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Messaggi - Apeiron

#256
Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2018, 12:51:47 PM
per Nietzsche tutta la storia è stata una storia di progressivo annientamento della vitalità in nome di valori che sono falsi, ipocriti, ma tutto questo evidentemente deve essere frutto della volontà di potenza, perché se la volontà di potenza è il cuore della realtà, come sostiene N.,tutte le manifestazioni che hanno portato all'annientamento della vita, paradossalmente per lui... sono espressioni della volontà di potenza. Nietzsche, per me, è contraddittorio in questo: tutte queste manifestazioni che sono da respingere, che hanno ammalato l'uomo, che lo hanno devitalizzato, sono esse stesse frutto della volontà di potenza. E di che cosa se no?...Se il cuore della realtà è la volontà di potenza, non lo è pure l'ipocrisia? :o
C'è in N. un completo fraintendimento del rapporto fra istinto e intelletto, come se l'intelletto avesse un pericolosissimo predominio sull'altro e si dovesse salvare quest'ultimo dall'altro. Però, se osserviamo con serenità e senza "furore nicciano" la realtà, vediamo che, nella maggior parte della gente la volontà, l'istinto e l'interesse dominano e assoggettano   quasi completamente la ragione, il sentimento del giusto. Per questo l'opinione che si debba 'dominare' l'intelletto appare come qualcosa di assurdo. E qui , secondo me, N. fa più poesia che filosofia.
Il secondo errore , sempre secondo me,è di mettere su un piano sbagliato il rapporto della vita con la morale, trattando questo rapporto come un contrasto, mentre l'etica è un "bastone", un sostegno della vita ( un aiuto a sopravvivere anche...quindi una necessità proprio della supposta volontà di potenza).
Poi, nel suo odio verso il Cristianesimo, in pratica N.  lo rimprovera di aver troppo "elevato" l'uomo...così che non lo si possa più sacrificare... :(
Spero di aver argomentato, nei miei limiti, le obiezioni al baffone e non solo di aver spalato letame... ;D

Ben detto Sari! Perfettamente d'accordo  ;)



Per lui "Vita=volontà di potenza". Ciò che è male è ciò che contrasta la massima espressione della "vita"/"volontà di potenza". Ora, sempre secondo Nietzsche, le ipocrisie, le oppressioni ecc nascono proprio quando si usano gli "ideali" per sopprimere con la propria "volontà di potenza" quella altrui, oppure addirittura quando una persona usa tali "ideali" per sopprimere parti della sua interiorità. Il problema è che lui stesso dice che la "volontà di potenza" consiste anche nel voler soppraffare, nel conflitto, nella prevaricazione e così via (vedasi le citazioni in questo post https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/nietzsche-l'-uomo-e-il-suo-diritto-al-futuro/msg16986/#msg16986) e quindi paradossalmente quei "moralisti ipocriti" che tanto critica, in fin dei conti, esprimono la volontà di potenza in modo diverso dal suo. Inoltre, Nietzsche, vuole eliminare la "morale" e quindi non solo vi è affermazione della volontà di potenza ma anche la volontà di potenza può esprimersi in ogni modo, visto che non c'è un "giusto" e uno "sbagliato". Quindi, come nel caso del relativista Protagora (anche se in modo diverso), la sua filosofia è inconsistente. Inoltre, direi che è pure pericolosa visto che non si pone alcun freno ad una "volontà di potenza", la quale può benissimo esprimere tutta la sua tendenza al conflitto e alla sopraffazione.
Ma d'altronde questo è il problema di tutti i "nichilsti" e "ultra-relativisti". Per queste filosofie il "male" sono gli "assoluti". Quindi non ci sono azioni "giuste" e azioni "sbagliate", ognuno può far quello che gli pare e piace, tanto non esiste una qualche "verità" inter-soggettiva che può guidare le azioni. Gli "assoluti" stessi sono dovuti alla "volontà di potenza", però per qualche motivo chi impone gli assoluti sbaglia (anche se, ripeto, non ci sono azioni "giuste" o "sbagliate").
Una filosofia che rimuove completamente la morale, ovvero che non dà alcuna nozione di "giusto" o di "sbagliato" può fare giudizi di valore? Cosa dice, questa filosofia, contro le peggiori azioni compiute dall'uomo? Perchè sono "sbagliate"? Se poi, consideriamo, che la filosofia di Nietzsche glorifica, senza al contempo mettere un freno, una "tendenza" insita nell'uomo che può portare al conflitto, all'oppressione ecc come può dire che i peggiori crimini compiuti dall'uomo sono, in fin dei conti, "crimini"?
...
Non è che forse, contrariamente a quanto Nietzsche, Protagora ecc pensano, il problema non sono dopotutto, strettamente parlando, gli "assoluti" ma invece come l'uomo ha vissuto e si è rapportato, storicamente, con tali "assoluti" e "gerarchie di valori"? O che "assoluti" e "gerarchie di valori" sono stati scelti?  ::)


Personalmente, anche se si rischia il "dogmatismo", preferisco questa prospettiva di Martin Luther King:

CitazioneCi sono due tipi di leggi: giuste e ingiuste. Sarei il primo a invocare l'osservanza delle leggi giuste: abbiamo una responsabilità non soltanto legale, ma anche morale, che ci impone di obbedire alle leggi giuste. Di converso, abbiamo anche la responsabilità morale di disobbedire alle leggi ingiuste: io concordo con sant'Agostino nel ritenere che "una legge ingiusta non è legge". Ora, qual è la differenza fra le une e le altre? Come si fa a stabilire se una legge sia giusta o ingiusta? Una legge giusta è un codice composto dall'uomo che corrisponde alla legge morale o alla legge di Dio. Una legge ingiusta è un codice in disarmonia con la legge morale. Per usare il linguaggio di san Tommaso d'Aquino: una legge ingiusta è una legge umana che non è radicata nella legge eterna e naturale. Una legge che eleva la personalità umana è giusta; una legge che degrada la personalità umana è ingiusta.

Tutti gli statuti del segregazionismo sono ingiusti perché il regime segregazionista distorce l'anima e danneggia la personalità: al segregazionista conferisce un falso senso di superiorità, a chi è vittima della segregazione un falso senso di inferiorità. Per usare la terminologia del filosofo ebreo Martin Buber, il segregazionismo sostituisce al rapporto "Io/Tu" un rapporto "Io/Oggetto", ossia finisce con il considerare le persone come cose. Quindi il segregazionismo non è soltanto privo di fondamento politico, economico, sociologico: è contrario alla morale e peccaminoso.
(citazione presa da http://www.sulromanzo.it/blog/cos-e-la-resistenza-non-violenta-la-risposta-di-martin-luther-king-nella-lettera-da-birmingham)

[ovviamente per Nietzsche il pensiero riportato sopra va contro la "vita" perchè ne limita la possibilità di espressione. Sinceramente, quando tra le cose non permesse ci sono le dittature di destra e di sinistra del secolo scorso, l'intolleranza religiosa ecc posso anche accettare e approvare tale limitazione  ;) ]



Poi, per carità, ci sono parti interessanti del suo pensiero. Alcune sue posizioni le condivido.
#257
Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 17:38:36 PM
Citazione di: Apeiron il 07 Luglio 2018, 16:33:50 PMQuanto stai dicendo secondo me è giusto, ma se lo si intende in un certo modo. "F", "m", "a" sono concetti che sono stati creati dall'uomo per descrivere l'esperienza (le "manifestazioni"/apparenze/fenomeni...). Quindi, in un certo senso sono relativi: sono stati creati da noi e sono stati creati da noi in un certo contesto. Tuttavia, ciascuno può verificare che questi concetti descrivono molto bene i fenomeni. Quindi ci è possibile arrivare ad approssimazioni di verità intersoggettive (la teoria di Einstein è "più vera" di quella di Newton ecc). Sull'errore di confondere il concetto di "convenzione" con quello di "totale arbirarietà" si fonda il grosso errore in cui sono cadute scuole di pensiero come il "relativismo estremo", "la filosofia di Protagora", "post-modernismo", "post-strutturalismo", "decostruzione" (Derrida), "iper-scetticismo" ecc. Siccome la scienza ci ha permesso di descrivere in modo estrememante accurato i nostri fenomeni e siccome ciò vale per tutti i soggetti, o è una sorta di "mega colpo di fortuna" oppure un motivo c'è. Ma se accettiamo che la teoria di Einstein è migliore di quella di Newton, dobbiamo ammettere che ci sono verità inter-soggettive. Quindi il soggetto conta fino ad un certo punto!
Certo, nel processo della conoscenza il soggetto non è da solo, c'è anche il supporto fondamentale di un "oggetto", un'alterità, che ispira la conoscenza e che innesca i fenomeni percepiti dal soggetto. Per quanto il soggetto si (auto)condizioni nel suo cercare di comprendere l'oggetto, ciò non può comportare l'assoluta indipendenza dall'esser-altro dell'oggetto. Secondo me, la convenzione è "totale arbitrarietà" non nel senso di puro caso o imprevedibilità o assenza di regole possibili, ma di arbitrarietà degli assiomi (o delle definizioni) da cui deriva la non-arbitrarierà della loro applicazione e della loro coerenza; per questo la scienza funziona, si corregge e si "perfeziona". Come dire, l'alfabeto e la grammatica di una lingua sono arbitrarie, puramente convenzionali, ma una volta accettate, ogni lingua funziona a meraviglia sul piano intersoggettivo e in modo niente affatto casuale (oppure si potrebbe far l'esempio dei differenti sistemi di misurazione, "centimetri" vs "pollici", ma credo che ci siamo intesi ;) ).

Ben detto!  ;)
#258
Rispondo al messaggio di Carlo Pierini numero #32:


Citazione
Supponiamo che X (la "cosa in sé") sia il modello dinamico del Sistema Solare.

No, per Kant non puoi farlo, visto che il Sistema Solare è nel reame dei fenomeni o apparenze.

