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Messaggi - niko

#2476
Tematiche Spirituali / Re: Spirito e materia
29 Aprile 2022, 21:25:49 PM
Come mi e' capitato di scrivere altrove, sul punto in questione non posso che concordare con Spinoza, e in particolare con l'interpretazione e con la lettura deleuzeana di Spinoza:

Spinoza, ovvero  che cosa puo' un corpo?

Un corpo puo' tutto quello che secondo natura potrebbe con o senza lo spirito, (con o senza uno spirito a "guidarlo"); spirito da cui e' legato da un nesso di consustanzialita', e non di causazione.

Lo spirito, rispetto al corpo, e' sia sovrabbondanza gratuita che legame necessario, esprime il legame modale tra due infiniti, sviluppantesi infinitesimalmente, in maniera sfumante verso il piccolo, ma specificamente importante per noi, in quanto ci esprime, presso la piu' vasta infinita' degli infiniti.

In un impianto metafisico per altri versi ancora abbastanza classico come quello spinoziano, comincia ad affacciarsi quello che poi, nel pensiero occidentale maturo, sara' il concetto, irrazionalistico prima e psicoanalitico poi di istinto, di pulsione, nel senso che la chiusura causale del mondo fisico viene pensata come portata alle sue estreme consequenze, includenti finanche l'autocausazione e l'autosussistenza della vita, che puo' prescindere dallo spirito, per essere, anche se non per pensarci e saprersi viva.


Dunque un viso "materiale" , fatto di materia e distribuito nello spazio e nel tempo, in accordo con le leggi e con le dinamiche secondo cui i corpi si muovono, si urtato,  si aggregano e si disgregano tra di loro, puo' agire, dunque nel nostro caso puo' piangere, ma anche ridere, anche mangiare anche fare tutto cio' che normalmente fa', senza lo spirito: lo spirito non muove, non forma e non causa in nessun modo la materia, lo spirito e' solo un certo particolare punto di vista "tratto" da un "insieme piu' vasto" di punti di vista incentrati tutti sullo sviluppo unitario di una stessa cosa/evento, serie piu' vasta di punti di vista comprendente anche il punto di vista, altrettanto specifico che e' la materia.

Come un gatto che fa un certa cosa, ad esempio correre, filmato da due telecamere diverse frontalmente e di profilo: e' chiaro che entrambi i filmati risultanti  si riferiranno alla stessa cosa/evento (il gatto e il suo agire) e saranno logicamente connessi SIA siacronicamente, nelle loro sequenze interne proprie, CHE siacronicamente, tra di loro perche' l'agire del gatto influenzera' coerentemente al punto di osservazione entrambi i filmati.

Pero' sempre e solo un osservatore che possa osservare entrambi i filmati o  potra' sapere della loro connessione sincronica, ovvero non c'e' alcun altro modo che avere scienza e coscienza di entrambi i filmati, per sapere che non si riferiscono a due gatti diversi, ma allo stesso gatto.

Ogni filmato fa da feedback, e da connessione di tipo "non causale", olografica, nel senso di riferentesi a un olos, un tutto, all'altro.

Essendo proprio dello spirito il pathos della vita, sara' presso lo spirito che sussistera' la differenza fondamentale è fondante tra animato e inanimato, come differenza avvertita, differenza vissuta.

Ma nell'ambito del corpo e della materia, tale differenza non sara' propriamente  nulla , sara' pero' una differenza tra le altre, infinitamente sfumata tra le altre, una differenza indifferente, nella misura in cui e' proprio nell'ambito del corpo e della materia che agiscono le forze che muovono indifferentemente l'animato e l'inanimato, il vivo e il morto, le leggi che legiferano indifferentemente sui due.

La possibilita' della vita e' gia' imita nella materia, ma si concretizza e si realizza solo a certi livelli di complessita'.

