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Messaggi - sgiombo

#2521
Citazione di: paul11 il 24 Luglio 2017, 14:45:53 PM

Com' è che non solo utilizziamo la tecnica non a fini sociali, ma a fini egoistici creando guerre militari, commerciali, squilibri e sfruttamento, accumulazione da una parte e  dall'altra disperazione, mentre la natura invece senza intelligibilità riesce comunque a governare da sempre il "suo" sistema?

Che cos'ha l'uomo di "tarato"?

CitazioneL' uomo, di suo peculiare in natura, ha che (a mio parere in conseguenza dell' invenzione da parte sua del linguaggio, consentito dalle enormi capacità cognitive o raziocinative di cui si é trovato naturalmente in possesso) può produrre (=trasformare la natura, agire finalisticamente in natura rispettandone-applicandone le leggi del divenire) e tende oggettivamente a produrre (e a consumare) più di quanto gli è necesario per sopravvivere e riprodursi.
E questa tendenza, nell' ambito naturale limitato sebbene tendenzialmente (ma non illimitatamente bensì "asintoticamente") crescente (fino a un limite oggettivo invalicabile) dal' uomo di fatto agibile, praticabile, è una tendenza oggettivamente crescente (tendenziale "sviluppo delle forze produttive sociali" del materialismo storico).
Tutto ciò, circa a partire dall' epoca neolitica o "poco prima", ha "innestato sulla storia naturale" la storia umana: divisione "tecnica" del lavoro, divisione "sociale" in classi antagonistiche, lotta di casse (i "rapporti di produzione" del materialismo storico), con tutto ciò che, non immediatamente-meccanicamente ma in un complesso rapporto "dialettico" di relativa reciprocità ne è conseguito: per l' appunto la "storia umana innestata sulla storia naturale".
Oggi in questo processo (nella storia; sia detto senza retorica ma con sobrio realismo: con l' iniziale minuscola) siamo giunti a un punto cruciale (del tutto analogo al suo inizio nel neolitico o "giù di lì") per il fatto che la limitatezza del mondo naturale realisticamente (e non fantascientificamente) agibile da parte dell' uomo "si fa sentire": fino a cento – centocinquanta anni fa le risorse naturali realisticamente impiegabili nella produzione e nel consumo umani potevano essere considerate "con buona approssimazione" illimitate (stante l' enorme distanza fra i loro limiti reali, oggettivi e il limitato grado di fatto raggiunto nello sviluppo tendenzialmente crescente delle forze produttive sociali), mentre oggi i loro limiti sono tali che il proseguire nello sviluppo quantitativo delle forze produttive sociali stesse, se accadrà, porterà inevitabilmente alla distruzione irreversibile delle condizioni naturali obiettivamente necessarie alla sopravvivenza della specie umana stessa (oltre che di tantissime altre, che infatti si stanno estinguendo "a rotta di collo").
Nella storia umana, alle contraddizioni sociali (ingiustizie immani, ecc.), che pure tendono ad esasperarsi parossisticamente, oggi si aggiunge (diviene del tutto evidente ed attuale, da "latente" o "meramente potenziale" che era), la contraddizione uomo – natura: o la lotta di classe porterà "per tempo" al superamento della divisione dell' umanità in classi antagonistiche (che nell' attuale fase capitalistica impone oggettivamente il tendenziale aumento continuo e illimitato di produzioni e consumi in quanto condizionati dalla concorrenza fra unità produttive -imprese- alla ricerca dl massimo profitto possibile da parte di ciascuna di esse a tutti costi -fra l' altro umani e ambientali- e a breve termine temprale) e alla socializzazione dei mezzi di produzione, con conseguente possibilità oggettiva di pianificare complessivamente con la necessaria prudenza e limitatezza, e "tenendo presenti" per quanto possibile anche i loro effetti non immediati, e anche quelli dispiegantisi in un futuro esteso fino alla potenziale "sopravvivenza umana naturale" -cioè fino all' inevitabile estinzione "per cause naturali" della nostra specie; pianificazione inesorabilmente implicante anche una decrescita quantitativa per lo meno in moltissime produzioni e consumi, il ridimensionamento di tantissimi "campi" dell' economia e della tecnica- oppure il nostro destino di umanità è sognato, e anche piuttosto "a breve scadenza".
Checché ne pensino Heidegger, Severino e altri filosofi idealisti (secondo la terminologia materialistica storica), non è lo scontro fra una pretesa impersonale "tecnica" (mero insieme di mezzi passivi, passibili di utilizza attivo da parte di soggetti coscienti!) che oggettivamente tenderebbe a dominarci da una parte e "cultura umana" o "filosofia" o altro di simile dall' altra parte, ma invece è la lotta di casse che in ultima analisi deciderà dei destini dell' uomo.
 
Questa è la terribile temperie nella quale tocca di vivere (e forse di morire) alle nostre generazioni attuali.
 
