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Messaggi - Phil

#2401
Citazione di: paul11 il 03 Giugno 2016, 21:09:42 PMla libertà di opinione, di stampa, non deve essere limitata in se e per sè per legge. Ma attenzione avere un diritto, non significa poterne abusare, perchè si toccano altri diritti. [...], perchè la libertà implica una responsabilità verso se stessi e gli altri che hanno la stessa libertà.
Se la libertà è un diritto (paradosso?!) di cui non bisogna abusare, la legge non è l'unica a poterlo limitare?
Non a caso citavo l'esempio del forum: si parla liberamente, ma comunque entro certi paletti (di forma ma anche di contenuto, direi) posti dal regolamento; se tale libertà "sconfina" nel non-regolamentare (detto "illegale" in altri ambiti), viene punita da chi ne ha il dovere. Ed ecco che ogni libertà, se comporta la necessità etico-funzionale della supervisione di un dovere(-controllo), è a sua volta abitata dal divieto di fare ciò che non si deve (quindi rivelandosi pseudo-libertà); divieto (im)posto per tutelare le altre libertà in gioco... per cui, forse, più che di "libertà" (parolaccia demagogica!) è il caso di parlare di "diritto" (che richiama meglio la responsabilità delle proprie azioni a cui fai giustamente riferimento).
L'estremismo della citazione che intitola il topic può essere utile come ideale sovversivo in un contesto di dittatura, ma in una realtà democratica, forse si tratta più di ricordare che "la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri" (visto che siamo in ambito di citazioni), e quel confine può essere stabilito dall'autoregolazione di ognuno (prospettiva umanisticamente ottimistica), oppure stabilito e tutelato dalla legge (prospettiva realisticamente politica).
#2402
Secondo me può essere anche interessante (e, spero, non off topic) coniugare l'inciso di Freedom (la libertà d'espressione come "cavallo di battaglia del web") con quanto osservato da davintro sull'impedire di parlare come "passare dalla parte del torto": la comunicazione di massa e la propaganda, quanto richiedono ancora la parola viva, nelle piazze e nelle strade (magari "sotto sorveglianza")?
Impedire l'espressione "live", nell'epoca dei social e dei media tenuti in tasca, non è un gesto ormai anacronistico di opposizione non-violenta, e di limitata efficacia?
Sebbene nei forum viga la figura di controllo del "moderatore" (massimo rispetto!), nel web in genere la libertà d'espressione regna tendenzialmente sovrana (tranne, se non erro, quando sconfina nell'illegalità, ma in tal caso credo non si tratti più esclusivamente di opinione espressa): tale "facilità d'opinione" (in tutti i sensi) è da intendere come successo per lo spirito democratico, al punto da rendere desueto l'auspicio di fondo della citazione di E.B. Hall, oppure ne è principalmente un effetto collaterale degenerativo (che produce perlopiù ridondanza semantica e vanitoso babelico chiacchiericcio)? O, per dirla in modo politicamente corretto, entrambi? 
La libertà d'opinione mediatica, che ha portato al pullulare smodato di opinionisti, non sempre improvvisati o banali (che "pubblicano", "condividono",etc.) quanto è socialmente proficua e quanto è ronzio comunicativo che aliena l'homo comunicans?
Si risolve tutto nella paziente selettività di ciascun "navigatore"?

P.s. Lo so, c'è della sottile (auto)ironia nel porre queste domande in un forum...
#2403
Citazione di: Gasacchino il 02 Giugno 2016, 22:36:42 PMaffrontando il discorso credere o non credere ho l'impressione che ci si stia scordando di una terza opzione, la quale volendo sarebbe anche la più razionale, l'agnosticismo
In precedenza ho cercato di allargare il discorso a quattro poli: fede dogmatica (nell'esistenza di Dio), fiducia razionale (nella non-esistenza), indecidibilità del "non lo so" (agnosticismo) e indifferenza (non porsi la domanda):
Citazione di: Phil il 31 Maggio 2016, 21:51:13 PMnon sono solo fede e fiducia a guidare il nostro agire, ma, sembrerebbe stando ai fatti, anche indecisione (fiducia/fede non trovata) e indifferenza (fiducia/fede non cercata)

