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Messaggi - Sariputra

#256
Tematiche Filosofiche / Re:La serenità d'animo
27 Ottobre 2019, 14:56:36 PM
cit.@Phil
"La meditazione (non credo sia sinonimo di presenza mentale nell'ottuplice sentiero)"

Non esiste qualcosa come "meditazione" nel N.O.Sentiero. E' praticamente un termine convenzionale (usato perlopiù in Occidente..insight, mindfulness,ecc.) per indicare il "secondo gruppo" (adhicittaṃśikṣā) che viene indicato come "Samadhi" formato da:
Retto sforzo
Retta presenza mentale
Retta concentrazione

Gli altri due gruppi che lo formano sono "Saggezza" e "Moralità".

"La consapevolezza e l'ultimo fattore del Sentiero, la Retta Concentrazione, ci conducono nel campo della meditazione, della coltivazione della presenza mentale. Questi fattori sono spesso ciò che colpisce di più nel Buddhismo, perché forniscono un potente mezzo di approfondimento della propria vita interiore, e l'approfondimento inizia e si mantiene con la presenza mentale, che consiste nell'essere semplicemente e puramente presenti a quello che succede.
( ven.Ajahn Sucitto-da un discorso trasmesso da radio BBC 2003)

Perdona la puntualizzazione però penso sia utile capire che quello che spesso giunge a noi non è esattamente il pensiero originario... :)

In una riunione turbolenta di condominio non è sufficiente solo la presenza mentale , ma occorrono anche moralità e saggezza per tentare di agire nel modo migliore (Più 'giusto'..).
I tre gruppi dell'Ottuplice sentiero infatti si "sorreggono" a vicenda...
#257
Tematiche Filosofiche / Re:La serenità d'animo
27 Ottobre 2019, 00:34:03 AM
La meditazione non ha lo scopo di procurarci serenità o stati mentali alterati, o di vincere lo stress e la noia. Meditazione significa vivere attimo per attimo con consapevolezza. La serenità è un effetto della meditazione , ma non è lo scopo di essa. Vivere con consapevolezza, con presenza mentale, significa essere saggi. La presenza mentale la possiamo usare ovunque. Non è necessario mettersi nella posizione del loto e osservare il respiro. La possiamo usare mentre camminiamo, lavoriamo, stando in piedi oppure sdraiati. In realtà è lo stato naturale della mente quando rimane presente all'attimo che sta vivendo. La presenza mentale, che chiamiamo meditazione, è anche molto utile per 'interferire' con le nostre abitudini mentali e fisiche. Non c'è alcun motivo di indugiare continuamente e ciecamente nelle nostre emozioni, nell'attrazione oppure nell'avversione: meditare significa quindi anche FERMARSI.
Essendo mentalmente presenti impariamo a interferire, impariamo a guardare dentro le cose, impariamo a confrontare. Mettiamo di continuo i bastoni tra le ruote al nostro attaccamento, alla nostra avversione che sfocia quasi sempre in rabbia. 
A volte i meditanti credono che sia sbagliato avere desideri, o che non dovrebbero provare bramosia o avidità, oppure pensano che non gli dovrebbere piacere le belle cose, o che non dovrebbero essere in questo modo o in quest'altro...Questi sono SOLO concetti. Pensare che non dovremmo essere come siamo, che non dovremmo avere stati d'animo negativi, difetti, imperfezioni, tic e tac...qualsiasi cosa... è solo un modo di vedere sbagliato.
Le cose, tutte, sono semplicemente così come sono: il corpo è così com'è; i pensieri sorgono e svaniscono a seconda delle condizioni (pensieri di tutti i tipi: belli e brutti, buoni e cattivi, nobili e spregevoli...), sono una parte della natura, tutti...
Ma nessuno di questi ci appartiene. Sono solo condizioni che, ogni momento, sorgono e svaniscono, nascono e muoiono..
Grazie alla presenza mentale smettiamo di identificarci con questi pensieri, cessiamo di attaccarci ad essi. Questa è ciò che si dice 'liberazione' (da questa massa di pensieri ed emozioni con cui ci identifichiamo...).
Possiamo filosofare su questo argomento fino al giorno del Giudizio Universale, ma non ci servirà a nulla.
Per giungere a questa libertà introduciamo la pratica di consapevolezza nella vita quotidiana, esattamente nell'attimo che viviamo, da un momento a quello successivo.
Senza una consapevolezza che sia risoluta e costante però non illudiamoci di progredire molto...al massimo si va in una palestra a fare mindfulness e farsi così spennare da qualcuno che è più schiavo (ma più furbo) di noi...
#258
Basta ritrovarsi in una grande città occidentale, che so...Milano, per scorgere gli indirizzi sociali prossimi che, nelle periferie del nichilismo, non sono ancora del tutto osservabili. Questo permette di cogliere delle "linee di sviluppo" E qual'è la linea dis viluppo che l'Occidente si è scelto? E' la " nuova trimurti": Soldi, Lavoro, Scienza. Soldi come scopo della vita, Lavoro come metodo per procurarseli e Scienza come nuova fede.
Inseguire i soldi ci rende molto competitivi, egoisti, invidiosi e malevoli e, se non ci si riesce del tutto, perlomeno ci consente di coltivare questi sentimenti e comportamenti. Ovviamente l'inseguimento ci rende necessariamente dipendenti dal lavoro. L'equazione "base" dell'occidentale medio è molto semplice, dopo tutto: "si fa quello che occorre per lavorare" che è equivalente a "si fa quello che occorre per i soldi".
Non esiste ideale, ma semplice adattamento: quanti sono felici di fare ciò che fanno? Se non servisse per far soldi , continuerebbero a farlo?
Siamo vittime di una specie di "sindrome di Stoccolma" tanto che promuoviamo, inneggiamo, votiamo e supportiamo quegli stessi industriali, politici o "leaders" di spicco che ci usano come cose, come strumenti per i loro fini. Siamo al paradosso di una società  che si persuade facilmente che i suoi nemici siano amici...
Il nostro mondo occidentale vede sorgere dispute pro o contro un marchio, un modello di smartphone o un brand, questo o quello..senza rendersi conto che sono proprio i produttori che depauperano il mondo, quelli che ci rendono ogni giorno più poveri, più dipendenti e più "svuotati di senso"...
Più passeggiamo nei luoghi comuni della società occidentale, i luoghi della nostra quotidianità, più assistiamo ad una serie impressionanti di 'rituali' che steriliscono i rapporti umani, svuotandoli e istituzionalizzandoli. Chi è che ama? Chi fa il regalo più costoso. Chi è importante? Chi ha l'auto più grande. Chi è famoso? Chi va in televisione o fa l'influencer sul tubo. E chi è famoso merita ovviamente maggior considerazione...
Siamo inventori di una serie infinita di 'cerimonie', di cui non sappiamo più nemmeno che senso abbiano...
I principali profitti oggigiorno provengono dall'industria dell'intrattenimento e del superfluo: investiamo la maggior parte delle nostre risorse di denaro, e del tempo che ci è costato guadagnarlo, in oggetti che solo vent'anni fa non esistevano nemmeno. Siamo sempre più dipendenti, quindi sempre più fragili. E manipolabili...
Senza pc, telefonino, internet, automobile, elettricità  siamo perduti...Sentiamo come vacillare il nostro mondo e venir meno le nostre fragili certezze. Allora sperimentiamo abbandono, smarrimento e, soprattutto, ansia...una terribile ansia.
Eppure ne vogliamo sempre di più. E così "lassù" qualcuno molto benevolo, un autentico benefattore, ci ascolta attentamente: eserciti di produttori e commercianti non aspettano altro che un nostro cenno per offrirsi a lenire il nostro senso di vuoto, riempiendolo con altro inutile...
Stiamo sempre a lamentarci di qualcosa. Tutte cose che provochiamo noi. Ci lamentiamo dei politici disonesti, che però eleggiamo; dei prezzi della case, che però compriamo; della mancanza di valori, che affligge anche noi; della superficialità dei rapporti, nel mentre ci isoliamo nei nostri smartphone; della situazione dell'ambiente mentre ci fumiamo una sigaretta dopo il caffè, dopo il dolce, dopo la bistecca, dopo il primo, dopo il secondo, dopo l'antipasto e mentre facciamo manovra con il nostro SUV per andare a comperare decine di regali per Natale e decine di fogli di carta colorata per ricoprirli...
Ci lamentiamo moltissimo, ma allorquando qualcuno mostra i mali della società, cioè i nostri mali, "cambiamo canale", perché è triste vedere macellare un maiale che si dissangua a testa in giù, o una vacca che urla mentre le portano via il vitellino appena nato. Così guardiamo la partita sull'altro canale o l'intelligente gioco a premi di chi indovina l'età di una settantenne rifatta...mangiandoci un bel panino al salame ...
Viviamo nella paura: delle malattie, di essere feriti, di essere offesi, di non essere "abbastanza", di non arrivare a fine mese, di doverci privare di qualche oggetto o di Soldi. Qualsiasi paura è lecita...l'importante è che ci permetta di spostare fuori di noi il problema, così da non obbligarci a "guardare dentro", a vedere il vuoto...
E poi ci sono i film catastrofici. Mai visto una serie simile di film catastrofici...Nei film catastrofici di vent'anni fa saltava magari per aria un palazzo o uno stadio...adesso sprofondano interi continenti!
Che aria pesante tira..."da Occidente".


