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Messaggi - cvc

#256
No so quanti in questo forum si interessino di criminologia. La mia impressione è che tale scienza abbia un approccio più comportamentista che psicanalitico. La psicanalisi è stata sdoganata, credo, per via della difficoltà a ricondurla ad una teoria generale. Come osserva Galimberti, non può esistere un solo modello di psicanalisi che si adatti all'eterogeneità delle personalità umane. I vari tipi di psicanalisi rispecchiano tale diversità. Ma di fronte alla complicazione di una scienza variegata, per cui in un caso si applica un modello e in un altro caso un altro modello, si preferisce - è la mia impressione - convergere verso un approccio comportamentista che permette di uniformare le diverse personalità riducendole ai loro comportamenti. L'approccio comportamentista d'altro canto non coglie quelle sfumature e quegli intrecci profondi che permettono di entrare nelle pieghe della personalità, di carpirne i segreti e l'intimo sentire.
Detto questo, come affronta la criminologia l'individuo kamikaze? Per quel che mi è capitato di ascoltare, gli esperti di solito tracciano il profilo del kamikaze partendo da contesti sociali come il paese di provenienza, la famiglia, i luoghi dove vive, gli spostamenti, la frequentazione di moschee, le affiliazioni, l'attività su internet, ecc. Ma quello che mi domando è se si è mai provato ad entrare nella testa di un kamikaze, a comprenderne le motivazioni, l'affettività, se agisce veramente per fede o solo per disprezzo, se decide in proprio della sua vita o se vi è costretto, se ha dei ripensamenti, se prova dei sentimenti positivi verso alcune persone, se qualcosa potrebbe distoglierlo dal suo gesto, se è solo un sociopatico, ecc?
Forse è più rassicurante considerarlo un essere alieno, che viene da un altro mondo. Eppure anche nel nostro mondo tanti individui che tutti i vicini considerano brave persone, gente della porta accanto, un bel giorno si alzano e fanno fuori la moglie o i figli o i genitori. Viviamo in un mondo che etichetta tutto secondo una logica discreta per cui in ogni insieme di cose deve esserci un numero finito di combinazioni che si possano ordinare e dare in pasto ai cervelloni (veloci ma stupidi) elettronici. Ma la gente  che compie atti atroci - il kamikaze - rientra nella asettica categoria di "mostro", essere che in quanto tale non merita di essere indagato nella propria anima. Perché si parla di anima solo quando si sottintende di riferirsi esclusivamente alle anime belle. Le anime dei mostri, dove alberga il male, non ci interessano. Sono soltanto dei bug che aspettano una patch per correggere l'errore. Allora pensiamo che i bruti non esistono, che sono solo errori di fabbrica. Via dagli occhi le brutture dell'uomo.
#257
La filosofia è tale, credo, in quanto si distacca dal particolare e riflette sui concetti, che sono generalizzazioni del particolare. Nell'attualità si discute di casi contingenti che sono però il riflesso dell'epoca in cui viviamo, e secondo me ciò che manca è un'esauriente e profonda riflessione sui nostri tempi forse troppo frenetici - o addirittura schizofrenici - per essere approfonditi. Appena cerchi di andare in profondità rimani indietro, perché vieni travolto dall'ondata dei cambiamenti sempre più rapidi. È lo spirito della modernità. Mordere, masticare e sputare. Poco o niente lascia il segno. Ieri una bomba ad un concerto rock, oggi ad un funerale, un quindicenne che spara ad un altro quindicenne... Come spiegare eventi che ci sconvolgono per un istante e poi vengono dimenticati e sovrastati da altri ancora più sconvolgenti? Il divenire è sempre stato, il problema è che ora scorre così rapido che non lascia neanche un segno se non, forse, a livello subliminale. Il problema della filosofia è come conciliare filosofia e modernità.
#258
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
02 Giugno 2017, 15:49:04 PM
