Citazione di: Ipazia il 13 Marzo 2022, 17:13:15 PMCitazione di: niko il 13 Marzo 2022, 12:31:46 PMQuello che supera l'analitica delle lettere e dei simboli e' l'espressivita' stessa delle lettere e dei simboli: la scrittura non rappresenta la parola, non e' riducibile al mero compito di rappresentare la parola, ma vive di vita propria. Quantomeno come epi-grafia e calli-grafia, come traccia, come possibilita' di modificare il mondo che abbia valenza nel pre-nascita e nel post-morte.
Certamente, ma rimanendo all'interno della triade semantica referente-significato-significante. Non esiste un significante grafico in assenza di un referente reale o concettuale. Nella letteratura e, soprattutto poesia, si intrecciano significati inediti veicolati dal segno ortografico, ma rimangono confinati nella sfera del simbolico, mentre la realtà mantiene la barra semantica.CitazioneDel resto, pur essendo storicamente falsi e falsificati tutti i nessi general-generici tra passaggio di una (qualsiasi) comunita' umana alla "fase della scrittura" in generale e filosofia occidentale, non e' ancora falsificato ne' falsificabile il nesso, (pesante come un macigno, se non lo si affronta) tra passaggio di una specifica comunita' umana a una forma di scrittura pienamente alfabetica e filosofia occidentale
La raffinatezza di una lingua e dei suoi simboli indubbiamente stimola lo sviluppo intellettale e la speculazione filosofica. Il "verba volant, scripta manent" non può essere sottovalutato, ma nemmeno sopravvalutato oltre la sua natura di espediente tecnico di registrazione.CitazioneIl discorso unitario non è possibile in un mondo infinitamente diveniente, e ogni discorso si riduce alla combinatoria di due o piu' elementi semplici ricorrenti con cui noi stessi parlanti cerchiamo di agire la riduzione della complessita', quantomeno perche' quello che abita l'uno e' il molteplice, e la non esaustivita' di un discorso rimanda direttamente alla sua non unitarieta'.
L'unità del logos implica pure la temporizzazione sintattica.CitazioneIn altre parole, tu ci stai dentro, nel grande libro della natura, e per di piu' in una posizione non privilegiata, come se fossi una parola di quel libro, non lo leggi da fuori, la tua posizione ti condiziona, sia nel rapporto possibile che potrai eventualmente instaurare con le altre parole, della cui prossimita' e lontananza sostanzialmente non decidi tu, sia nel rapporto con lo sfondo del libro.
Quindi, o assumi un linguaggio che partecipi IMMEDIATAMENTE della complessita' posizionale ed epigrafica del linguaggio stesso, come quello della scrittura, e in particolare della scrittura alfabetica, o non progredisci, quantomeno non in senso filosofico, nella comprensione, perche' la vita non e' una parola, non inizia e non finisce col silenzio...
Indubbiamente il Logos necessita di espedienti tecnici per operare.CitazioneTanto che la prima funzione della parola parlata, e' quella espressiva, (insomma il dire della vita, e non dell'essenza o dell'esistenza) che sopravanza il compito di imitare le cose, proprio come anche la parola scritta, se guardata senza pregiudizi, sopravanza il compito di imitare le parole.
Originariamente non c'e'niente da imitare, perche' quello che si vuole cogliere con la parola e' l'iniziare continuo del tempo, un iniziare di fatto, la cui risposta, riflessiva e "riflessa", puo' essere solo convenzionale e fondativa.
Più che di espressione e imitazione mi pare che il Logos abbia a che fare con la comunicazione.CitazioneNon e' il mondo antropologico, che inizia col logos; ma il "patire" (come traduzione impropria di pathos) la vita e l'esserne effetto, la continua novita' per cui anche parole semanticamente identiche si relazionato alla loro posizione e si distinguono tra di loro per spazio e per il tempo, un qualcosa che potrebbe valere anche per la vita di tutti gli animali, se gli animali parlassero.
Originariamente non c'e' mimesi della parola o della cosa, c'e' il pathos della vita, perche' il tempo INIZIA sempre, o quantomeno sembra, iniziare sempre.
Il pathos della vita non mi pare una specificità antropologica assoluta. Anche gli animali a noi più prossimi mostrano di avere un loro pathos della vita.
Hai ragione ad evidenziare che il Logos, così come emerge naturalmente nel verso animale, non è ancora completamente fondamento specifico della condizione antropologica e necessita di una trascrizione grafica che lo fissi nel tempo, ma questa nasce fin da subito correlata biunivocamente al linguaggio.
Ai fini di un discorso sul logos, non conta tanto la scrittura come strumento di registrazione, altrimenti, con ogni probabilita' , gli egizi e i babilonesi sarebbero stati storicamente i primi filosofi, nel senso occidentale del termine, e invece non lo sono stati, sono rimasti nell'ambito del mito e della religione, come molte altre grandi civilta' scriventi precedenti ai Greci.
Bisogna entrare nell'ordine di idee che, quello che conta, qui, e' specificamente la combinatoria delle lettere, infatti abbiamo, nella lingua greca, il primo linguaggio completamente alfabetico, emancipato da ogni forma di ideograficita', sillabicita' e tradizione non scritta della vocalizzazione, e, pochi decenni dopo, presso gli utilizzatori di quel primo linguaggio compiutamente e modernamente alfabetico, la nascita della filosofia: e' un dato su cui vale la pena riflettere...
la prassi umana relativamente nuova del combinare degli elementi insignificanti e puramente fonetici per ottenere un insieme di parole e un linguaggio, deve aver aperto possibilita' nuove nella mente umana.