#2522
Citazione di: Apeiron il 23 Luglio 2017, 15:39:12 PM
Volevo solo fare una critica sia al principio secondo il quale "se la molteplicità è illusoria tutto è uno" sia all'idea secondo cui "ogni istante di tempo è reale". Ossia contrasto l'idea che il tempo possa essere realmente diviso in "istanti", come un film è diviso in fotogrammi. Quest'idea secondo me ci viene perchè vediamo il mondo come "composto di cose" che "si generano e si distruggono". Ma se vediamo il mondo non più come composto di "cose" allora tutti questi problemi si "dissolvono". Nulla si genera, nulla si distrugge, nulla evolve. Se non ci sono cose non ha più senso parlare di "cambiamento", perchè niente muta.

In ogni caso se la realtà degli istanti di tempo è illusoria, se il tempo non è diviso in "fotogrammi" allora l'idea stessa di "una macchina del tempo" è inonsistente.

P.S. Trovo interessante questa idea, ma non la appoggio completamente nemmeno io...
CitazioneMa anche se consideriamo nel mondo non le cose bensì gli eventi nel loro mutare (se quanto "ci dice" la memoria è vero), il tempo comunque ne é un aspetto (è un aspetto di questo mutamento).
 
Se si ammette (senza poterlo dimostrare) che la memoria è veritiera (salvo errori in linea di principio riconoscibili e superabili), allora non è affatto vero che "Nulla si genera, nulla si distrugge, nulla evolve", bensì è vero il contrario.
E se non lo si ammette comunque nulla dimostra che "Nulla si genera, nulla si distrugge, nulla evolve", ma l' ipotesi "fissista" e l' ipotesi "mutevolista" circa la realtà sono altrettanto pensabili (non contraddittoriamente, sensatamente) accadere realmente e parimenti non accadere realmente: cioè sono altrettanto plausibilmente ipotizzabili e indimostrabili essere vere (e pure essere false).
 
 
Se il tempo non è costituito dal succedersi di istanti (ciascuno dei quali in linea di principio considerabile da parte del pensiero come "un fotogramma", isolatamente, distintamente, astrattamente dai precedenti e dai successivi, allora il tempo stesso non esiste (non "scorre"), ma si dà unicamente un eterno, immutabile presente.
#2523
Se la realtà muta, allora solo il presente è attualmente (o per l' appunto "presentemente") reale: il passato lo è stato ma non lo è (più), il futuro lo sarà ma non lo è (ancora).
E vivendo di continuo realmente il presente, ovviamente non ci si potrebbe accorgere di un' eventuale (non negabile con certezza) inversione "speculare" della successione degli eventi che accadesse a partire da un qualche certo istante (causata dalla macchina qui ipotizzata o meno; fosse pure un semplice, spontaneo, "naturale" modo di "proseguire" del mutamento reale).
 
Che la realtà muti, poiché immediatamente constatabile empiricamente sarebbe comunque inevitabilmente solo il presente, non è dunque certo per il fatto che la memoria e i suoi "contenuti", "ciò che ci dice"(non essendo immediata constatazione empirica) sono degni di dubbio (la memoria può sempre ingannarci, in linea teorica o di principio).
 
Le si può credere unicamente "per fede", indimostrabilmente.
 
Se è questo che intendi dire, sono pienamente d' accordo.
Si tratta secondo me un aspetto dell' insuperabilità razionale (per dimostrazione logica o per constatazione empirica) dello scetticismo.
 
Personalmente (se tutto ciò realmente accade) non riesco però a non credere a gran parte di ciò che mi dice la memoria stessa (e al fatto che gli errori della memoria siano in linea di principio riconoscibili e correggibili), nonché ad altre assunzioni indimostrabili logicamente e non mostrabili empiricamente.

Cioè non riesco a limitarmi allo scetticismo (e se lo facessi sarei razionalista del tutto conseguentemente, "fino in fondo", fino "alle estreme conseguenze"), poiché questo mi "condannerebbe" inevitabilmente (volendo essere razionalista, volendomi comportare "di conseguenza") a una passività pratica (fosse pure del tutto illusoria) che non riesco ad accettare.
#2524
Attualità / Re:Africa: come aiutarli a casa loro?
22 Luglio 2017, 10:54:10 AM
Sarebbe come se un circolo di pedofili proclamasse:

"affidate a noi la tutela dei bambini degli asili!".

Quello di cui l' Africa e in minor misura altre parti del mondo avrebbero bisogno sarebbe solo di essere lasciate in pace, sarebbe casomai il più totale disinteresse da parte dell' imperialismo occidentale!
Ma questo é strutturalmente impossibile.
Bisognerebbe che noi proletari (=privi della proprietà dei mezzi di produzione, a cominciare dal capotale finanziario dominante) occidentali e "loro", i proletari di quei paesi quotidianamente saccheggiati e distrutti, riuscissimo almeno a cominciare a intaccare la forza dell' imperialismo saccheggiatore e distruttore (distruttore in ultima analisi, e neanche tanto a lungo termine, dell' umanità tutta!) per andare verso la sovversione totale dei rapporti di forza e di potere politici e  sociali globali!