Forse non ho raggiunto il posto che volevo, ma va bene così. Forse - sicuramente - non sono come mi volevo, ma lascia stare così. Lascia tutto così. Posiziona il cavalletto, trova la luce giusta, programma l'autoscatto, non cercare l'espressione adatta, sii naturale (facile a dirsi) e scatta l'istantanea del tuo stato d'animo. Salmodia fra i ricordi vecchi e futuri il tuo pensiero e il tuo sentire qui e ora. Non cercare di far capire perché questo momento sarebbe importante o straordinario rispetto al fiume della miriade di altri momenti che si susseguono ininterrottamente. Solo fa che questo non si cancelli, non del tutto, che lasci un'impronta, una traccia, un indizio per essere ritrovato. In fondo non è poi così difficile, è come guardare l'album delle vecchie foto. Metti te stesso - qui e ora - in una poesia. Non è forse il migliore investimento per la vita?
#259
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
30 Maggio 2017, 18:22:43 PM
Pensieri sparsi... come ad esempio... osservarsi dal di fuori. Cosa significa osservarsi dal di fuori? Non un particolare relativo alle pratiche meditative orientali di esperienza fuori dal corpo ma, più semplicemente, osservarsi mentre si vive. Scrivere qualche paginuzza del libro di se stessi, ma non a posteriori, non dopo aver vissuto, bensì scrivere il romanzo della propria vita proprio mentre la si sta vivendo. Perdersi in un parallelismo vissuto-letterario dove la coscienza sia libera di vagare un po' qua, un po la. Abbandonarsi un attimo alla vita che scorre nei nostri impegni quotidiani e, subito dopo, soffermarsi sul libro che viene scritto dallo scrittore virtuale appostato in un angolo della nostra mente. Le cose che accadono sono sempre le stesse, ma se c'è uno che le racconta.... beh cambia tutto. Sono solo pensieri sparsi, ma sono pensieri raccontati. Non sono granelli di polvere sollevati e dispersi a caso e inutilmente dal vento, non sono prodotti fatti su misura per l'oblio, sono storie... storie di chi racconta se stesso uscendo da se stesso. Storie destinate ad un unico ascoltatore, cioè colui che le scrive. Ma se le si leggono con occhio attento e cuore profondo hanno qualcosa in comune, di familiare, come una sorta di ritorno a casa nei pensieri sparsi che ciascuno ha.
#260
Tematiche Filosofiche / Re:L'elemosina di Hobbes
28 Maggio 2017, 11:09:04 AM
Non so se il senso di colpa sia il fondamento della civiltà, forse lo è il puro istinto di sopravvivenza, ma potrebbe essere, il senso di colpa, il fondamento dell'altruismo. Lo suggerisce implicitamente Baylham
Citazionela manifestazione dell'altruismo implica normalmente l'esistenza di una precondizione di ingiustizia, di cui l'asimmetria della relazione tra il donatore e il donatario è l'aspetto più manifesto. Perché il donatore ha il bene che manca al donatario? Perché si genera questa relazione asimmetrica?
Certo il discorso sul senso di colpa andrebbe approfondito. In un certo senso il senso di colpa è anche il fondamento del Cristianesimo: il figlio di Dio che si sacrifica per le colpe dell'uomo, il crocifisso attaccato alla parete che è sempre li a ricordarci il nostro debito
Citazionerimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
 perchè Dio ha compiuto il massimo sacrificio (il figlio) per salvare l'uomo. Non ricordo in che libro Nietzsche scrisse che Gesù ha preso su di sè il castigo (la croce) ma non la colpa, la colpa è dell'uomo. E' il senso di colpa è un sentimento fortissimo, che condiziona tremendamente le persone. Si pensi agli ufficiali nazisti che avevano giurato fedeltà a Hitler, legandosi così a doppio filo all'obbedienza perchè non potevano assumersi la colpa di venire meno al giuramento. E nei processi post bellici quando gli fu chiesto perchè non si fossero ribellati a Hitler risposero semplicemente che era per via del giuramento. Ipocrisia? Forse. Ma il senso di colpa ha una valenza psicologica immensa. Cosa lo provochi è difficile dirlo, dipende dalla eterogeneità delle personalità umane. Certo che la tesi secondo cui l'altruismo provverrebbe dal senso di colpa, sarebbe un altro punto a favore della derivazione egoistica dell'altruismo: per proteggere me dal mio senso di colpa aiuto gli altri.


