola qualche maiale, non muore certo di fame, e quel che eventualmente mi manca lo posso comprare o scambiare al mercato locale. Se invece ho una bottega artigiana scambierò ciò che produco con derrate alimentari, se ne ho necessità. Queste attività, però, non generano fatturato ai fini statistici, muovendo un quantitativo di denaro praticamente trascurabile. Se invece io lascio la mia terra per andare in città a lavorare per una grande multinazionale i miei guadagni e le mie spese, di necessità molto maggiori, andranno ad aumentare la "ricchezza" complessiva, il PIL, e quindi anche la ricchezza media procapite. Ma nel contempo la mia famiglia, privata delle braccia più giovani e capaci, si ritroverà a non poter badare alla terra e a tutto il resto finendo per dipendere dal mio reddito per quanto concerne le loro esigenze e la loro mera sopravvivenza. Finirà quindi che io sarò statisticamente molto più "ricco", ma nei fatti molto più povero poichè oltre ad avere maggiori spese dovrò mantenere anche la famiglia lasciata sola. Mentre poi la primavera arriva sempre, i frutti maturano e i polli crescono, se si verifica una crisi nel settore in cui lavoro io rischio di perdere il posto senza avere alternative e rischiando di non poter sopravvivere, perchè nel frattempo la mia terra è stata magari acquisita dalle grosse aziende agricole che la devono "valorizzare", ovvero sfruttare in grande stile a fini mercantili.  Non avendo soluzioni finirò quindi, insieme con la mia famiglia, nel vortice del "mercato del lavoro" in cui la domanda e l'offerta non tengono conto delle esigenze di sopravvivenza ma solo di quelle della convenienza. L'equilibrio del villaggio, in cui vi è naturalmente il senso della comunità e della solidarietà fra persone e famiglie che si conoscono da sempre, viene completamente perduto nelle grandi metropoli ove ognuno è lasciato in balia di se stesso, e se è pur vero che vi sono grandi opportunità, vi sono ancor più grandi tentazioni, per cui ognuno sarà risucchiato dalla spirale della produzione e del consumo non riuscendo mai a produrre sufficiente reddito per soddisfare desideri sempre maggiori, diventando in tal modo un miserabile, preda di qualunque schiavista che al posto della frusta ha il libretto degli assegni (gli "schiavi salariati" di niciana memoria). I milioni di persone che hanno formato le megalopoli moderne sono per la gran parte questi miserabili, tenendo conto del fatto che la miseria non è una condizione assoluta ma relativa: sei un miserabile non se guadagni poco, ma se i tuoi guadagni non sono sufficienti a garantire un tenore di vita tale da non essere costretto a sacrificare ad esso il valore della libertà, della famiglia, dell'amicizia, della cultura, del tempo, insomma di tutto ciò che caratterizza un essere umano libero, diversamente da una macchina per produrre e consumare che altri accendono o spengono secondo il loro comodo. Dunque i dati macroeconomici diranno che il PIL della tal nazione in questi ultimi vent'anni è salito del tot percento, affermando implicitamente che i loro abitanti si sono arricchiti e dunque la globalizzazione è positiva, ma gli stessi dati affermano al contrario che, anzichè arricchirsi, milioni e milioni di persone hanno solo monetizzato la loro libertà, i loro valori, il loro tempo, le loro famiglie; nel complesso hanno venduto le loro vite rendendosi schiavi di un sistema che li trasformati in  subumani, esseri miserabili.
Il modello democratico che citi è, più esattamente, quello liberalcapitalistico, poiché differenti sono le forme di democrazia. La democrazia liberale e l'individualismo che da questa è nato sono il brodo di coltura del sistema mercantile attuale, ove si tende ad annullare progressivamente qualunque limite culturale per esaltare il desiderio individuale, funzionale al commercio e alla diffusione di "prodotti" che soddisfino qualunque "bisogno", solitamente innaturale e indotto dal sistema che deve alimentare il mercato. Ai tempi del colonialismo la maggior parte dei paesi coloniali si limitava a saccheggiare le risorse dei colonizzati (oro, diamanti, petrolio, risorse minerarie di ogni genere) ma i due popoli rimanevano essenzialmente separati e continuavano nella sostanza a vivere come avevano sempre fatto. Quando gli inglesi, nelle loro innumerevoli colonie, hanno cominciato a chiedere tributi ai colonizzati questi, che non avevano nulla e nulla potevano pagare, sono stati costretti ad entrare nel "sistema" mettendosi alle dipendenze degli inglesi che fornivano loro un salario, ma questo serviva, oltre a pagare  i tributi, a comprare le loro merci che producevano in patria. Spesso forzavano la situazione come in India ove avevano vietato la tessitura per poter vendere agli indiani i tessuti che fabbricavano in Inghilterra, e proprio la disobbedienza a questa disposizione diede l'inizio alla rivolta di Gandhi che si concluse con la cacciata dell'impero britannico. In America sempre gli inglesi si inventarono il concetto di "vantaggio competitivo" cercando di convincere gli americani ad acquistare le locomotive inglesi poichè costavano meno di quelle fabbricate in America, tentando di renderli quindi perennemente dipendenti dalla ex madre patria. In Cina fecero la famigerata "guerra dell'oppio" per poter vendere la droga ai cinesi che non la volevano poichè vietata dalla loro cultura, e le conseguenze furono fra l'altro che i cinesi dovettero concedere agli inglesi il controllo del porto di Hong Kong come porta d'ingresso nel mercato cinese. La medesima cosa accadde con il porto di Singapore per quanto riguarda il sud-est asiatico, e poi con quello di Macao a favore dei portoghesi.