E la dinamica antropologica a questo sottostante non e' solo poetico-calligrafica, ma anche di memoria e oblio dei modi culturalmente codificati e "solidamente" esistenti di interpretare gli ideogrammi e i sillabogrammi che, dopo alterne vicende e fluttuazioni nel grande mediterraneo, si erano trasformati in lettere pur rimanendo spesso graficamente identici alla loro "vecchia" versione, insomma si usava in modo nuovo un insieme di segni il cui significato "vecchio", diverso dalla lettera e trascendente la lettera, era quasi completamente perduto o in via di perdersi.
E questo determinava un gioco, appunto, di memoria e di oblio in cui la forzatura della lingua al compito di rappresentare la parola era, anche, qualcosa di molto pratico e reale, e legato alla sostituzione delle culture e delle tradizioni umane le une con le altre, e non solo un gioco idilliaco in cui ogni "poeta" comunica quello che vuole e che singolarmente sente e crea con la sua personale "calligrafia" che singolarmente "si inventa", anzi, al contrario, il gioco della calligrafia come strumento espressivo "personale", accenna all'atto e all'umano desiderio di sopperire all'oblio di un'interpretazione tradizionale perduta di ogni singolo segno, nel nuovo sistema incorporato e utilizzato.
Ridurre la complessita' alla combinatoria di un numero predefinito di forme semplici, posizionalmente significative e a grado variabile di complessita', e' chiaramente la strategia filosofica esplicativa del mondo degli atomisti (la metafora degli atomi come lettere, attribuita a Leucippo) ma anche di ogni pensatore post-parmenideo che abbia proposto la combinazione variabile di elementi eterni e incorruttibili per spiegare il mondo, quindi quantomeno Anassagora ed Empedocle, e lo stesso Platone, e' debitore di una concezione della combinatoria delle forme per spiegare il reale, forme che appunto come le lettete, sono sempre disponibili (disponibili in ogni senso, sia di omnitemporalita' di una disposizione che non esaurisce il "disposto" e la possibilita' del suo ripetersi, che di un significato solo relazionale ed eteroriferito del "disposto") per spiegare il reale.
E, in tutto questo, non c'e' la prassi in generale dello scrivere per registrare, ma dello scrivere utilizzando l'alfabeto, un movimento che piaccia o non piaccia, NON e' un movimento della combinatoria dei significanti, ma un movimento della combinatoria degli
in-significanti, delle pure fonazioni, al fine di ottenere i significanti come forma gia' dall'origine composita e secondaria.
E' forse qui che la tecnica utilizzata cambia la mente, e puo' iniziare una nuova riflessione su legge e natura, su natura della misura, su coscienza e conoscenza: l'astrazione propriamente filosofica, l'atopia del filosofo, il Socrate senza luogo e senza tempo e il Diogene nella botte, e' forse solo il
contro-movimento che consegue alla perdita di tutto l'antico corredo archeo-logico ed
epi-grafico che permetteva di interpretare la scrittura, e la prassi stessa dello scrivere, in modo standardizzato e topico; e piu' il linguaggio si fa' scrittura, piu' il linguaggio anche si fa' atopico, si fa' astrazione esso stesso.
Tu mi obbietti che il Logos non e' ne' imitazione ne' espressione, ma comunicazione, io sto appunto cercando di dire che un logos animico "comunicante" e' anche, necessariamente un logos animico perturbante, e "alienante", che ci restituisce la dimensione tragica dello "stare" nel tempo, anzi, del non poterci proprio stare, quantomeno non unitariamente, perche', come dice continuamente qualcuno qui ( bobmax...) la necessita' di comunicare con noi stessi, fa segno all'inesistenza dell'io:
se io devo comunicare per pensare, chi sono io?
Il logos Eracliteo e' nichilista nella misura in cui affermando l'ubiquita' del divenire, nega al vivente un tempo sufficiente per entificarsi e per esistere (stessa cosa il nascere e il perire...).
E' l'almeno due in cui il tempo ci divide proprio imponendoci il comunicare come unica forma possibile e necessaria per il nostro stesso "essere" , e facendoci ascoltare questa comunicazione con la voce non tacitabile del pensiero, del nostro, pensiero; pensiero che e' certamente un comunicare tra gli uomini, ma anche tra le dimensioni diversamente accessibili e manipolabili del tempo in ogni singolo uomo, come voce del passato, del presente e del futuro.
Quindi il logos e' certamente movimento dal soggettivo all'intersoggettivo, e' fuga dall'opinione e ricerca della verita', ma e' anche movimento dall'intersoggettivo al soggettivo, pathos della vita che comunica con se stessa, necessita' (perturbante) di trovare l'intersoggettivo gia' in noi, perche' e' gia' in noi, che piu' di una "voce" sta "parlando", e piu' di una voce sta parlando, proprio essendo impossibile l' Uno nel tempo, l'Uno come simultaneita'.
Il discorso e' il dis-corso di un tempo che e' percettibile soli perche' , e in quanto, non scorre uniformemente, quindi e' dialogo, interiore e intersoggettivo, ma anche approccio visivo e tattile con una scrittura, con un corso difforme la cui difformita' noi stessi significhiamo.