Citazione di: Angelo Cannata il 07 Gennaio 2018, 15:04:45 PMCitazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:23:14 PMAscolta Angelo, la presunzione che esista una relazione con la verità, è l'esistenza stessa del soggetto.Infatti la relazione, nella spiegazione che ho dato, è soggettiva.
Non assumere come fai tu che esista, tale relazione, indica che tu elimini il soggetto dalla tua analisi, il che poi ti fa finire inevitabilmente in affermazioni assolutamente non logiche, sul fondamento degli oggetti in quanto tali.
Ma chi è che gli dà fondamento? O anche nella tua prospettiva, che nega infatti ogni fondamento, chi ha deciso che esiste una relazione linguistica, semiotica,che indica quel fantomatico (in quanto per te mai raggiungibile veramente) oggetto?
Ma credo che anche Sari voleva dire che la sua è una opinione soggettiva.
Vera nel senso, che soggettivamente esperita come tale.
Diciamo che lui e io, suppongo, ma se vorrà specificherà lui, tentiamo del nostro meglio per descrivere la nostra esperienza, che non può che essere tale per noi stessi, ossia vera, e i problemi che derivano dal confronto delle verità con gli altri.
La verità è sempre un opinione, come alla fine della sua vita capì anche Husserl.
Ossia è la somma delle "pratiche" delle verità, praticate da tutti, ossia dalla maggioranza.
In questo senso parlava di crisi delle scienze.
La verità è un concetto assolutamente obsoleto.
Come insegna Nietzche da subito è invece sulle falsità che bisogna ragionare, ovvero sulle bugie che ci raccontiamo in continuazione, che non aderiscono minimanete alla nostra verità, ossia alle effettive pratiche, alle azioni che facciamo.
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Gennaio 2018, 15:04:45 PM
Allo stesso modo, tu pensi che una limitazione del relativismo sarebbe un atto di umiltà, di modestia da parte del relativismo:Citazione di: green demetr il 07 Gennaio 2018, 14:35:36 PMEssere un intellettuale relativista, come lo sei tu, a mio avviso dovrebbe anche comportare l'intelligenza di non portare a esiti estremi, ossia a essere vittima di una srategia, di uno strumento, come è quello del pensare relativo.Ma la modestia e l'umiltà non si ottengono concedendo certezze. Ogni certezza è sempre una pretesa, non è mai innocente.
Bisogna avere l'umiltà di fermarsi un attimo prima. La pretesa di voler scardinare completamente ogni certezza dell'umano non ne è forse una sua più ultima tiranneggiante conclusione, e cioè fare della volontò di dominio sulle cose, il suo esito naturale: la distruzione dell'oggetto stesso dell'indagine. (in questo caso della nostra capacità di orientarci nel mondo).
Questa cosa che ti sto dicendo è presente in Heidegger, in Severino.
Qui si aprirebbe un altro discorso: io non pretendo affatto di vietare agli altri di credere nelle loro certezze. Il problema nasce quando pretendono di presentarle a me. A quel punto io dico loro: "Senti, io mi autodistruggo con i miei dubbi e il mio relativismo, ma non pensare che il relativismo funzioni solo su di me. Quindi non sognarti di approfittarne per propormi le tue certezze: te le distruggerei in men che non si dica, così come distruggo in continuazione le mie".
Quando ero prete, per risolvere questo problema dal punto di vista della fede, facevo il paragone della fidanzata. Uno che è perdutamente innamorato della sua fidanzata può anche chiedere ai suoi amici di concedergli, per un attimo, di esternare la sua passione e dire: "La mia fidanzata è la più bella, al confronto di lei tutte le altre sono streghe". Subito dopo, quest'innamorato dirà: "Grazie di avermi concesso questo spazio: ho voluto esprimermi dall'interno del mio cuore: infatti so benissimo che anche per ciascuno di voi la sua fidanzata è la più bella". Ecco la compresenza di prospettive. Chiunque può chiedere che gli si conceda un attimo di spazio in cui esprimersi dall'intimo del proprio cuore, per esempio riguardo alla fede in Dio: "Il mio Dio è l'unico vero". Poi dirà a quelli delle altre religioni: "Grazie di avermi concesso questo spazio: capisco benissimo che anche per ciascuno di voi il suo Dio è l'unico vero".
Cioè, c'è una prospettiva interna, in cui ognuno chiarisce che intende parlare dal profondo dei suoi attaccamenti, e poi ce n'è una esterna, in cui ognuno si pone nei panni degli altri e si rende conto che tutto è relativo.
Il problema è quando l'innamorato, nel dire che la sua ragazza è la più bella di tutte, avanza la pretesa di star parlando non dalla sua prospettiva interna, ma da un punto di vista oggettivo: è così perché è così e non perché lo penso io. Ecco la pretesa, la presunzione, destinata a creare violenza oppure essere demolita dalla critica, dal dubbio.