Citazionenel libro "Emozioni distruttive" di Goleman e del Dalai Lama, un neuroscienziato, Richard Davidson afferma che ripetere in modo sistematico una pratica empatica o compassionevole o invece egoistica, modifica la struttura del cervello che organicamente diverrà più adatto a mantenere comportamenti empatici o compassionevoli o egoisti. Una pratica ripetuta nel tempo fissa una certa organizzazione del cervello e diventerà più difficile modificare quella struttura, anche se non impossibile, data la plasticità del cervello.
Senza il disvelamento della scienza questa affermazione non avrebbe avuto alcun valore. Certo sembra poeticamente più bello pensare a persone buone e cattive di indole, ma questo non è, o almeno l'indole che possiamo chiamare patrimonio genetico deve fare i conti anche con altre variabili.

Si ma per mettere in atto sistematicamente una pratica empatica o no occorrono prima delle motivazioni. E queste come sono, altruiste o egoiste?
#261
Tematiche Filosofiche / Re:L'elemosina di Hobbes
27 Maggio 2017, 08:53:22 AM
"Chi sono? È tanto strano
fra tante cose strambe
un coso con due gambe
detto guidogozzano!"

"Socchiudo gli occhi, estranio
ai casi della vita:
sento fra le mie dita
la forma del mio cranio."

Guido Gozzano

Questi versi annunciano il '900: la reificazione dei sentimenti (nichilismo?), pure l'identità di se diventa una cosa fra le altre cose e l'individuo (anch'esso una cosa) può solo cercare di esprimere la propria alienazione.
Il senso di colpa (super io?) ha funzionato bene come contrappeso all'egoismo finché non è diventato anch'esso una cosa, un fenomeno da analizzare, circoscrivere, categorizzare, ordinare secondo leggi. Il senso di colpa funzionava finché la coscienza era considerata come un qualcosa di misterioso, con le sue forze oscure e la grazia e il terrore che ne derivano. Ora che la coscienza è un fenomeno da ordinare secondo le leggi scientifiche, praticamente non è più nulla o, forse meglio, è un qualcosa che si può sempre imbrogliare
Siamo alienati in un mondo in cui abbiamo circoscritto ogni cosa e proprio per questo il mondo ha perso la sua spontaneità. È questa mancanza che ci rende alienati. Ma perché l'uomo misura tutto il misurabile? Non per egoismo? O forse razionalizza tutto per meglio donare agli altri?
#262
Tematiche Filosofiche / Re:L'elemosina di Hobbes
26 Maggio 2017, 20:01:41 PM
Citazione di: Jacopus il 26 Maggio 2017, 19:46:17 PM


Quello che aggiungerei è che il principio del senso di colpa, fondatore del percorso di civilizzazione (Kultur in tedesco) è fortemente in crisi nella società attuale, dove nessuno si sente responsabile di quanto accade e tutti sono  pronti ad accusare i propri vicini e dove il senso di colpa viene visto come una debolezza. Una società narcisistica come quella attuale esclude il senso di colpa dal proprio orizzonte, ma in questo modo, adottando la prospettiva freudiana viene colpita a morte la stessa spinta moderatrice e civilizzatrice di Eros che viene soprafatta da Thanatos.
Riflessione veramente profonda sulla quale mediterò
#263
Tematiche Filosofiche / Re:L'elemosina di Hobbes
25 Maggio 2017, 12:50:40 PM
Citazione di: maral il 24 Maggio 2017, 23:59:25 PM
Lo so Sgiombo, la mia risposta non era in polemica con la tua, ma con quelli che mettono l'egoismo a fondamento di tutto e assumono una considerazione ontologica (ovvia in senso tautologico) come pretesto per trarne considerazioni socio economiche o addirittura etiche.
Come quelli che mettono l'altruismo a fondamento di tutto per trarne vantaggi personali.
#264
Concordo con Phil, l'esasperazione dell'originalità porta all'assenza di qualsiasi canone all'infuori di quello rappresentato dall'uscita egli schemi fine a se stessa, senza un motivo che la giustifichi. E a me ciò pare piuttosto stupido.
#265
Il problema è che si vuole la botte piena e la moglie ubriaca. E' implicito che se si accolgono centinaia di migliaia di disperati occorre sopportare un abbassamento dell'ordine pubblico, delle risorse sanitarie, dell'offerta in alcuni settori lavorativi. Invece sembra che ci si voglia convincere che sia possibile accogliere masse di fuggitivi e poter garantire a tutti un livello di vita accettabile: come se uno ti portasse fuori nel miglior ristorante con 10 euro in tasca.
#266
Acquario, secondo me un uomo privo di umanità è un uomo che si esprime esclusivamente nel linguaggio tecnico, la cui essenza dal punto di vista tecnologico è "0 or 1". Oramai il mondo si sta riducendo ad un linguaggio binario che dimentica che fra lo 0 e l'1 c'è di mezzo un infinito (forse si dovrebbe dire un intervallo di infinitesimali contenuto fra i limiti 0 e 1).
L'umanita manca perchè l'umanità è nel linguaggio (Green demetr), per capire l'uomo (almeno per me è così) serve più la letteratura che le funzioni

