A parte la speciosità della polemica politica di considerare Putin e Lavrov possibili esempi del male assoluto, tanto più nel contesto di una guerra che sarebbe meglio per noi, occidentali e Italiani in particolare, non combattere per procura tramite l'invio di armi e sanzioni boomerang che ci si ritorcono contro, ma semmai con altri mezzi, cerco di rispondere.
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Io considero il bene l'oggetto della volontà
(quello che si vuole, è bene).
e il male la volontà considerata in sé stessa priva di oggetto, quindi la volontà che vuole se stessa e che vuole all'infinito
(quando non otteniamo quello che volgiamo o quello che abbiamo ottenuto si rivela insoddisfacente, la volontà, in quanto priva di un oggetto voluto, in quanto priva di un voluto, si continua indefinitamente, e con essa la sofferenza: ovviamente propongo quindi anche l'equazione tra male e sofferenza).
Alla concordanza della volontà con un oggetto degno, penso anche che consegua la cessazione della volontà: le cose veramente buone, sono quelle che una volta ottenute non ci fanno più volere ulteriormente, diciamo le pochissime cose fuori dall'inganno schopenhaueriano per cui la volontà si continua sempre e comunque al raggiungimento dell'oggetto inducendo sofferenza, le cose veramente buone sono le pochissime cose che fanno eccezione a questo inganno, che è inutile stare a definire, variano da individuo ad individuo.
Il bene è ciò che ci mette in condizione di volere per non volere, quindi di avere un progetto dialettico interno alla nostra stessa volontà, in cui del tempo, che in tale processo rientra, si invoca non la capacità di conservare l'ente, ma di scatenare tra gli enti la danza degli opposti, il sovvertimento dei posti e dei ruoli.
Il male è tutto il resto, che ci mette in condizione di volere per volere, di avere a che fare con un tempo-risorsa ad uso esclusivo della "positività" della volontà, del suo voler essere; un tempo che serve solo per la sua sopravvivenza.
Il bene e il male stanno alla volontà come la finitudine, propria del bene, sta alla cattiva infinità, propria del male.
La parte migliore e più liberatoria della metafisica, anche se essendo nichilista io alla metafisica non mi fermo, è
l'essere-per-la-morte, il concetto che la vita sia preparazione alla morte, che si contrappone all'uso capitalistico del tempo come risorsa.
Il superamento anche della metafisica è comprendere che la volontà nella sua profonda ed intima essenza, non progetta né la sua cessazione né la sua continuazione infinita, non progetta e non vuole né il bene, né il male.
Quantomeno per quello che il bene e il male sono e significano per la volontà, per la relazione della volontà con il suo oggetto e con l'insieme dei suoi possibili oggetti, relazione che decide il destino stesso della volontà. Nell'essenza più istintiva e vitale della volontà non è veramente voluto né un destino di continuazione indefinita dello stesso, tramite l'assenza di oggetto, né un destino di finitudine, tramite la presenza di oggetto.
C'è un solo un grande calcio, al male e al bene per quello che vitalisticamente male e bene significano, un grande rifiuto.
La differenza stessa, tra presenza e assenza dell'oggetto del volere è tolta.
E qui non affermo che il bene e il male siano relativi, affermo proprio che l'uomo, e il vivente in generale, non è né buono né cattivo. E questo non cambierebbe, dunque, se il bene e il male fossero assoluti. E anzi, mi piace pensare che lo siano, assoluti una volta compreso che questo non fa comunque effetto condizionante sulla vita.
Io mi rifiuto di scegliere, tra il bene e il male, perché la vita non sceglie, perché l'istinto, non sceglie.
Noi non vogliamo l'identico per sempre e non vogliamo smettere di volere. Abbiamo una volontà diveniente. Per essere felici dobbiamo accettare il divenire, e il divenire è per noi soprattutto il divenire della nostra stessa volontà, che si muove tra gli estremi del bene e del male senza mai toccarli, senza mai essere, l'uno o l'altro.
Non ci auto-vogliamo in un facile quando tautologico accesso all'eternità, e d'altronde non possiamo smettere di volere. Siamo qui a volere una cosa qualsiasi diversa da noi stessi, quantomeno perché è in noi stessi, che si delinea il sentimento della mancanza della cosa voluta, per quanto amor proprio possiamo contemporaneamente provare. La volontà è estroflessa, è territorio, si muove verso il mondo. Vuole la volontà dell'altro. E può ottenerla sono se originariamente non è una, solo se la volontà dell'altro esiste, in un mondo che sia veramente molteplice, e sia pensabile solo, come molteplice.
Il divenire in genere, è un'alternativa terza, tra non-essere ed essere identico.
Il divenire della volontà, è l'alternativa terza tra non-essere ed essere identica a se stessa della volontà.
