Io non capisco questo atteggiamento giudicante, veramente, posso capire l'emotivota' , ma non ho ancora sentito un solo argomento razionale per cui non nascere o non far nascere possa essere considerato tragedia.
Capusco l'istinto materno, ma ci sono tanti casi in cui reprimiamo o sublimiamo gli istinti e questo non genera stigma sociale, ma a volte addirittura lode.
Vorrei dunque capire, perche' specificamente la madre che reprima l'istinto materno secondo i propri specifici progetti razionali di vita, finanche con l'atto "estremo" dell'aborto, generi biasimo che mille altre consimili repressioni di istinti nella nostra (freudianamente erotica, e poco tanatologica) societa' NON generano (e questo fa il paio con qualcuno che ha definito "troiana" la donna che abortisca per distrazione nell'uso dei contraccettivi dovute all'uso di droghe).
Il bene e' l'oggetto della volonta' secondo la nobile tradizione greco classica dell'Intellettualismo etico (nessun uomo vuole per se' il male, neanche l'Hitler di turno) , tradizione un poco ingiustamente oscurata dall'avvento del cristianesimo teologizzato e del suo discorso (a mio giudizio banale) sul libero arbitrio.
Ma anche se non.si accetta questo, che il bene sia l'oggetto della volonta', e si cade nel ridicolo normativo-strutturalista per cui il bene possa prescindere, dalla volonta' (io me ne guardo bene, dal caderci, ma vabbe'), rImane il fatto che il bene non puo' prescindere comunque dalla coscienza, e quindi si devono preferire gli interessi di chi ha piu' coscienza, gli adulti, rispetto a quelli di chi ne ha di meno, gli embrioni.
Chi e' meno cosciente, e' meno danneggiabile, per questo io vado dicendo da infiniti post che la nascita indesiderata e' piu' tragica dell'aborto: da una situazione esistenzialmente e psicologicamente negativa contemplate un essere cosciente solo, la madre che si ritrova per x motivi ad avere una gravidanza non voluta, se non si abortisce, si passa ad una situazione esistenzialmente negativa contemplate DUE esseri coscienti, la madre e il bambino: se si potesse quantificare il male, dall'una all'altra situazione, il male, o meglio il "danno" possibile nella situazione si e' raddoppiato, perche' si sono raddoppiate le coscienze attive su cui esso ha potuto attecchire!
Gli esseri coscienti possono amare gli esseri mano coscienti e prendersene cura ma qui, come prima entrava in gioco l'intangibilita' di chi non puo' soffrire perche' incosciente, entra in gioco l'intangibilira' (sacra nel senso pieno del termine) del nesso tra volonta' ed amore: nessuno puo' essere obbligato ad amare contro la propria volonta', l'assurdita' del comandamento di amare e' palese.
Chi non ama non ama, c'e' poco da giudicare.
Creare coscienza, e' creare la possibilita' del bene e del male, ma io non credo che la possibilita' del bene e del male sia bene, insomma non credo che il bene vinca sempre sul male, rendendo automaticamente BUONA la loro DICOTOMIA stessa, finanche nel profilarsi (ai fini del nostro discorso, prenatale) della sua stessa possibilita'; penso che i tempi siano maturi per superare questo tipo di stoicismo e di pensiero libero-arbitrista cristianeggiante: il male e il bene sono entrambi necessira', ed entrambi psichicamente superabili, non c'e' uno statuto di maggior liberta' connesso al bene
(rifiuto il concetto di bene come liberazione-dal-male).
L'obbligo di creare coscienza per creare altro bene a costo di altro male, come potrebbe essere nelka situazionw della maternita' e drlla nascita pure, al vaglio della ragione, non trova fondamento.
Io penso che l'ipotesi della preferibilita' della creazione, l'ipotesi che il mondo sia bello e meriti di essere creato, a cui fa eco l'ipotesi che la vita -come "mondo" interiore e singolare- sia bella e meriti di essere creata, piu' che eccessivamente ottimistica, sia illogica e antifilosofica.
Il mondo si tiene anche senza nessuno che lo crei, e questo a prescindete dalla sua bellezza o bruttezza; e' il logos stesso di ogni parte che sostiene l'altra, la dinamica LOCALE e
PARZIALE, e quindi immanente, della volonta'/amore delle parti che si vogliono e si generano tra di loro, a rendere l'ipotesi della creazione superflua, e quindi il giudizio sull'ipotesi della creazione non necessario, sospendibile.