Ammetto di non essere esperto di agnosticismo (nonostante la mia apologia del "non-sapere"), ma, concretamente, la prassi di un agnostico non è la stessa prassi di un ateo? La differenza fra i due non è tutta solo nella risposta a quella specifica domanda? Non voglio ridurre gli agnostici ad "atei non dichiarati", ma, se non sbaglio, entrambi hanno una "visione del mondo" senza dogmi, entrambi fondano la propria morale su principi "terreni", entrambi non praticano culti, etc. insomma, l'unico modo per distinguerli è fargli la fatidica domanda... o forse non ho ben chiaro cosa significhi essere agnostico?
#2404
[Sembra che tale motto non sia davvero di Voltaire, ma bando alla filologia!] Quell'aforisma può suonare come l'inno del "politically correct", quella correttezza di facciata che ci rende tutti buoni e tutti amici (e talvolta trasforma l'impulso dello schiaffo in una bonaria pacca sulla spalla).
Ma quel motto cela spesso ipocrisia, quantomeno in senso etimologico: "separazione nascosta", ovvero fingere in pubblico ciò che non si pensa davvero in privato (o nel privée inviolabile della propria mente).
Probabilmente anche il relativista più scanzonato ammetterebbe che le opinioni non sono tutte uguali (anche prescindendo dalle loro conseguenze), per cui battersi affinché qualcuno possa esprimere un'opinione sciocca è probabilmente qualcosa che molti dicono, ma ben pochi farebbero... se poi, come accennavi, consideriamo anche le possibili ripercussioni di alcune opinioni espresse pubblicamente, in una società voracemente mediatica come la nostra, credo sia difficile trovare qualcuno davvero disposto a lottare (non diciamo a morire) affinché una qualunque opinione ritenuta da lui deleteria, possa circolare (e magari fuorviare qualcuno), perché vorrebbe dire essere complici di propaganda per un'opinione che si ritiene sbagliata o dannosa.

Ovviamente la libertà d'opinione è un bene prezioso, ma ciò, secondo me, non implica che di conseguenza lo siano anche tutte le opinioni... 
Il buon Voltaire, non a caso (e qui senza dubbi filologici) concluse un suo testo con candore politicamente scorretto "dobbiamo coltivare il nostro giardino" (e non "bisogna dare a tutti il modo di coltivare il proprio giardino").
#2405
Citazione di: Duc in altum! il 02 Giugno 2016, 09:12:20 AMtu stesso hai affermato che per credere in Dio si diviene dogmatici!! :o  
[corsivo mio]
Esatto, quel passaggio dal non-credere al credere, per come l'avevo prospettato ("qualcuno/qualcosa mi fa cambiare idea" ovvero modifica il mio ragionare) è ancora ragionevole e privo di dogmi. Poi, il vivere la fede dall'interno è certamente dogmatico. 
Scegliere d'accantonare la ragione quando si trattano certe tematiche, o meglio, la ragione che sceglie d'accantonarsi o di autolimitarsi, può essere una scelta ragionevole (al suo confine) anche se la conseguenza non lo è...
#2406
Citazione di: acquario69 il 01 Giugno 2016, 07:19:19 AMChissa che effetto farebbe o cosa penserebbe una persona di un altra epoca se si ritrovasse all'improvviso catapultata ai giorni nostri,ma anche viceversa
Sorvolando sul "trauma biologico" che un tale viaggio nel tempo produrrebbe in un corpo (il sistema immunitario sarebbe a dir poco "spiazzato"...), anche il trauma culturale non si risolverebbe, secondo me, con un facile adattamento, soprattutto in caso di soggetti adulti (stando al gioco di fantasia).
La differenza psicologica, al di là di quella tecnologica (che può essere colmata con un po' di pratica) credo sia principalmente nella quantità e qualità di stimoli che il soggetto dovrebbe affrontare: la celeidoscopica complessità del quotidiano attuale (burocrazia, consuetudini, media, etc.) manderebbe in tilt (o al manicomio) un cervello abituato ai ritmi pacati ed alla semplicità di una vita pre-industriale (ad esempio). Così come, la mente dell'uomo (medio) attuale, assuefatta da continui stimoli, soprattutto visivi ma anche cognitivi, andrebbe in stallo di fronte alla "povertà" di input delle epoche precedenti (esperimento facile: come reagiremmo a stare per un giorno senza energia elettrica e senza diavolerie elettroniche, cellulari, etc.?).