Per l' intanto qualsiasi sproloquio (e se ne sentono tanti, anche in quel poco che rimane di autentica sinistra, per lo meno "sul piano soggettivo delle intenzioni") sul marxiano "esercito di riserva dei disoccupati" che qui in Occidente é di fatto effettivamente incrementato dall' immigrazione (non-) ragion per cui questa andrebbe limitata va smascherato come espressione di ottuso corporativismo, di -come avrebbe detto Lenin- gretto e meschino tradeunionismo, ovvero subalternità del proletariato occidentale all' ideologia capitalistica dominante.
Cercare di migliorare la propria condizione o di limitarne l' ulteriore peggioramento da parte di sfruttati a scapito della ben peggiore condizione di altri ben più sfruttati significa rafforzare colpevolmente e "reazionariamente" lo sfruttamento generale che tutti ci opprime (anche se in misura ben differenziata da caso a caso).
Da un punto di vista autenticamente, conseguentemente di sinistra bisogna prima lottare contro l' imperialismo e minare la sua devastate presa sui paesi saccheggiati, depredati e distrutti, e solo dopo che i proletari di quei paesi abbiano conseguito il sacrosanto diritto di vivere degnamente a casa loro e di non crepare, ci si potrà porre il problema della tutela del proletariato occidentale dagli effetti nefasti (ma ... un po' meno nefasti del crepare di fame e/o delle di guerre e violenze perpetrate dall' imperialismo occidentale) dell' immigrazione.

Non é facile?

Altro che!!!

Ma non esistono prospettive realistiche che non siano drammatcissime e terribili (casomai solamente delle pie e dannosissime illusioni: "sostanze stupefacenti dei popoli" particolarmente micidiali!) di fronte a noi umanità dell' inizio del XIX secolo!

(Sempre tanto di cappello da parte mia a una persona di oggi purtroppo rara onestà -intellettuale e in generale- e coraggio come padre Zanotelli).
#2525
Citazione di: pepe98 il 20 Luglio 2017, 11:18:29 AM
Il concreto non è un concetto astratto, è solo intuibile attraverso la comunicazione, ma non definibile. Tuttavia l'idea dell'uno credo sia la più "utile"per descriverlo. Ma più che un uno inteso come "non molteplice"(che non negherebbe necessariamente l'esistenza del molteplice) è, come ho detto, il più evidente "non nulla", o essere (il nulla si auto-nega, essendo non essere). E dal momento che credo che l'esistenza non possa avere altra definizione che questa, poiché altrimenti sarebbe definita in un modo tra molti possibili, e ció mi sembra assurdo, poiché ritengo l'esistenza pura necessità, bisogna intuire la sua interezza, pur ricorrendo a concetti astratti(che quindi implicano l'esistenza di un concetto contraddittorio, poiché sono definiti come A=/=(non A)). Se dici che l'uno implica i molti è perché stai parlando di concetti (A==>(non A) nell'insieme dei concetti), non dell'essenza concreta. Andare oltre significa ammettere che l'essere non è definibile. TUTTAVIA questa non definibilità dell'essere non nega che possa essere intuito, e come intuirlo se non parlando di assoluta necessità e parlando quindi di unità e non configurabilità. Io credo che chiunque non sia un robot possa capire: se parliamo di pure astrazioni non possiamo conoscere l'essenza, che va al di là dell'astratto!
Trovo che l'esistenza descritta da me descriva molto bene l'assoluta asistematicità dell'esistenza, quindi l'assoluta necessità. Trovo assurdo qualsiasi tentativo di limitare l'esistenza. Come può il nulla limitare l'esistenza???
CitazioneIl nulla, essendo non essere non (non necessariamente, non di per sé) si nega; lo si può del tutto correttamente, sensatamente (se veracemente o meno é un altro discorso non limitato al pensiero ma legato alla -vincolato dalla- realtà) affermate oppure negare di se stesso ("c' é il nulla" oppure "non c' é il nulla" ovvero "c' é qualcosa") e di qualsiasi altra cosa.

Un concetto definito negando altri concetti (A =/= non-A) non é contraddittorio (lo sarebbe casomai un concetto definito negando se stesso (A = non-A).

L' assoluta necessità é propria di ciò che realmente accade qualsiasi cosa sia (nel senso che non può realmente -anche- non accadere per definizione; casomai può essere pensato non accadere realmente) e di ciò che realmente non accade qualsiasi cosa sia (nel senso che non può realmente -anche- accadere per definizione; casomai può essere pensato accadere realmente).

Pretendere di attribuire necessariamente a priori la necessità dell' accadere (o anche del non accadere) realmente a qualcosa di determinato (anziché a "qualsiasi cosa") é cadere nella fallacia della "prova ontologica" dell' esistenza di Dio, passando indebitamente dalla necessità della realtà quale che sia alla necessità di una determinata realtà.

#2526
Ulteriori precisazioni.