La vita e' atopicamente e senza tempo secondo le leggi della natura, si innesca al ricorrere delle sue cause scatenanti; da dentro la vita non possiamo dire, SE siamo dentro una mera possibilita' o una totalita' nulla, e quindi non possiamo neanche dire CHE cosa avrebbe di "meglio", di direzionalmente eticizzante, l'ipotesi della possibilita' pienamente realizzata, o della totalita' gia' essente e non nulla in cui, altrettanto probabilmente dell'ipotesi dell'increato, potremmo qui e ora trovarci.
Quello che rende possibile la vita e' il suo limite percettivo, il suo orizzonte tra noto ed ignoto, il suo essere virtualmente indistinguibile dallo "scorrere" spaziale e temporale di una possibile altra vita identica a se; in tale orizzonte non e' realmente colta, la differenza tra creato e increato, tra possibilita' e attualita'.
L'ipotesi che tutto debba iniziare, non si applica al tempo, perche' e' ,ed e' continuamente verificata, nel tempo stesso: tutto inizia (e tutto finisce) in ogni attimo del tempo per il modo in cui la vita percepisce il tempo, e di altro tempo rispetto a quello a noi noto, non possiamo a ragion veduta parlare.
Il tempo non inizia, e non inizia nemmeno fuori dal tempo, non ha in inizio trascendente.
Non si puo' quindi stabilire un imperativo morale al dover iniziare la vita, come non lo si puo' stabilire al dover iniziare il tempo.
Il comando di dover iniziare il tempo/vita e' assurdo come il comando di dover amare.
In altre parole, e' anche l'indecidibilita' tra l'ipotesi di un universo eterno, innato e indistruttibile che esista da sempre e per sempre e quella di un universo creato, che dovrebbe diminuire la potervia del comandamento biologico, e
socio-normativo, di creare, e di creare in un certo specifico modo, atto a far sopravvivere la specie, e di contribuire, alla creazione continua della specie.
Noi rispecchiamento il mondo in piccolo, perche' la vita e' il nostro mondo, o meglio il nostro giudizio nella vita, e' il nostro giudizio nel mondo.
Cio' che ha inizio, potrebbe avere anche fine, e richiede un certo tipo "emergenziale" di contributo.
Cio' che non ha inizio, non ha neanche fine e permette un approccio piu' rilassato alla questione.
Cio' che e' sovraffollato, come il nostro pianeta attuale, richiede solo che si procrei con parsimonia e prudenza.
Crescete e moltiplicatevi. Se vi va'.
Capusco l'istinto materno, ma ci sono tanti casi in cui reprimiamo o sublimiamo gli istinti e questo non genera stigma sociale, ma a volte addirittura lode.
Vorrei dunque capire, perche' specificamente la madre che reprima l'istinto materno secondo i propri specifici progetti razionali di vita, finanche con l'atto "estremo" dell'aborto, generi biasimo che mille altre consimili repressioni di istinti nella nostra (freudianamente erotica, e poco tanatologica) societa' NON generano (e questo fa il paio con qualcuno che ha definito "troiana" la donna che abortisca per distrazione nell'uso dei contraccettivi dovute all'uso di droghe).
Il bene e' l'oggetto della volonta' secondo la nobile tradizione greco classica dell'Intellettualismo etico (nessun uomo vuole per se' il male, neanche l'Hitler di turno) , tradizione un poco ingiustamente oscurata dall'avvento del cristianesimo teologizzato e del suo discorso (a mio giudizio banale) sul libero arbitrio.
Ma anche se non.si accetta questo, che il bene sia l'oggetto della volonta', e si cade nel ridicolo normativo-strutturalista per cui il bene possa prescindere, dalla volonta' (io me ne guardo bene, dal caderci, ma vabbe'), rImane il fatto che il bene non puo' prescindere comunque dalla coscienza, e quindi si devono preferire gli interessi di chi ha piu' coscienza, gli adulti, rispetto a quelli di chi ne ha di meno, gli embrioni.
Chi e' meno cosciente, e' meno danneggiabile, per questo io vado dicendo da infiniti post che la nascita indesiderata e' piu' tragica dell'aborto: da una situazione esistenzialmente e psicologicamente negativa contemplate un essere cosciente solo, la madre che si ritrova per x motivi ad avere una gravidanza non voluta, se non si abortisce, si passa ad una situazione esistenzialmente negativa contemplate DUE esseri coscienti, la madre e il bambino: se si potesse quantificare il male, dall'una all'altra situazione, il male, o meglio il "danno" possibile nella situazione si e' raddoppiato, perche' si sono raddoppiate le coscienze attive su cui esso ha potuto attecchire!