Ashis Nandy, lo studioso indiano esperto di decolonizzazione, ha provocatoriamente detto di recente in un'intervista: "L'Occidente non è il centro di nulla".. Io, invece, caricando la dose direi: "L'Occidente è il centro del nulla"...

E dunque la prima cosa che le chiedo è: se la mente indiana è da decolonizzare che cosa si ha da fare con la mente europea?
"Sono d'accordo con la formula che piace a Taylor e Chakrabarty: smetterla di immaginarsi come il centro. Ma aggiungo che il "West", Europa e Nord America, in virtù dell'esperienza coloniale con il "Rest ", sono portatori di un trionfalismo e della visione del proprio stile di vita come superiore a quello di altre parti del mondo. E banalmente osservo che il mondo non ha il genere di risorse che serve per produrre una mezza dozzina di Stati Uniti d'America...

"...Quello che è vero per l'Europa  è vero per l'India e per tutti: una certa apertura ad altri stili di vita e di pensiero è necessaria ed implica che, in alcuni casi, i livelli dei consumi debbano abbassarsi, invece di salire. C'è qualcosa di sbagliato nella difficoltà europea e americana di affrontare questa possibilità. La nostra idea di progresso è viziata dal dogma della crescita perpetua. Nel 1972 il Club di Roma ha prodotto un manifesto intitolato ai "limiti dello sviluppo". E ora? Non riusciremo a rendere popolare la "crescita zero", ma almeno prepariamo la gente a uno stato di cose in cui si dica: "Va bene, è abbastanza, non vogliamo crescere di più"".
#259
Tematiche Filosofiche / Re:Nietzsche
25 Ottobre 2019, 08:28:53 AM
Che Heidegger fosse convintamente nazista non è una mia invenzione. E' documentato storicamente:

Il 21 aprile 1933 Heidegger viene eletto rettore alla Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo, prendendo il posto del dimissionario Wilhelm von Möllendorff (1887-1944), il quale, eletto l'anno precedente, aveva tentato senza successo di ritardare l'attuazione della legge del 7 aprile che metteva in congedo tutti i professori di origine ebraica. Heidegger viene proposto da un gruppo di docenti nazionalsocialisti guidati da Wolfgang Aly (1881-1962) e Wolfgang Schadewaldt (1900-1974). Il voto a favore di Heidegger è pressoché unanime: gli unici 13 voti che non lo appoggiano, su 93 disponibili, sono proprio i voti dei professori "ebrei" che in virtù del decreto attuato dal Gauleiter per il Baden, Robert Wagner, non possono essere conteggiati. Va attestato che dei restanti 80, solo 56 presero parte alla votazione.

Il 1º maggio dello stesso anno, in quanto condizione prevista per assumere ufficialmente l'incarico, si iscrive al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori.

Il 27 maggio si insedia ufficialmente al rettorato, tenendo il famoso discorso Die Selbstbehauptung der deutschen Universität ("L'autoaffermazione dell'università tedesca"). Gli effetti di questo discorso furono molteplici e con valutazioni contrastanti, da una parte Heidegger lo ricorderà nel 1945 nel Das Rektorat 1933/1934. Tatsachen und Gedanken (Il rettorato 1933/1934. Fatti e pensieri) sostenendo che già il giorno successivo se lo erano dimenticati tutti e che nulla cambiò; la stampa nazionalsocialista esulterà; i commentatori stranieri, tra cui Benedetto Croce che nella lettera a Karl Vossel del 9 settembre 1933 lo valuterà come inadeguato e opportunista, criticheranno il testo.
 In realtà, secondo lo psicologo nazista E.R.F. Jaensch, la condotta di Heidegger era solo un abile adattamento della sua filosofia al nazionalsocialismo. L'anno successivo Heidegger torna ad essere in predicato per un incarico molto ambizioso: la direzione del costituendo Nationalsozialistischer Deutscher Dozentenbund ("Lega dei docenti nazionalsocialisti"). 
Jaensch rincara la dose con una nuova relazione indicando le idee di Heidegger come «ciance schizofreniche», «banalità con le sembianze di cose significative», idee di un autore pronto a cambiare nuovamente bandiera qualora la rivoluzione nazista si fosse arrestata. 
...Da queste testimonianze, e da altre testimonianza indirette, è indiscusso per gli studiosi il fatto che Heidegger, nel suo ruolo di rettore, abbia comunque attivamente partecipato al programma di nazificazione della sua università. Già nel discorso di insediamento a rettore, il filosofo tedesco ambiva a una rottura epocale, una sorta di lotta decisiva per la storia dell'essere a partire dalla riforma dell'università. E in questa battaglia egli si presenta come l'alfiere degli studenti rivoluzionari nazionalsocialisti in rivolta contro gli accademici borghesi. Una rivolta, come rileva lo storico Rüdiger Safranski, che possiede parole d'ordine sovrapponibili a quelle del movimento studentesco del '67... Lo studioso Rüdiger Safranski ritiene che le dimissioni di Heidegger vadano imputate alla sua delusione nel riscontrare che il partito nazista non si dimostrasse sufficientemente "rivoluzionario" nei confronti dell'idealismo e del conservatorismo borghesi proprio delle università dell'epoca.

«Quindi le dimissioni di Heidegger dal rettorato sono connesse con la sua lotta per la purezza del movimento rivoluzionario, così come lo intendeva lui, cioè come rinnovamento dello spirito occidentale dopo la "morte di Dio"» 