#2477
Nei film per tenere al sicuro i propri compagni basta che l'eroe quando la tira gridi a squarciagola "GRANATA!!!", che tanto i musi gialli o i crucchi non capiscono e non si mettono al sicuro pure loro...
#2478
Citazione di: Alberto Knox il 26 Aprile 2022, 13:07:02 PMSì ma la coscienza deve capire che anche l'intelligenza è limitata e capire , se di coscienza intelligente si parla, che l intelligenza è un impresa collettiva. Così come avviene con la ricerca scientifica, perchè la scienza da quattro secoli a questa parte è riuscita ad avere tutti i successi che ha rispetto invece alla filosofia e alla teologia che sono fermi al punto di partenza?
 La filosofia e la teologia, sono fermi al punto di partenza,e forse continueranno a girare un pò come quei criceti che girano , girano nella ruota e sono sempre lì, al punto di partenza. Mentre la scienza no, cammina, va avanti progredisce in maniera collettiva producendo anche delle cose di cui faremmo volentieri a meno fra l altro. Quindi hai dati che ci fornisce la ragione intesa come collettività possiamo individuare quella che viene chiamata l'argomento del consensum gentium che cos'è?
è il criterio di verità per il quale una tesi appare come vera in quanto in essa convengono, al di là delle singole divergenze, le opinioni di tutti gli uomini o della maggior parte di essi. Ci si trova quindi di fronte a un dato universale (vedi Dio , anima)  e quando ci si ritrova di fronte a un dato universale, bhè di questo la ragione deve tener conto. Non è la prova incontrovertibile che si può dare di fronte un affermazione delle scienze esatte o una data storica. Ma è comunque qualcosa a cui l'intelligenza deve prestare attenzione , perchè l'intelligenza è si un fatto personale . MA se siete inelligenti, allora capite anche che lo siete fino a un certo punto e quindi dovreste guardare anche quello che altri pensano. Per quanto riguarda l'anima e l'immortalità dell anima abbiamo gli antichi Greci che parlavano di Ade in senso negativo e di Campi Elisi in senso positivo. è chiaro che per l anima una forma di sopravvivenza c'è , dicevano, così come lo dicevano i Latini, la stessa cosa vale per gli Etruschi, la stessa cosa vale per la Mesopotamia, L'egitto, pensate alla cultura Egizia che è sostanzialmente una grande religione che celebra la vita oltre la morte, a partire dal grande atto liturgico della pesatura del cuore o dell anima detta psicostasia.  E l'antico Israele , lo She'ol che certo non è il luogo migliore dove essere, però che esista una forma di sopravvivenza della anima è esplicito. Per non parlare di quando il concetto di anima raggiunge l' Ellenismo. Si giunge davvero a parlare di immortalità dell anima nel libro della Sapienza e poi le Religioni orientali , l'induismo, il giainismo , anche il buddhismo che parla di Nirvana come quel luogo nel quale si ha sì l'estinzione dell essere ma che non coincide col nulla . Perchè il Nirvana non è un essere ma nemmeno un non essere. é uno stato di Suprema apofasia ,di cessazione della parola ma che non è il nulla nichilistico che alcuni sostengono. Di tutte queste grandi tradizioni Spirituali la mente deve prendere atto. E' qualcosa che bisogna considerare e dalla quale trarne insegnamento. Non sono solo supestizioni o finte ipotesi come qualcuno ha detto.


L'apofasia/infanzia prevede di comprendere che la parola non apporta bene al mondo e dunque neanche a noi stessi.

Un fantasma nichilistico dunque la agita, ma non un fantasma particolarmente negativo o spaventoso, almeno non per me.

Ma, in attesa di tale illuminazione "apofantica" rimangono il bene e il male come molto piu' inquietanti fantasmi della parola, come apposizione di segno ai plurimi frammenti in cui si divide, ad opera dell'oblio, la coscienza stessa; apposizione segnica che, gia' ricadente sul dividuo/diviso genera ulteriore divisione.

Il bene e' appagamento, quindi volonta' morta, cessata, grazie al saggio uso di un tempo per la morte.

Il male e' volonta' autoconservantesi  all'infinito, infinitizzata tramite l'uso meno saggio di un tempo/risorsa.

La differenza pricipale, che vedo emergere tra male e bene, e' che chi fa il male e' nella condizione di volere per sempre e sempre identicamente, chi fa il bene, e' nella condizione di cessare divolere.

Rispetto alla realta' dei gradi di liberta' e dei quanti di azione in un mondo dato, il bene vuole cio' che si puo', il male cio' che non si puo'.

E' dunque una presenza o un'assenza di oggetto, che possa o non possa esprimere una corrispondeza tra voluto e mondo, che determina un destino di appagamento (bene) o di cattiva infinita' (male).

Ma la realta e' che la volonta' , la volonta' di ogni vivente, non vuole ne' cessare ne' conservarsi all'infinito, ma trasformarsi. Quindi muoversi, spaziare, in tutto cio' che e' intermedio tra gli estremi della sua cessazione terminale e della sua cristallizzazione infinita, senza di fatto mai toccarli.

La volonta'non vuole ne' il bene ne' il male.

Vuole la volonta' dell'altro.

E questo e' il giusto mezzo secondo me.

Accettare il divenire, come dicevo anche nella precedente  discussione sulle utopie.

Fare (anche razionalimente e coscientemente) del divenire un oggetto di volonta', perche' esso e' gia', a livello fondamentale e istintuale, un oggetto di volonta'.



#2479

Con buona pace della continuità autocosciente, noi oltreché morire, addirittura dormiamo e sveniamo.

A volte siamo pure così (nel migliore dei casi...) ubriachi, da non ricordare più niente una volta tornati sobri.

L'autocoscienza è una funzione assai discreta e discontinua, tale per cui vale solo per essa stessa, l'illusione di continuità.