Gli esseri coscienti possono amare gli esseri mano coscienti e prendersene cura ma qui, come prima entrava in gioco l'intangibilita' di chi non puo' soffrire perche' incosciente, entra in gioco l'intangibilira' (sacra nel senso pieno del termine) del nesso tra volonta' ed amore: nessuno puo' essere obbligato ad amare contro la propria volonta', l'assurdita' del comandamento di amare e' palese.
Chi non ama non ama, c'e' poco da giudicare.
Creare coscienza, e' creare la possibilita' del bene e del male, ma io non credo che la possibilita' del bene e del male sia bene, insomma non credo che il bene vinca sempre sul male, rendendo automaticamente BUONA la loro DICOTOMIA stessa, finanche nel profilarsi (ai fini del nostro discorso, prenatale) della sua stessa possibilita'; penso che i tempi siano maturi per superare questo tipo di stoicismo e di pensiero libero-arbitrista cristianeggiante: il male e il bene sono entrambi necessira', ed entrambi psichicamente superabili, non c'e' uno statuto di maggior liberta' connesso al bene
(rifiuto il concetto di bene come liberazione-dal-male).
L'obbligo di creare coscienza per creare altro bene a costo di altro male, come potrebbe essere nelka situazionw della maternita' e drlla nascita pure, al vaglio della ragione, non trova fondamento.
Io penso che l'ipotesi della preferibilita' della creazione, l'ipotesi che il mondo sia bello e meriti di essere creato, a cui fa eco l'ipotesi che la vita -come "mondo" interiore e singolare- sia bella e meriti di essere creata, piu' che eccessivamente ottimistica, sia illogica e antifilosofica.
Il mondo si tiene anche senza nessuno che lo crei, e questo a prescindete dalla sua bellezza o bruttezza; e' il logos stesso di ogni parte che sostiene l'altra, la dinamica LOCALE e
PARZIALE, e quindi immanente, della volonta'/amore delle parti che si vogliono e si generano tra di loro, a rendere l'ipotesi della creazione superflua, e quindi il giudizio sull'ipotesi della creazione non necessario, sospendibile.
La vita e' atopicamente e senza tempo secondo le leggi della natura, si innesca al ricorrere delle sue cause scatenanti; da dentro la vita non possiamo dire, SE siamo dentro una mera possibilita' o una totalita' nulla, e quindi non possiamo neanche dire CHE cosa avrebbe di "meglio", di direzionalmente eticizzante, l'ipotesi della possibilita' pienamente realizzata, o della totalita' gia' essente e non nulla in cui, altrettanto probabilmente dell'ipotesi dell'increato, potremmo qui e ora trovarci.
Quello che rende possibile la vita e' il suo limite percettivo, il suo orizzonte tra noto ed ignoto, il suo essere virtualmente indistinguibile dallo "scorrere" spaziale e temporale di una possibile altra vita identica a se; in tale orizzonte non e' realmente colta, la differenza tra creato e increato, tra possibilita' e attualita'.
L'ipotesi che tutto debba iniziare, non si applica al tempo, perche' e' ,ed e' continuamente verificata, nel tempo stesso: tutto inizia (e tutto finisce) in ogni attimo del tempo per il modo in cui la vita percepisce il tempo, e di altro tempo rispetto a quello a noi noto, non possiamo a ragion veduta parlare.
Il tempo non inizia, e non inizia nemmeno fuori dal tempo, non ha in inizio trascendente.
Non si puo' quindi stabilire un imperativo morale al dover iniziare la vita, come non lo si puo' stabilire al dover iniziare il tempo.
Il comando di dover iniziare il tempo/vita e' assurdo come il comando di dover amare.
In altre parole, e' anche l'indecidibilita' tra l'ipotesi di un universo eterno, innato e indistruttibile che esista da sempre e per sempre e quella di un universo creato, che dovrebbe diminuire la potervia del comandamento biologico, e
socio-normativo, di creare, e di creare in un certo specifico modo, atto a far sopravvivere la specie, e di contribuire, alla creazione continua della specie.
Noi rispecchiamento il mondo in piccolo, perche' la vita e' il nostro mondo, o meglio il nostro giudizio nella vita, e' il nostro giudizio nel mondo.
Cio' che ha inizio, potrebbe avere anche fine, e richiede un certo tipo "emergenziale" di contributo.
Cio' che non ha inizio, non ha neanche fine e permette un approccio piu' rilassato alla questione.
Cio' che e' sovraffollato, come il nostro pianeta attuale, richiede solo che si procrei con parsimonia e prudenza.
Crescete e moltiplicatevi. Se vi va'.