Quindi, in risposta all'utente@Green non posso dire altro che: non mi sono inventato niente.
Come anche non mi sono inventato nulla della personalità schizofrenica  e repressa di Nietzsche, ho solo riportato e citato testimonianze dirette (la mia intenzione era parlare dell'uomo N. che, contariamente a quello che pensa @Green demetr, mi interessa più della sua filosofia...)..
Se questo è sufficiente per meritare simile dose di insulti gratuiti lascio agli altri giudicare.
Faccio solo notare che è paradossale che coloro che inveiscono contro il dogmatismo religioso siano poi così intolleranti con chi non la pensa come loro, su altre questioni.
#260
Tematiche Filosofiche / Re:Nietzsche
24 Ottobre 2019, 14:31:46 PM
Personalmente, la lettura di Nietzsche non mi ha arrichito moltissimo. Penso che la sua attitudine sia essenzialmente moralistica , ma poco argomentativa (in questo concordo con @Franco, se non ho inteso male..). La sua costruzione intellettuale sembra la valvola di sfogo di una personalità fortemente repressa (com'era in effetti nella vita quotidiana come persona...). Probabilmente aveva bisogno di scrivere con quello stile, che non corrispondeva con quello che manifestava agli altri. Criticava essenzialmente la morale cristiana , ma a quella si atteneva rigidamente nella vita. Imputava al Cristianesimo di essere nichilista e di aprire di fatto la via al nichilismo (non del tutto a torto, a parer mio, vista l'ascendenza e l'architettura neoplatonica presente in esso...), ma non vedeva il "punto" in cui il Cristianesimo superava il suo stesso nichilismo ( magistralmente intuito da Dostoevskji...). Paradossalmente i nichilisti lo vedono come un loro maestro. Il suo pensiero venne strumentalizzato dai nazisti (con l'aiuto della sorella...), ma , come in altri autori, la sua opera si prestava a questo, viste le molteplici e spesso contraddittorie chiavi di lettura. Succederà anche con un suo "allievo" spirituale, che in parte però lo rinnegherà, M. Heidegger, che diventerà, lui sì ufficialmente, per un certo tempo (?) un convinto nazista...e in ogni caso diventerà, Heidegger, uno dei pensatori occidentali che più influenzeranno la nascente scuola filosofica giapponese del novecento, fortemente nazionalista...
Ambedue si possono inserire in quel filone di pensatori che sognano un rinnovamento dello"spirito occidentale" dopo la "morte di Dio". Heidegger lo vedrà nel nazismo, soprattutto quello degli inizi, rivoluzionario. Fondamentale, secondo il mio modesto parere, per entrambi è il concetto di "purezza", inon nel senso cristiano naturalmente. Un tema molto sentito tra la fine dell'ottocento e la prima metà del novecento . Purezza dell'essere e dell'esserci (vitalismo anche, nonostante la loro carenza di vitalià fisica, o forse anche per questo...).
La purezza è ovviamente un concetto puramente intellettuale. Non esiste di fatto.
Leggendo la sua biografia, che è molto interessante, me lo raffiguro come una persona fortemente 'scissa' tra ideale e reale; tra quel che anelava ad essere (e quel che intendeva il mondo fosse..) e quel che era in realtà.
Certamente nutriva forte avversione ,repressa perlopiù nella quotidianità. Era una personalità, basta leggere qualche sua pagina, in cui l'elemento 'avversione' (dosa) era molto forte...diciamo che manifestava una profonda caratteristica 'disarmonica', dal punto di vista della personalità...
Umanamente parlando, non mi è antipatico, anzi, ravviso nella sua storia personale molti elementi in comune con la mia (con i dovuti enormi distinguo, infatti non dispongo delle capacità intellettuali di N. ovviamente..): la fortissima miopia (anche ulteriori problemi nel mio caso...) con le conseguenze pratiche e limitative per la vita di un ragazzino. Le conseguenze sociali della solitudine provocata dall'inadeguatezza e quindi il 'rifugiarsi' in se stesso e nella lettura eccessiva, con conseguente ipertrofia dell'ego (che spero di aver superato... :( ). Nel mio caso sono stato 'salvato', negli anni, dalla terra e dalla terraglia che lavoravo (San Benedetto: il sempre saggio "ora et labora" che, nel mio caso è diventato "medita et labora"...) e dalle donne (meravigliose... "die mutter, die mutter"...) che mi circondano/avano...che probabilmente sono mancate a Nietzsche (Krshna/Dio stesso non può essere veramente Krshna senza l'amore di Radha, nella mitologia visnuita...).
Una cosa è certa: il fatto che le sue citazioni si trovino nei siti post-comunisti e contemporaneamente anche in quelli neo-nazisti  fa pensare che la contraddittorietà dei suoi scritti sia lungi dall'esser stata superata, oppure che ognuno li interpreti ad uso e consumo personale...
Namaste
#261
Tematiche Filosofiche / Re:Nietzsche
24 Ottobre 2019, 08:13:24 AM
Ma chi era l'uomo Nietzsche? Perché ognuno di noi, prima che filosofo, filologo, narratore o quant'altro capita d'esser nella vita, è un uomo.
Una sua conoscente, Lou Andreas-Salomé, lo descrisse in questi termini:

 All´osservatore frettoloso la sua figura non presentava nulla che desse nell´occhio: l´uomo di media statura, dagli abiti estremamente semplici, ma anche estremamente curati, dai tratti distesi e dai capelli castani pettinati all´indietro, poteva facilmente passare inosservato. Il contorno della bocca, sottile e quanto mai espressivo, veniva quasi interamente nascosto dai grossi baffi pettinati in avanti, aveva una risata sommessa, un modo di parlare senza fragore, un´andatura cauta e meditabonda con le spalle che un po´ s´incurvavano; era difficile immaginare un uomo del genere in mezzo a una folla: portava su di sé il segno di chi resta in disparte, di chi sta da solo. D´incomparabile bellezza e di tale nobiltà di forma da attirare involontariamente lo sguardo erano invece le mani... Il contegno suscitava l´impressione di segretezza e di riservatezza. Nella vita di ogni giorno era di una grande cortesia e di una mitezza quasi femminile. 

Di corpo era tarchiato, atticciato, pesante senza essere grasso, per nulla agile. Aveva una bella voce, musicale, profonda e dolce. Sotto la fronte amplissima un pince-nez con la montatura dorata sormontava il naso ben modellato. Dietro le spesse lenti azzurre gli occhi grigioverdi, molto infossati, apparivano scuri a causa della pupilla molto dilatata, e colpivano per la loro fissità. Questa immobilità era data dalla fortissima miopia: vedendo poco o nulla del mondo circostante (giunse già da giovane alla semi-cecità) quegli occhi guardavano verso l´interno. Il portamento era di una solennità un po´ comica: pomposo, militaresco, rigido, il suo porgersi formale, fuorché un uomo disinvolto. C´era sempre in lui qualcosa di enfatico e di leggermente sopra le righe anche se, nei rapporti personali, era di una singolare modestia. Era riservato e serio, ma non musone. Quando si sentiva a suo agio – il che accadeva raramente e sempre in cerchie ristrette, anzi preferibilmente a quattr´occhi – sapeva essere allegro. Rideva di cuore, di un riso fanciullesco, anche se un po´ trattenuto e privo di malizia. Era anche un po´ mattacchione e gli piaceva fare degli scherzi: scherzi innocenti ma un po´ grevi e imbarazzanti che in genere divertivano solo lui. La sua estrema miopia lo rese sensibilissimo alla luce; il suo habitat era la penombra e fu anche per questo che non ebbe mai interesse per le arti figurative. Questo deficit visivo lo escluse, fin dall´infanzia, da ogni sport di squadra e di destrezza. Se non amava stare in gruppo non era solo per timidezza e per un senso di estraneità che sentì sempre, fortissimo, ma anche perché per lui la folla era estremamente faticosa: c´era un impaccio anche fisico a stare in mezzo alla gente. La formidabile capacità introspettiva di Nietzsche cominciò dalla sua miopia: non potendo osservare, se non con moltissimi limiti, il mondo esterno, guardava incessantemente dentro di sé. Questo vivere di sé, di pensiero, di letture, di libri, imbozzolato nel proprio io, lontanissimo dalla vita reale da cui attingeva solo qualche scheggia, spiega, in buona parte, le sue straordinarie contraddizioni. Era un uomo mite, inoffensivo, facilissimo alla commozione e alle lacrime. Nella vita tenne sempre un decoro borghese e un assoluto rispetto delle regole, che stridevano moltissimo con l´irruenza e l´anticonformismo dei suoi scritti. Fu sempre cagionevole, ipocondriaco ed estremamente debole nei rapporti con le donne. È dalle sue profonde fragilità e debolezze che Nietzsche trasse il materiale per le proprie analisi e riuscì a dare a un´esperienza personalissima significati e valori universali. Non scelse il suo destino e non lo determinò, bensì vi si piegò; ma seppe sopportare la sua atroce esistenza – priva, alla fine, di tutto ciò che può confortare e consolare un uomo – con un´incredibile capacità di accettazione, di rinuncia e di sofferenza, senza opporre resistenza.
La sorella Elisabeth raccontò un episodio in particolare: un giorno scoppiò un violento temporale al termine delle lezioni scolastiche e, mentre tutti compagni scappavano, Friedrich si avvio taciturno dalla madre che gli aveva urlato invano di affrettarsi (la scuola maschile che frequentava era vicina alla loro casa). Arrivato a casa zuppo di pioggia, replicò serio al rimprovero della madre:
"Ma mamma, nelle regole scolastiche c´è scritto che i ragazzi che lasciano la scuola non debbono correre né saltare, ma andare a casa composti e tranquilli."