Citazione di: paul11 il 01 Giugno 2016, 11:13:15 AMNon se se siamo più felici, questo è un problema che mi pongo da tempo anche rispetto alle tribù indigene non tecnicizzate del nostro tempo. Trovo che loro siano più sereni, ma non so se più felici Credo che se esistesse un sistema di cercare ed essere felici non è correlato a tecnologie e soprattutto non ha nè tempo,nè spazio.
La serenità (catastematica) non è preferibile per durata rispetto alla felicità? La natura stessa della felicità le impone di risaltare "per contrasto" positivo rispetto alla condizione precedente: è il nuovo a renderci felici (soprattutto se non anticipato con certezza), mentre è la conferma del piacevole a dare serenità... pensando a lungo termine, credo sia impossibile sentirsi costantemente felici per più di pochi frangenti: o ci si abitua (smorzando involontariamente la felicità) o la si muta in serenità. 

P.s. Concordo appieno sul fatto che la felicità non sia una questione di tecnica e tantomeno di latitudine o di epoche.
#2407
Credo anch'io (come Acquario69 e DeepIce) che l'autorealizzazione intesa socialmente sia solo autorealizzazione di traguardi esterni "consigliati", una sorta di bisogno indotto (dai meccanismi economici della società stessa) che fa leva sugli istinti "naturali" di possesso e di emulazione... l'autorealizzazione, come ben osservato da Paul, se è intesa come interiore (o comunque relativa all'attitudine con cui si vive il mondo esterno) non comporta sopraffazione o avidità e, come ricordato da sgiombo, non ha legami con l'immagine del "vincente realizzato". 
Forse la duplicità di fondo si gioca tutta nel realizzare la differenza tra l'autorealizzazione di un "chi" che vive in società, e l'eterorealizzazione del "cosa" è l'immagine che quel "chi" dà di sé alla società.
#2408
Citazione di: Duc in altum! il 01 Giugno 2016, 10:51:49 AMsupponendo (è solo per esempio, non ha nulla a che vedere con la vita privata di nessuno, sia ben chiaro!) che gli elementi per ragionare ti abbiano condotto a sposarti con questa fanciulla che ti dice ti amo, quindi ad avere fiducia che quel ti amo è vero e sincero, e che, come succede tristemente ogni giorno sempre di più, improvvisamente nell'arco del primo anno di nozze scopri che ti ha tradito e che quindi quel ti amo non solo era falso, ma che hai avuto fiducia in un'ingannatrice, ossia, hai preso fischio per fiasco, ti rendi conto che tutto il ragionare per decidere se Dio esiste o se Dio non esiste, con qualsiasi elemento tu voglia chiamare in causa a sostenere la tua passione, non potrà e non può darti una fiducia certa, se non per fede irrazionale (lei mi ha detto mi ama ...e quel modo come me l'ha detto ...tutti i nostri incontri precedenti così intensi e teneri ...etc. etc.)? Dacché questa fiducia, così come la fede, alla fine, inevitabilmente, diviene un fatto reale, un'azione decisiva, un'opera giudicabile. 
Per come la vedo, quella storia non comporta fede: mi fido di lei (supponiamo), mi ritrovo deluso e ammetto che ho valutato male la relazione, quindi ci lasciamo (ragiono-agisco-verifico-aggiorno la mia posizione). Oppure, cambiando tema: mi sembra che Dio non esista, qualcosa/qualcuno mi fa cambiare idea, quindi la cambio volentieri. Tutto molto ragionevole, dinamico e privo di dogmi...
La fiducia è costitutivamente aperta a questi cambiamenti, accenavo già in precedenza a come possa essere malposta e comportare di conseguenza una revisione della propria posizione (si può vivere senza fede, ma solo con fiducia, accettando di cambiare i propri paradigmi; credo proprio di conoscere almeno una persona che lo fa...).

Citazione di: Duc in altum! il 01 Giugno 2016, 10:51:49 AME no, se io rispondo non lo so cosa ci sia dopo la morte, e nel frattempo sono pro-aborto o a favore che ogni desiderio umano venga rilegato come diritto civile, io, anche involontariamente, invio, pragmaticamente, eticamente, un messaggio al prossimo e un'indicazione alle generazioni future che dopo non c'è nulla e che in vita fai quel che ti pare, poiché non devi dare conto a nessuno delle tue azioni, se non alla costituzione se sei così fesso da farti beccare.
[corsivo mio]
Dire "non so cosa c'è dopo la morte" implica necessariamente tutto ciò? Non è possibile non saperlo, ma non avere le posizioni che descrivi riguardo quelle tematiche (ad esempio, non saperlo ed essere contro l'aborto?)? Quel "non so" non può essere sinceramente solo una risposta a quella domanda? 