Tra le cose che tale autocoscienza deve imparare per sopravvivere, c'è pure che la sua continuità è un'illusione.

Noi siamo parte del mondo, e la nostra coscienza è parte del mondo, c'è un mondo più grande, e più esteso, e più duraturo, della coscienza, il che implica la presenza di limiti insuperabili presso coscienza, agli "estremi", per così dire della coscienza, e all'interno, di essa.

I limiti estremi, possono essere pensati come nascita e morte; i vari altri confini passanti all'interno e suggerenti una frammentazione, possono essere pensati come sonno, svenimento, anestesia, ebbrezza eccetera.

Se noi solo nascessimo e morissimo, lo sapremmo freddamente, che esistono tali limiti, ma non lo sperimenteremmo, non ne avremmo la ragionevole certezza collegando tra loro le esperienze.

E' perché dormiamo e sveniamo, che l'evidenza dei limiti della coscienza è schiacciante.



#2480
Citazione di: green demetr il 24 Aprile 2022, 15:10:32 PMQuando Hegel parla della natura come prodotto dell'assoluto, intende dire dell'assolutamente altro.
Questo punto che abbiamo già letto nella discussione, è invero quello che la filosofia contemporanea non riesce a leggere.

La natura tutto, che descrivi, è comunque indagabile, Dio è un tutto non indagabile.
Da qui la differenza sulla questione dell'uomo, questione per i transumanisti di organizzazione politica di subalternità e neo-feudalesimo (indagabile scientificamente), per gli umanisti invece è questione di senso (indagabile umanamente).
Non vi può essere alcuna pax, per inciso, come invece massimi filosofi come Cacciari o Sini credono.



Quando parlavo di corrispondenza tra interpersonale ed intrapsichico, intendevo che faccio mia la tendenza, che già fu  platonica, a politicizzare l'anima, e, per opposto complementare, a psicologizzare la città.

Le componenti animiche di un dialogo o di un conflitto intrapsichico sono anche politiche, sono anche componenti politiche, e le componenti sociali di una città sono anche animiche.

Al posto della città, potrei intendere anche la natura, che dall'uomo è tendenzialmente vissuta come una "prima", primaria e primeva città da abitare, e non come un assolutamente altro.

Non c'è niente di assolutamente altro, perché noi siamo parte di un tutto, di cui ci è dato di conoscere una (piccola) parte.

L'assoluto, il tutto, inizia presso la conoscenza e la coscienza, e poi, solo in un "momento" successivo, liminalmente la supera.

Tutto è mondo, tutto è parte del mondo, anche noi, anche il nostro pensiero, il nostro sentimento.

Non vedo minimamente l'utilità concettuale di un tutto non indagabile, non supererebbe il rasoio di Occam; ok ci potrebbe anche ben essere un tutto non indagabile, eliminiamo l'ipotesi, e... non cambia niente! Sempre all'interno di un tutto di cui almeno una parte è indagabile, ci ritroviamo.



#2481
Attualità / Re: Chi ha paura del lupo cattivo?
24 Aprile 2022, 15:03:20 PM
Citazione di: Ipazia il 24 Aprile 2022, 08:12:21 AMNon ho figli e ormai ho un età che potrei anche brindare alla smargiassata dei russi e dell'alleanza canaglia occidentale che sta giocando col fuoco sulla testa dei vostri figli e nipoti. Non ci meritiamo niente di meglio.

Le colpe dei padri non dovrebbero ricadere sulla testa dei figli, e soprattutto le colpe dei padroni non dovrebbero ricadere sulla testa degli schiavi.

Che venga giustizia, nel senso diacronico e sincronico del termine. 

O almeno una bella apocalisse zombie nei canoni hollywoodiani tradizionali. Sempre meglio di quella nucleare.




#2482
Citazione di: viator il 21 Aprile 2022, 15:06:24 PMSalve niko. Citandoti : " Ci sono già, all'origine del tempo........"

E' tutta qui quella che - a mio parere - è l'insensatezza della tua speculazione.

C'è stata una origine (creazione=concepimento=pensiero divino ?) del tempo ?
Allora ci sarà stata anche una origine della spazio, una della materia, una dell'energia.

O tali quattro dimensioni non c'incastrano l'una con l'altra ?

O c'è stata una origine simultanea delle quattro dimensioni ?

Ma il tempo non è la dimensione al cui interno accadono gli eventi ? (vedasi significato del verbo essere)(niente eventi, niente tempo, niente creazioni).

La verità logica dovrebbe essere quella che permette di "bypassare" tutte le domande masturbatorie umane circa l'origine del mondo, del tempo, della creazione, dell'esistenza e della consistenza di Dio : ciò che esiste.....E' DA SEMPRE E PER SEMPRE.  Saluti.