La differenza (per me "fondamentalissima" in filosofia e non solo) fra l' "essere/accadere realmente" di qualcosa (che ne accada pure l' "essere pensato" o meno) e l' "essere considerato, pensato", eventualmente predicato, eventualmente conosciuto veracemente di qualcosa (che ne accada anche l' essere/accadere realmente o meno) é che i "vincoli", (ontologici), le condizioni perché si dia del primo caso sono più "stretti" di quelli  (teorici, eventualmente gnoseologici) ovvero di quelle del secondo.

Perché qualcosa sia pensabile e pensato (sensatamente) basta che sia caratterizzato dalla condizione della correttezza logica, mentre perché qualcosa sia/accada realmente ciò non basta (e invero non é nemmeno necessario; é necessario solo nel caso sia anche pensato e invero lo é propriamente del pensarlo, del fatto che -inoltre, eventualmente-sia anche pensato): occorre "qualcosa si più".
Questo perché può darsi pensiero logicamente corretto, sensato (ed eventualmente predicazione -falsa- anche della sua realtà) anche di qualcosa che non é/accade realmente (oltre che di qualcosa che é/accade realmente).

Dal fraintendimento di questa fondamentalissima distinzione dipendono fallace "metafisiche" del tipo della cosiddetta "prova ontologica" dell' esistenza di Dio e le sue varianti o conseguenze.

Un ente od evento reale o accade o non accade.
O accade necessariamente o accade del tutto casualmente o accade probabilisticamente (e nell' ambito del pensiero gli si può veracemente o meno attribuire una probabilità), cioé con una determinata frequenza in rapporto ad enti od eventi ad esso alternativi (e la probabilità veracemente attribuitagli nel pensiero é la sua reale frequenza relativa).
Ma di enti o eventi reali unici, non alternativi ad altri e dunque non caratterizzati da una determinata frequenza relativamente ad altri ad essi alternativi (come la realtà in toto, che comprenda uno o più dei o nessun dio) può pensarsi o che accada o che non accada con la stessa possibilità di dire il vero o il falso a priori; ossia se si prescinde dalla conoscenza vera di dati di fatto empiricamente osservabili a posteriori.
Non se ne può stabilire una "probabilità" maggiore o minore, ma solo la "possibilità" (in tutti i casi parimenti, indiscriminatamente, ugualmente positiva o negativa)
#2527
Citazione di: epicurus il 19 Luglio 2017, 15:32:36 PM
potrebbe essere interessante il fatto che di dio non abbiamo praticamente probabilità a priori da dare. Ma potremmo dire allora che l'argomentazione funzionerebbe bene con tutti quegli oggetti di cui non disponiamo di probabilità a priori.


CitazioneMa che significa "probabilità a priori"?

A posteriori posso constatare che le frequenze medie in casi di numerose osservazioni fra eventi reciprocamente alternativi sono state (finora) in determinati rapporti quantitativi (espressi da numeri) fra loro.
E postulando indimostrabilmente (Hume!) la costanza e universalità di caratteristiche astratte del divenire naturale (astraibili da parte del pensiero dalle particolarità concrete reciprocamente diverse e mutevoli che pure ne fanno parte ovvero lo caratterizzano) posso inferirne per induzione la probabilità (cioé la frequenza anche in futuro e nel passato a me ignoto, in qualsiasi tempo) di ciascuna di tali alternative.

Oppure posso stabilirle o calcolarle a priori in casi di "divenire deterministico" ben noto (sempre indimostrabile: Hume!) come il lancio di dadi o di monete.
Ma anche in questo caso si tratta in realtà di conoscenze "in ultima analisi a posteriori": ricavate dalla conoscenza limitata del determinismo ("ontologicamente ferreo", meccanicistico) degli eventi considerati e delle sue caratteristiche o aspetti ignoti ma aventi sugli eventi considerati conseguenze (reciprocamente alternative) casuali ("gnoseologicamente casuali", ma "ontologicamente deterministiche") non in senso assoluto o integrale, non completamente indefinite, bensì quantitativamente calcolabili nei rapporti fra le rispettive frequenze in serie numerose di casi.

Tutto ciò evidentissimamente non "vale", non ha senso in caso di eventi unici (e non insiemi di eventi reciprocamente alternativi), come é "l' esistenza dell' universo di fatto esistente" (che per definizione  non ha alternative reali), e di ciò che vi é incluso o meno, come ad esempio (fra l' altro) l' eventuale presenza di uno o più dei.

Su un fatto unico, senza alternative si può tutt' al più ragionare di probabilità soggettive, nel senso di (maggiore o minore) soggettiva, arbitraria propensione a ritenere vera l' una o l' altra ipotesi pensabile (sensatamente, correttamente; per esempio non autocontraddittoria).
Ma "oggettivamente" a priori (indipendentemente da eventuali constatazioni empiriche a posteriori di fatti) tutte le reciprocamente alternative ipotesi non autocontraddittorie sono parimenti pensabili come reali o meno (tutte correttamente; una sola veracemente).
#2528
Citazione di: pepe98 il 19 Luglio 2017, 12:55:11 PM
Se i molti fossero, il non essere di una cosa sarebbe qualcosa, sarebbe "altro".
CitazionePer la negazione (il non essere) di una determinata cosa si intende l' essere di "altro da essa", ovvero l' essere di qualsiasi altra cosa da essa diversa, ivi compresa quella cosa -diversa da quella determinata cosa che é negata- la quale é (costituita da; che dicesi) il "nulla", ovvero il non esistere di alcunchè,  di alcuna cosa (compresa quella determinata che viene negata da cui siamo partiti).