Probabilmente Nietzsche impazzì perché non riuscì più a contenere gli istinti che per tutta la vita aveva represso: per tanti anni li aveva tenuti sotto controllo, castrati, non concedendo loro alcuno sfogo, ed essi si erano dapprima scaricati e vendicati sul corpo, somatizzando il disagio con le emicranie, il vomito, le gastriti e gli altri disturbi, finché eruppero e fecero saltare il cervello come il coperchio di una pentola in ebollizione. E infatti nel Nietzsche pazzo esplose tutto ciò che si era negato in vita: la sessualità, l´aggressività fisica, la corporeità, l´esibizionismo e il turpiloquio.


Paradossalmente era divenuto per la prima volta un "uomo", ma senza cervello: poiché in lui istinto e ragione era scissi e non potevano convivere. Nei primi anni della follia egli era ancora in grado di fare lunghe chiacchierate, a volte pienamente lucide, con gli amici e la madre. Parlava di tutto ma non accennò mai a questioni di filosofia, al suo pensiero e tanto meno alla propria opera che pur aveva seguito con tanta attenzione, amore e precisione fino all´ultimo giorno prima del crollo, al punto di segnalare allo stampatore il cambio di accento; e quando gli amici o i medici tentavano di portarlo su quel terreno lui si ritraeva e ammutoliva. Rimase invece attaccato, finché la demenza non lo inghiottì del tutto, alle sue composizioni musicali; e, in un periodo in cui si sentiva un po´ meglio, parlò della possibilità di tornare a insegnare filologia. Dunque egli rimase un filosofo fino all´ultimo giorno prima del suo definitivo crollo mentale.

Lou von Salomé, anche nota come Lou Andreas-Salomé, è stata una scrittrice e psicoanalista tedesca di origine russa. Fu la giovane e affascinante russa, che Friedrich Nietzsche conobbe nel 1882 e che probabilmente lo ispirò a creare le prime due parti della sua opera più importante: Così parlò Zarathustra. 


Paul Rée, Nietzsche e Lou Salome
#262
L'Occidente nichilista attuale ha, a mio parere, come substrato ideologico un contenuto tecnologico ed economico che si "dà per se stesso". O meglio...che "pretende" di darsi per se stesso. Nessuna posizione culturale, etica o religiosa riesce a reggere di fronte a questo sviluppo che si dà le proprie regole da solo. Abbiamo un'ultima crisi che convenzionalmente viene fatta partire dal 2008, ma che giudizio le diamo? Qualunque giudizio in termini solo morali  ("sono stati disonesti"..) è chiaramente insufficiente. Ma anche gli economisti stessi , al di là di una non meglio precisata " mano invisibile del mercato", non riescono ad andare. Questa "volontà di potenza" del tecnonichilismo capitalista è difficile da negare. Ovviamente che l'uomo sia "una macchina desiderante" non l'ha inventato il mercato. Il capitalismo l'ha semplicemente reso oggettivo.
Però bisogna capire dove tutto questo diventa, come è il caso della nostra civiltà occidentale, ma globale in definitiva per imposizione culturale, un circolo vizioso. Il tecnocapitalismo nichilista si basa, secondo me, su una sorta di paradigma "neo-evoluzionista". L'idea è: l'ordine della realtà, che pure si osserva , non è l'espressione di qualche 'disegno' centralizzato, ma è l'esito casuale di equilibri provvisori e precari che si succedono senza alcuna direzione, semplicemente sulla base di dinamiche guidate da criteri di adattamento e selezione. L'ordine è solo un mero effetto emergente dallo stesso affermarsi.
Semplificando è il quadro relativista, atomizzato, individualistico in cui tutti noi ci muoviamo e costruiamo i "feticci" della nostra illusoria percezione di libertà. Prendiamo in rassegna i canoni occidentali di questa 'libertà': la "liquidità" sociale, l'etica della mobilità, applicata indifferentemente ai beni materiali e agli individui stessi, una autentica "economia affettiva". Si arriva a quel "desiderare oltre ogni limite" ( ponenedo sempre nuovi limiti da scavalcare nel desiderare..) che segna e determina la psicologia e i comportamenti consumistici dell'uomo contemporaneo. L'uomo, che "crede" di essere libero, "vede" nuove immagini di libertà...e a quelle si sottomette!
Tutto questo è ovviamente, e con tutta evidenza, pefettamente funzionale (lo scambio è continuo e incessante..) al sistema tecnico che organizza tutto ciò. Il rischio vero, a questo punto dello sviluppo del nichilismo tecnocapitalistico, è che, schiacciati come siamo in una prospettiva esistenziale di sola "immediatezza" ( i desideri e la loro soddisfazione devono essere immediati, il consumo deve essere immediato perché sottostà a quel desiderio e così poter alimentare una nuova produzione ,o cercare illusorio desiderio di "libertà" nell'uso di un'altra persona...), è quello di perdere veramente la libertà. Arrivando al paradosso che ci costruiamo feticci di libertà per renderci meno liberi...
Praticamente il nostro sistema culturale e d economico ha prodotto una sorta di "dittatura del desiderio", si potrebbe dire: "economia libidica del plusgodere"...
E l'uomo ridotto a "macchina desiderante" non ci ha messo poi molto a creare, negli ultimi tempi, un nuovo tipo di economia: quella applicata direttamente al corpo, alla vita.
Nicolas Rose, sociologo, la descrive così:
 "Come esseri umani ci percepiamo in modo nuovo come creature biologiche, come sé biologici, tanto che la nostra esistenza vitale diventa un nuovo oggetto di governo, l'oggetto di nuove forme di autorità e di professionalità, un campo particolarmente interessante di conoscenza, un territorio in espansione per lo sfruttamento bioeconomico... A una velocità impressionante, questo paradigma scientifico fa nascere nuovi settori economici, inimmaginabili solo fino a qualche anno fa".
 
Libertà è anche saper decidere di non-fare qualcosa che, potenzialmente, la società che ci sta attorno ci consiglia di fare per non sentirci "mancanti di qualcosa" o "non abbastanza" per la società. Vale per il lavoro, per le relazioni sociali e familiari, per la soddisfazione del desiderio insaziabile. Penso che la forza di un pensiero "differente", libero, vada misurata anche su questa prospettiva... (che non significa necessariamente diventare dei buddhisti, se è questo che pensate intenda... :) ).