Angelo Cannata, guarda che la mia frase finale non era un'affermazione apodittica, era il riassunto della antecedente tesi speculativa, un'ipotesi. E nemmeno io auspico che la scienza spazzi via tutte le espressioni umanistiche, volevo solo rilevare che se si continua così è probabile che in un domani più o meno prossimo l'uomo possa soppiantarle del tutto a scapito di ciò che è più pragmatico: la scienza.

Dimentichi che non accade solo che una poesia o una religione o una filosofia possono marginalizzare il problema della sopravvivenza, ma può essere anche che alcuno scelga deliberatamente di marginalizzare il problema, magari quando è troppo ampio per poter essere affrontato o per poter avere un senso nella nostra magari piccola anima.


Green demetr, non sei d'accordo sulla ipotesi del mio post ma sei d'accordo con me (o io lo sono con te) sulla predominanza del linguaggio. Predominanza che però si perde.... non dico qui dove, anzi, la struttura del forum permette di scambiare idee in un modo che difficilmente sarebbe possibile senza l'apparato tecnologico. Quando però comunichiamo con le persone vicine più con whatsapp che con le parole, forse qualcosa si perde. Ma ancor più si perde col crescente disinteresse verso la letteratura, si smarrisce la capacità di esprimere i propri sentimenti. Perciò si esauriscono presto le parole e si finisce contro ad un muro
#267
Se qualcuno un po' mi conosce in questo forum, saprà che la speculazione non è il mio forte. Ma tant'è che a volte capita pure a me....
Riflettevo anzitutto su come la scienza si possa considerare in ultima analisi come una forma di adattamento, anzi la sublimazione dell'adattamento stesso. Gli organismi viventi non possono prescindere dalle problematiche fondamentali dell'organizzazione e dell'adattamento, che si possono considerare come fasi complementari dello stesso ciclo vitale. Organizzandosi ci di adatta all'ambiente, adattandosi all'ambiente ci si organizza ed in questo meccanismo di assimilazione del mondo esterno, l'individuo sopravvive.
Ora mi pare chiaro l'uomo sia l'essere vivente meglio adattato di tutto il pianeta, lo dimostrano le infrastrutture con cui è stato in grado di mutare la conformazione stessa dell'ambiente secondo le proprie esigenze. Altrettanto chiaro mi appare che se ciò è stato possibile, è per via di quella facoltà che chiamiamo autocoscienza e grazie alla quale l'uomo ha potuto creare rappresentazioni sempre più efficaci della natura (individuo  + ambiente qui intendo), modelli e linguaggi sempre più utili fino ad arrivare al risultato finale: la scienza.
Ciò che ora mi domando è se non sia possibile che, così come ora consideriamo l'autocoscienza come un carattere proprio dell'uomo, non si possa arrivare a considerare in tal modo anche la scienza? Ossia non più un mondo di uomini fra cui alcuni sono scienziati, ma l'uomo stesso che racchiuda la scienza come facoltà acquisita, tramandata e assimilata profondamente nella propria natura. Quando ci si chiederà quindi in che cosa l'uomo si differenzi dal resto delle cose, la risposta non sarà più l'intelligenza o la ragione o il linguaggio o la cultura o l'autocoscienza, ma semplicemente la scienza. L'uomo si identificherà sin dalla nascita in questo suo attributo oramai costitutivo, e le moltitudini di generazioni che seguiranno questa oramai definitiva acquisizione, avranno solo un lontano ricordo di quando gli antenati parlavano di religione, filosofia e altri strumenti antropologici arcaici tali quali sono oggi per noi gli utensili del neolitico.
Quindi l'uomo sopravvivrà indefinitamente, ma non ciò che noi intendiamo per umanità.
#268
Tematiche Filosofiche / Re:Il coraggio
20 Maggio 2017, 09:02:15 AM
Citazione di: Marco264 il 19 Maggio 2017, 19:06:43 PM
Giusto, seguire l'intuizione personale è la chiave del filosofare quindi mi trovi perfettamente d'accordo su questo punto. Se alle proprie si aggiungono le domande di altri allora insieme si

