Citazione di: Ipazia il 17 Maggio 2022, 12:57:12 PMVirtù e legge morale universale kantiana fondate su cosa ? Se non si individuano ragionevoli fondamenti è solo aria fritta.
Così come il destino fondato sulla fede e l'incertezza, quando ne abbiamo uno solidamento fondato su leggi naturali che ci hanno pure fornito di talenti per poterlo valorizzare, il destino.
Tra il destino fondato sulla fede e l'incertezza e quello fondato sulle leggi naturali, io ci aggiungerei la "terza via" di quello fondato sull'incertezza e basta, senza la fede.
Il salto nell'ignoto non supportato dall'immaginazione, ma solo supportato e imposto, al limite, dall'ignoto in noi, dall'ignoto che gia' in vita ci accompagna.
Una sorta di agnosticismo radicale quindi, che non e' scetticismo ma disidentificazione dell'io e dell'individuazione in genere dalla coscienza e dalla conoscenza : con la morte noi andiamo verso l'ignoto e/o verso l'incoscienza, il che non e' assoluto male.
E ignoto e' anche, in generale, cio' che anche in vita rende insufficiente al desiderio la dialettica e la dicotomia stessa tra male e bene, cio' che fa volere e desiderare oltre questi due "intrusi" ; ignoto insomma, e' l'istinto primordiale e animale in noi.
La penitenza per la trasgressione alla legge naturale insomma, sembra essere la morte, direttamente e immediatamente la morte, l'oblio invalicabile della coscienza e dela vita, che non dà spazio a nessuna sensazione è quindi nemmeno alla sofferenza.
Dal punto di vista interno proprio della vita, leggi che prescrivono al trasgressore di morire, non possono essere trasgredite, nel senso che valgono come limiti assoluti imposti alla vita e non si puo' fare esperienza della tragressione di tali limiti, tanto meno la si puo' giudicare e valutare; ineluttabili sono anche tutte le leggi della fisica, leggi che impongono di cadere, di riscaldarsi a certe condizioni, raffreddarsi ad altre eccetera.
E 'chiaro a mio giudizio che la realta' vitale del nomos e dell'etica come pratica specificamente umana si struttura interamente entro questi limiti, i limiti delle leggi naturali, e per porre ulteriori limiti, artifici e dicotomie deve pensare all'artificio e all'innovazione "assoluta" della legge che imponga al trasgressore di soffrire senza morire, cioe' alla legge specificamente non naturale ma umana: umana nel senso specifico che della sua trasgressione si puo' fare e tramandare esperienza, in linguaggio e in semantica umana.
Non parlo qui di sofferenza come dolore fisico, che ben puo' essere ricondotta ai fenomeni naturali, ma di sofferebza come differenza tra desiderio e realta', che quindi prevede la formazione etica e sociale di un desiderio di qualche tipo, ulteriore al mero bisogno.
Insomma non e' intorno all'ineluttabile, che si costruisce l'esperienza umana, ma intorno alla sfida, a quel tipo di "legge" che non e' ineluttabile ma e' di fatto trasgredibile pagando un pegno, pegno che quindi non puo' essere pensato come un pegno di morte, ma piu' propriamente va pensato come un pegno di sofferenza, e di esperienza.
E' grazie alla presenza dell'altro, che conosciamo la morte come negazione e come lutto: e' principalmente su questo punto che si costruisce l'insieme delle leggi che non hanno come pena la morte ma la sofferenza, il doppio gravame, e il doppio legame, della condizione umana.