CitazioneEbbene, sia la teoria tolemaica (geocentrismo) che quella copernicano-kepleriana-newtoniana (eliocentrismo) erano entrambe "conoscenze di X viste da noi"; eppure con la teoria tolemaica noi non saremmo MAI stati in grado di inviare delle sonde su Marte, o intorno a Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone, o sulla cometa 67p, come invece siamo riusciti a fare sulla base di quella "conoscenza di X vista da noi" che chiamiamo teoria eliocentrica. Qual'è la differenza tra le due? Che la prima era essenzialmente FALSA, mentre la seconda era essenzialmente e DEFINITIVAMENTE VERA. Ormai, cioè, non ci sono più dubbi che i pianeti del Sistema Solare girano intorno al Sole e non intorno alla Terra.
Kant ha inteso la sua filosofia come una giustificazione della scienza. Ed, effettivamente, la scienza può semplicemente descrivere il mondo dei fenomeni, delle apparenze. Non c'è bisogno di postulare che la scienza descriva la "realtà in sé". Questo non significa essere "relativisti" perchè comunque si riescono a trovare (almeno approssimazioni di) verità intersoggettive, valide per diversi soggetti (visto che la struttura della nostra mente è simile).

CitazioneAllora, di fronte a una tale verità definitiva dell'eliocentrismo, che importanza ha il fatto che sia anch'esso una "X vista da noi"? NESSUNA, perché l'importante è la verità delle cose, non che essa sia vista da noi o da chiunque altro.
Ok! Però dal punto di vista intellettuale mi piacerebbe sapere con certezza se vedo "la realtà così come è" oppure se il come la vedo perchè la mia mente è strutturata in un certo modo. Ovvero: le cose come appaiono a noi sono la "realtà in sé"? Se la risposta è "no", quali sono le leggi della "realtà in sé"? Per avere una risposta sicura, credo che ci vorrebbe tipo un "risveglio" o una "conoscenza sovrumana", qualcosa che ci permette di sfondare i nostri limiti facendoceli comprendere "dall'esterno", per così dire. Molti ritengono che Kant abbia distrutto la metafisica. Rimango dell'idea che la metafisica sia possibile, ma dopo Kant è più difficile affermare di avere la "sicurezza" nella metafisica. Ma, personalmente, per ora mi accontento di speculare nell'incertezza  ;)

CitazioneE questa stessa riflessione può essere estesa alla totalità delle X della Scienza, le quali sono SEMPRE, inizialmente, poco più che delle X incognite, ma che col passare dei secoli, grazie all'osservazione metodica e alla verifica sperimentale, si vanno progressivamente avvicinando alla verità.
Insomma non esiste alcun motivo fondato per escludere a priori la conoscibilità delle "cose", visto che la conoscenza umana ha GIA' prodotto decine di migliaia di verità definitive sul mondo, e che questo processo evolutivo è ben lungi dall'essersi arrestato. L'evoluzione del sapere e della tecnologia che da esso discende non si fonda sulle chiacchiere, ma ESCLUSIVAMENTE sulle verità accertate. Non si costruisce una sonda spaziale o un semplice computer su opinioni filosofiche, ma su conoscenze assolutamente certe, altrimenti non funzionerà né l'una né l'altro.
La scienza ci può fornire (approssimazioni di) verità sul mondo fenomenico. Queste verità sono intersoggettive (valgono per vari soggetti). Se poi non c'è la realtà-così-come-è coincide con la realtà vista da noi, non si può esserne sicuri. Forse, per te, è così. Ma, personalmente non ne sarei così sicuro  ;)

Commento, ora, il messaggio #51 di Phil (è un "commento", non una vera e propria risposta diretta):


CitazioneChiedo: il "gioco filosofico" è trovare la prospettiva più bella, quella in cui più si bilanciano alla perfezione soggetto e oggetto, oppure cercare di capire come funziona davvero la conoscenza umana, accettando eventuali asimmetrie?
Vero!

CitazioneIn quella legge, come già accennavo, è centrale il soggetto: il soggetto definisce e identifica "F", "m" e "a", stabilisce la relazione fra loro e ne verifica la ripetibilità con esperimenti.
Non a caso, "F", "m" e "a" sono concetti, non cose... funzionano come chiave di lettura, ma non sono il libro (così come la percezione del fenomeno, non è il fenomeno, e il fenomeno della cosa, non è la cosa).

Qui mi permetto di fare una precisazione. Quanto stai dicendo secondo me è giusto, ma se lo si intende in un certo modo. "F", "m", "a" sono concetti che sono stati creati dall'uomo per descrivere l'esperienza (le "manifestazioni"/apparenze/fenomeni...). Quindi, in un certo senso sono relativi: sono stati creati da noi e sono stati creati da noi in un certo contesto. Tuttavia, ciascuno può verificare che questi concetti descrivono molto bene i fenomeni. Quindi ci è possibile arrivare ad approssimazioni di verità intersoggettive (la teoria di Einstein è "più vera" di quella di Newton ecc). Sull'errore di confondere il concetto di "convenzione" con quello di "totale arbirarietà" si fonda il grosso errore in cui sono cadute scuole di pensiero come il "relativismo estremo", "la filosofia di Protagora", "post-modernismo", "post-strutturalismo", "decostruzione" (Derrida), "iper-scetticismo" ecc. Siccome la scienza ci ha permesso di descrivere in modo estrememante accurato i nostri fenomeni e siccome ciò vale per tutti i soggetti, o è una sorta di "mega colpo di fortuna" oppure un motivo c'è. Ma se accettiamo che la teoria di Einstein è migliore di quella di Newton, dobbiamo ammettere che ci sono verità inter-soggettive. Quindi il soggetto conta fino ad un certo punto! Su questo si è ben espresso anche Eco, come ci ha fatto sapere @epicurus in questo post https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-verita-e-cio-che-si-dice/msg21746/#msg21746. Anche se la mia posizione su ciò è diversa, si veda https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/la-verita-e-cio-che-si-dice/msg21749/#msg21749.

CitazioneL'isomorfismo è una delle concezioni possibili della verità, ma non l'unica... provare a ponderare anche le altre può essere di giovamento.
Vero. Ma a volte potrebbe essere la concezione giusta di verità. Concordo sul fatto che bisgona avere una mente aperta su tutte!

CitazioneIl fenomeno non è oggetto empirico (ma percettivo), l'oggetto in sé invece si suppone lo sia (empirico). Entrambi sono elementi della conoscenza, ma con modalità nettamente differenti: il secondo è, come dicevo, solo postulabile, il primo è studiabile.

Sulla differenza fra "fenomeno" e "oggetto in sé", se non ti fidi di me (e fai bene ) puoi interrogare tanto la dottrina buddhista della percezione (duemila anni fa) quanto la citata fenomenologia husserliana (secolo scorso) e più in generale la storia della scienza mondiale, oppure (per far prima) qualche pagina di wikipedia.
Il che non significa che tu debba concordare con loro, ma certamente aiuta a chiarire come si intende tale differenza e, soprattutto, come mai ancora oggi non sia archiviata come mero sofisma (né dai filosofi, né dagli scienziati).
Totalmente d'accordo!
#259
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Luglio 2018, 20:29:18 PM
Andiamo al concreto, senza impiccarci con circonvoluzioni verbali.
Nella realtà fisica chiamiamo "cosa" (p. es.: "elettrone") una bella "X" incognita che desumiamo sia la CAUSA di un insieme di fenomeni - osservabili e misurabili - riconducibili ad essa. Pertanto la "cosa" e la "cosa in sé" si riferiscono entrambe a quella "X",  cioè, sono SINONIMI (l'"in sé" aggiunto alla "cosa" non è che una ridondanza verbale).
Domanda: si tratta di una "X" assolutamente e totalmente inconoscibile?
Risposta: se per "conoscenza" di una "cosa" intendiamo la conoscenza delle sue proprietà osservabili, allora quella "X" è *conoscibile*; se invece per "conoscenza" intendiamo l'ONNISCIENZA (cioè la conoscenza di TUTTE le sue proprietà), allora potremmo parlare di *inconoscibilità*, ma SOLO SE fossimo certi che il numero delle sue proprietà sia infinito. Tuttavia, questa certezza non ce l'abbiamo, quindi non si può escludere a-priori nemmeno l'onniscienza.
Ergo, è del tutto arbitrario sentenziare l'inconoscibilità della "cosa in sé"


@Carlo, grazie per la speigazione del tuo punto di vista!

Secondo me Kant ti direbbe (e qui in parte sono d'accordo) che si può distinguere tra "la X come la vedi tu" e la "X". Il punto è che noi possiamo vedere la X come la vediamo perchè la nostra mente è strutturata in un certo modo e quindi, in un certo senso, almeno una parte di quanto noi diciamo essere "conoscenza della X" in realtà è semplicemente "conoscenza della X vista da noi". A priori, quindi per conoscere "X" non abbiamo bisogno di conoscere tutte le proprietà che ascriviamo ad X (comprese le proprietà di "X vista da noi"). Quindi più che "onniscienza", la "X" verrebbe conosciuta con una "conoscenza vera".  

Dico di essere d'accordo "in parte" con Kant per due motivi. 1) per Kant noi non abbiamo la possibilità di vedere la "X" in modo diverso dal modo in cui la vediamo. Quindi noi vediamo sempre "la X come la vediamo noi".  Ovvero in linguaggio kantiano tramite le categorie dell'intelletto, lo spazio, il tempo e così via. Secondo me, invece, le categorie non sono così rigide. 2) secondo Kant non possiamo stabilire che la conoscenza della "X come la vediamo noi" ci può dare una conoscenza anche parziale della "X". Viceversa, secondo me il semplice fatto che possiamo parlare di "X come la vediamo noi" significa che una conoscenza parziale della X possiamo averla. Magari non possiamo avere la "conoscenza vera", ma almeno una conoscenza parziale sì.  