Citazione di: Duc in altum! il 01 Giugno 2016, 10:51:49 AMMi dispiace Phil, continui con il politichese, con la convenienza di non esporti più di tanto: non lo so cosa ci sia dopo la morte, illudendoti di farla franca in un eventuale giudizio alle tue decisioni etico-morali
E se non lo sapessi davvero? Se ti sembra impossibile, non prendertela...
Per quanto riguarda il "giudizio altrui" (degli altri, dello stato, degli dei, dei figli, etc.), non ho mai sostenuto che agire per fiducia sia un modo per sottrarvisi, anzi: è una assunzione estremamente individuale della propria responsabilità, perché significa dire "ciò che faccio, nel bene e nel male, è tutta una mia idea", non c'è l'attenuante del culto, della tradizione, della comunità, dei dogmi, etc. agire per fiducia significa proprio non avere alibi o scuse!

Citazione di: Duc in altum! il 01 Giugno 2016, 10:51:49 AMCosa c'è di ragionevole nel dire: non lo so cosa ci sia dopo la morte, e poi vivere per lavorare o sacrificarsi per i figli o scoprire la volontà per smettere di fumare? Siamo di nuovo punto e accapo. Anche inconsciamente, anche involontariamente, facciamo delle cose che non hanno bisogno dell'autorizzazione delle parole che escono dalla bocca, per segnalare, soggettivamente, in che cosa crediamo ci sia dopo la morte e per fede o per fiducia, come tu preferisci.
Anche qui non colgo il legame fra il non credere e certe azioni, ma temo di leggere fra le righe un preconcetto stereotipato di cosa comporti non credere in una divinità (e anche in questo caso, potrei citarti almeno una persona a cui quello stereotipo non si applica...).
 
Citazione di: Duc in altum! il 01 Giugno 2016, 10:51:49 AMNo, non andando a votare comunichi la personale complicità con chi vince il referendum (o col candidato eletto), quindi più che giudicabile sotto il profilo etico-morale 
Quindi se "non lo so" davvero cosa dovrei votare? 
Pare che la coerenza con i propri limiti sia spesso fraintesa o malvista, in molti non riescono a concedere all'altro il beneficio del dubbio o dell'indecisione, perché questo li destabilizza, non ponendo un contrasto netto fra "noi" e "contro-di-noi", contrasto che fonda tutte le identità forti e dogmatiche; un certo pensiero occidentale "granitico" fa fatica a concepire "il fluido" (sto descrivendo, non giudicando...).
#2409
Citazione di: Duc in altum! il 31 Maggio 2016, 17:03:05 PMInnanzi alle tematiche socio-morali o etico-politiche, non si può rispondere non lo so e non lo potrò sapere, perché quella nostra risposta, nei fatti, diviene o indifferenza, verso chi potrebbe subire una discriminazione, o complicità, nei confronti di un'apparente perbenismo maggioritario disonesto
Mi scuso se sono risultato poco esplicito: il "non lo so" è una carta che può essere giocata ragionevolmente sui "domandoni imperscrutabili" ("cosa c'è dopo la morte?", "l'universo dove finisce?", etc.) che non hanno rilevanti conseguenze etiche o pragmatiche... per le domande morali-decisionali, ci si può servire invece anche della fiducia o della fede, come già accennavo in precedenza, a seconda del proprio orientamento.
Talvolta si confonde l'indifferenza con la messa in pratica del "non lo so", ed entrambe, opinione mia, hanno la loro piena dignità, sebbene socialmente non credo godano di buona reputazione... esempio: c'è un referendum sull'aborto, non riesco a decidere chiaramente se sono favorevole o no; non andando a votare esprimo il mio "non lo so"; alcuni sicuramente mi etichetteranno come "civilmente irresponsabile", come "indifferente" (o anche di peggio), ma ho solo seguito l'onestà intellettuale del mio "non sapere" decidere... e se poi, altro scenario, fossi invece davvero indifferente? Ne avrei tutto il diritto e sarei coerente a comportarmi di conseguenza... insomma, non sono solo fede e fiducia a guidare il nostro agire, ma, sembrerebbe stando ai fatti, anche indecisione (fiducia/fede non trovata) e indifferenza (fiducia/fede non cercata).