Anche io penso che la natura sia da sempre e per sempre, quello che volevo dire era che:

quantomeno per gli spiritualisti e i metafisici (io non sarei d'accordo!) il pensiero non proviene e non deriva dalla materia o dalla natura, quindi, in linea generale, secondo loro, si può benissimo pensare anche nel nulla, ovvero non occorre uno spazio, né tantomeno una materia, per pensare.

E appunto Dio, che di per sé non è spazio e non è materia, pensa al mondo prima di crearlo.

Quindi:

* Dio, nel nulla, "stando" nel nulla, pensa al mondo, mondo che si costituisce come insieme di idee, come seme/inesteso, come creazione intelligibile

* e poi lo crea, traendolo dal nulla, spazialmente, temporalmente, e al limite anche materialmente, facendo esistere la libertà e la coscienza di altri esseri, ed, eventualmente, anche la materia.

Questo non è una sequenza temporale, è una sequenza logica, nel senso che è logicamente necessitata in un verso, e non avrebbe senso, nel verso opposto. Se non nel senso che gli umani, confusi e spaventati dalla durezza della vita, da un certo punto del tempo e della loro storia in poi si inventano dio e da quel momento dio diviene reale nelle loro testoline, ma questa sarebbe la filosofia degli atei e dei provocatori materialisti, quindi qui la lasciamo temporaneamente da parte.

Quindi:

Dio crea il mondo da se stesso? Assolutamente sì, perché lo pensa prima di crearlo. Il suo pensiero è germe e premessa della creazione. Se questo è un antropomorfismo, e lo è, bisogna essere coerenti nell'antropomorfismo: come lo Zio Pino non può creare nulla senza prima pensarlo, neanche Dio.

Dio crea il mondo dal nulla? Assolutamente sì, perché dopo averlo pensato, patapuffete, con un colpo di bacchetta magica o con una semplice parola, lo fa anche esistere anche realmente, materialmente e per quanto concerne la libertà di scelta di altri esseri, a partire dal nulla. Se Zio pino, che fa il falegname, può creare un tavolo a partire dal legno, Dio, che è appena un po' più potente e creativo di Zio Pino, può creare il mondo a partire dal nulla. Le cose che ne risulteranno sono fatte di nulla, nel senso che non sarebbero nulla senza Dio, la loro creazione è assolutamente libera, e assoluta in quanto creazione. Se il tavolo, come artificio, nel legno ha uno stato naturale e pregresso più amorfo, ma ancora reale, l'opera di Dio non ha nessuno stato naturale e pregresso, ha stato naturale e pregresso nullo.

La contraddizione per cui dici che non puoi avere fede, secondo me è risolvibile...

ma ce ne stanno tante altre  :D


#2483
Citazione di: viator il 21 Aprile 2022, 14:36:36 PMSalve niko. Citandoti : " Ai miei tempi, pretendere condizioni lavorative migliori anche a costo di rimanere temporaneamente disoccupati aveva perfino un nome non politicamente corretto, si chiamava SCIOPERO..."


Oh tempora, oh mores !!. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma... anche lo sciopero, il quale ai tuoi tempi era uno strumento di pressione anticapitalistica, mentre oggi - se venisse ancora praticato - sarebbe solo un favore fatto agli imprenditori-sfruttatori.

Lo sciopero oggi è arma efficace solamente in campo pubblico, nel senso che rappresenta arma capace solamente di rompere i maroni agli utenti dei servizi pubblici. Sarà per questo che si sente pochissimo parlare di scioperi in Russia, Nord Corea, Cina, Cuba ?.

Vedi quanto è cinico e baro il destino degli ex proletari ?. Saluti.


Magari quelli di mezza giornata all'anno che fanno oggigiorno i sindacati confederati, sì, sono come dici tu...

Ma io dico uno sciopero serio, possibilmente generale, e possibilmente di più giorni.
Tipo nel secondo dopoguerra quando hanno sparato a Togliatti, o nel primo, il biennio rosso.

I miei riferimenti culturali, e utopici, e ideologici quelli sono.

Lo sciopero deve essere il preludio alla rivoluzione.

#2484
Citazione di: InVerno il 20 Aprile 2022, 16:05:24 PMPare che qualcuno abbia smesso di "rassegnarsi"

https://www.rainews.it/articoli/2022/04/boom-di-dimissioni-volontarie-dal-lavoro-uno-su-quattro--alla-ricerca-di-un-nuovo-senso-di-vita-50010d60-50e7-4235-89c0-73550ba03c52.html

" Se prima c'era una forte cultura al sacrificio, ora sempre più persone pretendono condizioni lavorative migliori arrivando anche a preferire di restare momentaneamente disoccupati  "

Una foto della "cultura del sacrificio"




Ai miei tempi, pretendere condizioni lavorative migliori anche a costo di rimanere temporaneamente disoccupati aveva perfino un nome non politicamente corretto, si chiamava SCIOPERO...

l'esodo post-operaista alla Toni Negri invece, voglio proprio vedere quanti possono, (e potranno...) economicamente e survaivalisticamente permetterselo.