CitazioneIn altre parole, quella "X" è la "cosa in sé" compiuta, completa di TUTTE le sue proprietà conosciute e non ancora conosciute.
Il noumeno, invece, da almeno duemila anni, NON indica "X", NON indica la "cosa in sé", ma indica il modello METAFISICO di "X", della cosa (o della "cosa in sé), il suo archetipo, l'idea originaria che la esprime in TUTTA la sua compiutezza.
Questo significa che tra "noumeno" e "cosa in sé" non c'è IDENTITA', ma CORRISPONDENZA-COMPLEMENTARITA', come quella che esiste tra l'espressione METAFISICA (matematica) di una legge (p.es.: F=ma) e l'insieme dei fenomeni FISICI che quella legge governa.
Ergo, è illegittimo FONDERE (cioè, CON-FONDERE) una legge FISICA (che riguarda l'ordine con cui si relazionano delle grandezze fisiche) con la sua espressione METAFISICA (che riguarda l'ordine logico con cui si relazionano i numeri e i concetti).
Torniamo, cioè, alla dialettica spinoziano-platonica tra idea e cosa, che si sintetizza nel motto: <<Ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>.

Il punto è che le proprietà che noi ascriviamo alla "X" come dicevo prima potrebbero non essere della "X" ma solo della "X come la vediamo noi" e quindi l'onniscienza di cui parli sarebbe erronea perchè in linea di principio ascriverebbe delle proprietà della "X come la vediamo noi" alla "X" anche se la "X" non ha tali proprietà.
Sono d'accordo con l'idea che Kant non ha usato nel modo corretto la parola "noumeno".

Riguardo alla relazione tra fenomeni e leggi ho una opinione simile alla tua, credo (differisco però nel linguaggio usato e quindi forse c'è anche una differenza di idee - anche se indubbiamente ci sono analogie). In sostanza, secondo me, i fenomeni si "manifestano" (in realtà la parola stessa "fenomeno" significa "apparenza" nel senso di "cosa che si manifesta, che appare". Non significa necessariamente "illusione"). Questi fenomeni però si manifestano in un certo modo. Il "modo" è la "regolarità" o "legge". Siccome le regolarità non "appaiono" (almeno nello stesso senso in cui lo fanno i fenomeni), secondo le  regolarità sono l'aspetto "non manifesto" dei fenomeni.
#260
Rispondo alla risposta #9 di Carlo Pierini:

CitazioneCARLO
E' Kant, non io, che considera il "noumeno" - come "cosa in sé" - inconoscibile. Quindi è a lui che devi chiedere giustificazione di questa inconoscibilità, non a me.
Questo l'ho capito dal post di apertura  ;D  infatti ho cercato di dare una giustificazione a Kant. Nota che però 1) NON concordo con Kant su questa questione dell'incomprensibilità 2) non sono un esperto della filosofia kantiana (anche se, secondo me, ha i suoi lati positivi), quindile mie spiegazioni potrebbero non essere molto valide.


CitazioneCARLO
1 - Non si può usare un medesimo termine (noumeno) per riferirsi a due significati inconciliabili come quello platonico e quello kantiano. Quindi Kant avrebbe dovuto SOSTITUIRE il concetto di noumeno con quello di "cosa in se", invece di renderli SINONIMI.

2 - Se non possiamo conoscere il mondo sensibile, cos'altro possiamo conoscere?


1) su questo potrei darti ragione! purtroppo la filosofia è piena di cose del genere. Una simile critica è stata fatta da Schopenhauer (che per certi versi ha migliorato il kantismo, secondo la mia personalissima opinione). Ad ogni modo, ci sono alcuni studiosi che sono convinti che ci sia una sottile differenza tra i due termini nelle opere di Kant.

2) Penso che per Platone, l'unico oggetto di conoscenza fossero le Forme. Per Platone possiamo avere opinione sul mondo sensibile e vera conoscenza delle Forme. Per Platone quella che noi chiamiamo conoscenza è, in realtà, reminiscenza delle idee (anamnesis).

Citazione1 - Devi decidere: se mi dici, come hai fatto qualche riga fa, che <<il mondo sensibile non è conoscibile>> adesso non puoi dirmi che <<noi possiamo conoscere solo i fenomeni>>; che altro sarebbero i fenomeni, se non manifestazioni del mondo sensibile?

Chiedo scusa per la confusione. Per Platone non possiamo conoscere il mondo sensibile ma possiamo solo avere opinione di esso. Per Kant, possiamo conoscere i fenomeni e non la "X" della cosa-in-sé. Perchè? perchè la nostra mente organizza le sensazioni secondo le sue categorie. Per quanto mi riguarda, personalmente, ho un'opinione un po' diversa da entrambi. Come Kant ritengo che noi rappresentiamo le sensazioni attraverso le categorie (dunque, se le categorie cambiano, in linea di principio, la rappresentazione cambia). A differenza sua, però ritengo che la conoscenza della rappresentazione stessa sia solo parziale (i nostri concetti sono fissi e la nostra esperienza è mutevole, qui mi avvicino a Platone). Inoltre, Kant non spiega il motivo per cui sia possibile rappresentare una "X" indefinita attraverso le categorie. In fin dei conti, a priori, non c'è alcun motivo per cui ciò avvenga. Secondo me il motivo è che la "X" abbia una qualche "regolarità" e che quindi lo studio del mondo fenomenico ci fornisce anche una conoscenza parziale della "X" stessa. Riguardo alle Forme e alle categorie, secondo me sono più o meno la stessa cosa. E ritengo che esistano nella struttura della nostra mente (ovvero: che la nostra mente ha la caratteristica di "funzionare" in un certo modo). Su questo concordo (in parte) con Kant. Le Forme platoniche non esistono in un mondo "nell'iper-uranio" ma sono l'aspetto "formale" della nostra mente e delle cose (credo che Kant direbbe che sono l'aspetto "formale" della nostra mente e non delle cose).


Citazione2 - <<Conoscere i fenomeni secondo le categorie a-priori dell'intelletto>> è ciò che sostiene anche Platone, se per <<categorie a-priori>> si intendono le categorie del noumeno (i modelli archetipi a-priori, le idee platoniche) e per <<fenomeni>> si intendono le platoniche <<cose sensibili>>.  E non è un caso che il "platonico" Jung interpreti l'a-priori kantiano negli stessi termini:

"L'idea, in quanto astrazione, appare come un prodotto della funzione del pensare. [...] Ma considerata psicologicamente, essa esiste a priori come una possibilità, già data, di connessioni di pensieri in genere. Perciò l'idea nella sua essenza (non nella sua formulazione) è un'entità psicologica esistente a priori e determinante. In questo senso essa è per Platone l'immagine originaria delle cose, per Kant  «l'immagine originaria dell'uso dell'intelletto»".     [JUNG: Tipi psicologici - pg.485]

Insomma, dov'è la differenza tra le <<categorie a-priori>> di Kant e i modelli archetipi di Platone? E per quale motivo Kant avrebbe stabilito questa differenza?


Mi fermo qui, perché ogni discussione ulteriore creerebbe solo ulteriore confusione, se prima non chiariamo questi concetti-base

Credo che per Kant sono praticamente la stessa cosa. La differenza credo che stia "dove" risiedono per i due filosofi le categorie (o gli archetipi). Per Platone in un "altro mondo" di cui il mondo sensibile è un semplice riflesso. Per Kant, invece risiedono nella mente - più precisamente descrivono come "funziona" la nostra mente. Kant dunque ha voluto distinguere le categorie dalle forme platoniche perchè le forme, per Platone, dimorano nell'Iperuranio mentre le categorie rappresentano il modo in cui funziona la mente. Secondo me, la prospettiva di Kant è troppo riduttiva visto che non spiega come sia possibile che la mente riesca a dare una forma alle sensazioni seguendo le categorie. Sono dell'idea che tali proprietà siano anche l'aspetto "formale" delle cose. Per esempio, la matematica è certamente collegata alla nostra mente e anche al mondo naturale (lo sappiamo dal successo della fisica).  Studiare matematica significa capire le "regolarità" sia della nostra mente che della natura.  

Ho dichiarato di essere una sorta di "platonico" anche se, personalmente, non condivido il platonismo in toto. Il problema del platonismo è la teoria dell'anamnesis, ovvero che noi comprendiamo le Forme tramite il ricordo. Secondo me non stanno così le cose. Noi "comprendiamo" (in parte) le regolarità dei fenomeni e della nostra mente e le concettualizziamo secondo le categorie, gli archetipi e così via. Inoltre sostengo pure che queste regolarità siano "eterne" (o più precisamente indipendenti dal tempo). Anche se il mondo fenomenico è in continuo mutamento, il modo in cui muta rimane lo stesso ecc  credo inoltre che le regolarità abbiano un'ontologia positiva (ovvero che non sia una semplice proiezione del nostro intelletto). Quindi da questo punto di vista concordo con Platone (ovvero sul dare uno status ontologico positivo alle regolarità)! Per quanto riguarda l'etica invece, ritengo che descriva delle proprietà della nostra mente (es: quando si parla di "purezza della mente/cuore" ecc). Gli "archetipi" relativi all'etica sono ddescrizioni concettuali di queste proprietà della mente.
#261
Citazione di: Carlo Pierini il 30 Giugno 2018, 16:50:26 PM
Citazione di: Apeiron il 30 Giugno 2018, 10:53:17 AMP.S. Dissento totalmente dal giudizio negativo su Kant.

Lo so che dissenti, ma tutto ciò che hai scritto è un monologo che nemmeno sfiora il contenuto della mia critica.
@Carlo,

Capisco. Direi che nemmeno tu hai spiegato bene cosa critichi di Kant visto che non hai parlato del motivo per cui secondo Kant il noumeno sarebbe inconoscibile, fornendo una controargomentazione a riguardo. Certamente hai fatto una polemica ma non hai fatto una critica filosofica ben argomentata (o almeno così penso io)... per questo motivo ho fatto il "monologo", nel quale mi sembrava di essere rimasto in tema , spiegando quali sono (da quanto ho potuto capire io) le tesi di Kant:

Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PMIl "noumenon" platonico è l'idea originaria, eterna, divina, il modello metafisico della cosa creata.

Ok, su questo hai ragione.

Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM
In tal senso, la conoscenza di una cosa è un risalire al "noumenon" che la fonda, al suo paradigma o archetipo originario, che è ALTRO dalla cosa,
ma conoscibile, intelligibile, proprio in quanto "idea" commensurabile alle idee umane ordinarie.

In un certo senso questa è la soluzione di Platone visto che non ci è possibile davvero conoscere il mondo sensibile, non avendo veri oggetti di conoscenza.


Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM
Kant lo ha manipolato fondendolo con la cosa e ottenendo un aborto concettuale: "la cosa in sé", che non ha alcun significato, con il solo scopo di contrapporre dualisticamente "fenomeno" e "noumeno" e dichiarare il primo conoscibile, e il secondo (al pari del "Trascendente") assolutamente inconoscibile.

Nella mia risposta cercavo di spiegare perchè secondo Kant il noumeno non è conoscibile. Il motivo è che noi possiamo conoscere solo i fenomeni attraverso le categorie dell'intelletto, che sono a-priori. Ma parlare delle "cose-in-sé" utilizzando l'intelletto è, secondo Kant, errato perchè si "esce" dall'"isola" fenomenica, ovvero dal limite di applicabilità dei fenomeni.  Per esempio la causalità si applica al mondo fenomenico, visto che la causalità è una categoria dell'intelletto che "rappresenta" il mondo fenomenico. Il "noumeno" per Kant è semplicemente un concetto limite che nasce dal riconoscere che essendo la nostra mente una tabula rasa e quindi non può avere una conoscenza "immediata" delle cose.

ho anche io le mie reticenze su Kant (almeno il "Kant interpretato da me"). Per esempio ritengo che possiamo dire che le nostre "concettualizzazioni" del mondo fenomenico sono approssimazioni e quindi possiamo avere una conoscenza approssimata come ho detto altrove ;)  se non fosse così, secondo me, nemmeno le rappresentazioni stesse sarebbero possibili. Però il "noumeno" è in parte non conoscibile da una mente concettuale. Ma certamente possiamo averne una conoscenza approssimata. Per Kant, invece, le categorie dell'intelletto hanno la loro validità solo in ambito fenomenico. E per certi versi ha ragione... in fin dei conti possiamo veramente fare una ontologia "perfetta"?Possiamo veramente comprendere in toto la realtà con i nostri concetti e le nostre categorie o hanno un limite di validità (oltre al quale non possiamo dire se valgono ancora o no)? Un kantiano potrebbe dirti: puoi dimostrare che puoi usare le categorie dell'intelletto all'infuori del "mondo fenomenico"? O anche: puoi dimostrare che ragionamenti fatti utilizzando le categorie dell'intelletto all'infuori del "mondo fenomenico" non producano ragionamenti senza contenuto? Se sì quali sono i contenuti?

Ah, comunque personalmente ritengo che quelli che tu chiami archetipi, un filosofo (quasi-)kantiano potrebbe considerarli "forme a priori dell'intelletto", come ad esempio la matematica. In sostanza, questi "archetipi" non stanno in un mondo a parte ma sono da trovare nella struttura della nostra stessa mente.

Leggi anche il messaggio di @davidintro, col quale sono abbastanza d'accordo  ;)

Ora per qualche giorno non risponderò... Spero di averti dato una risposta che reputi "in tema"...
#262
Forse può aiutare anche considerare che:
1) Kant era sosteneva il "realismo empirico", ovvero che il mondo fenomenico è reale e che noi abbiamo conoscenza di esso. Questo lo distingue dall'idealismo Berkeleyano. Da questo Kant deduce che non ci può essere conoscenza senza un "datum" ("i pensieri senza contenuto sono vuoti; le intuizioni [sensazioni, il "datum"] senza concetti sono vuoti"). Dunque non ci può una nemmeno una metafisica tipica dei "Razionalisti" ovvero, visto che la conoscenza delle cose "reali" viene dall'esperienza (dal "datum") non possiamo utilizzare i concetti per descrivere "altro" (sarebbero pensieri senza contenuto). Kant però riconosce che ci sono varie porte di accesso per la nostra conoscenza: le sensazioni fisiche, il senso morale, del bello ecc. Faccio notare che qui Kant si distanzia però anche dal materialismo o dal realismo "naive" visto che in fin dei conti il datum sono le sensazioni e non le "cose". "Realismo" = "indipendente dalla mia esistenza soggettiva", "empirismo" = "immanente nell'esperienza"
2) Kant sostiene l' "idealismo trascendentale", ovvero che abbiamo un particolare modo di conoscere che dipende da noi. Quindi noi "rappresentiamo" le cose ad esempio con la categoria della causalità, nello spazio e nel tempo. Notare che queste "categorie" sono indipendenti dalla particolare esperienza ("trascendentale") e dipendono dall'esistenza soggettiva ("idealismo"). Berkeley era un "idealista empirico", ovvero riteneva che conosciamo gli oggetti della nostra esperienza i quali dipendono da noi. Differisce anche da Hegel visto che le sensazioni non nascono dalla coscienza. Le "idee trascendentali" sono quindi idee che condizionano a priori tutta la nostra esperienza. Quindi secondo Kant ci sono idee in campo conoscitivo come la causalità che noi a priori imponiamo sul modo in cui rappresentiamo l'esperienza. Oppure i postulati della Ragion pratica condizionano il nostro senso morale (ovviamente "Dio" non dipende dall'esistenza soggettiva secondo Kant però l'idea dell'esistenza di Dio sì).  

Non possiamo però conoscere le cose senza intuizione, quindi il "noumeno" ci è inaccessibile, visto che la nostra facoltà di conoscere si basa sull'esperienza e sulle categorie. Dunque, mentre noi conosciamo le sensazioni e le "categorie", non possiamo conoscere le cose indipendentemente dalle nostre categorie. Vorrei far notare però che per Kant il "noumeno" è un concetto limite, visto che per noi è impossibile conoscere le cose al di fuori delle nostre categorie. La nostra mente non è una "tabula rasa", ma ha una sua "struttura di base", la quale condiziona la nostra esperienza (ovvero noi rappresentiamo l'esperienza in un certo modo - es: l'esperienza fenomenica è sempre nello spazio e nel tempo). Inoltre, per Kant, non ci è possibile "mutare" questa struttura di base (o almeno una parte di essa).

P.S. Dissento totalmente dal giudizio negativo su Kant. Riguardo all'altrettanto negativo giudizio su Platone espresso da Diogene Laerzio, possiamo solo speculare. Ad ogni modo Platone fa dire a Socrate* che il filosofo ha il piacere di essere confutato quando tale confutazione porta dalla falsità alla verità. Quindi, almeno negli scritti non dice di sopprimere il dissenso, anzi. Che poi in vita sia stato incoerente, non si può dire. Può esserlo stato, visto che incoerenze e ipocrisie varie purtroppo sono difficilmente separabili dalla nostra natura umana  :( ad ogni modo anche se è vero che Aristotele ha lasciato la sua accademia fondando una sua scuola, Speusippo diventò il successore di Platone alla guida dell'Accademia pur non condividendo la teoria platonica delle Forme. Quindi, è difficile dire quanto Platone era consono a sopprimere il dissenso.  



*"A che genere di uomini appartengo? A quello di chi prova piacere nell'essere confutato, se dice cosa non vera, e nel confutare, se qualcuno non dice il vero, e che, senza dubbio, accetta d'esser confutato con un piacere non minore di quello che prova confutando. Infatti, io ritengo che l'esser confutati sia un bene maggiore, nel senso che è meglio essere liberati dal male più grande piuttosto che liberarne altri. Niente, difatti, è per l'uomo un male tanto grande quanto una falsa opinione sulle questioni di cui ora stiamo discutendo. Se dunque anche tu sostieni di essere un uomo di questo genere, discutiamo pure; altrimenti, se credi sia meglio smettere, lasciamo perdere e chiudiamo il discorso." (Platone, Gorgia)
#263
Citazione di: epicurus il 20 Giugno 2018, 12:34:52 PMIncollo qui di seguito un pezzo di un saggio di Eco: "Di un realismo negativo". Non solo ci permette di capire esattamente la posizione di Eco, ma lo trovo interessante ai fini generali di questa discussione.

Grazie mille epicurus per aver condiviso questo scritto, davvero interessante  8)



Comunque, se posso fare un breve commento all'idea del "realismo negativo"... ebbene è un'ottima tesi per restare "scettici" senza cadere in alcune versioni di "post-modernismo", "relativismo", "pensiero debole" ecc.  Inoltre mi sembra un'ottima argomentazione contro la teoria della coerenza della verità almeno in alcune sue forme, ovvero che la verità di una proposizione vera consiste nella coerenza con un insieme di un specifico insieme di proposizioni.



Tuttavia, mi pare una prospettiva piuttosto incompleta, almeno per chi cerca di "comprendere" la realtà.


In sostanza, come "confessione della propria ignoranza" è un'ottima prospettiva e molto rispettabile. Tuttavia non offre, a sua volta, spiegazioni sul perchè:
1) certe prospettive sono, effettivamente, false ("Ma se l'interpreto come vera porta aperta [n.d.r. anziché disegnata] e cerco di attraversarla, batto il naso contro il muro...");
2) non spiega perchè il "relativismo" è falso (o più precisamente: semplicemente utilizza il criterio empirico per falsificarlo. Ma non da una spiegazione soddisfacente in proposito - in sostanza è come dire: "è falso ma non saprei dirti il motivo");

3) certe prospettive sono "migliori" di altre (interpretare la porta aperta come semplice disegno su un muro).


Quindi come "critica" sia contro varie forme di "relativismo" che contro varie forme di "dogmatismo", il relativismo negativo è molto buono. Ma, personalmente, mi sembra una prospettiva troppo "pessimista". Personalmente ritengo che, per lo meno, le nostre "prospettive migliori" siano tali perchè sono in qualche modo un'approssimazione "della realtà" (e almeno dal punto di vista teorico, è possibile pensare ad una prospettiva che conosca la realtà in modo inerrante). Ritengo, quindi, che ci è possibile avere almeno una conoscenza parziale "delle cose" utilizzando la nostra mente concettuale ("parziale" e quindi parzialmente erronea - ma anche parzialmente veridica).