Citazione di: Duc in altum! il 31 Maggio 2016, 17:03:05 PMSinceramente non mi permetto di pensare che sia un sofisma, è soltanto convenienza ...ma questo è un/il tuo problema, e nessuno può rispondergli se non tu.
"Convenienza"? "Problema"? Sicuro di aver letto bene nel mio inconscio (perché la mia consapevolezza mi dice altro)? Magari hai ragione, ma non voglio portare il discorso sul personale, su me e te... comunque, per quel che vale, avrei preferito "sofisma"!  


Citazione di: Jean il 31 Maggio 2016, 20:58:30 PMper una gran numero di individui la questione neppur si pone come qui vien posta e questo dà il senso della limitata valenza di qualsivoglia conclusione
Concordo, il valore è perlopiù individuale: non risolveremo misteri e magari non troveremo soluzioni condivise, ma il confronto con posizioni differenti è sempre un hobby stimolante, se non addirittura utile...
#2410
Citazione di: Duc in altum! il 31 Maggio 2016, 12:54:53 PMQuesto concetto sarebbe giusto e valido se non si dovesse sostituire, inevitabilmente, quel Dio non esistente, con ciò che la fiducia ci suggerisce sia stata la causa della nascita della vita terrestre [...] il problema sorge quando per dimostrare, di conseguenza, che sia stato qualcos'altro, differente da una Mente Onnipotente, a generare il Tutto, manca lo stesso la prova empirica [...] la probabilità che la fede in Dio sia giusta e vera, la conferisce proprio la fiducia umana (per ragionamento, ma come la fede, senza riscontro oggettivo) nelle alternative ad Esso, inconsistenti e fantasiose 
Non c'è inevitabile necessità di rispondere per forza (o per dogma) a tutte le domande ponibili (limiti dell'universo, post-mortem, uovo o gallina, etc.); è lecito cercare una risposta, così come è lecito riconoscere l'impossibilità di rispondere: si può ammettere serenamente di non poter sapere tutto, senza per questo dover credere per fede a qualcosa che possa fungere da risposta... talvolta, la risposta più sincera è anche la più scomoda: "non lo so e, probabilmente, non lo potrò sapere" (personalmente, la tollero piuttosto bene  :) ).

Citazione di: Duc in altum! il 31 Maggio 2016, 12:54:53 PM Ma scusa Phil, quando una ragazza ti dice ti amo, tu hai fiducia o fede in quel sentimento non comprovato?!?!
Fiducia, non fede: quella sua dichiarazione sarà sicuramente inserita in un contesto, in cui cercherò gli elementi per ragionare e decidere se fidarmi o meno (il modo in cui lo dice, i nostri incontri precedenti, la possibilità di un non-detto implicito, etc.).

P.s. Ovviamente non sto cercando di "venderti" la mia distinzione fra "fede" e "fiducia", se per te è solo un sofisma, non ci sono problemi!
#2411
Citazione di: Duc in altum! il 30 Maggio 2016, 19:28:48 PM...e siccome è inevitabile doverti dare una risposta per fede [...] La fede è un gettone che dobbiamo, per forza di cose a noi ancora misteriose, puntare per esistere 
 
Ho capito il tuo dogma, ma per ora ho ancora fiducia nel mio ragionamento (esposto in precedenza) sulla possibilità del non-dogmatico e della non-fede; per cui non ho (nuovi) commenti in merito.

Citazione di: Duc in altum! il 30 Maggio 2016, 19:28:48 PMNo, se Dio non esiste non è una conclusione per assenza di fede, ma bensì, il risultato di una fede in qualcos'altro, solitamente il nulla, il caso o la sorte determinista 
[corsivo mio]
"Fede" o "fiducia"? Se non erro, ci sono delle argomentazioni (opinabili) in gioco...  ;)