#2485
Citazione di: viator il 20 Aprile 2022, 21:16:37 PMSalve niko e grazie del contributo, anche se mi dispiace non aver capito la più remota delle mazze di quanto hai argomentato.

Ti considero persona altamente intelligente ma purtroppo trovo che la tua cerebralità - se applicata ad argomenti non concreti - non aiuti le menti semplici come la mia. Saluti.



In parole semplici, Dio è l'uno, e l'uno è ciò che ha parti nulle, è il sommamente semplice, quindi non vi è contrapposizione, tra creazione dal nulla, ordinamento dal caos, e generazione di quanto creato da dio stesso (quindi in generale dal sé): l'uno può agire sulle sue parti nulle, quindi vale lo stesso dire:

* che l'uno sta creando/ha creato dal nulla

* che l'uno sta ordinando/ha ordinato dal caos

*che l'uno sta traendo/ha tratto la creazione da esso stesso.

Ci sono già, all'origine del tempo, le parti nulle dell'uno, ma queste parti nulle sono e non sono differenti dall'uno stesso a seconda che le si consideri, singolarmente (da questo punto di vista, sono differenti) o tutte insieme (da quest'altro punto di vista, non sono differenti).

L'unica attività che possiamo immaginarci che possa precedere il creare il mondo, è l'attività di pensarlo, e per pensarlo, il mondo, bisogna pensarlo come unità, quindi, quelle che ho chiamato "le parti nulle dell'uno" si possono chiamare anche "le idee delle cose", che singolarmente non hanno senso ai fini della loro appartenenza al mondo, quindi alla totalità, se non sono specificamente le idee di tutte le cose, ognuna includente, nella sua essenza di idea, anche la relazione con tutte le altre.

Le idee delle cose ci sono sia prima che dopo, la creazione del mondo, quindi tale creazione è uno sviluppo e una complicazione, di un punto iniziale, non una differenza assoluta, una cesura, di qualcosa di creato da un punto iniziale.

Il "panteismo" che pare risultarne, da tutto questo mio discorso, non è un vero panteismo, alla Bruno a alla Spinoza, per dire, è un panteismo "tiepido", perché l'attributo "teistico" della creazione/cosmo risultante si predicherebbe correttamente comunque solo della sua totalità: ogni singola parte creata resta nulla, e ai fini di questo discorso Dio non è il nulla, se non come l'insieme completo delle parti nulle, quindi nessuna parte del creato si identifica con dio, se non con la mediazione della totalità, e di quanto possa eventualmente ricondurla, alla totalità.

Per accedere all'aspetto panteistico dell'esistenza, rimarrebbe, per ogni singolo frammento, il bisogno del logos riconducente il frammento alla completezza.

Prima, della creazione, l'insieme delle parti di Dio non è altro da Dio, ma la parte sì. 

Dopo, la creazione, lo stesso.

La differenza non è assoluta.

E' quasi come pensare che nell'uno normale, matematico, c'è l'un mezzo e i due terzi, l'un quinto eccetera. Però facendo lo sforzo di pensare lo stesso di un uno "speciale" che non ammetta, frazioni estese, ma solo nulle o infinitesime.

Nulla è compositivo di Dio, se non nella "mediazione" della totalità.

Quindi Dio, creando l'uomo, perde potenza e può soffrire. Perché in generale, ogni volta che in questa "struttura" che Dio è sopraggiungano dei limiti, delle scissioni, non è detto che poi le cose si ricompongano. Nessuno dei due ha più la potenza della totalità, potenza che, col fatto stesso della creazione diviene un "se" e non un "quando", una vera potenza, che implica la realtà di un rischio, la realtà secondo cui non necessariamente tutta la vicenda dovrà andare a finire bene. Non solo l'uomo, ma pure Dio, in certe circostanze, è costretto ad essere cattivo. Da cui il ruolo dell'amore.

Uomo e Dio si cercano perché non vale solo il punto di vista secondo cui l'uno ha liberamente creato l'altro, per giunta dando all'altro pure la libertà, deve pure valere anche il punto di vista "opposto" strettamente platonico, secondo cui i due si sono scissi, non creati tra di loro, e quindi il loro ricercarsi è doloroso, e necessario.

La sola creazione dal nulla, senza alcuna elaborazione razionale, e quindi non implicante tutti questi miei discorsi, né tanti altri possibili che certo si potrebbero fare, è appunto un fatto di assoluta assurdità. Non invidio appunto i credenti, in questo senso.



#2486
Assolutamente A e B non si escludono a vicenda, dio crea il mondo da nulla, ma "il nulla" sono le parti nulle del dio Uno.

