Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:13:37 PM
Seconda parte...
Si può arrivare ad essere attaccati ad uno dei legami più 'pericolosi', quello alla 'divinità', oppure all'idea della 'buddhità'. Ossia allo stato d'essere "assoluto" che nel Theravada viene definito come "l'estremo positivo della metafisica". Quello in cui si tenta di 'trascendere' le nozioni di base, elementari, quali quelle di uomo, donna, società, cultura, ecc.
Bisogna essere consapevoli di questa possibilità d'attaccamento pernicioso insita in ogni cammino che comunemente viene definito come 'spirituale'. Si rischia di costruire un 'fantasma' che immaginiamo come puro, ineffabile, eterno...Si arriva a concepire una sorta di 'coscienza primordiale', coscienza "tout court" trascendente, senza oggetto, senza proprietà, attributi e stato. Qualcosa di "elevato".
Questo attaccamento all'idea di divinità arriva all'ossessione dell'identificazione diretta con la divinità stessa, la fusione in essa...
Non sto dicendo che non esiste divinità. Sto dicendo semplicemente che l'attaccamento tende a costruirsela in modo da 'provarne piacere'...
Non sai quanto sono d'accordo amico mio!
Certo che però qua passiamo veramente ad un livello di consapevolezza a cui pochi arrivano.
Il nostro giovane Apeiron, si è avvicinato con il 3d sulla nevrosi della filosofia.
(anzi nella sua intuizione essenziale, è andato oltre credo, posso solo augurargli di continuare a snocciolare bene la questione, a cui sono giunto mica nei 20 piuttosto nei 30).
Quindi lascerei la questione in queste tue parole preziose. Gli altri non si spaventino.
Diciamo che si può soprassedere su questo punto.
"Se incontri il Buddha per la strada uccidilo"
Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:13:37 PM
......... No, egli dice:" vi è la cessazione dell'ignoranza", poiché, giustamente, appare l'interruzione del fenomeno. E se questo non si mostra più, come lo si può conoscere? Il concetto non è di acquisire i fenomeni che ci circondano sulla base della consapevolezza. Ma, che questi fenomeni apparenti cessano di mostrarsi, poiché, di conseguenza, la coscienza che si esprime con essi si interrompe. Per Buddha, è la conclusione dell'ignoranza. E' un fatto così stupido, che, nel sentirlo, si potrebbe dire che si tratta di una cosa da sempliciotti! E, invece, ci parlano di conoscenza trascendente, di modi di conoscenza, della coscienza che non sa, quando si trova nel samsāra, mentre, invece, esiste quella soprannaturale, che sa...
Certo
Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:13:37 PM
L'esperienza vissuta da Siddharta è sconcertante, incredibile. D'altronde questa questione non si può porre in termini di 'credenza'. La cessazione dell'ignoranza accompagna anche quella della conoscenza. E' proprio quando non c'è più nulla da conoscere che paradossalmente cessa l'ignoranza, o quel che Buddha chiama ignoranza.
Nel momento in cui la coscienza appare si manifesta, si mostra con il suo oggetto, c'è come una falla, un'increspatura...da qualche parte c'è un 'buco', perché c'è dell'ignoranza ( avidya). Buddha ha fatto l'esperienza della Cessazione della coscienza conoscitiva e del suo oggetto. Così, egli dice, si arriva alla fine dell'ignoranza. E' un concetto...un pò radicale! Però...però...c'è un però...non si tratta di annichilimento, di annientamento completo. Semplicemente la coscienza che appare incatenata con il suo oggetto, in funzione di un ciclo ben definito di successioni e che in seguito sperimenta ogni sorta di brama, odio e illusione, non si manifesta più.
Ma infatti credo che il vero nichilismo buddista sia più a monte per come dire.
Nel caso della cessazione, o della contemplazione del fiume che scorre, si tratta a mio parere di una tecnica di purificazione mentale.
Proprio nella maniera di come Bluemax ce ne ha parlato.
Ossia della cessazione dell'inquietudine.