Con tutto questo voglio dire che la relazione fruttuosa con gli altri non si ottiene moderando il relativismo: è una cosa che non avrebbe senso, non servirebbe affatto allo scopo. Il modo per costruire relazioni fruttuose c'è ed è quello di far capire espressamente, quando si parla, se si vuole parlare da una prospettiva interna (nel qual caso si può dire tutto quello che si vuole senza prestare il fianco ad alcuna critica), oppure da una prospettiva che prova a tener conto di quelle altrui.
Prendi per esempio giona2068, oppure Domingo94 o SaraM: il loro modo di parlare non creerebbe alcun problema se lo presentassero come desiderio di far conoscere agli altri la loro prospettiva interna. Il problema è che invece lo presentano come prospettiva esterna, oggettiva, è così perché è così e non perché lo penso io.
Come già ti dicevo il pensiero debole è il parto da una delle notazioni abissali di Nietzche, che Dio è morto.
Figuriamoci se non sono d'accordo, sono infatti d'accordissimo.
Forse mi sto sbagliando, ma il tuo discorso a me pare volersi soffermare non tanto sul fatto che la pratica del continuo mettere in discussione (in discussione con gli altri e se stessi, visto che le pratiche portano esperienze che ci cambiano, se sappiamo ascoltarle e valorizzarle, sempre in ottica relativa, per il momento etc...) sia corretta o meno, ma sul fatto che noi tutti necessitiamo a livello filosofico di una sorta di metodo, che ci prevenga comunque dal credere alle nostra supposta innocenza.
Il che vuol dire che per te ascoltare le rondini, ascoltare il vento fra gli alberi, rimanere nel silenzio, non sia possibile.
E invece sebbene in determinate situzioni sociali, il silenzio, il rumore esterno, possono risultare sgradevoli, se non proprio percepiti come nocivi, NONDIMENO, io faccio esperienza del canto delle rondini, del fruscio delle fronde, e del silenzio, e lo percepisco come altamente spirituale.
Dipende dunque dal contesto e non dal metodo se ciò che è esperito è valido, o meno. (è vero, parola abusata, o meno).
Il metodo serve al massimo a non credere che SEMPRE valga come cosa buona il silenzio etc....
Quindi onore al metodo, ma la mancanza di umiltà è a mio avviso quando è lo stesso metodo ad avanzare (una pretesa di verità) in qualsiasi contesto, in qualsiasi "occasione".
Sempre a mio avviso questo modo di procedere non è filosofia.
Quindi non siamo lontanissimi come pensiero, e come volontà di orientamente nel mondo, ma formando comunità cerchiamo ognuno all'altro di fornire spunti di riflessione.
Del tuo discorso prendo per buono, la questione dei limiti del metafisico, e per errato, la volontà di voler fare dell'analisi il perno centrale della vita.
In fin dei conti quel credente continuerà a credere che Dio esiste, e che la sua ragazza è la più bella del mondo. E io nella vita dovrò fare i conti drammatici con le sue credenze.
Non ci trovo niente di male perciò a che uno provi a diminuire le fonti di attrito.
Non mi pare che decidere che esista un funtore extratestuale (extra contestuale) sia un buon viatico.
Rimane solo il prendersi cura l'un l'altro, in base ai momenti e ai contesti.
Perciò magari fare credere agli altri la necessità di mettere sempre tutto in discussione, per evitare di cadere in trappola delle proprie fantasie, al di là del fatto che di per sè vorrebbe ammettere questa necessità, ma sopratutto, magari non serve in un determinato contesto, tipo il Sari, perchè lui è già una persona spirituale.
E questa necessità che ti sei posto (seppure meritevole in altri contesti), come vedi ha mal funzionato (col Sari).
Propongo che invece tu accetti che vi sia un contesto. Prima di introdurre nella discussione un metodo. ( e credo per quel poco che posso capire, che ho imparato a capire di te, che in effetti, in fin dei conti già lo fai, e tutto questa ultima parte in fin dei conti sia una conseguenza dell'argomento che era troppo generico).
Se sei di fronte ad una persona spirituale, non è molto meglio discutere direttamente delle cose pratiche della spiritualità (come il valore del silenzio, come e dove praticarlo) piuttosto che speculare eccessivamente sul preambolo.
Non cadresti anche tu in quel iper-specialismo di cui Kobayashi parlava (in altro 3d) che dovremmo tutti noi tanto evitare come la peste?
Non dovremmo sì capire il metodo (relativista) ma quantomeno nello stesso tempo fare uno sforzo di capire il contesto?
Avere in mente il fine. La filosofia in quanto filosofia, in quanto metodo, in quanto ragione sconnessa con il reale, è la cosa che più aborro.
Per questo ho chiamato in ballo l'umiltà. (una umiltà verso la vita, già precaria e sofferente, e non solo verso il metodo).
Spero sia più chiara dove sia la mia critica, e dove invece ci intendiamo sui preamboli.

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...esistono invece i massi e gli f-35.
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