I molti sarebbero quindi definiti dal non essere degli altri. Ma in base a quale criterio(qual è il principio) i molti sono definiti cosí e non in un altro modo? Come possono le cose essere così DEFINITE per principio? La questione si risolve solo negando l'esistenza del molteplice: il non essere di una cosa non è, quindi la cosa è una sola.
CitazioneCiascuna delle cose di una pluralità di cose si definisce distinguendola dalle altre cose; ovvero: le diverse cose si distinguono reciprocamente definendole secondo i più disparati criteri arbitrari.
Infatti nel mondo reale (e anche per quel che la riguarda, evitando possibilmente di confonderla col mondo reale, nella fantasia), si possono "ritagliare le più disparate cose" nel tempo e nello spazio secondo quello che potremmo chiamare "principio di arbitrarietà mereologica".
Di fatto si tende a definire gli oggetti (enti ed eventi) che si pensano (specialmente se sono reali) secondo "generi naturali", cioé non secondo un arbitrio del tutto casuale, "sfrenato", cioé si tende a definire oggetti considerando i quali é possibile ammettere (ma non dimostrare logicamente né mostrare empiricamente: Hume!) induttivamente una relativa costanza od ordine del divenire della realtà (per lo meno della sua parte naturale materiale), secondo determinate modalità o leggi universali e costanti: in questo modo si vive ragionevolmente bene secondo il senso comune e,a un maggiore grado di sofisticazione e fondatezza razionale, secondo la scienza.

Non c' é dunque nessuna questione da risolvere e dunque non ha senso proporre come soluzione la negazione dell' esistenza del molteplice, con tutto quel che ne deduci. (vedi sotto l' ultima citazione, cui non ritengo sia necessario opporre ulteriori repliche

Poiché è una sola, non è definita dal non essere di qualcosa, ma solo ed ESCLUSIVAMENTE dal non essere del nulla, che è una verità evidente(nulla=non essere, per definizione).
CitazionePer definire una cosa non basta distinguerla da tutto il resto delle cose reali (se ce ne sono altre ), ma anche dalle sue parti (nel tempo e nello spazio) che possono essere arbitrariamente considerate (a meno che l' unica cosa esistente fosse un punto geometrico per una durata temporale infinitamente piccola, istantanea) e anche da eventuali altre cose immaginarie.
Per esempio consideriamo l' universo fisico (ammettendo senza concederlo, "per comodità di ragionamento", che non esista altro, per esempio di mentale): definendolo lo distinguiamo non solo dalle infinite sue parti considerabili (una potrebbe essere il "sistema locale" di galassie di cui facciamo parte); e inoltre non solo dal "nulla -l' alcunché- di materiale" che é reale oltre ad esso; ma anche da un' infinità di altre cose (materiali: atomi, pianeti, stelle, galassie, ammassi di galassie, ecc., ecc., ecc. inesistenti ma pensabili.; e anche immateriali -pensieri- e perfino soprannaturali: Dio, angeli, demoni, ecc.) che non sono reali ma che sono pensabilissime e ipotizzabili sensatissimamente, e che si possono anche predicare, credere (falsamente ma del tutto sensatamente, secondo l' ipotesi data) essere reali: per predicare la verità (secondo l' ipotesi considerata) che tutte queste altre cose -materiali e non- non esistono bisogna pensarle e distinguerle, attraverso le rispettive definizioni, dall' universo fisico-materiale reale.





Questa cosa, che coincide con l'essere parmenideo, non ha quindi forma, e non è definita né spazialmente, né nel tempo: al di fuori di essa c'è il nulla, quindi né spazio né tempo. Tale cosa è dunque eterna ed immutabile.
Ora, poiché io esisto(se siete coscienti potete capirmi), ed esiste una sola cosa, esisto solo io. Le persone(noi) sono in realtà un unico IO. Noi siamo il tutto, che è la semplice non esistenza del nulla, e non è un ente astratto e definito, ma il totale concreto. Io sono tutto, eterno ed immutabile. Il molteplice è astrazione: concreto percepire separatamente. Ma tutto il percepire, che è la non esistenza del nulla, avviene tutta in un "eterno istante".
#2529
A Paul11

Scusa, ma allora forse ti avevo frainteso.
MI sembrava che sostenessi che da un principio originario si potesse dedurre tutto lo scibile umano, poi confermato di fatto anche dalle osservazioni empiriche (in una sorta di "armonia prestabilita" fra deduzione e induzione).
 