Per usare un esempio della fisica: non credo che la fisica, per ora, ci abbia fatto capire solamente che, ad esempio, la meccanica newtoniana non è una accurata descrizione "della realtà". Personalmente, ritengo invece che la fisica ci abbia fatto capire che le teorie più recenti sono migliori approssimazioni "della realtà" (così come la meccanica newtoniana è ancora un'ottima approssimazione). In sostanza, un semplice "realismo negativo" mi sembra molto incompleto! Tuttavia, è una prospettiva che rispetto  ;)



Detto ciò. Torno nel mio silenzio.  ;D  



P.S.
Colgo l'occasione per chiedere scusa per aver interrotto così bruscamente la mia partecipazione alle discussioni forumistiche.  Purtroppo, in questo periodo non riesco a trovare il tempo per mettermi a discutere seriamente.
#264
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
27 Maggio 2018, 10:47:43 AM
Citazione di: sgiombo il 27 Maggio 2018, 08:08:04 AM
Aggiungo che comunque ne caso della non località quantistica (anche e in particolare nel contesto del determinismo "a la Bohm") non v' é alcuna retrocausazione.

Mi spiace deluderti, ma non è così!

Si dimostra che in relatività se la trasmissione deisegnali potesse superare la velocità della luce allora in alcuni riferimenti, l'effetto potrebbe essere precedente alla causa.
[Con Bohm parliamo di trasmissione istantanea, tra l'altro... ad ogni modo se tale trasmissione superluminale non fosse un problema, allora la teoria classica della gravità sarebbe perfettamente compatibile con la relatività e non ci sarebbe stato alcun bisogno, volendo, di introdurre la relatività generale (per lo meno, prima delle prove sperimentali che hanno falsificato la teoria newtoniana come, ad esempio l'esperimento di Eddington...)]

Esempio: Alice manda un tachione a Bob. Per Alice e per Bob "l'invio" precede "la ricezione". Volendo anche nel riferimento del tachione succede lo stesso. Però si dimostra che esistono riferimenti in cui "la ricezione" (effetto) precede l'invio (causa).

Il link http://www.physicsmatt.com/blog/2016/8/25/why-ftl-implies-time-travel lo spiega in modo molto chiaro. Sfortunatamente è in inglese. Non sono riuscito a trovare spiegazioni così chiare in italiano, purtroppo. Detto ciò, fare una dimostrazione della cosa su questo Forum è troppo difficile per motivi tecnici. https://www.matematicamente.it/forum/ Questo forum potrebbe essere d'aiuto per una dimostrazione matematica.  ;)



Una via d'uscita c'è, comunque. Se assumi l'esistenza di un riferimento privilegiato, come nella teoria dell'Etere di Lorentz, non hai problemi.
#265
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
26 Maggio 2018, 16:03:44 PM
@sgiombo,

in pratica se tu mi mandi un tachione (particella più veloce della luce) nel tuo riferimento dici che la mia ricezione è avvenuta dopo la partenza della particella (non ho mai negato questo...). Lo stesso potrà essere detto da me. Ma questo potrebbe non è vero per tutti i possibili osservatori. Per alcuni, invece, l'ordine dei due eventi si inverte. La relatività per come è formulata oggi, invece, direbbe che in ogni riferimento l'evento "ricevimento" deve essere successivo a quello "partenza". Sfortunatamente per velocità superluminali questo non è più vero!
#266
Tematiche Filosofiche / Re:Matematica e realta’.
26 Maggio 2018, 15:56:44 PM
Sì @iano, hai ragione, in effetti! Ed è per questo che io ho distinto due alternative:
1) ci sono piani ontologici diversi;
2) ci sono piani epistemologici diversi (ovvero diversi livelli di comprensione);
Il secondo caso, in pratica, è quello che preferisci tu e che preferiscono anche molti buddhisti (e in parte, anche io in verità - infatti se ci fai caso, non ho detto che secondo me la matematica così come è "è reale" come direbbe Platone...). In sostanza secondo quest'ottica, per esempio, la realtà non ha diversi "livelli". Secondo molti buddhisti, per esempio, il nostro "stato" attuale è caratterizzato da "avijja", parola traducibile con "ignoranza". A causa di "avijja" vediamo la permanenza dove non c'è, il "sé" dove non c'è ecc. Ciononostante gli stessi buddhisti dicono che c'è una "verità convenzionale". Ovvero, utilizzando la tua metafora delle lenti (molto Kantiana!), anche rimanendo "ignoranti" possiamo fare delle descrizioni della "realtà" che sono "più veritiere" di altre. Per esempio, uno che dice che prendendo a pugni il muro ti fai male dice una cosa "più veritiera" di un altro che dice che non sentirai niente (non ci vuole questa grande illuminazione per dirlo). Ciononostante il nostro "stato" è quello di essere "oscurati" da una sorta di filtro che non ci permette di vedere "le cose come realmente sono" (Pali: yathabutham). In sostanza finché abbiamo questo filtro la nostra conoscenza è imperfetta, distorta. Tuttavia ciò non toglie che possiamo avere una conoscenza approssimata e quindi in parte veritiera! In parte, almeno, sono d'accordo con loro (e con te!). Noi siamo in uno stato di "conoscenza distorta", ben distanti dal "vedere la realtà così come è" senza un "mezzo", una "lente" come dici tu.

D'altro canto, anche se la nostra conoscenza è imperfetta ciò non toglie che possiamo progredire. E qui appunto arriva il platonismo. Per esempio: vediamo che possiamo utilizzare la matematica per studiare la natura anche se in realtà sembra solo un artificio della nostra mente. Ma se la matematica fosse totalmente riducibile alla nostra mente come fa a funzionare così bene nello studio dei fenomeni naturali? E viceversa, se fosse riducibile alle regolarità materiali perchè, invece, la matematica sembra così staccata dall'esperienza? Ovviamente, anche qui ci sono diverse soluzioni. 1) Se non possiamo ridurre la matematica né al nostro "mondo mentale" né a quello "materiale" allora ci deve essere un altro "dominio" che non è incluso in nessuno dei due. Questo è il platonismo. Ma il platonismo non spiega, invero, perchè ad esempio la materia segue tali "regolarità".2)  Oppure possiamo pensare che sì la matematica è "reale" ma è, per così dire, la regolarità stessa della materia e della nostra mente (o più precisamente la matematica nasce dal nostro tentativo di concettualizzare tale regolarità). 3)  Oppure la matematica è semplicemente la natura della mente e il mondo materiale è regolare perchè, in realtà, è "mentale", per così dire una proiezione delle nostre menti (o di una mente più grande?). 4) Viceversa con la materia 5) Oppure il nostro mondo è una creazione di una Divinità ed è stato creato "regolare". Come vedi ci sono molte alternative.

La tua "soluzione" è simile alla (2). In pratica al meglio possiamo solo fare approssimazioni ma finché la nostra conoscenza è "oscurata" da determinati filtri non possiamo dire nulla di "vero" nel senso pieno del termine ma solo qualcosa di approssimativo, di "veri-simile". Platone (e Penrose seppur in modi diversi) invece è il tipico esponente delle (1): noi possiamo conoscere l'iper-uranio e il mondo materiale è una sorta di copia movimentata dell'iper-uranio.  Personalmente forse sono tra la "1" e la "2" attualmente: secondo me siamo certamente limitati ma non è detto che la nostra conoscenza sia completamente distorta. In sostanza il solo fatto che abbiamo delle lenti non significa che tali lenti ci portino, necessariamente, a solo una conoscenza "vero-simile". Infatti mentre per la "2" il fatto di avere una lente ci porta a una "errata visione" perchè abbiamo una lente (in sostanza sbagliamo perchè partiamo da un presupposto) ovvero sbagliamo perchè partiamo da assiomi di una certa natura, secondo me a volte l'avere una lente non necessariamente porta ad una conoscenza distorta.
In altri termini: per chi sostiene la "2" la vera conoscenza la si ottiene rimuovendo ogni "lente". Per la "1" invece le lenti danno una corretta visione delle cose. Secondo me, invece, "1" e "2" sono per così dire entrambe vere. Il fatto di avere delle lenti non ci da necessariamente una visione distorta, ma ci fa apprezzare livelli diversi di realtà. A livello ultimo, però, effettivamente la "conoscenza diretta della natura delle cose" la si ottiene, appunto, senza lenti. @epicurus in realtà mi diceva proprio questo in un dialogo che abbiamo avuto - è interessante vedere che, effettivamente, siamo più in accordo di quanto pensavo. La differenza, forse, è che io accetto che ci sia una gerarchia tra le varie "conoscenze".

Secondo me è innegabile la Regolarità delle cose. Senza lenti, volendo, dovremo vederla direttamente. Con le lenti, invece, vediamo una sua immagine "tradotta" a seconda di come è fatta la lente. Se noi esseri umani possediamo tutti le stesse lenti (o almeno alcune di esse sono uguali per tutti) è possibile parlare di realtà condivisa. Dunque, la particolare "lente" matematica produce verità per tutti noi. Più precisamente, noi abbiamo una lente che ci fa "vedere" la matematica come la vediamo noi non appena indaghiamo la regolarità dei fenomeni. Questo ci permette, per esempio, di stabilire che alcune descrizioni delle cose sono migliori delle altre.

Ma questo, effettivamente, ci porta ad un'altra questione: è possibile rimuovere la nostra stessa lente come dicono alcuni buddhisti?  Ad esempio Kant ha fatto lo stesso esempio ma a differenza tua e dei buddhisti, secondo lui, rimuovere la lente (l'io e le sue categorie) era impossibile (credo...). In tal caso, non ha nemmeno più senso parlare di "visione senza le lenti" e a questo punto torniamo ad essere molto vicini alla posizione "2": ovvero che la nostra lente che non possiamo togliere ci mostra che la regolarità dei fenomeni materiali e mentali è, invece, matematica. Questo permette di distinguere due livelli di realtà: quello fenomenico che è appunto formato da mente e materia. E quello "delle regolarità" (e aggiungo io dei valori etici, dei "giudizi" estetici ecc), il quale non è "altrove" come diceva Platone, ma è, per così dire, parte della natura dei fenomeni stessi. Oppure possiamo pensare che non possiamo rimuovere tutte le lenti ma possiamo migliorarne la qualità. In sostanza in questo caso la conoscenza "perfetta" non la otteniamo rimuovendo tutte le lenti ma prendendo quella "giusta". Entrambe queste prospettive mi affascinanano molto, in realtà! Ma finché abbiamo la lente che abbiamo secondo me è giusto dire che la matematica in un certo senso è "reale" e in un certo senso non lo è  ;)

Come vedi sul "mercato" ci sono varie soluzione, basta che si accetta che ci possano essere divessi livelli ontologici e/o epistemologici.
#267
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
26 Maggio 2018, 13:04:48 PM
Ciao @Il_Dubbio,


CitazioneLa risposta che ho ricevuto è che la m.q. non fa distinzioni. Ma allora in che senso continuano ad essere entangled se non possiamo distingure il comportamento?