"Vivete in modo tale che nulla più vi appartiene. Eppure questo padrone ha solo due occhi, due mani, un corpo, niente di più di quanto abbia l'ultimo abitante dell'infinito numero delle nostre città. Ciò che egli ha in più sono i mezzi per distruggervi che voi stessi gli fornite. "
(Étienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria)
#263
L'onnipresente, pervasiva mercificazione di tutte le cose rappresenta il destino ultimo dell'Occidente nichilista. L'uomo stesso si "cosalizza", diviene cosa, un ente mercificato. Nella sua oggettivazione più immediata, questo si materializza in beni che possono esser scambiati. Merci il cui possesso dovrebbe rassicurare l'animo "svuotato" (a condizione di guadagnarselo...non è per tutti, non è gratis ...come non lo era in passato la salvezza dell'anima per il credente). La suprema aspirazione dell'Occidente pare, alfine, prender corpo: "l'essere si può avere!".  In questa formula si manifesta, in essenza, l'istinto predatorio del cacciatore umano (abbrancando la preda, la immobilizzo, la faccio mia). E' la sintesi finale dell'istinto occidentale che desidera che ogni cosa sia "mia" (una linea che va dalla mia tribù, alla mia terra, al mio Dio, al mio corpo,e finalmente al mio nulla...).
La riduzione dell'essere ad ente, infatti, ha dato luogo ad un sistema ad alto impatto entropico, poiché gli enti, in quanto cose determinate, si deteriorano continuamente volgendosi in ni-enti (ossia nella negazione assoluta della loro qualità di cose determinate). In ciò consiste, a mio parere, il nocciolo profondo del nichilismo. Aumentando la rapidità della transazione di cosa con cosa, con  la onnipresente mercificazione, s'ottiene un effetto ottico illusorio di permanenza indeterminata. L'annientamento e lo 'svuotamento' di senso sembrano così non poter trovare spazio per manifestarsi tra gli interstizi del forsennato passaggio di ente in ente, di cosa in cosa, di persona in persona. Presi e lasciati in maniera sempre più frenetica. Non c'è più spazio per percepire il vuoto di senso.Così, con l'illusione che il processo di 'nientificazione' a cui il nichilismo approda possa esser congelato, sospeso indefinitamente, si prova vanamente a far terra bruciata intorno al terrore originario di perdersi, di non-esser-più. Senza speranza però, perché se è vero, usando una metafora, che agitando con rapidità e destrezza una torcia nell'oscurità lo spettatore ha l'impressione di trovarsi dinanzi ad uno stabile continuum di fiamma, ad una parabola ininterrotta di fuoco (ossia il parossistico, frenetico trascorrere delle merci, ora sul sempre più veloce web..), in realtà, all'aumento di velocità nel maneggiare la torcia corrisponde, proporzionalmente, una più veloce dissipazione della stessa fiamma. Vale a dire: tanto più velocemente produco e consumo enti-merci, o uso persone-cose, tanto più celermente li annichilisco. Il nichilismo è sabbia mobile: quanto più mi agito per evitare di affondare, tanto più affondo. Disperandomi.
E' questione di tempo, anche il nostro attuale progetto, convinzione, o riferimento si dissolverà sotto i colpi di "nulla -che- non c'è", che lo rivelerà gratuito e infondato . Anche se un riferimento fosse eterno, questo non gli fornirebbe un senso, mancando di giustificazione. Pertanto una semplice ricetta fatta di piccoli 'sensi quotidiani', rivela la sua inconsistenza, la sua profonda ipocrisia, il suo "non voler vedere"...
Perché il nichilismo non è più che un'altra casa in cui la mente umana vuol dimorare.  il nichilismo, distruttore di tutti i fondamenti e i valori, è solo un'altra casa in cui ci installiamo, e da cui giudichiamo che "nulla vale". 
Questo giudizio di nullità genera scoramento, rabbia, scetticismo o viceversa indifferenza, ricerca di svago, assurdità. Ma se fin d'ora iniziamo a mantenere una vigilanza critica nei confronti di tutte le determinazioni positive e rappresentazioni di 'nulla', e se la accompagnamo alla risolutezza di chi non sopporta più le invenzioni della propria o altrui mente, possiamo cercare l'esperienza che fa cessare il dolore del nichilismo. Portata alle sue estreme conseguenze, questa esperienza svuota ogni giudizio: né assoluti né relativi, né felicità né disperazione, né così né in altro modo. Resta in chiara evidenza il prodigio dell'esserci di ogni istante del nostro esistere.
Se mancasse questa possibilità, saremmo condannati a credere per sempre alle rappresentazioni della nostra mente (come l'eterno, il nulla, l'infondatezza assoluta, la volontà, ecc.) e alla nostra immancabile collocazione in esse; il nostro identificarci con esse. Non ci sarebbe la possibilità di cogliere tutto ciò che 'non-è -nulla' in un lampo...quello che definisco come " il lampo di passaggio" del sottile confine tra nichilismo e Buddhismo (il Buddhismo conosce meglio di ogni altra forma di pensiero il nichilismo, contro il fascino del quale ha dovuto difendersi sin dall'inizio della propria storia e a cui spesso è stato erroneamente accostato...). Con questo non voglio augurare al Buddhsimo di diventare una sorta di medicina per il nichilismo dell'Occidente, in quanto sistema di pensiero con ben altre radici dalla nostra cultura. La risposta allo 'svuotamento' , per essere realmente efficace, deve maturare nel corpo malato. La domanda allora è: questo corpo occidentale, ormai 'mondiale', ha ancora degli 'anticorpi' sufficienti?..
Naturalmente, come ho scritto sopra, si può 'mascherare' il proprio nichilismo..." l'occidentale finisce per  impegnarsi costantemente in attività, senza posa e assai frenetiche, al fine di mantenere a distanza questa pungente sensazione di mancanza di senso"...impegnarsi in tante attività per mascherare e non percepire lo svuotamento di senso in cui è stato educato e in cui si trova a vivere come "cosa tra le cose"...
#264
Tematiche Filosofiche / Re:Del suicidio
20 Ottobre 2019, 13:47:31 PM
Citazione di: Ipazia il 20 Ottobre 2019, 13:18:02 PMNon c'è nulla oltre il deserto, nulla tolto l'ultimo velo di Maya. Abbiamo dovuto diventare adulti e oltrepassare l'età della teologia e della metafisica dell'assoluto per accettarlo. Ma abbiamo potuto accettarlo solo dopo aver imparato a fare nascere la vita dal deserto.

E questo è propriamente il 'nichilismo' di cui noi tutti siamo impregnati fino al midollo...perché anche la vita che nasce nel deserto è in definitiva "nulla"...
#265
Non penso che si possa ormai più parlare di cultura e civiltà occidentale. Quello che domina è il nichilismo.
Con "nichilismo" intendo non solo un'impostazione filosofica, ma soprattutto una sorta di sintomo diffuso che attraversa tutto l'Occidente, in forma diretta o più spesso mascherata. È la netta sensazione dello svuotamento di tutti i fondamenti, siano essi divini o materiali, umani o sociali; ci hanno insegnato che non vi è nulla di certo, che ogni possibile principio o valore può rivelarsi erroneo o inconsistente, che dobbiamo orientarci e compiere scelte in base solamente a riferimenti di natura momentanea e relativi ad una particolare situazione. Questa relativizzazione e pluralità dei valori introduce nella cultura occidentale elementi di tolleranza e rispetto per la diversità, e questo è sicuramente positivo per il vivere sociale; ma se ognuno può avere la sua verità, "verità" non significa più nulla, e questo porta alla svalutazione dei valori stessi, compreso, paradossalmente, anche il valore stesso della tolleranza.
Questo 'svuotamento' non ha più l'effetto di generare ribellione semplicemente perché mancano posiizioni forti da contestare (a cosa ti ribelli?..); assume piuttosto la forma di ansia, di noia o di una generica e generalizzata "indifferenza" verso tutto. Abbagliati dalla miriade di possibilità e "verità" che , ogni giorno, troviamo dinanzi a noi, finiamo per dedicare il nostro tempo al provvisorio, senza riconoscere dei limiti di principio, se non appunto in forma generica e facilmente "aggirabile". Cominciamo cioè a fare nostra l'idea che non ci sia alcun significato nel nostro vivere e nella vita stessa. E questo è nichilismo...