Non mi pare una posizione nichilista. Ma su questo sentiremo, se avrà pazienza di leggere tutte queste parole, e se ne avrà voglia, Apeiron, che mi pare, ci tiene di più a questi "specimen".
Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:13:37 PM
Tuttavia, nel momento in cui la coscienza cessa di mostrarsi con il suo oggetto, essa ne assume comunque un altro, che è il Nibbana/Nirvana.Questo è un fatto molto particolare, direi quasi incredibile. La coscienza non può impedirsi di fare vedere; anche quando non ha più alcun oggetto da 'afferrare' essa esprime la sua tendenza che è tanto forte che, anche quando non ha più un qualcosa di 'prendibile', allora assume il Nibbana come oggetto, si radica nel Nibbana si potrebbe dire.
E' qui che il Buddha ha fatto una scoperta importante (quella decisiva direi...). Ha realizzato non soltanto Nirodha, cioè la cessazione dell'apparizione della coscienza e dei suoi oggetti, ma pure che, quando tutto ciò cessa, sparisce...rimane ancora qualche cosa. Non è il nulla, nè IL NULLA. La coscienza /vinnana non può che seguire la sua 'natura' e allora prende come oggetto il Nibbana. Questa coscienza che prende come oggetto il Nibbana però funziona sempre nel ciclo di paticcasamuppada .
Così, quando il bhikkhu raggiunge il Nibbana, contempla il nibbana, Buddha sostiene che questa coscienza che prende per oggetto il Nibbana è ancora una fabbricazione insoddisfacente, impermanente. E tuttavia, se Buddha non avesse toccato il Nibbana come avrebbe potuto sapere che esiste?E' molto particolare il Nibbana...Sarebbe una cosa perfettamente vana cercare di dargli una descrizione definitiva.
Perché è particolare? Perché il Nibbana "non appare". Malgrado questo la coscienza può assumerlo come oggetto, anche se quello non offre nessun appiglio. La particolarità dell'elemento Nibbana è che può venire conosciuto dalla coscienza/vinnana.
Quando la coscienza che può prenderlo come oggetto può totalmente svanire e sparire nel Nibbana c'è quello che viene definito come Parinibbana.
C'è un'altra differenza importante da rimarcare: quando la coscienza prende come oggetto il Nibbana, tale oggetto non è legato al paticcasamuppada. Non è un oggetto che appare, dispare ed ha una forma. Non possiede qualità ed attributi intrinsechi ( e neppure estrinsechi...). Non possiede una forma, non ha una 'pietra angolare', è senza asperità. E' molto particolare perché Siddhartha ci dice che è vuoto. Ma non è IL vuoto; è semplicemente vuoto. Finchè esiste la coscienza non può che avere una certa 'forma', una sua certa proprietà. La coscienza senza proprietà...semplicemente non esiste. Così, quando la coscienza prende ad oggetto nibbāna, a causa dell'assenza di 'legame', di natura, di definizione; per il fatto che esso non appare, la medesima coscienza non ne risente per nulla. Non ha nulla da risentire. Poiché, non è né buono, né cattivo; e neppure neutro.
Si adopera , per tale coscienza che prende come oggetto il Nibbana, una definizione che ,spesso, è mal compresa: santi sukha, che significa 'piacere' dovuto ad uno 'stato pacifico'.
Però chi conosce il Nibbana non prova alcun 'piacere'. Proprio perché non vi nulla da vedere in Nibbāna, nulla da conoscere, nulla da ascoltare e per definizione è inconcepibile che possa esistervi una reazione, una collera, un pensiero, una parola, oppure un movimento.
Proprio perché non esistono sensazioni...appare la beatitudine; questo famoso santi sukha.
Questa esperienza di Nibbana Buddha l'ha fatta , quella della coscienza che prende il Nibbana come oggetto e prova beatitudine. Per sette giorni ne è rimasto assorbito. Assorbito nella conoscenza del Nibbana. Così, egli ha compreso che la coscienza che assume ad oggetto nibbāna, se è, beninteso, calma, sta, tuttavia, ancora... là.