In merito all'essere consapevoli, molto semplicemente, pensa a questo momento in cui stai leggendo le mie parole: senti di avere consapevolezza di leggere nel momento stesso in cui leggi? E Quando aggrotterai le sopracciglia? Per ostacolo intendo che l'atto risulta meno "naturale" di quello che potrebbe essere, ciò a discapito della spontaneità perché in seguito interviene il calcolo, la premeditazione delle azioni. Pensa, se alla festa dei Lupercalia un mio fidato generale (con il popolo che mormora, brontola ed è preoccupato delle mie malcelate ambizioni di gloria e potere) mi getta sul capo (come se fosse una cosa da nulla) una corona; e io la ripudio pubblicamente come a dire "guardate, io, Cesare, non voglio diventare vostro re" poi negli atti dimostro tutto il contrario (tengo la dittatura a vita, mi crogiolo sul mio trono d'oro dinnanzi al tempio di Venere Genitrice e non mi alzo quando i senatori vengono a porgere i loro saluti) non sarebbe studiato quel mio gesto, di cui ho piena consapevolezza, non naturale e non virtuoso?mi piacerebbe sapere cosa ne pensi al riguardo.

Rimandiamo l'indagine intorno al rapporto tra ragione e volontà, insieme all'aporia socratico-platonica ad un altro momento per adesso :)
Nonostante abbiamo del terreno comune non riesco a seguirti in questa tua visione della consapevolezza come di un limite. Secondo me la consapevolezza non è affatto causa di non spontaneità, non è affatto premeditazione. È essere concentrati qui e ora. Non è che perché sono consapevole di una situazione divento un freddo calcolatore. Uno può anche diventare consapevole dei propri sentimenti e proprio grazie a tale consapevolezza può appunto esprimerli liberamente.
#269
Tematiche Filosofiche / Re:Il coraggio
19 Maggio 2017, 07:20:49 AM
Cero il bello del filosofare è dialogare, ma le mie risposte alle tue domande sono frutto di mie impressioni e non hanno nessuna pretesa di porsi come un sapere incontrovertibile che un astuto e ironico Socrate potrebbe, a forza di domandare, facilmente mettere in crisi.
Tocchi temi che mi stano molto a cuore, quindi risponderti è piacevole oltre che un utile esercizio di tornare su temi che molto spesso hanno occupato i miei pensieri.
Sulla consapevolezza credo che ne esistano diversi gradi, ma credo che l'ostacolo sia più nell'inconsapevolezza che nel rendersi conto delle cose. Francamente non capisco perchè credi che il consapevolizzare possa essere un ostacolo. A meno che la consapevolezza diventi ossessione, in quel caso allora sì.
Anche nel secondo paragrafo non sono sicuro di comprenderti del tutto, ma credo che accettare la paura sia un atto di coraggio quando, volendo accettare le cose come sono, si abbassano tutte quelle barriere che solitamente usiamo per renderci inconsapevoli di fronte alla paura, la cosiddetta sicumera.
Fra ragione e volontà c'è una gran differenza che richiederebbe ben più ampi approfondimenti. Socrate e gli stoici tentano di sottoporre tutto alla ragione, ma la vita ci impone di agire anche quando abbiamo le idee confuse. Allora dobbiamo affidarci più ai sentimenti che alle convinzioni razionali.
La distinzione fra ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi è il grande principio stoico da cui deriva la condizione morale dell'individuo, pilastro di tale filosofia. Dedicarsi a ciò che dipende da noi e ignorare il resto significa conquistare la libertà, la virtù, la felicità. Significa essere costantemente concentrati sul proprio stato d'animo, esaminare costantemente i propri desideri e le proprie paure. Ciò risulta difficile (anche se non impossibile, forse) da applicare sempre nella vita quotidiana, quindi a volte meglio affidarsi al sentimento della ragione più che alla ragione in sè.
Non so se sono stato chiaro ma purtroppo in questo momento ho poco tempo, la parte sull'aporia socratico-platonica la rimandiamo


