Citazione di: maral il 11 Giugno 2016, 19:56:18 PMI predicati servono all'osservatore per inquadrare quell'esperienza (di cui so senza saperla descrivere e la so subito vera poiché accade) in una descrizione che la estromette, ossia la colloca in oggetto.Non sempre c'è uno scarto temporale fra il linguaggio e la realtà e/o uno scarto di vissuto fra il "protagonista" e il "narratore"; ad esempio: "Sta piovendo e mi bagno": realtà descritta in tempo reale da un'affermazione vera (anzi due!) dalla persona che sta esperendo il vissuto mentre lo descrive...
Citazione di: maral il 11 Giugno 2016, 19:56:18 PME l'esperienza è vera nel suo immediato significare, si presenta subito come un significato, di qualsiasi esperienza si tratti.Se per "vera" si intende "reale", per "significare" si intende "accadere" e per "significato" si intende "referente", sostituendo le tre parole, la frase diventa forse più precisa semiologicamente (non voglio "correggere con la penna rossa", solo suggerire di usare un linguaggio meno ambiguo e più standard...).
Un "significare" senza "segnificare" è soltanto legittimamente metaforico, e talvolta le metafore ci affascinano al punto da consolidarsi e non sembrare nemmeno più metafore...
Citazione di: maral il 11 Giugno 2016, 19:56:18 PMIl dolore di cui posso dire che che dura delle ore è sempre presente finché c'è, quindi non ha alcuna durata, proprio in quanto è costantemente presente: è adesso (o più semplicemente "è" al presente del verbo essere della lingua italiana). E' la descrizione del dolore che necessita di tradurlo in riferimento a una durata e questa traduzione è possibile solo se quel dolore mi si presenta come in qualche misura già estromesso da me in modo che lo possa descrivere [...] la stessa cosa che accade nell'essere umano (come in qualsiasi essere senziente) nel momento in cui sente davvero il dolore: non c'è né soggetto e quindi nemmeno oggetto, c'è il dolore [...] che diventa oggetto del sentire di un soggetto solo quando si sposta fuori di me, ossia quando ormai è solo un fatto (participio passato del verbo fare in italiano, ossia un accaduto, participio passato del verbo accadere, sempre in italiano).[grassetto mio] Il dolore (della martellata) che percepisco è il mio dolore (altrimenti non potrei percepirlo sul mio pollice) e proprio nel percepirlo lo sento durare nel presente, e proprio nel sentirlo come mio dolore duraturo posso descriverlo al medico ("non mi passa!", oppure "adesso sta diminuendo..."). Ogni avvenimento è reale (non direi "vero") per chi lo vive: la coscienza, prima della mia memoria, esperisce i miei vissuti secondo le sue modalità; io non sono il mio dolore, io sono quella coscienza che sente quel dolore (la distinzione fra percipiente e percepito è ineliminabile, altrimenti smetterei per un attimo di avere autocoscienza e sarei solo un'impossibile "sensazione impersonale", "un vissuto di nessuno"...)
Citazione di: maral il 11 Giugno 2016, 19:56:18 PMgiacché non è la lingua che con le sue definizioni convenute crea i significati, ma l'esatto contrario, per quanto queste definizioni siano sempre in qualche misura inadeguate e quindi sempre suscettibili di necessaria ridefinizione per tentare continuamente di dare conto dei significati a ogni lingua pre esistenti, anche se da ogni lingua mutati)Per alcuni linguisti (con cui possiamo anche non concordare), se non erro, "significato" e "definizione" sono sinonimi, per cui la lingua crea significati e pensarli pre-esistenti alla lingua è contraddittorio... oppure per "significati" intendevi "referenti" (quelli si, pre-esistenti ed autonomi rispetto ad ogni lingua)?
Citazione di: maral il 11 Giugno 2016, 19:56:18 PM quel dolore è sempre presente nel suo accadere, è al presente, proprio adesso, mentre sta accadendo e quindi non è un fatto, un accaduto oggettivabile e di cui si può discutere della verità, ma qualcosa che sta accadendo e di cui pertanto la verità è assoluta, poiché accade. Non è il predicato di un'esperienza: è adesso quell'esperienzaSecondo me, si può discutere "dal di fuori" della verità del dolore (magari sto fingendo...), e non si può discutere sulla realtà del mio lamentarmi, in quanto accadere, per me e per gli eventuali altri, poiché di fatto, urlo o mi lamento etc. voler esprimere giudizi su questa realtà manifesta, porta al bivio "verità/falsità" (a farla breve, direi che tutto ciò che vivo-esperisco è per me "reale", non "vero"... ma forse è solo una questione di vocabolario personale).
Sul "dove" si ponga la verità (criterio del "vero") nel comunicare, o meglio, dove possa essere posta, propongo un'immagine:

chiaramente, per "referente" non va inteso solo un oggetto materiale, ma, in generale, l'oggetto dell'atto comunicativo (quindi anche un esperienza o un vissuto).
[Il triangolo della significazione di Ogden e Richards. Adattato da C. K. Ogden e A. Richards, The Meaning of Meaning: a study of the influence of language upon thought and of the science of symbolism, New York, Harcourt & Brace, 1938 [1923], p. 11)]
P.s. L'immagine forse è troppo piccola, ecco il link:
http://www.bmanuel.org/corling/ogden&Rich++_.jpg

??!!! ..vedi che hai già creato dei pre-giudizi, derivanti da dogmi personali di fede
?