Poi, per altri sette giorni narra la tradizione, ha avuto un'altra esperienza: è pervenuto alla Cessazione di paticcasamuppada , del ciclo di sorgere della coscienza e dei suoi oggetti ed è riuscito a far sì che la coscienza non riapparisse prendendo come oggetto il Nibbana. Ha sperimentato cioè il Nibbana senza alcuna coscienza residua.
Evidentemente non se n'è potuto accorgere...non essendoci più coscienza con oggetto il nibbana ma solamente Presenza dell'elemento Nibbana.
Per avere fatto questa esperienza, Siddhartha è giunto alla conclusione che il Nibbana è proprio la Liberazione definitiva, irreversibile. E' proprio quando è giunto a questa esperienza di Nibbāna, stavolta definitiva, senza alcuna coscienza residua, che ha compreso che Nibbāna è proprio la fine definitiva del 'processo' del paticcasamuppada e della sofferenza insita in questo. Assenza totale di sofferenza, attraverso l'assenza totale di infelicità, di collera, di odio, di desiderio, di gioia, di amore, o di qualunque cos'altro; attraverso l'assenza totale di proprietà, di coscienza, di sensazione, di oggetto, di colorazione, di forma...
Se siete arrivati a leggere tutto questo ...avete buone possibilità di aver svilupppato la mente chiamata "paziente sopportazione del non-creato".![]()
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P.S. A proposito della ricerca continua di ciò che ci dà piacere. Eccola qua in azione: il piacere di scrivere!...![]()
Diciamo che questa ultima parte è la più difficile da accettare per me.
Perchè parla di uno stato di coscienza, che percepisce ancora qualcosa.
Siccome è una cosa che come ho detto più volte, ho sperimentato, io rifiuto di credere che sia una cosa.
Invece nella PAT, si parla chiaramente di oggetto, che ha la proprietà di essere niente.
E che nella sua versione materiale, e cioè para-nirvana, si manifesta come vuoto.
Devo dire che dottrinariamente è una distinzione interessante.
Negli stati di meditazione iniziali, infatti la condizione da raggiungere al più presto è quello dell'ascolto.
Per poter "ascoltare" bisogna prima ripulirsi delle percezioni che ci fanno rimanere nel ciclo della vita.
Questa pratica ha il merito indubitabile di calmare la mente, e devo dire che effettivamente la fase in cui siamo pronti a ricevere le percezioni "per come sono", coincide con questa predisposizione, che chiamerei anch'io di mancanza, di svuotamento, di purificazione (termini che oggi per me significano veramente poco).
Ma quando la meditazione si fa più profonda, le percezioni cessano, ed è allora che si percepisce la trascendenza.
La trascendenza, è una sorta di gravitazione al contrario. Anche nella mia esperienza è coincisa con una sensazione di levitazione.
Sono anche abbastanza convinto che questa sensazione sia indagabile a livello di TAC, in maniera scientifica.
Perchè ti rendi conto che è una cosa che avviene all'interno del mondo materiale.
La cosa che più mi interessa è però che quella modalità della coscienza, se di coscienza si tratta, a livello buddista, mi par di capire sia proprio così, sia l'origine di tutte le intuizioni che scaturiscono dentro di me.
E' come una fonte di illuminazione.
Ma le intuzioni, non nascono come se fossero esterne a me, esse nascono dentro di me.
Quindi dire che è una fonte di illuminazione è scorretto in effetti.
Credo che la considerazione di Nietzche sia quella corretta, perchè l'ho sperimentata.
Che noi siamo una corda sopra l'abisso.
L'abisso NON è avidya, non è il diavolo, non è un oggetto.
Se lo fosse non cadremmo caro Sari proprio in ciò che da principio avevi detto che potrebbe succedere.
E che io liquido dicendo, che staremmo feticizzando Dio.
In fin dei conti, l'ebraismo è più preciso, perchè il diavolo è il 2.
Ma il due, il dualismo esiste solo con l'uno.
Il delirio religioso è quello di credere che l'uno sia DIO.
Quando invece per me l'uno è l'uomo, mentre il due è DIO.
