Citazione di: Angelo Cannata il 04 Settembre 2017, 15:38:55 PM
Ho visto sostenere diverse volte a sgiombo che i giudizi analitici apriori garantiscono certezza, al prezzo di non aumentare la conoscenza. Su Wikipedia c'è questa descrizione del giudizio analitico apriori in Kant:
I giudizi analitici a priori sono ovvi e non derivano dall'esperienza. Ad esempio: «I corpi sono estesi». Il predicato qui attribuito al soggetto corpi non dice nulla in più di ciò che già si sa, l'estensione è già implicita nella definizione di corpo e non occorre esperienza per formulare questa proposizione. Questo tipo di giudizio perciò non permette di progredire.
Ora, vorrei sottoporre a critica l'idea che tali giudizi garantiscano certezza, sulla base del riferimento al tempo e all'inaffidabilità della nostra mente.
Il giudizio analitico apriori appare come garanzia di certezza perché prescinde dall'esperienza, basandosi invece su definizioni stabilite dal soggetto, cioè da noi stessi. Viene a funzionare in questo modo, costituito da due momenti:
1) si stabilisce una definizione. Stabiliamo che per corpi s'intendono i corpi estesi. Siamo tutti d'accordo nello stabilire che con la parola corpi s'intendono i corpi estesi, nello stabilire che dire corpo e dire corpo esteso è la stessa cosa; tutt'al più, dire "corpo esteso" è una ridondanza, perché esplicita una qualità già inclusa nella definizione di corpo. È come dire fuoco acceso: se è fuoco non può non essere acceso. Oppure: H2O è il simbolo chimico dell'acqua.
2) si pronuncia un giudizio basato esclusivamente sulle informazioni già contenute nella definizione: i corpi sono estesi, il fuoco è acceso, H2O è il simbolo chimico dell'acqua. Questo giudizio viene a risultare giudizio analitico apriori e quindi inconfutabile, assolutamente certo, perché non fa che ripetere ciò che noi stessi abbiamo stabilito, concordato.
A questo punto mi sembra che ci sia qualcosa di criticabile quanto alla certezza. Il problema sta nel fatto che si tratta di due momenti, i quali, per poter essere posti in atto, hanno bisogno del tempo e della mente. Infatti, perché esista un giudizio analitico a priori, c'è bisogno di un prima e un dopo: prima bisogna stabilire una definizione; dopo bisogna formulare un giudizio che si basi esclusivamente su di essa. Questi due momenti devono essere posti in atto da una mente umana.
Supponiamo ora di trovarci nel secondo momento, quello del giudizio, successivo alla definizione. Chi mi garantisce che il giudizio "H2O è il simbolo chimico dell'acqua" rispecchi davvero la definizione concordata? Semplice, vado a controllare la definizione e vedo se dice le stesse cose espresse nel giudizio. Ma, mentre vado a controllare la definizione, chi mi dice che la mia mente stia ricordando fedelmente ciò che è stato espresso nel giudizio? E viceversa, quando tornerò a controllare il giudizio, chi mi garantisce che la mia mente stia ricordando fedelmente quanto previamente stabilito nella definizione? È il classico problema psicologico di chi torna in continuazione a controllare se ha chiuso bene la porta di casa, perché al ritorno ha il dubbio che forse, mentre effettuava il controllo, la mente si è distratta da altri pensieri e il controllo non è stato fatto a dovere. Questo problema, oltre che psicologico, è filosofico, nel senso che tutti i nostri ragionamenti, tutti gli atti della nostra mente si basano sul tempo, hanno un prima e un dopo. L'esserci di un prima e un dopo crea il problema insormontabile che tra il prima e il dopo non ci sia stata una comunicazione fedele, perfetta. Si potrebbe pensare come esempio anche a quando dobbiamo contare un gran numero di oggetti e alla fine ci rimane il dubbio se durante la conta la nostra mente si sia distratta e abbiamo sbagliato qualche numero. La conclusione è che, lì dove sono necessari tempo e mente umana, non risulta esserci affidabilità, perché tempo significa sfasamento tra essere ed essere.
Quest'affermazione non è una certezza, ma solo un presumere; se fosse una certezza sarebbe una conquista; ma nulla ci garantisce che anche in questo ragionamento non ci siano stati errori della nostra mente. Il fatto è che la mancanza di garanzie non equivale a certezza di garanzie opposte: la mancanza di garanzie di certezza sull'inaffidabilità non ci fornisce certezza dell'opposto, cioè che debba esistere qualcosa di affidabile: potrebbe esistere, potrebbe non esistere.CitazioneConcordo e sottoscrivo le considerazioni circa (la non superabilità de-) il dubbio (scettico) circa (ciò che ci dice) la memoria: nulla ci garantisce né ci può garantire che ciò che ci ricordiamo sia vero, che ciò che secondo la memoria del passato, anche dell' immediato passato, é (stato) reale, che sia realmente accaduto.
Faccio tuttavia notare che la memoria riguarda i giudizi sintetici a posteriori -termine del tutto evidentemente non casuale!- (circa i dati di fatto: eventuali -se veri- conoscenze di come é -stata, nella fattispecie- la realtà) e non i giudizi analitici a priori.
Posso dubitare di stare eseguendo correttamente un giudizio analitico a priori, poiché le premesse dalle quali mi ricordo di essere partito allorché sto tirando le conclusioni potrebbero non essere quelle da cui effettivamente (realmente) sono partito; ma questo giudizio degno di dubbio ("sto eseguendo correttamente un giudizio analitico a priori") é un giudizio sintetico a posteriori, un' affermazione che può esser vera circa ciò che realmente accade, che può essere una reale "conoscenza" (un giudizio "gnoseologicamente fertile"), ma che inevitabilmente paga la sua "fertilità gnoseologica" con la sua inevitabile incertezza.
Il giudizio analitico a priori (anche quello ipotetico oggetto di questo evento reale ipotizzato; di cui -cioé dell' evento reale: che sia in "in corso", e poi che stato svolto- non possiamo avere certezza), se é stato di fatto condotto in modo da essere) logicamente corretto -credo salvo casi "eccezionali" previsti dai teoremi di Goedel; e qui chiederei chiarimenti a Epicurus- allora é certo (ma "sterile circa qualsiasi conoscenza della realtà, di cui non dice nulla, né di vero né di falso).
Con questa sua "sterilità conoscitiva" paga inevitabilmente la sua certezza (se é accaduto che sia stato svolto in maniera logicamente corretta).
Anche la dubitabilità della memoria (riguardante, fra l' altro, non il "contenuto" -qualora siano stati svolti in modo logicamente corretto- ma il fatto, eventualmente conoscibile attraverso giudizi sintetici a posteriori, se veri, "che i G. A. a P. siano -e siano stati- di fatto svolti in modo logicamente corretto") é uno dei motivi dell' insuperabilità razionale (bensì solo attraverso un "minimo indispensabile" di "atti di fede") dello scetticismo.
Ed essere consapevoli di questi limiti insuperabili della ragione e della razionalità (umana) e di questi limiti insuperabili, di queste condizioni, di questo autentico, reale significato della (possibile) conoscenza (umana), significa essere più conseguentemente razionalisti che ignorarlo (coltivando pie illusioni in proposito).