Cosa resta allora se non vi sono più i significati  'tradizionali'che prima definivano il nostro "orizzonte di senso"? Restano solo le informazioni e le sensazioni, un oceano di informazioni e sensazioni, vere o più spesso false,che vengono messe in commercio, consumate e costantemente rinnovate a ritmi tecnologici,in maniera necessariamente sempre più rapida, o portate all'estremo della trasgressione. Anche se spesso sono completamente slegate e disorganiche, queste nuove sensazioni hanno l'importantissimo compito di aiutarci a coprire quella netta sensazione di 'svuotamento' che tutto pervade. Abbiamo bisogno, come una sorta di dipendenza da droghe, di queste 'illusioni' che riempiono il vuoto...
Ovviamente si potrebbe ribattere che non tutti siamo edonisti trasgressivi o consumisti annoiati dalla vita. Non siamo tutti degli ansiosi individualisti. Ci sono molte persone che s'impegnano nel coltivare qualche principio politico, morale, religioso o scientifico. C'è ancora chi continua ad immaginare di lottare per un futuro migliore in base a qualche vetusta ideologia o a qualche principio sociale. E ci sono pure i fondamentalisti religiosi...
Ma , nonostante questo, a mio aprere , nessuno può negare di essere un nichilista.Perché?
Perché il nichilismo non è solo un sintomo, la sensazione di 'svuotamento',ma anche la chiara visione delle sue conseguenze, per le quali nessun "investimento di senso" è dotato di un punto di partenza universale: spirito, ragione, storia, amore, solidarietà, famiglia, non possono più aspirare ad essere delle verità stabili e fondanti perché per esserlo dovrebbero essere principio della propria esistenza, dovrebbero bastarsi e autogiustificarsi; invece non abbiamo risposta per le domande: perché esistono? Perché ci generano e ci determinano? Perché sono valori?
Pertanto si potrebbe dire che ciò che ci rende tutti nichilisti non è una dimenticanza della natura armoniosa e unitaria del mondo cui dovremmo tornare, e nemmeno la perdita della complessa trama delle relazioni di cui dovremmo tenere maggior conto. Non è neppure l'errore della Modernità, da cui ravvedersi. E' il passaggio dalla caduta storica di certi specifici riferimenti, da certe tradizioni, alla infondatezza di ogni possibile riferimento.
Possiamo ancora collocarci in Dio, per chi ha fede,o nella ragione, nell'amore, ma solo in quanto orientamenti utili e pratici, come la salute, il lavoro o l'amicizia; sono parti di una complessa rete di significati, condivisi ma virtuali; possono svuotarsi in ogni momento, e se anche durassero una vita basta applicarvi un poco di ragione per concludere che nessuna credenza è più sensata di un'altra.
A questo punto piuttosto che ritrovarsi in una condizione di "piattezza assoluta" in cui nessuna azione sarebbe da preferire a un'altra, è meglio non pensarci, perché facendosi tante domande del tipo "perché vivere?" non si può che accellerare questo processo di dissoluzione. Quindi l'occidentale finisce per  impegnarsi costantemente in attività, senza posa e assai frenetiche, al fine di mantenere a distanza questa pungente sensazione di mancanza di senso, per sopportare quel precipitare infinito e senza fondo, e che viene percepito inconsciamente, interiormente  come male,come il caos.
Così lo descrive, questo nichilismo, Fernando Pessoa: 
«La vita è vuota, l'anima è vuota. Il mondo è vuoto. Tutti gli Dei muoiono di una morte più grande della morte. Tutto è più vuoto del vuoto. Tutto è un caos di nessuna cosa... Nulla mi dice nulla, il mondo si è perduto. E in fondo alla mia anima (unica realtà in questo momento) c'è una pena intensa e invisibile, simile al rumore di qualcuno che piange nel buio di una stanza».
In realtà questa condizione è poco percepita dalla maggioranza degli occidentali perché difficile da sopportare, e anche per un preciso orientamento culturale: si tende sempre più a ridurre l' "anima vuota e in pena" che per Pessoa è l' "unica realtà" ( la nostra coscienza ) a un oggetto biologico, e quindi a ridurre anche il significato della nostra esperienza cosciente a meccanismi nervosi. Si arriva così a 'svuotare' di senso anche l'esperienza stessa dello 'svuotamento esistenziale' Oggi la netta sensazione di svuotamento non è considerata come il riflesso della percezione del caos e della domanda sul senso della vita, ma solo una delle tante psicopatologie da curare con qualche farmaco o con la psicoterapia; e il fatto che riguardi "me stesso" è considerata solo una illusione cognitiva.
Questo è , secondo me,  un passaggio decisivo, perché con esso il nichilismo riesce a occultarsi allo sguardo più profondo: il significato svuotante non diviene più la acuta e coraggiosa critica contro tutti i sistemi di pensiero , ma è un pensiero che cancella anche se stesso. Il cerchio si chiude e resta solo un 'post-nichilismo' fatto di formule anestetiche e contraddittorie come: "ogni significato è relativo, anche quello che sto esprimendo ora non significa niente". La fine del nichilismo possiamo chiamarla "nientismo".
A questo punto però , quel che resta dell'"animo" comincia  a sentire che qualcosa non torna...Ed è proprio così! Qualcosa non torna proprio. Perché questa forma di "assolutismo nichilista" è viziata da una circolarità intrinseca, che porta a contraddizioni: da un lato il relativismo e il nichilismo svuotano tutto ma dall'altro il nichilista continua ad affermare per lo meno la propria posizione come assolutamente vera. Nonostante questo sia un argomento razionale da opporre  e, a mio parere, piuttosto evidente, e sostenuto anche da autorevoli filosofi come Thomas Nagel, sorprendentemente sembra non riuscire a cambiare nessuno. Per una critica efficace occorre ritornare al sintomo di cui facciamo esperienza, a quella netta e precisa sensazione di 'svuotamento' che riguarda proprio NOI... e che non si può auto-cancellare. Anche se non so più cosa sia la prima persona, ossia  'me stesso', purtuttavia LA SENTO. Se IO si svuota, IO SENTO vuoto.
Possiamo cercare in profondità la causa della sensazione di svuotamento. Il nichilismo è infatti l'esito di un lungo processo di maturazione al termine del quale in Occidente ha prevalso su tutto il NULLA. Termine cruciale: cosa s'intende, a questo punto, con 'nulla'?
La risposta della gente comune è diretta, legata al sintomo che percepisce: Il nulla è la mancanza, la perdita di ciò che avevamo, la dissoluzione delle tradizioni del passato ma anche dei progetti per il futuro, alfine l'irrilevanza di tutto. Questo è "il nulla-mancanza" proprio del nichilismo, ormai pienamente maturo e latente in ognuno di noi. Anche in chi crede illusoriamente il contrario...
 La nostra mente di  occidentali è abituata da oltre duemila anni a fissare un'idea stabile di tutto, "entificare" per così dire tutto, e quando percepiamo 'nulla' e vogliamo indicarlo, lo immaginiamo come un nulla-qualcosa, una tangibile mancanza rispetto a qualcosa che eravamo convinti ci fosse o ci dovesse essere: un riferimento, un valore, o un mondo stabile e dotato di significato. È come cercare di immaginare un buco: sempre ci rappresentiamo i contorni (il nulla di questo e di quello), ma non il buco...
Un grande filosofo giapponese del '900, Nishitani Keiji, ha evidenziato come in Occidente Nietzsche fu il primo che trasformò  il nulla in "un qualcosa". Descrivendo la sua netta sensazione di svuotamento, egli rappresentò nulla come una sostanza, un principio abissale che dissolve ogni altro principio, sia esso umano o divino. 
Lo stesso fraintendimento di Nietzsche sul nulla come "qualcosa" è giunto fino al sociologo francese Jean Baudrillard, quando sostiene che la vera domanda fondamentale è: "Perché c'è il nulla piuttosto che qualcosa?"
Come se il nulla potesse realmente essere 'qualcosa'...
Così lo svuotamento di ogni principio è infine elevato a principio, e in questa rappresentazione siamo rimasti tutti imprigionati. L'occidentale è incapace di pensare senza oggettivare, esattamente così come non riesce a pensare l'Io cosciente senza rappresentarlo in modelli neurali. Non solo intende nulla-non c'è come il qualcosa che dissolve e minaccia, ma talvolta anche come qualcosa di desiderabile.
C'è una barzelletta ebrea che Francisco Varela usava per illustrare la nostra abitudine di occidentali a rappresentare, in cui due uomini molto poveri si incontrano, e il primo dice: «Le cose vanno sempre peggio; sarebbe stato meglio non essere nati». Il secondo replica: «Come è vero! Ma a chi toccherebbe questa fortuna? A uno su diecimila!». Il non esserci, l'assenza, diventa paradossalmente qualcosa che qualcuno "può avere".
Quindi anche il nichilismo,definito anche come la fine di tutte le metafisiche, è una metafisica, un "fondamentalismo dell'infondatezza", in cui l'infondatezza 'entificata' diventa fondamento per la pena, o la noia, del vivere. Una mancanza da 'riempire'...
A questo punto sono importanti due passi da compiere:
1) riconoscere e accogliere senza 'coprirla' quella netta sensazione di svuotamento (chi non la sente potrà semplicemente dimenticare tutto ciò, restando però un nichilista in potenza); per esaminare il sintomo nella sua fenomenologia però occorre mettere in dubbio la cultura scientista che sterilizza ogni sensazione e pensiero, e dar valore alla propria domanda di senso in prima persona, non importa quanto appaia insensata (anche se mi ripeto "la domanda non ha senso...", appunto! Io sento nonsenso).
2) Applicare intelligenza sulla questione, cercando la causa profonda dello svuotamento, che nasce dal rappresentare nulla come la mancanza di qualcosa e dal nostro collocarci in questa mancanza, mentre invece si tratta di un significato irrappresentabile benchè reale.
La descrizione dei sintomi e l'analisi delle cause sono indispensabili, ma distinguere veramente i due nulla, che possiamo chiamare "vuoto esistenziale" nichilista, e "Shunyata", vacuità buddhista, è un'esperienza di trasformazione. Che deve avvenire in un luogo preciso: quel "me stesso" che Pessoa descriveva come "unica realtà in questo momento".
Questo spiega in parte l'affascinante viaggio che il Buddhismo intraprende in un Occidente nichilista e in cui quindi le ragioni profonde di questa esperienza di 'trasformazione' del nichilismo sono più urgenti... :)
saluti
#266
Attualità / Re:Crocefisso il classe?
16 Ottobre 2019, 16:48:44 PM
cit.@anthonyi
...nella mia "crociata" io mi riferisco alla scuola dell'obbligo, non a caso parlo di ragazzi da educare. direi che la scuola superiore, e ancor più l'università, possono mantenere la loro "laicità integrale".