Meglio dovremmo dire, lo crea dai nulla: l'uomo è tratto dalla polvere, fuor di metafora la polvere è il pulviscolo delle parti nulle del dio Uno.

E l'uomo è l'unico vero "oggetto" di creazione: il mondo è spirito, ovvero esiste in quanto riflesso nell'intelligenza dell'uomo, che a sua volta è a immagine di Dio, ovvero ha intelligenza come Dio, ma non quanto Dio; essere a immagine di ciò che non ha corpo, ma ha solo intelligenza, significa condividerne, almeno in minima parte, l'intelligenza.

Quindi una volta creato l'uomo dalla "polvere", non c'è bisogno di "ulteriore polvere" per creare il mondo, le montagne, gli oceani le mucche, i gatti, il corpo fisico dell'uomo dove si suppone dimori la sua coscienza eccetera: tutto spirito che esiste per la coscienza e il dominio dell'uomo, quindi tutta roba la cui creazione è implicita nella creazione (spirituale) dell'uomo.

Il logos/verbo è la necessità che tali parti nulle, infinite, ci siano tutte, racchiuse in una totalità che sia espressione diretta del dio infinito, perché tutto e ogni singola cosa possa esistere: la mancanza di una sola particola, determinerebbe la non infinità delle particole, e data la nullità delle singole particole, il loro numero non-infinito anche arbitrariamente grande, resterebbe ontologicamente zero, inadeguato a giustificare l'esistenza di alcunché. Stiamo parlando di una matematica in cui infinito meno uno non fa infinito, fa problema, e da origine a tutto il problema del male.

Come dire da un punto geometrico, moltiplicandone l'essenza all'infinito, puoi fare una retta, e poi un piano, e poi tutto lo spazio, e tutte le figure, e tutto il loro movimento, ma se in questa neo/nata infinità ti viene a mancare anche un solo punto, la costruzione crolla, e ri/mostra ancora la sua limitatezza e la sua illusorietà.

Inoltre, dato che stiamo parlando della religione dell'ammoreee ;) , sbagli di grosso, a credere che Dio non si diminuisca e non si renda imperfetto creando l'uomo: il mistero è proprio che Dio nel nulla è (o meglio, era) perfetto, mentre Dio e l'uomo (il risultato della nullificazione del nulla in una creazione) sono, come coppia, due imperfetti, un demiurgo e un peccatore, quindi che si riconcilino nell'amore non è un'opzione, è una necessità, affinché entrambi non soffrano.

Di solito si tende a semplificare con l'esempio, neoplatonico, di una creazione descritta come un frutto di una perfezione sovrabbondante dall'Uno: se dio è l'auto-causato, è sempre infinito e felice, per definizione, sia prima, che dopo, la creazione; ma il cristianesimo è volto a dimostrare che il male non è frustrazione della volontà, ma negazione dell'amore, quindi esiste un modo per rendere infelice Dio, così come esiste un modo per rendere infelice l'uomo: la perfezione, ben lungi dall'essere sovrabbondante, ha una dinamica di sviluppo necessitato in cui è implicito un rischio; di nuovo infinito meno x non fa infinito.

In altre parole, ci sono aspetti problematici in Dio e aspetti problematici nell'uomo perché questi due sono le due metà, asimmetriche, una grande e una piccolissima, ma pur sempre metà, della mela si un ex super-Dio abitante del nulla
pre-creazione che ormai non esiste più; l'unica potenza per ricomporre l'infinito una volta che qualche dinamica separativa si è messa in atto, l'unica potenza per rievocare il super-Dio, è l'amore.

Ovviamente, anche messe così le cose, io non ci credo, ma mi sembra il modo più logico di metterle.



#2487
per una volta sono d'accordo... però ovviamente la cosa non andrà affatto così, e anzi non è nemmeno sicuro che Putin si accontenterà del Donbass, potrebbe anche tentare di marciare di nuovo su Kiev, dopo aver ottenuto il Donbass, la guerra sarà lunga.
#2488
Tematiche Filosofiche / Re: La sindrome da utopia
19 Aprile 2022, 10:55:04 AM
Citazione di: Ipazia il 18 Aprile 2022, 22:34:03 PMPerchè ci sia divenire è necessario che qualcosa divenga. Non darei Parmenide per morto tanto facilmente. La realtà è essere in divenire, ovvero esistenza. L'esistenza autocosciente si pone degli obiettivi che il realismo borghese chiama utopie se sono aliene ai suoi interessi, e programmi se sono in funzione di essi. Un po' come chiama filantropi i propri miliardari, e oligarchi quelli del nemico di turno.