Ora invece mi sembra di capire che tu sostenga che la conoscenza scientifica (che per me non esaurisce tutto lo scibile umano) si fonda sull' induzione da osservazioni empiriche (che credo verace, se correttamente condotta e non falsificata da ulteriori osservazioni empiriche, ma indimostrabile: Hume!), ipotesi teoriche e verifiche empiriche delle loro conseguenze osservabili.
Se è così, allora sono d' accordo.
 
Ma non capisco che cosa sia di fatto l' arché (principio ontologico, come credo, oppure epistemologico: qual' è, in che cosa consiste?) e inoltre in che rapporti stia con la conoscenza scientifica.
Forse l' arché consiste nell' analogia "prestabilita" dei diversi domini dello scibile universale, proprio come il nostro cervello lo sarebbe (ma non vedo proprio come) con l'universo?
Questa mi sembra una pretesa aprioristica non confermata.
Per esempio quali sarebbero le analogie fra cosmologia (fisica), evoluzione biologica (filogenesi), sviluppo epigenetico dei singoli organismi (ontogenesi; e in particolare sviluppo -diverso a seconda delle diverse esperienze individuali- del cervello di quei viventi -una parte relativamente esigua degli animali- che ne sono dotati), al di là di un generico "divenire ordinato secondo regole o leggi universali e costanti" (a mio parere riducibili -tutte- a quelle della fisica – chimica)?
Ma se invece per esso intendi le "quattro "forze" universali agenti che modellano materia ed energia e la costruzione del modello fisico delle particelle è costruito su equilibri energetici", allora questa mi sembra semplicemente una serie di astrazioni a partire dalla conoscenza scientifica empiricamente confermata o non falsificata.
Astrazioni su come é il mondo materiale - naturale conosciuto a posteriori e non dedotto apriori da alcun "principio originario"
 
Non comprendo comunque in che relazioni stiano fra loro la (pretesa) "prova ontologica" (che per me è in realtà una mera tautologia -ciò che è reale è reale- che non dice nulla su come o che cosa sia o non sia ciò che è reale), il bosone di Higgs e l'onda fossile gravitazionale, a conferma del modello (quale? Quale modello -e come?- integrerebbe cose così disparate come la "prova ontologica" e la cosmologia corrente? Che peraltro non è affatto provata al di là di ogni dubbio e personalmente non mi convince per niente) e viceversa.
 

Non riesco nemmeno a comprendere come si possa ("Kantianamente?!?!?!) passare dal giudizio sintetico a posteriori dell'esperienza, al giudizio analitico a priori del pensiero che si pensa; a me sembra che l' uno non derivi dall' altro né viceversa (anche se ovviamente nei ragionamenti essi possono integrarsi, applicandosi in successione, l' un l' altro, e altrettanto ovviamente il pensiero può astrarre dal concreto fisico).
#2530
Citazione di: paul11 il 18 Luglio 2017, 00:03:22 AM
ciao Sgiombo,
ti rispondo senza citazioni per non creare cortocircuiti visualizzativi.
Le prove ontologiche nate dal medioevo e dall'umanesimo, non mi fanno impazzire.
Preferisco ancora quella empirica di Aristotele, secondo cui la catena di cause effetti deve avere un'origine: il "motore immobile".
Ma direi con parole mie che essendo intelleggibile l'universo e linguisticamente definibile, con tutti i limiti umani, ha in sè un principio ordinativo che ci permette di leggerlo di argomentarlo, di relazionarlo.
CitazioneChe dell' universo si possa parlare, e che sia anche in qualche limitata misura conoscibile (a certe condizioni indimostrabili) sono perfettamente d' accordo, sembra del tutto evidente anche a me.

Ma, a parte la questione dell' "arché", concetto col quale non comprendo bene che cosa tu intenda, non mi pare che nessuno sia mai stato in grado di dimostrare "che l'unica tautologia sarebbe l'archè [?] e che tutto il resto, tutto l'universo, sarebbe deducibile e inducibile attraverso il sillogismo, da cui le inferenze e implicazioni".
Nessuno a mio parere è mai riuscito a dedurre l' universo da alcuna premessa, anche se i filosofi della tradizione "razionalistica" come Cartesio, Malebranche e Spinoza (se la loro "prova ontologica" può rientrare nel per me oscuro concetto di "arché") ci hanno in qualche misura, per qualche aspetto provato; le loro filosofie hanno subito molte critiche, di fatto oggi non sono che interessantissimi (e comunque geniali) argomenti di storia della filosofia, e non presentano per nulla quella indiscussa correttezza logica e la conseguente criticamente analizzabile ma non rifiutabile accettazione che tutti riconoscono alle geometrie.