La decolonizzazione avvenuta a seguito della seconda guerra mondiale, lungi dall'aver liberato le ex colonie, si è potuta realizzare proprio a seguito di accordi con i governi di tali paesi a mantenere rapporti commerciali privilegiati con gli ex colonizzatori, che molto spesso ponevano alla guida di questi governi proprie "teste di legno" a scapito della volontà dei popoli. Il sistema è quindi cambiato consentendo alle ex colonie di vendere i propri prodotti, in cambio però impoverivano i propri popoli arricchendo solo pochi satrapi e soprattutto scardinavano un equilibrio culturale basato sull'economia di sussistenza e sulla sobrietà, che è chiaramente incompatibile con un sistema che ambisce ad un commercio sempre più ampio di merci. Impoveriti economicamente e sradicati culturalmente molti hanno iniziato ad emigrare dalla periferia miserabile dell'impero economico e finanziario verso il suo centro, creando una serie di cortocircuiti che in un futuro non lontano non potranno che provocare una serie incontrollabile di esplosioni.
La divisione del mondo in blocchi d'influenza durante la guerra fredda ha "protetto" gran parte del mondo da questo sistema, ma il crollo dell'89 con la successiva globalizzazione ha inserito nel sistema di mercato anche questa fetta, imponendo un'accelerazione inaudita al medesimo sull'onda dell'aumento esponenziale dell'avidità umana certificato dal corrispondente aumento delle disuguaglianze economiche fra i popoli e al loro interno.
In un mondo ormai dominato dal mercato globale la cultura, con le sue regole, i suoi simboli e i suoi limiti, è un impaccio, un inutile e arcaico orpello che impedisce la diffusione della merce con motivazioni che al mercante, da sempre e per definizione privo di cultura, appaiono incomprensibili. Dunque è il mercante, il cosiddetto "borghese",  che si inventa e alimenta tutte le sciocchezze moderne fra cui il multiculturalismo, evidente ossimoro, riducendo le culture ad una mera serie di vuote consuetudini che possono essere mantenute a patto che non ostacolino la diffusione dei prodotti, delle merci, del business. La storia racconta che dai tempi di Colombo gli eserciti dei paesi europei hanno solcato i mari per invadere e saccheggiare le terre altrui e schiavizzare i popoli ai fini di aumentare il benessere materiale delle proprie nazioni, impedendo nel contempo con i medesimi eserciti qualunque ingresso non desiderato nei territori europei, ma se questa cosa può apparire estremamente ingiusta ancora più ingiusta, se possibile, appare la situazione attuale che, per soddisfare l'avidità e la concupiscenza di pochi mercanti privati,  impone all'occidente di schiavizzare non solo quelli altrui ma anche i propri popoli mettendo i cittadini in concorrenza con disperati che provengono da ogni parte del mondo, poiché il sistema globalizzato e funzionale unicamente al profitto necessita da un lato un numero sempre maggiore di consumatori, e dall'altro di produttori sempre meno costosi.
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Citazione di: Eretiko il 26 Gennaio 2017, 09:17:02 AMquello che mi auspico è che, perlomeno, sia in grado di togliere dall'indigenza miliardi di persone e sia in grado di evitare quanto più possibile i conflitti.

I suoi seguaci affermano che la globalizzazione ha strappato dall'indigenza oltre un miliardo di persone negli ultimi 20 anni ma invece, a saper guardare meglio, ha trasformato un miliardo di poveri in un miliardo in più di miserabili dipendenti dalla globalizzazione stessa e da chi la controlla; e il trend non potrà che proseguire trasformando sempre più persone che sono semplicemente (e spesso orgogliosamente) povere in miserabili schiavi dei poteri che controllano i mercati.