A prescindere dall'utopia capitalistica, che non va oltre l'accumulazione e il profitto, la progettualità del futuro non è necessariamente sindrome patologica ma, saggiamente condotta, è motore collettivo dell'evoluzione umana; imparando dagli orientali e da Eraclito, che poco concedono alle "sindromi del soggetto", e molto focalizzano sulla dimensione transeunte dell'esperienza umana, allargando lo sguardo oltre la mera soggettività individuale, divenuta polo dialettico effimero, ingannevolmente antitetico, della forma peculiare della socializzazione capitalistica, la massificazione.


Ogni cosa è riducibile e riconducibile all'insieme delle sue relazioni con le altre cose, non esiste di per sé. Per buona parte, faccio mio il concetto, appunto orientale, di vacuità e affermo che alla realtà del divenire non è necessario che qualcosa divenga; e non esiste nessun essere in divenire; semmai esiste l'essere del divenire, che è un ritornare.

Il logos non è solo la ragione, altrove si era detto che esso contiene anche la dimensione dell'espressione, e dell'ascolto.

in questo video, piuttosto lungo purtroppo, viene proposta l'interpretazione secondo la quale che alcuni frammenti di Eraclito, più che ragionamenti freddi, sono pura espressione nichilista contro la possibilità stessa l'esistenza.

Una espressione dunque al bivio, tra oriente e occidente.

Se per Heidegher, e in un certo senso anche per Bergson, l'essere è tempo, per Eraclito non c'è tempo, per esistere.

La serie inconcussa degli attimi rende impossibile il segmento, o la durata, di cui ci sarebbe bisogno per esistere.
La sintesi possibile tra gli attimi, effettuabile dal pensiero, non risolve il problema, perché rimane anche essa una realtà istantanea, anche essa pungolata da una necessità di continuo cominciamento.

Principalmente vengono analizzati i frammenti di Eraclito che affermano che:

Stessa cosa sono il nascere e il perire

e

il sole è nuovo continuamente.


Insomma è impossibile la durata, e con essa l'esistenza.

Paradossalmente le stesse espressioni anti-logiche ma vitalisticamente espressive contro il tempo "minimo" necessario all'esistenza, ovvero contro la durata, si trovano anche in Parmenide, solo che in Parmenide la durata è contrapposta all'eternità, e non al divenire.

La continuità inconcussa nel rinnovarsi del sole (Eraclito) è differenza assoluta dalla continuità impenetrabile dello sfero (Parmenide), ma ha lo stesso effetto nel rendere impossibile l'essere per come lo concepiscono gli occidentali i contemporanei, dacché l'essere per come lo concepiscono gli occidentali contemporanei è tempo, e il tempo non c'è, nell'eternità, ma neanche nel divenire inconcusso che si riduce alla sommatoria (e non somma...) degli attimi.

LinK:

https://www.iisf.it/index.php/istituto/archivio-storico/aldo-masullo-l-idea-di-tempo-alla-prova-del-pensiero-nichilista-1-4.html


Naturalmente il logos come ragione testimonia a favore dell'esistenza; si parla qui del logos come espressione e come necessità dell'ascolto: ogni cosa (esistendo solo relazionalmente, e non differendo affatto, nel suo esistere, da un nodo di una rete di causa ed effetto) si porta con sé la totalità, e quindi anche il soggetto, che è imprescindibile, e che è desiderio 
non-giudicante e a-finalistico del ritorno, vita che in un modo o nell'altro ce l'ha fatta, ad arrivare al punto (della rete) da cui osserva.







#2489
Tematiche Filosofiche / Re: La sindrome da utopia
18 Aprile 2022, 13:30:57 PM
In realtà la parte malata dell'utopia è proprio il punto di vista metafisico, che vorrebbe l'essere, o comunque la permanenza di qualcosa, in un mondo in continuo divenire.

Permanenza di Dio, dell'idea, o anche solo della soddisfazione/felicità. La felicità fa parte della vita e quindi non può permanere in modo statico, dato che la vita è dinamica.

Il punto di vista non-utopico è il punto di vista che dice che bisogna accettare ciò che c'è, ma ciò che c'è è il divenire, non l'essere, (potrei dire è Eraclito, non Parmenide), quindi anche il problema del ricercare la felicità nella non-utopia, e dunque l'atteggiamento umano che cerca la felicità nell'accettazione, al netto dell'immaginazione metafisica, è un problema relativo al fare i conti col divenire, non con l'essere. In questo senso, il buddismo mi sembra paradigmatico.

Quindi direi che al netto del punto di vista metafisico, il punto di vista orientale accetta il divenire (così come esso, tra mille virgolette, "è"); mentre la parte sana e vitale del punto di vista "utopico" occidentale il divenire cerca di direzionarlo, di condizionarlo, per "costruire", appunto, sane e vitali utopie, che non si riducano alla pretesa di costruire l'essere nel divenire, alla pretesa di fermare il tempo. Fare essere il divenire in un modo, piuttosto che in un altro.