Citazione di: Duc in altum! il 30 Maggio 2016, 19:28:48 PMIl ragionamento che comporta la fiducia nella non esistenza di Dio è privo di una prova empirica che lo rendi valido e valido oggettivamente [...] poiché le argomentazioni che ne negano l'esistenza sono, fino ad oggi (e per sempre secondo me), solo ipotesi, teorie, quindi probabili illusioni 
Non vorrei entrare nell'ambito della fede personale... la non-esistenza di Dio non ha prove empiriche: quali possono essere le prove empiriche di una non-esistenza? Non dovrebbe essere l'esistenza di qualcosa ad essere supportata da prove empiriche da verificare? 
P.s. La via della fede sterilizza qualunque discorso di matrice empirica, ribadendo ulteriormente la differenza fra "fede" e "fiducia", "dogmatismo" ed "epistemologia", etc....
#2412
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
30 Maggio 2016, 22:16:14 PM
Citazione di: Lou il 30 Maggio 2016, 20:40:54 PM
Citazione di: maral il 30 Maggio 2016, 20:11:23 PMIl contraltare della verità dell'evento sta appunto nel negarla come evento per cristallizzarla per sempre in un puro costrutto formale che si pretende inamovibile in modo da poterlo dire con totale esattezza senza sentirne la potenza...
che poi non è che latenza.
che è sintomo di assenza nella distanza...

Perché una 
Citazione di: maral il 30 Maggio 2016, 20:11:23 PMverità che non ha definizione poiché ogni definizione la tradisce [...] verità non si preoccupa di essere né soggettiva né oggettiva, poiché gioca sempre tra soggetto e oggetto
è una verità assente nell'evento della v(er)ita, assenza che noi interpretiamo come distanza di qualcosa (ecco il "cercarla"), come traccia (ecco il "braccarla" per divertissement dei poeti), come velata fascinazione (ecco lo sguardo che vuole penetrare e svelare)... ma se ciò che ci sembra di intravvedere fossero solo la polvere e lo sporco depositati sul velo e non l'ombra di ciò che è sotto? Se sotto il velo non ci fosse nulla, se non il nostro nudo desiderio di una presenza sognata? 

"Abbiamo scoperto una strana impronta sulla spiaggia dell'ignoto. Abbiamo escogitato profonde teorie, l'una dopo l'altra, per spiegarne la provenienza. Alla fine siamo riusciti a ricostruire la creatura che aveva lasciato quell'impronta. Ed ecco! è la nostra impronta!
(Sir Arthur Eddington)
#2413
Vorrei mettere in guardia dal rischio di confondere fede e fiducia, dogma e ragionamento. Quando si usa il ragionamento c'è sempre un perché (magari fallace, insicuro ed opinabile) di cui ci si fida; invece, quando si è nella fede non c'è un perché ragionevole, ma solo la risposta della fede che, in quanto tale, non richiede argomentazioni. 
La fiducia nella propria scelta non implica che venga fatta sempre per fede, anzi, se è una scelta ragionata non c'è dogma che predetermini cosa scegliere, ma solo un plausibile "perché..." argomentato (ma non per questo infallibile). Banalizzando: non si crede ad un sillogismo per fede, ma al limite si ha fiducia razionale nella logica; se invece si crede nel peccato, lo si fa per fede, non per argomentazione o come conclusione di un ragionamento verificato.
Aggiungerei, semplificando molto, che la fiducia può essere "tradita", quindi portare di riflesso ad una modifica nelle proprie attitudini o comportamenti (esempio: ho ragionato e ho deciso di prestare l'auto ad un amico, costui me la riporta rigata, con noncuranza e senza scusarsi, riconosco allora che la mia fiducia nel mio ragionamento era malposta; conseguenza: non gli ripresterò l'auto facilmente...). Mentre la fede, finché creduta, non può dare esiti che la falsifichino, che la smentiscano e che consentano di modificarne "retroattivamente" i dogmi (se la mia fede richiede d'aiutare il prossimo, gli presterò l'auto finché ne avrà davvero bisogno e finché potrò farlo, magari chiedendogli di trattarla meglio, ma non importa quali saranno le conseguenze, non ci saranno mai "feedback" che comprometteranno il dogma in sé: sarà sempre dogmaticamente giusto "prestare l'auto per aiutare ogni mio prossimo bisognoso").
Questo non significa che la fede sia deprecabile e la fiducia segno di pregevole raziocinio, ma solo che, secondo me, confonderle può produrre confusione nel discorso.