Ossia Dio viene percepito da noi, non come oggetto, ma come trascendenza rispetto a noi.
E' interessante come questa trascendenza assuma i colori del mito.
In poche parole quale è la legge, in termini buddisti, la psicologia, in termini psicoanalitici, che ci informa?
Che Dio sia l'uno, è mito.
Vuol dire che esiste una funzione psicologica tra soggetto e ciò che lo trascende.
Di solito DIO è qualcosa, ci viene presentato come bene.
Ma proprio per tutto quello che abbiamo detto prima.
E' invece "niente". Non potrebbe essere altrimenti!
E' necessario che sia niente.
Se fosse qualcosa vuol dire che la funzione psicologica che ci lega a lui, sarebbe sempre una.
E invece per esempio, le religioni sono molte.
Certamente vi è una funzione, che possiamo chiamare legame.
Ma questo legame testimonia di un qualcosa, di un risultanza, fra ciò che non può essere conosciuto, e per questo è niente. E ciò che invece conosciamo, che è poi la nostra esperienza di fede, o di vita, qual si voglia.
Il nichilismo sotteso al buddismo e a tutte le religioni è invece più proriamente la negazione che si tratti di cose umane.
Il Buddismo però ha una chance in più però.
Proprio perchè nel riconoscere che esiste la mancanza, non ha bisogno come la teologia contemporanea di desumerla dalla storia, risparmia chilometri di viaggio spirituale.
Tra l'altro la PAT mi sembra che non risponda proprio a nulla.
Infatti io propongo questo errore logico.
Che abbia fatto la solita inversione logica.
Che per spiegare la vuotezza, presuma il nulla.
E invece dovrebbe essere il contrario, che presunta (a buona ragione, per praticantato, per esperienze personali, che tutti possono sperimentare) la vuotezza, debba dimostare perchè il nulla anzichè qualcosa.
Tra l'altro come dici tu la PAT è il tipico serpentone agnostico, sta lì a guardarci negli occhi, a incantarci, e ci consegna al depansamento e alle mistificazioni di ogni religione.
Proprio lei, la PAT, (a meno che le considerazioni iniziali sono solo del SARi, che si dimostrerebbe più saggio della PAT, e scommetto che è così!
) che aveva proprio posto il problema dell'uscire dagli errori mentali!!!!Spero non ti sia offeso, comunque è stata per me una quantomeno utilissima full immersion nel mondo buddhista.
Ovviamente sono aperto ad ulteriori approfondimenti.
E anzi caldeggio una rilettura delle parti più interessanti riguardanti il rapporto mente-oggetto.

) a darne una mia interpretazione, facendomi aiutare da un testo 'segreto' che tiene un posto particolare nella polverosa biblioteca di Villa Sariputra. Così, se il mitico nicciano Green, non intenzionato a leggersi la Mulamadhyamakakarika del grande Nagarjuna per il momento, ne è ancora un poco interessato,potrà farsene una parziale opinione...
).
. E' molto raro che compaia immediatamente uno stato di compassione, d'amore per il calpestatore, uno spirito bello tranquillo e accomodante. Quasi sempre sorge invece un senso di avversione, di irritazione e , a volte, pure di odio. Così prorompiamo in una parola dura o in un gestaccio . Qui osserviamo in azione paticcasamuppada , come avviene, schematizzando e semplificando il 'processo'. C'è una consapevolezza dolorosa e, immediatamente, sorge una sensazione spiacevolissima che l'accompagna. Non sappiamo perché, né come, ma probabilmente tutti ne abbiamo fatto l'esperienza. Sembra una cosa del tutto automatica. A seguito poi di questa collera nasce un'intenzione poco edificante ( che a volte, per fortuna , si ferma lì...), spesso malvagia: "Stai attento, scemo!", oppure:"Pezzo di imbecille!" o altro di poetico...
) Il karma (mentale inteso come effetto che ogni pensiero genera in quello successovo e cosi' via all'infinito) si riferisce agli impulsi mentali che ci portano ad agire, parlare, pensare in modo spesso compulsivo. 
, magari riuscirà a passarla liscia.