Per questo il divenire della volontà si sovrappone alla questione -in un certo senso dicotomica- del bene e del male, e considerarlo è secondo me l'unico modo, non semplicemente relativistico e relativizzante, per supere la dicotomia.
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Io considero il bene l'oggetto della volontà
(quello che si vuole, è bene).
e il male la volontà considerata in sé stessa priva di oggetto, quindi la volontà che vuole se stessa e che vuole all'infinito
(quando non otteniamo quello che volgiamo o quello che abbiamo ottenuto si rivela insoddisfacente, la volontà, in quanto priva di un oggetto voluto, in quanto priva di un voluto, si continua indefinitamente, e con essa la sofferenza: ovviamente propongo quindi anche l'equazione tra male e sofferenza).
Alla concordanza della volontà con un oggetto degno, penso anche che consegua la cessazione della volontà: le cose veramente buone, sono quelle che una volta ottenute non ci fanno più volere ulteriormente, diciamo le pochissime cose fuori dall'inganno schopenhaueriano per cui la volontà si continua sempre e comunque al raggiungimento dell'oggetto inducendo sofferenza, le cose veramente buone sono le pochissime cose che fanno eccezione a questo inganno, che è inutile stare a definire, variano da individuo ad individuo.
Il bene è ciò che ci mette in condizione di volere per non volere, quindi di avere un progetto dialettico interno alla nostra stessa volontà, in cui del tempo, che in tale processo rientra, si invoca non la capacità di conservare l'ente, ma di scatenare tra gli enti la danza degli opposti, il sovvertimento dei posti e dei ruoli.
Il male è tutto il resto, che ci mette in condizione di volere per volere, di avere a che fare con un tempo-risorsa ad uso esclusivo della "positività" della volontà, del suo voler essere; un tempo che serve solo per la sua sopravvivenza.
Il bene e il male stanno alla volontà come la finitudine, propria del bene, sta alla cattiva infinità, propria del male.
La parte migliore e più liberatoria della metafisica, anche se essendo nichilista io alla metafisica non mi fermo, è
l'essere-per-la-morte, il concetto che la vita sia preparazione alla morte, che si contrappone all'uso capitalistico del tempo come risorsa.
Il superamento anche della metafisica è comprendere che la volontà nella sua profonda ed intima essenza, non progetta né la sua cessazione né la sua continuazione infinita, non progetta e non vuole né il bene, né il male.
Quantomeno per quello che il bene e il male sono e significano per la volontà, per la relazione della volontà con il suo oggetto e con l'insieme dei suoi possibili oggetti, relazione che decide il destino stesso della volontà. Nell'essenza più istintiva e vitale della volontà non è veramente voluto né un destino di continuazione indefinita dello stesso, tramite l'assenza di oggetto, né un destino di finitudine, tramite la presenza di oggetto.
C'è un solo un grande calcio, al male e al bene per quello che vitalisticamente male e bene significano, un grande rifiuto.
La differenza stessa, tra presenza e assenza dell'oggetto del volere è tolta.
E qui non affermo che il bene e il male siano relativi, affermo proprio che l'uomo, e il vivente in generale, non è né buono né cattivo. E questo non cambierebbe, dunque, se il bene e il male fossero assoluti. E anzi, mi piace pensare che lo siano, assoluti una volta compreso che questo non fa comunque effetto condizionante sulla vita.
Io mi rifiuto di scegliere, tra il bene e il male, perché la vita non sceglie, perché l'istinto, non sceglie.
Noi non vogliamo l'identico per sempre e non vogliamo smettere di volere. Abbiamo una volontà diveniente. Per essere felici dobbiamo accettare il divenire, e il divenire è per noi soprattutto il divenire della nostra stessa volontà, che si muove tra gli estremi del bene e del male senza mai toccarli, senza mai essere, l'uno o l'altro.
Non ci auto-vogliamo in un facile quando tautologico accesso all'eternità, e d'altronde non possiamo smettere di volere. Siamo qui a volere una cosa qualsiasi diversa da noi stessi, quantomeno perché è in noi stessi, che si delinea il sentimento della mancanza della cosa voluta, per quanto amor proprio possiamo contemporaneamente provare. La volontà è estroflessa, è territorio, si muove verso il mondo. Vuole la volontà dell'altro. E può ottenerla sono se originariamente non è una, solo se la volontà dell'altro esiste, in un mondo che sia veramente molteplice, e sia pensabile solo, come molteplice.
Il divenire in genere, è un'alternativa terza, tra non-essere ed essere identico.
Il divenire della volontà, è l'alternativa terza tra non-essere ed essere identica a se stessa della volontà.
Per questo il divenire della volontà si sovrappone alla questione -in un certo senso dicotomica- del bene e del male, e considerarlo è secondo me l'unico modo, non semplicemente relativistico e relativizzante, per supere la dicotomia.