Ciao
#270
Tematiche Filosofiche / Re:Il coraggio
18 Maggio 2017, 18:53:11 PM
Citazione di: Marco264 il 18 Maggio 2017, 15:55:04 PM
Ciao, leggo con grande interesse questo tuo intervento sul coraggio. E' la prima volta che scrivo in questo forum e per questo motivo innanzitutto ti saluto e mi presento, sono Marco  :) .

Andando al sodo, le tue parole mi hanno portato alla mente il Lachete di Platone; là dove il buon Socrate chiede al generale ateniese suo interlocutore il ti esti (che cos'è, essenza) del coraggio e costui, dopo una prima risposta (Coraggio=non retrocedere dinnanzi al nemico) confutata da Socrate, afferma che il coraggio è una sorta di forza d'animo. Se ho ben compreso il tuo intervento, mi sembra di scorgere una sorta di allineamento finale verso questa posizione laddove assimili il coraggio al senso del dovere; e quindi mi viene spontaneo avanzarti la socratica domanda se il coraggio deve o non deve essere accompagnato da assennatezza? Leggendo con interesse (da amante del mondo antico) gli esempi storici riportati, per questo mi preme chiederti: non ritieni che il coraggio, il quale si manifesta nei personaggi "nascosti" e virtuosi del mito (quali il citato Muzio), negli uomini della storia risulti presente in quanto dote di natura, per una sorta di istinto naturale potremmo dire, e non per conoscenza? E per questo risulti limitato ed indirizzato esclusivamente al sé e non alla collettività, per la quale Muzio si dilaniò oppure Orazio si sacrificò: penso a Cesare, indubbiamente impavido uomo d'arme, tuttavia con la sua insaziabile sete di gloria fu artefice del disgregamento finale della res publica romana oppure Alessandro che con tutte le sue conquiste in Oriente fu causa della dissoluzione del mondo ellenico antico?

Inoltre, e con questa domanda chiudo il mio intervento, ritieni che chi è coraggioso debba avere consapevolezza di essere coraggioso?
Ciao Marco, piacere di conoscerti e benvenuto.
Il Lachete è il dialogo di Platone in cui Socrate disserta sul coraggio dove però mi pare, come del resto è nel suo stile, non giunga ad una conclusione definitiva. Socraticamente il coraggio è una virtù, e la virtù è il bene. Però per Socrate il bene deriva dalla conoscenza. Nel caso del coraggio bisogna conoscere ciò che è da temere e ciò che non è da temere, e l'unica cosa che realmente è da temere, per Socrate e per gli stoici, è la perdita dell'autocontrollo, della ragione. Quindi il coraggio in senso socratico è forse questione più intellettuale che di volontà.
Sul coraggio come istinto trovo interessante ciò che dice al proposito Clausewitz, secondo il quale paura e coraggio sono entrambi istinti. La paura è volta alla conservazione fisica, il coraggio alla conservazione morale, quindi è più nobile. Lo stesso Clausewitz, agganciandomi a ciò che hai scritto riguardo ad Alessandro e Cesare, dice che la sete di gloria – massimo propulsore del coraggio – è anche stata la causa di alcuni dei peggiori abusi contro il genere umano. Alessandro e Cesare ne sanno qualcosa.
Nella chiusura del mio primo post io parlavo più di consapevolezza della paura che di consapevolezza del coraggio. Nel senso che se ci si sente coraggiosi non si avverte la paura, anzi è l'assenza stessa della paura che noi di solito associamo al coraggio. Ma tale consapevolezza del coraggio potrebbe in realtà essere inconsapevolezza della paura. Perciò sono incline a pensare che il vero coraggio ci sia quando si agisce sentendo la paura.