Credo che l'"obbligo" del crocefisso in aula sia solo per le scuole elementari e medie e non per asili, scuole superiori e università. Non esiste una Legge  al riguardo ma ci si rifà ad un Regio Decreto degli anni Venti del Novecento.Nel Liceo Artistico che frequenta mia figlia non ci sono , per esempio...
Mi sembra che in Germania,e forse in Austria, ma non vorrei ricordare male, si decide per maggioranza. Se la maggioranza degli studenti è cristiana e gradisce la presenza del crocefisso (presumo i loro genitori più che altro..) lo si espone. E' un buon compromesso, a parer mio...

Condivido l'impostazione data da @Phil. Le statuette del Buddha poi sono molto decorative e alcune molto artistiche, di pregevolissima fattura... ;) alzano sicuramente il tono , spesso assai dimesso e depresso, delle aule scolastiche ( per l'incensiere forse vorrebbe dire allargarsi troppo, eh?...)
#267
Tematiche Filosofiche / Re:Del suicidio
16 Ottobre 2019, 16:11:25 PM
Le statistiche ci dicono che in Italia la percentuale dei suicidi è di circa un abitante ogni ventimila. Al Nord ci si ammazza in media quattro volte più che al Sud. In Germania il tasso raddoppia rispetto all'Italia e, nei ricchissimi paesi nordici, addirittura quadruplica..
Paradossalmente più una società è ricca di benessere materiale e teoricamente piena di servizi alla persona, più ci si ammazza. Questo già fa riflettere sull'illusione della ricchezza materiale come foriera di felicità autentica...
Però questa convinzione è così radicata nelle nostre società che non ci rende conto che il "fare" e la produzione "artificiale" di felicità, produce spesso invece del malessere profondo...
Ci troviamo in una società iperstimolante, una società dell'informazione e della comunicazione, in perenne e sempre più frenetica trasformazione. In questo ambiente l'individuo si dovrebbe trovare, e si trova sempre più frequentemente, in una sorta di "oceano percettivo" e invece...in maniera quasi ipnotica, le sensazioni e le passioni paiono quasi "cristallizzarsi". Le passioni sono 'tristi', le esperienze cercate tendono all'effetto anestetizzante, vissute quasi in forma solipsistica. In questo contesto le relazioni tra individui non sembrano più tendere verso una condivisione di interessi, ma piuttosto verso un tentativo di sfuggire all'angoscia della solitudine. La solitudine stessa è sempre più vissuta in modo drammatico, rifuggendo così alla sua forza creativa...
Addirittura, per non rischiare di provare il dolore della perdita dell'altro, o di non essere accettati, non si rischia nemmeno più il contatto, alienandosi dalle relazioni con l'altro, dalla "fisicità" del contatto reale. Si fa così esperienza di relazione in modo sempre più virtuale. Relazione dove manca proprio lui: il Corpo...
La malattia e il dolore sono così terrorizzanti che, per qualsiasi banalità, si corre dal dottore o in farmacia (o da sedicenti guaritori...). Non c'è capacità nella 'mente' di stare con il dolore, almeno per un pò di tempo. Tempo per capire che noi e il dolore non siamo due cose diverse e distinte. Anche il dolore è parte di noi.
La relazione col dolore è primaria relazione con la "mentecorpo". Nessun progresso spirituale è realmente consistente senza la capacità di stare con il dolore, che non significa non voler guarire dalla sofferenza, ma solo di accettarla...
Questa è una domanda che mi pongo spesso; soprattutto nei momenti in cui non sto bene fisicamente: riesco a stare con questa sofferenza senza chiedere sempre un aiuto esterno? Lascio il tempo alla mente di abituarsi e al corpo di guarire naturalmente, senza tanti farmaci? Questo ovviamente è in controtendenza con lo spirito dei tempi.Spirito che mi dice che devo liberarmi in fretta dalla sofferenza. La sofferenza non mi appartiene, ci viene insegnato quotidianamente. E' normale, avendo un corpo, soffrire e starsene un pò così...tranquilli, quieti, come fanno gli animali quando sono ammalati. In natura si rallenta , noi corriamo....
Se non lasciamo al corpo il tempo necessario, la malattia curata col farmaco si ripresenterà ancora...
Alcune malattie necessitano dell'uso di farmaci, ma moltissime altre no.
L'importanza di saper stare con il proprio corpo, nel bene e nel male, e con quello degli altri attraverso il contatto fisico e non solo virtuale, quindi con l'inclusione, è probabilmente molto più efficace che non l'uso di terapie psicologiche o farmacoterapie varie, nell'aiutarsi a non maturare desideri suicidi. Purtoppo il suicida e il suicidio vengono ridotti a stereotipo dalla società e dai media. Uno stereotipo di tipo culturale.
Il suicidio, prima di maturare come atto, è un'idea, un'intenzione. Forse l'idea che con la morte si possa uscire proprio dalla frammentazione in cui si è costretti a vivere. Frammentazione che si alimenta nella mancata percezione di sé come unità di relazione non frammentata.
Sembra quasi che, chi si suicida, si ponga di fronte alla vita in modo così determinato da oltrepassare quasi la tenacia stessa che è nella vita. Come se, alla verità della vita, si voglia opporre un'altra verità...
Se lo vediamo così il suicidio appare quasi come un'"apertura", come una nuova dinamica di relazione. Infatti, per un'esistenza che è giunta alla disperazione e all'isolamento estremo, il suicidio può rappresentare l'ultimo atto  di una relazione.

Namaste  :)
#268
Tematiche Filosofiche / Re:Del suicidio
15 Ottobre 2019, 12:31:04 PM
Il Siracide dice anche dell'altro:

21. "Non abbandonarti allatristezza, non tormentarti con i tuoi pensieri.
22. La gioia del cuore è vita per l'uomo, l'allegria di un uomo è lunga vita.
23. Distrai la tua anima, consola il tuo cuore, tieni lontana la malinconia. La malinconia ha rovinato molti, da essa non si ricava nulla di buono.
24. Gelosia e ira accorciano i giorni, la preoccupazione anticipa la vecchiaia.