In realtà, è stato proprio l'esperimento di Aspect a confermare la predizione di Bell che a sua volta ha confermato l'esistenza effettiva delle correlazioni.  Non capisco, sinceramente, questa tua affermazione. Le particelle entangled hanno un comportamento "diverso" dalle altre, altrimenti non avrebbe senso tutta la questione!

Ciao @sgiombo,

ci sono vari punti nella tua risposta, cerco di rispondere a tutti anche se su certe cose ormai sono pessimista sul fatto che possiamo arrivare ad una reciproca comprensione (non lo dico con intenzioni "malvage"). Se anche stavolta la discussione si inceppa su quei punti non credo di proseguire, visto che ormai sto ripetendo esattamente le stesse cose da tempo. Provo a dirle con la massima chiarezza possibile, comunque.

1) correlazioni nell'interpretazione di Bohr: sì, hai ragione. Certe volte mi sorprende l'ostinazione di alcuni fisici a dire che "tutto va bene" con l'interpretazione di Bohr e che non è non-locale. Ti dico come la vedo io: alcuni semplicemente non vogliono domandarsi queste cose e preferiscono ignorare il problema, visto che "tutto funziona". Ciononostante, vedevi Bohr che letteralmente si disperava su queste questioni, come d'altronde lo facevano un po' tutti a quei tempi. Oggi si fa finta che tutto sia risolto. In realtà, no. Comunque, l'incoerenza tra relatività e meccanica quantistica la si ha quando, effettivamente, si conclude che la meccanica quantistica implica la trasmissione di "segnali" come, in ultima analisi, succedeva con Newton. Tuttavia, se non accettiamo più che le particelle sono puntiformi, hanno una posizione ben definita ecc a questo punto l'influenza è difficile che possa essere spiegata allo stesso modo con cui si spiega l'influenza causale nella relatività. Forse è un altro tipo di "influenza causale" che è compatibile con la relatività (che vieta ogni influenza "classica"). Come vedi sto speculando. Non so dirti una risposta certa, anche perchè stando all'interpretazione che stiamo discutendo il "mondo quantistico" è ben diverso da quello classico.

2) causalità, evoluzione, falsificazionismo ecc: qui sta l'incomprensione fra noi due. Quello che volevo dire io è che nel determinismo normale, se si accetta la realtà delle interazioni "locali" ci sono due livelli di evoluzione dei fenomeni. Il primo è quello dell'evoluzione generale dell'universo: date le condizioni ad un certo istante, l'evoluzione successiva è completamente determinata. Se si accetta solo tale livello, in realtà, si potrebbe benissimo fare a meno del concetto stesso di causalità, visto che in realtà si può semplicemente pensare che gli "enti" non interagiscono nemmeno tra di loro. Affermare che la mela cade perchè la Terra interagisce in un certo modo con essa è semplicemente senza senso in questo caso, visto che, in realtà, c'è solo un'evoluzione "cinematica" senza "dinamica". In questo caso forze, interazioni tra i vari oggetti ecc sono finzioni convenienti. Tutto può essere spiegato con una semplice evoluzione "cinematica". Viceversa se io introduco l'esistenza di interazioni ecc allora introduco nella mia ontologia qualcosa in più. A questo punto, invece, posso dire che la mela e la Terra interagiscono tra di loro.  Quindi la domanda che ci deve porre è: c'è un motivo per cui la mela cade oppure è semplicemente l'evoluzione dei fenomeni? C'è una dinamica o no? Idem con t'Hooft e Bohm. T'Hooft dice che Alice e Bob vedono quei risultati perchè "così si evolve l'universo", mentre Bohm dice che Alice e Bob vedono quello che vedono perchè c'è stata un'influenza tra le particelle. Sinceramente, non riesco a spiegarmi meglio di così. Il fatto che due spiegazioni siano empiricamente indistinguibili non significa che siano effettivamente la stessa spiegazione. Volendo, potevo - seguendo l'idea "meccanicistica" del '600/'700 - dire che due cariche elettriche non si muovono per una presenza di un'interazione tra di loro, ma lo fanno perchè così l'universo si sta evolvendo. In realtà ci vollero decenni per verificare che due cariche interagiscono a causa di un'interazione. Volendo, potevo semplicemente descrivere solo la cinematica.

Detto ciò sulla "causa ultima". Effettivamente ho fatto un po' di confusione tra "causalità" e "evoluzione". La causalità è dinamica e l'evoluzione non necessariamente. Ad ogni modo, se accettiamo la causalità (e il determinismo) allora il nostro stato odierno ha avuto come causa "ultima" il Big Bang. Se non accettiamo la causalità, invece diremo che è la condizione iniziale. Se non c'è un inizio, non si può parlare ovviamente né di causa prima né, strettamente parlando, di condizione iniziale, visto che, in fin dei conti non c'è.

Retrocausalità: no, la retrocausalità per alcuni riferimenti è presente se l'interazione avviene a velocità superluminali. Ricorda che l'attuale formulazione della relatività sostiene che la struttura causale dei fenomeni deve essere la stessa in ogni riferimento: se per esempio confronto due eventi nel mio cono luce passato e uno precede l'altro (per esempio la mia nascita e il mio risveglio di stamattina), allora in ogni riferimento, con la formulazione attuale, tale ordine è rispettato. Se l'informazione potesse propagarsi più velocemente della luce allora tale ordine non sarebbe più rispettato in tutti i sistemi di riferimento. In sostanza se accetti la teoria della relatività e la non-località allora devi violare la "causalità", ovvero appunto il rispetto di questo ordine di eventi. E questo implica tra le altre cose che può esserci la retrocausalità (in fin dei conti ci sarebbero die riferimenti nei quali il "mio risveglio di stamane" avviene prima della "mia nascita". Una particella solidale a tale riferimento sarebbe un tachione e andrebbe all'indietro nel tempo nel nostro riferimento, nel "suo" invece va "avanti" nel tempo. Ovviamente, direi, che non è l'universo in cui siamo noi...). Ci sono possibili soluzioni per questo tipo di problemi, come l'introduzione del riferimento privilegiato come nella teoria dell'etere di Lorentz. Come vedi anche la teoria Bohmiana ha i suoi problemi!

https://it.wikipedia.org/wiki/Viaggio_nel_tempo#Sopra_la_velocit%C3%A0_della_luce purtroppo in italiano non c'è molto. In inglese c'è molto di più , vedi ad esempio questo http://www.physicsmatt.com/blog/2016/8/25/why-ftl-implies-time-travel
#268
Tematiche Filosofiche / Re:Matematica e realta’.
26 Maggio 2018, 00:12:13 AM
Citazione di: iano il 24 Maggio 2018, 06:10:33 AM
All'inizio di questa storia il rapporto fra matematica e realtà che sperimentiamo è di tipo utilitario ed è forte.
Non solo i numeri ammessi sono quelli che aiutano a descrivere la realtà, ma non si pensa nemmeno possano esisterne altri.
All'inizio di questa storia quindi nella testa dell'uomo matematica e realtà sono ben fusi , come uno l'immagine dell'altro.
Posso rappresentare un numero con un asta e viceversa , in un rapporto di precisa reciprocità.
Poi i greci scoprono che le cose non sono così perfettamente reciproche e nasce il concetto moderno di numero potenzialmente svincolato dalla realtà che sperimentiamo , e questo per chi mastica matematica è ormai un fatto acquisito,ma......
... da cosa era nata allora l'illusione di questa perfetta reciprocità , dove si poteva rappresentare un'asta con un numero e un numero con un asta ?
Ciao @Iano ed @epicurus!

Il tema della corrispondenza tra matematica e realtà è molto complesso ed è necessario affrontarlo con cautela. Nel mondo occidentale già i presocratici avevano l'idea che i fenomeni seguissero una certa regolarità. La filosofia per loro mirava alla comprensione/conoscenza ("nòon"/"sophia"). Sicuramente lo era già per Eraclito. Questo filosofo parlava di misura ("metron"), razionalità ("logos") e ordine ("kosmos") della natura che la sua filosofia cercava di far comprendere. Il suo rivale, Pitagora, molto probabilmente aveva legato le leggi della natura e i ritmi musicali. Anche qui matematica. Ma probabilmente già Talete, Anassimandro e Anassimene avevano già un'idea di "ordine cosmico". Dopo arrivò Platone nel quale ,secondo me, c'è la ragione per cui in occidente è nato il metodo scientifico e non altrove. Già, perchè anche in India e in Cina c'erano idee simili a quelle greche (ah ovviamente la presenza del Logos nel Cristianesimo...), ma nessuno come Platone ebbe l'idea che probabilmente non solo la natura è regolare ma addirittura gli stessi concetti matematici precedono i fenomeni! Platone ideò la dottrina delle Forme (eidos) per la quale il nostro mondo è una "immagine mobile" (e imperfetta) di quell'altro mondo perfetto. La matematica, per Platone, aveva in pratica una natura quasi religiosa. In genere moltissimi pensatori antichi (e non solo greci!) avevano l'idea che la filosofia era legata alla comprensione dell'"ordine" della natura e che questa comprensione poteva portare alla "sapienza", una conoscenza qualitativamente diversa da quella che si apprende normalmente. Ma solo Platone (e i suoi sostenitori) fece la proposta coraggiosa di dire che quell'ordine non è "la natura delle cose", bensì è "da un'altra parte" - posizione che sembra assurda finché pensiamo che le verità matematiche esistono allo stesso modo della materia. Tuttavia se cominciamo ad ammettere che forse ci sono più significati - magari connessi - della parola "realtà", la cosa cambia. Questa idea di Platone così radicali, speiga secondo me, il motivo per cui la scienza è nata in Occidente proprio quando è stato riscoperto il Platonismo nel rinascimento, anche se ora le "forme matematiche" risiedevano eternamente nella mente Divina. Keplero addirittura pensava che l'universo era strutturato come i solidi descritti nel Timeo, i solidi Platonici. Per Galileo:
"La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l'universo, ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto"
In un certo senso, come dice @epicurus è un linguaggio. Ma dire che è un linguaggio, secondo me, spiega pochissimo. Anzi, quasi niente. Perchè infatti una creazione della mente umana dovrebbe descrivere la natura, si chiederà Einstein? E perchè numeri complessi, tecniche matematiche stranissime funzionano? Perchè concetti apparentmente inutili e astrusi si sono rivelati importantissimi per la fisica? Queste sono le domande che ci dobbiamo porre. Sarà pure un linguaggio, ma la matematica è un linguaggio che:
1) sembra contenere verità che sono indipendenti dal tempo;
2) descrive in modo sbalorditivo la natura;
3) si può volendo pensare che ci sia una parte convenzionale nel linguaggio matematico. Ma come possiamo dire che tutto è convenzionale?