E' comunque sempre fondamentale la non collocazione interamente futura dell'utopia, in questo senso tutte le utopie, politiche, o religiose, finanche quelle capitalistiche, seriose, come il punto di vista weberiano, o pacchiane, come la pnl o il new tought, hanno qualcosa in comune, ovvero nell'ideologia sottesa all'utopia si suppone che l'utopista sia in grado di agire entusiasticamente a favore dell'utopia nel presente, e quindi che l'utopia stessa non abbia bisogno di realizzarsi interamente ed esclusivamente nel futuro per dare il suo frutto e raggiungere suo scopo, che è quello di generare felicità, manifestando la potenza di poter rendere felice l'utopista finanche nel presente, e quindi la sua sostanziale indipendenza, dal tempo e dalle forme fenomeniche.

L'utopia è retroattiva, è un futuro che fa effetto (un effetto che, quantomeno nelle intenzioni degli utopisti, dovrebbe essere benefico ed apotropaico) sul presente.

Va controvento rispetto alla direzione del tempo, perché rappresenta il desiderio dell'uomo, di andare controvento rispetto alla direzione del tempo, di non morire mai.

Le varie utopie poi si distinguono, e tendono ad essere incompatibili tra di loro, per la concezione e definizione delle cause/future, che possano generare questo effetto retroattivo.

L'utopia mostra insomma quell'aspetto dell'animo umano tale per cui, quando quello che crediamo essere un effetto è per noi positivo, è generativo di potenza o di felicità, poco ci importa di sapere quale sia la singola causa di quell'effetto in sé: ci interessa solo la classe di cause simili più o meno ampia che possa riprodurre o conservare quell'effetto.

Siamo disposti a sacrificare tutto per la felicità, quindi il nostro vero interesse è chiederci quale parte del tutto non si possa sacrificare ai fini della felicità stessa, quale parte del tutto sia generativa della felicità. Quali zavorre solo apparentemente inutili e neutre, si porti con sé l'utile e il buono, e quali siano le vere, zavorre inutili e neutre.

In tal modo, nella logica dell'utopia, si auspicano trasformazioni che salvino e potenzino l'indispensabile, e distruggano il superfluo, e in tal senso si cerca di "dirigere" il divenire.

Se l'utopista, rapito nel suo entusiasmo, è felice, da cosa, da quali oggetti e cause, può prescindere mantenendo inalterato il suo essere felice? Da tutto? Da nulla? Dal "superfluo" nel senso della ricchezza materiale? Dal volere stesso? Da tutto ciò che non è "giusto", nel senso di astraibile o generalizzabile? Da tutto ciò che, romanticamente o cristianamente, non è amore?

A seconda delle risposte a queste domande si generano le varie utopie, che possono essere di ascesi, di amore del fato, o più classicamente politiche, o religiose, o comunitarie eccetera.


#2490
Tematiche Spirituali / Re: L'assurdità del tutto
17 Aprile 2022, 15:42:05 PM
Citazione di: PhyroSphera il 17 Aprile 2022, 15:10:19 PMÈ la condizione mentale del nichilismo assoluto...

Io trovo invece che il mondo da solo non sarebbe mai potuto esistere e che la parola migliore per descrivere l'artefice del mondo sia "Dio" (che resta un mistero anche quando si rivela).


MAURO PASTORE



Io non credo in Dio, ma immagino che Dio sarebbe, se esistesse, il visualizzatore e il conoscitore (unico) della totalità nulla che è il mondo.

Come già si è detto, infinito sottratto a infinito, =0.

Ma solo Dio, può sapere e conoscere che il risultato dell'operazione è 0.

Siccome noialtri, invece, non siamo Dio, manchiamo della conoscenza e della visione della totalità nulla del mondo, che potrebbe essere pertinenza esclusiva del solo punto di vista di dio; e quindi percepiamo l'essere come un non-nulla, come una parte in qualche modo privilegiata o selezionata della totalità nulla, che non riflette e non possiede più la caratteristica fondamentale di nullità che apparterrebbe/apparteneva solo alla totalità.

La parte è qualcosa di inferiore alla totalità, sia pur compositiva della totalità, quindi non necessariamente, le caratteristiche della totalità si trasferiscono intonse o intatte alla parte, come caratteristiche della parte.

Così come, tradizionalmente, si pone che l'uomo sia inferiore a Dio, e non abbia, le caratteristiche di Dio, pur essendo parte del mondo che Dio ha creato.

Naturalmente tutto questo vale parlando di una nullità matematica e non ontologica del mondo, la differenza è appunto che la nullità ontologica appartiene alla totalità ma si riflette anche in ciascuna delle parti e appartiene a ciascuna delle parti, la nullità matematica pertiene esclusivamente alla totalità, e non esclude in linea di principio che dalla totalità nulla si possano "estrarre", o "rilevare", parti essenti.