Tristezza, tormento,melanconia, preoccupazione sono stati mentali negativi che spingono a pensare che la morte "è un sollievo dè mortali che son stanchi di soffrir!".
Invece gioia, allegria, consolazione, bontà sono stati mentali positivi che spingono a pensare che la morte "può attendere un altro pò"... ;D


E infatti, anche se la vita è colma di sofferenza e quasi sempre (ma non sempre...) la malattia  può essere lunga e dolorosa prima della certa dipartita, non è saggio preoccuparsi in anticipo di come finiremo i nostri giorni ,con questo aggregato kammico di cui siamo costituiti, in quanto del "doman non v'è certezza...".
Ovviamente non è saggio nemmeno togliersi la vita in anticipo ,sperando così di non correre il rischio di cadere in quella data situazione, di fronte alla quale poi, se dovesse realmente succederci, non sappiamo nemmeno come veramente reagiremo. Nè giova l'esperienza di altri all'uopo, in quanto non siamo nella loro testa per esser certi che anche noi reagiremo allo stesso modo...

cit.:
...ed infatti, se non c'è più nessuno a potersi rammaricare di una perdita, non c'è, ovviamente, nessuna perdita!

Anche se non sei mai nato non devi preoccuparti di come morirai e di quel che perderai. Ma visto che il quesito se lo può porre solo chi vive e non chi non è ancora nato o è già morto, è un quesito che riguarda la vita e non la morte.
Se io mi nego la vita per non doverne subire la sofferenza intrinseca, mi nego anche la Bellezza che posso assaporare solo da vivo e non da morto o da mai nato. Ne vale la pena ? Godere della Bellezza, della possibilità dell'amore sincero e di quei "sovrumani silenzi" (e di ascoltare il Buddhadhamma aggiungo io.. ;) ),  vale il prezzo di rischiare di dover sopportare terribili e atroci sofferenze? La risposta riposa nel cuore di ognuno...
Non può esserci una risposta razionale a questa domanda perché è impossibile 'pesare' i pro e i contro del vivere, dato che la misurazione di quel peso non può essere che soggettiva...
Io conosco solo la mia.

La vita è come un'eco: se non ti piace quello che ti rimanda, devi cambiare il messaggio che invii.
(James Joyce)
#269
Tematiche Filosofiche / Re:Del suicidio
14 Ottobre 2019, 09:59:17 AM
Il suicidio è un atto che non si può definire, a parer mio, come 'razionale' o 'irrazionale'. E' piuttosto una scelta  che definirei come comportamentale: cioè riguardante un possibile  comportamento di fronte alla sofferenza. E invero l'autoinfliggersi la morte è sempre una manifestazione della sofferenza, sia fisica che psicologica,  ovvero una conseguenza di questa. Proprio per questo manifestarsi  potente dell'elemento sofferenza, il discorso etico sul suicidio è molto complesso . In primo luogo bisognerebbe mettere in evidenza che il suicidio, visto come ribellione alla sofferenza insita nella vita condizionata, quando non è pretesa assurda di dimostrazione di qualcosa di egoistico, dovrebbe suscitare nel cuore dello spettatore un autentico senso di compassione per il sofferente. Questo però non è sufficiente. La compassione non può essere separata dall'interrogarsi sui motivi di questa decisione e sul fatto  che forse non si è fatto tutto il possibile per alleviare o rendere più sopportabile l'esistenza del sofferente. Molto spesso infatti, trascinati dal mondo e dalla sua fretta, non vediamo, o non vogliamo vedere, la sofferenza altrui, perché fondamentalmente osta il nostro profondo desiderio di 'godere' della vita.  La sofferenza dell'altro richiede il nostro tempo, che non vogliamo donare, se non in misura limitata. 
Le satistiche parlano di un maggior numero di casi di suicidio nei paesi ricchi, dove infatti l'indifferenza è molto maggiore e la vita sempre più frenetica, lanciata in una folle corsa sempre più rapida. Spesso il suicidio è un estremo, disperato tentavivo del sofferente di richiamare la nostra attenzione, di dirci: aiutami!
Spesso è proprio questo che il malato trova insopportabile: la solitudine esistenziale di fronte al dolore inerente la vita stessa e al quale raramente si è preparati (proprio in virtù dello stile di vita  che ci porta a non riflettere adeguatamente sulla sofferenza inevitabile del vivere,ossia come esito finale della vita stessa...).
#270
Un topic tra il serio e il faceto, come piace a me... :)

Come far innamorare di noi una donna affascinante? Ve lo siete mai chiesti nella vostra vita? Da giovani, quando le ragazze vi ignoravano, non vi tormentava questo quesito? Non vi chiedevate perchè , quelle più belle, erano affascinate proprio dai tipi che voi trovavate antipatici, odiosi e idioti? Perché venivano a piangere per lui con voi? Non ve lo siete posto questo dilemma? Mai?..Perché chiedevano il vostro consiglio e, quando lo ricevevano...facevano l'esatto contario? Perché vi sussurravano all'orecchio dolcemente : "solo tu mi capisci" e poi vi lasciavano in asso, con la bocca semiaperta, per correre da lui al primo fischio dell'imbecille? Quanto rosicamento allora...quanto stridor di denti! E che sofferenza si provava a veder il proprio amore a braccetto con l'altro...Ma come fare?.. Come fare?.
Si possono sviluppare  tecniche improbabile, che solo noi consideriamo valide, per ottenere l'amore desiato. Sono quasi degli automatismi innati . Innati vuol dire che, se tu sei inadeguato di natura, saranno inadeguati pure i metodi che tenti di utilizzare. Uno dei miei preferiti (ma mi piacerebbe conoscere qualcuno dei vostri..senza vergogna, eh signori! Com'io non ho vergogna a rivelare le mie ridicole attitudini. In fondo c'è l'anonimato in codesto luogo virtuale..) era quello di fissare intensamente una signorina carina carina, per esempio durante un tragitto in treno con la giovane seduta di fronte, o durante un pranzo cerimonioso, una di quelle brune con gli occhiali da intellettuale che le facevano degli occhioni da manga giapponese. Mi dicevo che, quasi come sfogliando una margherita ripetendo tra noi: "m'ama non m'ama", se avesse sollevato lo sguardo verso di me forse avrebbe intravisto il trasporto che già provavo verso di lei. Naturalmente, sentendosi osservata, di solito la giovane finiva per alzarlo, lo sguardo...E allora...Beh! Allora le possibilità di solito erano due: o ti lanciava un'occhiata come per dire: "Che ..... vuoi?" oppure...che dolcezza per il cuore bramoso d'affetto! Oppure ti sorrideva...E allora si apriva il cielo e la speranza, a forma di colomba, scendeva dall'alto. Il problema però era che, praticamente sempre, la colomba scendeva ma...non si posava su di voi! E quando il treno si fermava alla stazione, o il pranzo terminava, il soggetto che alimentava questa vostra vana speranza scendeva, se ne andava...
La cosa più bella era che, qualche volta, raramente, prima di uscire dalla carrozza si voltava e, senza dir niente, ti sorrideva ancora con occhi maliziosi...per poi sparire nella folla. Che tumulto calato in una cupa tristezza ti assaliva allora. Che vanità la vita, e i tumulti del cuore, e l'amore impossibile mi dicevo ...senza magari accorgermi che altri occhi, con una bellezza diversa da quella che cercavo, mi osservavano anche loro...Giochi di sguardi. Intreccio di speranze.
Come le donne ti capiscono al volo! Dev'essere un dono di natura. Capiscono le tue intenzioni e ti squadrano dall'alto in basso e dal basso in alto, come se tu fossi un manzo squoiato appeso al gancio del macellaio. Osservano al di là della tua pelle stessa e...vedono tutto! O forse no...
Le donne, in particolare quelle più affascinanti, hanno una vista acutissima...da lontano. Quasi sempre però soffrono di presbiopia e, nel mentre vedono molto bene tutti i tuoi difetti, spesso i propri non sono ben messi a fuoco, sono sfumati, per così dire...
Mi fermo qui, per ora...o forse per sempre.
Qualcuno che vuol cimentarsi nei ricordi dei propri fallimenti amorosi?...Qualche dritta da condividere tra maschi con spirito di cameratismo? Spiegarmi dove sbagliavo?...