In sostanza la stessa regolarità della realtà che gli antichi cercavano di "afferrare" oggi ci è ancora ignota perchè d'altronde non sappiamo cosa sia. Ma la matematica è reale? Personalmente mi ritengo un "realista" in ambito matematico che, addirittura, protende verso il platonismo. Realismo perchè semplicemente la matematica è lo studio della regolarità della nostra mente, della natura ecc e chiaramente anche se ci possono essere aspetti convenzionali, è difficile pensare che le regolarità siano convenzionali (anzi per me è completamente sbagliato). Ma la "fissità" della matematica, la sua indipendenza dal tempo mi fa pensare che non solo "è reale" ma anche che forse in un certo senso "esiste" in modo separato dal mondo fenomenico. Ma anche qui una simile affermazione ha senso se accettiamo che ci possano essere differenti livelli di realtà e/o di comprensione "delle cose". Altrimenti, ovviamente, se diciamo che la sedia "esiste", non possiamo dire che una verità matematica "esiste" se con la parola "esiste" intendiamo il come esiste la sedia. Credo che sia utile pensare a livelli, a gradazioni. Altrimenti si rimane nella dicotomia tra "realismo diretto" e "antirealismo". Personalmente ritengo che il legame matematica-realtà è molto stretto. Tramite la matematica comprendiamo molte strutture insite nei fenomeni e quindi la matematica non è riducibile ad un semplice linguaggio umano. Ma la matematica è anche collegata alla razionalità, al logos. Dunque anche alla natura della nostra mente! Forse è il punto di connessione tra il mondo mentale e quello materiale, come tra l'altro Penrose, se non erro, suggerisce. Quello che semmai non accetto del platonismo è che le verità matematiche in qualche modo creino la matematica (ciononostante per Tegmark, la realtà è matematica.... ogni struttura matematica è realizzata fisicamente).

Dunque forse @iano la chiave per riuscire a non cadere in un realismo ingenuo o in un antirealismo (secondo me altrettanto ingenuo, se non di più  ;) ) è quello di ammettere una posizione intermedia. Purtroppo di recente non molti pensano che ci possono essere differenti livelli di realtà e/o di comprensione. E quindi il dibattito si polarizza tra chi crede che sia "invenzione" e chi crede che sia "scoperta" (lo stesso vale anche per altre discipline oltre la matematica, come l'etica...). Secondo me, se non si ammette una via di mezzo non se ne esce. Entrambi gli estremi hanno per certi versi ragione e per certi versi torto. Nessuno dei due però riesce a dare la chiave del mistero. Oggi va più di moda l'antirealismo, ma personalmente preferisco di gran lunga il realismo ingenuo. Perchè, in fin dei conti, le regolarità (kosmoi) sonno qualcosa di innegabile e indiepndente dalle convenzioni umane.

E se in meccanica quantistica la funzione d'onda fosse in una posizione intermedia tra realtà e irrealtà? Dopotutto Heisenberg paragonava le particelle quantistiche alle Forme platoniche.

Poi come capirono Pitagora e Platone, le proporzioni, le regolarità, l'ordine, i ritmi ecc sono alla base anche del bello, dell'estetica! La bellezza della matematica e delle regolarità... Direi che è difficile che così tante cose siano connesse ad un qualcosa che semplicemente non è reale ;)
#269
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
23 Maggio 2018, 23:16:16 PM
Risposta a Il_Dubbio...

lasciami chiarire un paio di cose. Primo: la correlazione "in potenza" a cui mi riferivo è dovuta a come è impostata la teoria di Bohr. Bohr non accetta che si possa parlare in modo sensato di "posizione" all'infuori della misura, quindi dire che le posizioni sono correlate è errato. Ciononostante le particelle sono correlate. In sostanza "non è un caso" che due particelle siano entangled: per esempio possono essere entangled due particelle prodotte durante un decadimento. In questo caso se la particella P decade in P1 e in P2 (due particelle) queste due sono entangled. Visto che sono entangled, sappiamo che i risultati di potenziali misure saranno "correlati". Se pensiamo allo spin (supponendo che possa avere solo due valori) mentre per due particelle indipendenti abbiamo quattro possibili coppie di risultati sperimentali ciascuna con il 25% di probabilità di verificarsi, nel caso di due particelle entangled le coppie di risultati sono due. In sostanza è come se le particelle "si ricordassero" della loro comune origine e che questo "ricordo" facesse in modo che i risultati delle misure sono a loro volta correlati.
Quindi è bene precisare che ci sono, effettivamente due "correlazioni": una è tra le particelle (questa è in atto), l'altra è quella potenziale (che può attualizzarsi o meno) tra i risultati della misura (ovvero la correlazione tra i risultati è potenziale). Ma, come ben dici, perchè ciò succede? Qual è la ragione per cui ciò avviene?


CitazioneOppure diciamo: la scienza non vuole spiegare perche non sa spiegare. A me questo risvolto piace di piu che una soluzione che si priva di una soluzione.
 
Beh, direi che è così! In fin dei conti se seguiamo Bohr, noi studiamo i sistemi quantistici con i concetti classici. E i concetti classici non sono validi all'infuori della misura. Ergo, la teoria di Bohr ammette, per così dire, la propria ignoranza. Tuttavia è chiaro che non essendo le proprietà reali se non all'atto della misura, l'entanglement non può essere spiegato come scambio di informazione.

Secondo: la probabilità. Vorrei fare una precisazione. Nel caso di Bohr il probabilismo è intrinseco. Quindi non è la stessa cosa di misurare la probabilità del lancio di un dado. Su questo credo che concordiamo. In questo caso, intrinsecamente il risultato sarà probabilistico e quindi mi aspetto che, ad esempio, per "come vanno le cose" quando effettuo la misura (nell'esempio di prima) ottengo uno dei due risultati col 50% della probabilità. Viceversa, nel caso di Bohm tale "probabilità" è spiegata esattamente come il caso del lancio dei dadi (ovvero nel secondo caso).

Spero di aver chiarito meglio la questione delle correlazioni. C'è una correlazione "in atto" tra le particelle e una correlazione in potenza tra i risultati delle misure  :) 



Risposta a @iano,

Riguardo a Penrose non dare troppa importanza a quanto dico. Lui è uno dei massimi esperti in relatività generale, quindi sicuramente avrà trovato una soluzione al paradosso (soluzione che avrà i suoi svantaggi).  Comunque se è il mattone che penso (La strada che porta alla realtà), è un eccellente libro di fisica ma è troppo tecnico (così mi hanno detto, per lo meno, visto che io ho avuto la sfortuna e fortuna al tempo stesso di leggere solo qualche pagina...).

Non voglio spegnere il tuo entusiasmo ma se la "trasmissione" o il collasso sono a tempo nullo, ciò è equivalente alla trasmissione a velocità infinita, cosa che è esattamente la non-località. Perciò anche ammettere lo scenario che dici tu non credo che risolverebbe la situazione.

Riguardo alla realtà della funzione d'onda. Se la funzione d'onda è reale per un recente teorema (PBR theorem), sembra che ad essa corrispondono proprietà equamente reali. Se ciò è vero, allora si deve accettare nuovamente la non-località. Se non accetti il "realismo", invece, puoi "salvarti" dicendo che, in realtà, le "particelle quantistiche" non sono né onde né particelle, non hanno posizione, non hanno velocità ecc ma vengono viste come particelle, onde ecc al momento preciso della misura.

Su quanto dici dell'osservazione, sono d'accordo con te. L'osservatore "esterno" è un'astrazione, così come è un'astrazione la particella libera. Come ben dici tu siamo dentro al mondo. Non siamo davvero "separati" da ciò che ci circonda. Ma ahimé, se vogliamo studiare la natura siamo costretti ad usare concetti e i concetti si basano sulla capacità di distinguere, di separare. E di astrarre (ovviamente il "non-dualismo" punta proprio in questa direzione: noi non siamo "distinti" dal resto delel cose. Ma il "non-dualismo" non è formulabile in modo matematico  ;D ).

Risposta a @sgiombo,

sul fatto della non-distinguibilità empirica siamo d'accordo, credo. Quello che volevo dire io è quanto segue. Ci provo in un modo diverso  ;)



Supponiamo di vivere in un universo deterministico, iniziato col Big Bang. Se il determinismo è vero, ogni cosa succede per necessità. Dunque se una mela cade dall'albero possiamo dire che la sua "causa ultima" è la condizione iniziale al Big Bang. Se invece non c'è stato un inizio del tempo, ma l'esistenza non ha inizio (come forse i modelli ciclici suggeriscono) allora tale "causa ultima" non c'è nemmeno. Ad ogni modo, la caduta della mela è parte di un processo molto esteso nel tempo e quindi dire che la Gravità terrestre è la "vera causa" della caduta della mela è una verità parziale. La gravità può essere pensata come la "causa prossima" della caduta della mela, così come è causa prossima la rottura del ramo. Ma se cominciamo a chiederci qual è la causa della rottura del ramo, andiamo molto indietro e quindi possiamo finire per dire che una delle cause della caduta della mela è il fatto che il seme è stato piantato nel terreno (o ci è finito per cause naturali). Ma se ammettiamo l'esistenza della gravità, ovviamente, diciamo che una delle "cause prossime" è la gravità. Viceversa, se la gravità non esistesse in questo universo deterministico la caduta delle mele avviene in un modo che sembra che ci sia la gravità. Quindi, analogamente, t'Hooft nega che ci sia una "causa prossima" che fa trasmettere l'informazione. Personalmente sono piuttosto aperto all'idea che due teorie possano predire gli stessi risultati sperimentali anche se sono costruite in modo che è impossibile falsificare una senza falsificare anche l'altra. Capisco le tue perplessità su questa idea, ma non sono d'accordo con te su questo. Per me ha senso parlare di due teorie diverse anche se non è possibile falsificare una e "confermare" un'altra.