Ritengo che la dialettica di Hegel sia superiore al pensiero kantiano.
E' superiore perchè non esiste ontologicamente una realtà in sè e per sè o un pensiero in sè e per sè.:questo è l'errore epistemologico.
C'è sempre un agente conoscitivo e se i giudizi e le categorie nascono proprio per convalidare le conoscenze, non si capisce come si possa sostenre un'ontologia senza un'epistemologia e relativa fenomenologia.
In altri termini, se un fenomeno si dà ai miei sensi e per Kant essendo esperienza è un giudizio sintetico a posteriori, non si capisce cosa il pensiero possa pensare se non dalle proprie esperienze.
Allora il problema è che i giudizi a priori analitici e a posteriori neì sintetici devono intersecarsi nel concreto della realtà che diventa pensiero astratto. Un' astrazione che non si relaziona ad una realtà può essere una fantasia, così come una realtà che non diventa pensiero è niente se non è portata nel giudizio dell'intelletto.

Una metafora sull'identità.
una casa è un immobile, l'arredamento sono i mobili: la coscienza è il contenitore della conoscenza, dell'esperienza e matura in funzione dei livelli di conoscenza.

Il paradosso del mentitore  nasce dai filosofi ,ma proprio perchè si accorgono che se la conoscenza si esplica linguisticamente il pensiero o si traduce in una contraddizione o il linguaggio non sa esprimere il pensiero. L'esigenza di relazionare il pensiero e il linguaggio costruirà la logica predicativa con le prime regole formali in Aristotele ,così come la logica proposizionale degli stoici.
CitazioneDissento completamente.

Innanzitutto credo che la conoscenza della realtà sia inevitabilmente limitata (non credo esista un Dio onnisciente); e dunque credo che una (parte della) realtà non pensata possa benissimo esistere e di fatto esiste (ontologicamente).
Casomai non può (per definizione) esistere una realtà (che sia) conosciuta, una conoscenza della realtà (una realtà che "esista gnoseologicamente", se vogliamo).

Inoltre non mi pare proprio che Kant (ma anche altri: e Kant pure più di tanti altri) fondi la sua ontologia senza una preliminare, discutibile ma certamente "robusta", tutt' altro che inconsistente, epistemologia (o critica razionale della conoscenza), né che neghi -anzi!- la realtà fenomenica.

Non vedo inoltre alcun problema nel fatto che i fenomeni si danno ai sensi (cioè sono costituti da sensazioni o apparenze sensibili: mera tautologia) e che inoltre possano essere pensati ed essere oggetto di conoscenza, costituita da giudizi sintetici a posteriori: perché mai tutto ciò non dovrebbe essere possibile o comunque dovrebbe essere in qualche modo problematico?

Che poi di fatto, nella realtà pensiamo sia analiticamente a priori sia sinteticamente a posteriori, ossia integriamo nei nostri ragionamenti più o meno astratti e nella nostra conoscenza i due tipi di giudizi mi sembra pacifico: anche qui non scorgo alcun problema.
Né ne colgo nel fatto che Un' astrazione che non si relaziona ad una realtà può essere una fantasia (e può anche essere una convinta credenza falsa), così come una realtà che non viene colta e sottoposta a predicazione dal pensiero non è conoscenza; che non è conoscenza se non è portata nel giudizio (dell'intelletto?).
#2531
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 17 Luglio 2017, 22:26:16 PMMa è l'unica cosa che si può predicare del nulla: la sua inesistenza. Mentre qualunque altra predicazione (come quelle che Sgiombo fa sul nulla) hanno una forma sintattica contraddittoria; appunto perché l'impredicabilità del nulla è l'unica cosa che si può predicare.

(evienziazioni in grassetto mie).

CitazioneEvidente contraddizione:

Prima si afferma che del nulla si può predicare unicamente l' inesistenza.

Poi contraddittoriamente si afferma che se ne può predicare unicamente l' impredicabilità.

Poiché impredicabilità e inesistenza sono due ben diversi concetti (non sono affatto sinonimi), allora:

-o del nulla si possono predicare più attributi (e non uno solo);

-o se ne può predicare unicamente il primo (l' inesistenza);

-o se ne può predicare unicamente il secondo (l' impredicabilità; col che fra peraltro si cade in un paradosso che ha almeno qualche analogia con  quello del mentitore: se il predicato fosse vero, allora non potrebbe accadere, se accade allora é falso: è un predicato che non può non essere falso, se accade).

Invece io affermo in maniera del tutto logicamente corretta, non contraddittoria che sul nulla (assoluto) può predicarsi in generale (sensatamente); e in particolare che può predicarsene falsamente l' accadere reale e veracemente il non accadere reale.
#2532
Citazione di: Apeiron il 17 Luglio 2017, 14:51:17 PM
Sì nemmeno io in verità concordo con la posizione "io=corpo".
CitazioneE io pure.


Ma allo stesso tempo anche i pensieri evolvono e la stessa coscienza è non rimane uguale. Secondo me se non si trova una cosa che davvero non muta allora quella è la nostra "substantia", la nostra "essenza". Altrimenti non c'è niente che rimane uguale.

Siamo processi, non cose...
CitazioneSiamo processi e non cose.

Ma processi ciascuno con una propria identità (io sono io, tu sei tu, Paul11 é Palu11, ecc.): se c' é un' identità come processo, in divenire, allora non é che non c' é niente che rimane uguale, ma invece qualcosa rimane uguale, qualcos' altro no.