Citazione di: Duc in altum! il 30 Maggio 2016, 10:09:17 AMfede inevitabile: Dio esiste/Dio non esiste, che contiene uguali probabilità di essere quella vera, quella giusta
In base a quanto precisato prima, se "Dio esiste" è per fede, se "Dio non esiste" è per assenza di fede, e magari per fiducia nelle argomentazioni che ne negano l'esistenza (in genere, negare l'esistenza di una divinità comporta fiducia in un ragionamento, mentre per affermarla l'unica condizione necessaria e sufficiente è la fede).
Sull'uguale probabilità dell'esistenza/inesistenza di Dio sono piuttosto scettico: non trattandosi di scienza oggettiva, c'è inevitabilmente un singolo che valuta tale probabilità e solo nel caso dell'agnostico siamo al 50% "si", 50% "no" (che si risolve in un "non so!"). Nel caso del non-credente c'è almeno un 51% "no", altrimenti non sarebbe tale, mentre nel caso del credente autentico dovrebbe esserci un 100% "si", altrimenti si tratta di un "credente probabilista" (che non so se possa essere inteso come credente vero e proprio).

P.s. Ringrazio "Duc" per gli spunti di riflessione "eterodossa".
#2414
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
29 Maggio 2016, 13:26:45 PM
Citazione di: maral il 29 Maggio 2016, 12:02:28 PMLa differenza sta appunto tra verità come correttezza da verificare formalmente, e verità come accadere (evento che ci coglie e ci comprende nel momento stesso in cui si presenta). Certamente il poeta è stregone, il cui lavoro di finzione, serve a preparare il terreno all'evento veridico, ma senza pre giudizi né sui poeti, né sugli stregoni, poiché non sono loro a raccontare la verità, ma solo a disporci alla manifestazione dell'esserci che gioca tra il vero e il falso riempiendo l'istante di un significato che nell'evento sta sempre oltre il venire detto
Se ho ben colto la tua spiegazione, oltre alla "verità formale", alludi ad una verità caratterizzata da un certo campo semantico dell'esperenziale: "accadere", "evento", "manifestazione dell'esserci", "istante", "significato che sta oltre il venir detto"... una verità che mi pare si quella del vissuto (non solo sensoriale ma anche esistenziale), quindi verità > v(er)ita > vita... tuttavia, se viene così denotata, ha (ancora) senso un interrogarsi filosofico al riguardo? E siamo sicuri che "verità" sia il termine adatto e non solo il residuo di una metafora metafisica dell'"ontologia delle maiuscole" (l'Essere, il Vero...)? La poesia stessa ci insegna a diffidare del suo uso del linguaggio, proprio in quanto parola alle soglie dell'indicibile/incomunicabile... secondo me, la v(er)ita evocata dai poeti, di cui loro non sarebbero custodi ma solo sacerdoti, può essere intesa come "verità" solo nel linguaggio poetico, che non deve rendere conto alla ragione; ma all'infuori di esso, fermandosi un passo prima dell'estetica, ci si chiederebbe, inevitabilmente, "cos'è allora la falsità"? Se i poeti (ribadisco: tutti? Se "no", come discriminarli?), ci dispongono "alla manifestazione dell'esserci che gioca tra il vero e il falso" (cit.), la falsità va intesa forse come non-essere (rischiando di chiamare in causa la "verità formale"), come indicazione beffardamente fuorviante dei poeti (che in quanto tali fanno del trascendere il vero e la realtà un loro diritto), come ricezione inautentica degli eventi (ma come fondare oggettivamente l'autentico?), o quale altro può essere il contraltare di quella verità? 
Se non si può contestualizzare ragionevolmente un termine, forse il suo uso è solo metaforico (v. autoreferenzialità della "verità" in poesia...).

Citazione di: Lou il 29 Maggio 2016, 12:59:28 PMNon posso che sottoscrivere, appare un processo circolare e sará proprio l'ermeneutica a rilevare ciò e come sia necessario imparare a stare nel circolo quale atto di incessante inesausta interpretazione.
... e l'ermeneutica del circolo ermeneutico (genitivo oggettivo), il circolare del cerchio stesso, trasforma il circolo in spirale (non "aurea")...
#2415
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
27 Maggio 2016, 23:03:48 PM
Eppure, sperare che il dire poetante riesca dove ha fallito il dire filosofico, non è come affidarsi ad uno stregone dopo essere stati delusi da un omeopata? 
La poesia non è forse quella frontiera estrema del linguaggio totalmente disinteressata al vero, al punto di poterlo anche dire, stordire o tradire liberamente?
L'elezione di un poeta piuttosto che di un altro, come "profeta del vero", come può essere "veridica"? Holderlin e Basho raccontano la stessa verità?
Oggi, nella contemporaneità, la nostra verità è la nostra poesia?