Riguardo alla retrocausalità... per lo stesso motivo per cui ogni trasmissione di informazione a velocità superluminale implica la rretrocausalità. In un riferimento l'evento "arrivo del segnale" precede l'"evento partenza".

@sgiombo, ti rispondo in modo completo al resto delle tue riflessioni appena posso.

Per tutti: spero di aver risposto bene, ho dovuto fare di fretta.
#270
Beh, non voglio entrare direttamente nella discussione visti i casi precedenti. Però, magari certe cose che ho scritto possono essere utili per stimolare la discussione  :)

Vedere per esempio questi post: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/relativismo-assoluto/msg17772/#msg17772 e https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/relativismo-assoluto/msg17826/#msg17826 dell'argomento "relativismo assoluto". Vorrei far notare che ci sono diversi tipi di relativismo, alcuni migliori  e altri semplicemente contraddittori. Per esempio il "relativismo ontologico", il nome che ho dato alla posizione per cui "ogni cosa esiste in dipendenza da altre cose" * è una posizione consistente e che, se vogliamo, è plausibile. Viceversa "ogni verità è relativa" è semplicemente contraddittoria. Penso che in quell'argomento si sia raggiunta la conclusione che la tesi del relativismo epistemologico è errata. In fin dei conti se "ogni verità è relativa, tranne questa frase" è vera, allora ne segue che dire che "ci sono verità universali è falso" è possibile solo assumendo la validità del principio di non-contraddizione. Quindi il buon relativista deve assumere che vale il principio di non-contraddizione e quindi ci sono almeno due frasi "vere".

Per quanto riguarda il "relativismo etico", ci sono svariate forme più o meno condivisibili (relativismi parziali possono essere condivisibili, secondo me). Ma voglio discutere il "relativismo" totale, ovvero quello che afferma che "ogni giudizio morale è relativo" (e quindi soggettivo e arbitrario). In sostanza ogni soggetto ha il suo sistema di valori che può o non può coincidere con quello degli altri. Siccome, però, si nega l'esistenza di valori universali allora il soggetto diventa la massima autorità e quindi si ricade nel tristemente famoso relativismo di Protagora, "l'uomo è la misura di tutte le cose". Se ciò è vero, dire ad esempio "torturare senza scrupoli uomini innocenti è sbagliato" (una delle azioni, oggi considerate crimini contro l'umanità, compiute per esempio nei totalitarismi novecenteschi di destra e di sinistra  in varie parti del Globo) è un'affermazione che può valere per me, ma non per un altro. Se "ognuno ha il suo sistema di valori" allora non ci sono gerarchie tra i sistemi di valori dei vari soggetti e quindi, in ultima analisi, se una persona dice "per me quello che facevano nei totalitarismi era giusto" diventa una proposizione inconfutabile. A questo punto si "deve" fare una scelta, rispondendo ad esempio alla domanda: "i crimini contro l'umanità che facevano nei totalitarismi sono ingiusti? è un "principio" arbitrario o no? chi pensa che sia legittimo compierli, sbaglia o no?"
La mia risposta è: "i crimini contro l'umanità sono ingiusti, non è un principio arbitrario e chi pensa che sia legittimo compierli sbaglia."
Un relativista totale, se è coerente dovrebbe dire: "i crimini contro l'umanità sono ingiusti per me ma per un altro potrebbero essere giusti, è un principio arbitrario, non posso dire che l'altro sbaglia visto che sono d'accordo con Protagora e penso che ogni uomo è misura delle cose."    
Personalmente scelgo la prima risposta e mi prendo pure la responsabilità di dire che è "giusto" prendere una posizione netta su questa risposta e che la posizione netta da prendere è quella che ho detto io. Ovviamente, per quanto mi riguarda, se proprio uno lo desidera è liberissimo di scegliere la risposta del relativista. Ovviamente se il relativista dice che la sua posizione è "migliore" si autocontraddice, così come Protagora si contraddiceva da solo sostenendo - a quanto mi sembra di aver letto sul Teeteto, che consiglio a tutti di leggere - che la sua posizione era "migliore". Per chi non accetta il relativismo totale etico... Bon Voyage! Ed è un viaggio piuttosto difficile e importante, visto che, per dirla con le parole di Platone "non stiamo discutendo una questione da poco, ma come dovremmo vivere" (Repubblica). Infatti se, per esempio, abbiamo detto che un'azione è "sbagliata" rimane la domanda "perchè è sbagliata?", "su cosa si fonda tale asserzione?"  

Una volta accettata la mia versione, chiaramente, ciò non implica che,  ad esempio, certe "regole" valgano sempre e in ogni situazione. Si può valutare caso per caso (a volte, effettivamente, si possono prendere forse posizioni relativistiche - mi sono limitato a criticare il relativismo etico totale). Ma su certe cose, direi, che è "ovvio" prendere una posizione netta. Dunque, se però esistono valori etici universali allora abbiamo un'altra questione. Come facciamo a conoscerli? Da cosa dipendono?
Uno potrebbe sostenere che l'osservazione dei fatti ci fornisce l'etica. Ma questa risposta ha poco senso visto che i "fatti" ci mostrano che appunto certa gente non ha avuto scrupoli nel fare i peggiori crimini della storia. Quindi un approccio "osservativo" non è completamente soddisfacente. Possiamo, a questo punto, dire che dipendono dalla nostra biologia. Ma nuovamente se osserviamo la natura umana vediamo di tutto, azioni malvagie, buone ecc. In fin dei conti, è davvero possibile stabilire che certe azioni sono malvagie con una semplice analisi scientifica della nostra biologia, del nostro cervello. Possiamo infine sperare di fondare l'etica solo sulla razionalità. Ma la razionalità, in fin dei conti, è limitata. La logica per validare un'affermazione necessita di premesse, di assiomi ritenuti veri. In sostanza la razionalità non giustifica gli assiomi e quindi non può essere ritenuta davvero la fonte dell'etica.

Ma se questi valori etici ci sono e, direi anche che sembra che non mutano nel tempo (credo, ad esempio, che quello che è stato fatto nei totalitarismi è semplicemente sbagliato e non sbagliato solo in un determinato periodo). Dunque se l'osservazione non fonda l'etica e nemmeno lo fa la razionalità ma ammettiamo che certe cose sono sbagliate e certe cose sono giuste (e che questa dicotomia non avviene arbitrariamente), allora in qualche modo dobbiamo ammettere che questi valori si fondano su "qualcosa" (purtroppo il linguaggio è limitato e non riesco a trovare una parola migliore di "qualcosa") che né l'osservazione empirica "normale" o scientifica né la razionalità sono in grado di "trovare" e quindi noi rimaniamo in uno stato di ignoranza. Non può essere nemmeno, strettamente parlando, il "sentimento" come Hume sosteneva, visto che il sentimento è mutevole. Ergo dobbiamo ammettere che il fondamento ci sia e non può essere "visto" con una conoscenza normale. Ma se vogliamo, tuttavia, giustificare l'esistenza di tali valori dobbiamo ammettere che possiamo pure conoscerli. Tale conoscenza non è "ordinaria", non è scientifica, non è semplicemente osservativa (né il sentimento né l'osservazione in fin dei conti ci possono dire cosa è bene, ovvero il "giudizio" non è riducibile all'osservazione e al sentimento e anzi il "giudizio" condiziona il sentimento e l'osservazione. Per esempio uno scienziato, giudicando, seleziona i dati interessanti...la nostra mente non è "una tabula rasa"). Dunque qualcosa come la cosiddetta "coscienza morale" (che forse è un "tipo" molto particolare di sentimento...) deve quanto meno esistere e deve almeno avere una coscienza parziale dei valori universali (visto che nel paragrafo precedente ho scelto che di credere che certe azioni sono effettivamente sbagliate e altre, invece, sono giuste ecc). Ma dunque, se la coscienza morale c'è, cos'è? su cosa si fonda? ecc Qui ahimé, ho quasi una vaga sensazione che si entra nella tanto odiata "metafisica" e/o nella "spiritualità"... Bon Voyage!  :o  ;D  

Dunque le vere domande sull'etica sono: 1) esistono azioni che possono essere ritenute "sbagliate" e altre che possono essere ritenute "giuste" (o "neutre")? 2) Tale "etica" è puramente individuale o no, è arbitraria o ha almeno in parte qualcosa di "intersoggettivo" (se non oggettivo)? 3) se non è arbitraria su cosa si fonda? come possono conoscere questa sua parte non arbitraria e intersoggettiva? Ho una facoltà - innata o non innata - che mi permette di averne una conoscenza parziale o no? 4) l'etica si può fondare su qualcosa come il "sentimento", la conoscenza scientifica o la razionalità o una combinazione di esse? E tale combinazione è arbitraria o ha, almeno, una parziale non-arbitrarietà? Ci sono altre domande, ma adesso non me ne vengono in mente.  :) Di certo è un problema molto serio, di difficile (se non impossibile soluzione  :-\ :'(  Forse la filosofia non riesce a dare una soluzione completa e definitiva su questa questione, ma forse una soluzione parziale sì  :D Forse...  ).

*ad esempio, mi sembra che alcune scuole buddhiste ritengono che "tutte le cose hanno un'esistenza dipendente". Altre ritengono che solo il Nirvana (o poco altro) invece è incondizionato, indipendente.

P.S. Purtroppo non credo di contibuire ancora alla discussione (purtroppo non ho molto tempo ...). Lascio questo scritto (e i vari link) come stimolo per la discussione.