#2533
Citazione di: paul11 il 17 Luglio 2017, 14:16:47 PM
propendo invece che l'unica tautologia sarebbe  l'archè e che tutto il resto, tutto l'universo, sarebbe deducibile e inducibile attraverso il sillogismo, da cui le inferenze e implicazioni,
Una premessa è sempre parte di una predicazione o proposizione, in cui quella che ora è premessa sarebbe stata una conclusione.

CitazionePerò non mi risulta che nessuno (nemmeno Spinoza, che nell' Etica pensava di esservi riuscito a partire, come arché, dalla cosiddetta "prova ontologica dell' esistenza di Dio") sia riuscito a costruire un siffatto "sistema logico dell' ontologia"; che, se esistesse, dovrebbe godere di una universale condivisione del tutto simile a quella delle geometrie (le quali infatti, come "sistemi logici delle forme spaziali", possono essere criticate nei loro fondamenti, ma sono universalmente accattate).


Non direi che i giudizi analitici o sintetici abbiano differenze epistemologiche se, come scrivi, vi fosse  un'accuratezza logica deduttiva/induttiva: tutto scorrerebbe logicamente.


CitazioneSecondo me invece c' é una differenza enorme.

I giudizi analitici a priori necessitano solo di correttezza logica, essendo (di per sé; cioé a prescindere dall' eventualità che siano inferiti a partire, come premesse, da conoscenze del reale "procurate" da giudizi sintetici a posteriori) indipendenti dalla realtà quale é/accade indipendentemente dall' eventuale essere anche oggetto di pensiero (fanno parte del "mondo dei pensieri"); come le geometrie.

Invece i giudizi sintetici a posteriori (oltre a dover essere anche logicamente corretti, ovviamente) necessitano, per essere veri, anche di adeguatezza ala realtà "esterna al pensiero", quale si dà indipendentemente dall' eventuale essere anche oggetto di pensiero o meno, nel senso che devono affermare che é/accade realmente ciò di cui predicano che é/accade realmente o che non é/non accade realmente ciò di cui predicano che non é/non accade realmente, a prescindere dall' eventualità che sia anche oggetto di pensiero o meno.


Lo scetticismo ha senso come limite conoscitivo della certezza, ma non come agente conoscitivo.

CitazioneMa infatti lo scetticismo non pretende certo di dare conoscenze.


Però lo scetticismo metodico "cartesiano") é un ottimo criterio di validazione (o meno) delle conoscenze.


Il problema delle identità è sulle "essenze" e non sugli "accidenti", per dirla in termini aristotelici.
Ricondotto all' uomo non può essere il suo corpo fisico l'essenza , tutto il divenire è accidenti in quanto trasformazione.
L'identità umana  risiede quindi nel SE', coscienza, anima, spirito, mente (ognuno si sceglie quel che vuole.....) non certo nelle cellule o nella biochimica

CitazioneCredo che l' uomo non sia solo corpo (in particolare cervello) ma anche coscienza.

Ma anche che di fatto non si dia coscienza senza cervello (vivo e funzionante in determinati modi; non per esempio nel sonno senza sogni).
E che non si dia una certa determinata esperienza cosciente senza un determinato cervello con le sue determinate cellule e la sua determinata biochimica (anche se ad esso e ad esse non é riducibile e da esso e da esse non emerge né sopravviene).


Ma guarda un po' dove ci ha condotti il paradosso del mentitore!
#2534
Citazione di: Apeiron il 17 Luglio 2017, 15:11:06 PM
Errata corrige: Il mio provvisorio obbiettivo (non equilibrio) è mantenermi in equilibrio...

@sgiombo non so cosa davvero siano "Bene e Verità"

CitazioneSi capiva.

Ed é per questo che cerchi, no?
#2535
Tematiche Spirituali / Re:La gioia!
16 Luglio 2017, 22:13:00 PM
Citazione di: giona2068 il 16 Luglio 2017, 22:06:40 PMNon so come tu ragioni, ma ti sembra possibile che una persona si lasci uccidere  per  testimoniare una verità  pur sapendo che è una bugia?

Citazione

CitazioneNon so come tu ragioni, ma so di certo che il fatto di essere condannati a morte e giustiziati non garantisce affatto necessariamente della propria buona fede.



Non occorre un'esegesi per leggere quello che il Signore  Gesù ha detto in maniera chiara, ma tu pur ammettendo di non avere conoscenza adeguata ti schieri con chi sostiene che quanto scritto non è vero.

Citazionesì, certo!



In ogni caso la Pace non appagamento dei desideri di questo mondo,  ma è la rinuncia ad essi e il conseguente pentimento che ci consente di ricevere lo Spirito di Cristo Gesù che è la Pace in persona.
CitazioneNon sono d' accordo e lo trovo del tutto irrilevante circa quanto da me osservato sulla possibilità che chi sia condannato a morte sia  un bugiardo