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Messaggi - Lou

#256
Tematiche Filosofiche / Re:L'Io e l'Altro
24 Marzo 2019, 14:51:19 PM
@Ox e sgiombo
L'esistere o meno dell'essere-cavallo nulla aggiunge e nulle toglie all'essere-cavallo che è il sostrato eideietico che rimane immutato rispetto alle modalità in cui può apparirmi, ricordato, sognato, immaginato, cavalcabile, mangiabile... etc. Come lo vedo è intenzionato dallo sguardo del soggetto, e il variare dei modi d'apparire dipendono dal soggetto, ma poichè qualcosa appare, sicuramente è. Tanto apparire quanto essere. L'epochè mira a mettere tra parentesi ogni nostra intenzione nello sguardo che tanto meno è interessato più è "puro" quanto più l'esser-cavallo appare nella sua essenza, non "già interpretata", diciamo così.
#257
Tematiche Filosofiche / Re:L'Io e l'Altro
20 Marzo 2019, 18:36:35 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Marzo 2019, 15:32:42 PM
A Paul e Lou
Riassumo in una sola risposta perchè la tesi che cerco di illustrare risponde (anzi: intenderebbe
rispondere...) sia a Paul e che a Lou.
Chiedevo: cos'è che "dirime" fra l'io e l'altro (cos'è che fa sì che l'incontro non diventi scontro)?
Questo Levinas non ce lo dice; ma ci dice, e lo trovo importante, che c'è un "altro" che è all'"io"
irriducibile; un esistere che "c'è" (l'"y'a") anche senza un esistente; un (non)-interpretato che
appare anche senza che venga ad esistere un soggetto che lo interpreti.
Non mi pare francamente poco per una forma-mentis, la nostra, che riesce a pensare l'oggettività solo
all'interno di un "campo" (o "contesto", come Severino fa notare, banalizzandone la portata, a M.Gabriel
all'interno della discussione sul "Nuovo Realismo" di qualche anno fa).
Ora, ciò che "dirime" non può essere altro che una "verità incontrovertibile"; ma è, questa, posta
nella sfera dell'esistente o in quella di ciò che "dovrebbe esistere"?
Ciò che "dirime" (e ciò che dirime è la "verità incontrovertibile"), in altre parole, può essere
frutto del solo "nomos" (che è la mia tesi) o lo è anche/solo della "physis"?
Perchè, chiaramente, escludere (come fa Paul) che possa essere frutto della sfera socio-politica
vuol dire escludere che possa essere esclusivo frutto del "nomos" (cioè vuol dire aprire alla
necessità che sia frutto esclusivo della "physis" - e, per dirla con Hegel, "nell'arena della physis
non v'è pretore" - che non sia la volontà di potenza, ovviamente).
Da questo punto di vista, l'unico pensatore la cui filosofia, muovendosi come Levinas all'interno
di uno "sguardo" che mantiene la differenza fra l'io e l'altro, non risulta "monca" è Kant. Ma
Kant, sappiamo bene, "postula" soltanto una verità incontrovertibile, che "dirime", appunto tenendola
ben saldamente fuori da ogni "fondabilità teoretica" di tipo, per così dire, "fisico"...
Quanto alla Fenomenologia, devo ancora capire di cosa consiste oltre ad una (per me arbitrarissima)
"elevazione" del fenomeno ad essenza (al proposito leggerò con vero piacere quanto scrive l'amico
Davintro).
saluti
Mi sono un po' persa. Ora, l'y'a è l'elementare indistinto, si da in forma anonima, evento puro senza soggetto, una dimensione, originaria, prelogica e prefilosofica, forse l'arte riesce meglio a non tradirla. A me pare che le distinzioni comincino con l'ipostasi del soggetto.
"Physis" è un concetto eminentemente filosofico, potrei dire che è con esso che si inaugura la stagione filosofica propriamente detta ed è in forza d'esso che è possibile dirimere e discriminare tra ciò che è physis e ciò che non lo è. Un criterio.
Detto ciò, domando, perchè si possa arrivare a una concettualizzazione in termini di physis non occorre un sistema di "nomos" intesi quali aspetti socio-politici-economici-culturali che lo permettono? È un po' un gatto che si morde la coda, ma soprattutto e venendo all'y'a senza un soggetto giudicante, è possibile distinguere tra esistenza ed esistente? A chi appare il brusio incessante che basso ci acconmpagna?nell'insonnia, ok, a un soggetto passivo e inibito e agito, non agente.
La stessa epokè non è un ammirabile metodo di farsi da parte del soggetto? Ma il medodo è la la scelta di una via, un sentiero, e se non c'è soggetto, chi compie questa scelta metodologica?
#258
Tematiche Filosofiche / Re:L'Io e l'Altro
18 Marzo 2019, 19:02:12 PM
Invece io su questo punto non sono in accordo, il perno non è la relazione, ma si da nell'irrelato che da pensare, l'irrelato, ciò che vale, e per l'appunto non è, esonda dall'essere, proprio perchè vale, al di là dell'essere-in-relazione.
#259
Tematiche Filosofiche / Re:L'Io e l'Altro
18 Marzo 2019, 17:02:03 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 17 Marzo 2019, 17:58:34 PM
Ciao Lou
Come dicevo, siamo ahimè ancora ben lungi dal dare una risposta non dico "risolutiva" (cosa
invero impossibile), ma anche solo "importante" al devastante pensiero nichilista degli
ultimi secoli.
Ciò non toglie che quella di Levinas sia una filosofia che, in un panorama che a me sembra davvero
avvilente per la sua pochezza, offre spunti di grande interesse.
Per cominciare, non bisogna necessariamente identificare l'"altro" levinasiano con un soggetto/persona.
L'"altro" è un soggetto ma non solo un soggetto: è tutto ciò che non è il "presente" del soggetto (è
persino il futuro di quello stesso soggetto): l'"altro" è essenzialmente "Mistero" (in quanto già la
conoscenza significherebbe aprire all'impossessamento dell'"altro" da parte dell'"io").
In un raffronto con la concezione classica occidentale dell'"Essere" (e contro la prima tesi di Heidegger
circa la coincidenza di "Essere" e "Tempo"), l'"altro" si "sublima" e viene a coincidere proprio con
il tempo (in quanto è "nel" tempo che viene a situarsi quel "totalmente-altro" che è la morte del
soggetto).
Quindi sì, quella di Levinas è una esigenza certamente etica, ma è anche teoretica, visto che intende
"attaccare" nei suoi stessi fondamenti la visione filosofica occidentale.
A parer mio, sarebbe oltremodo interessante un confronto/parallelo fra le tesi di Levinas e quelle
di Kant (il filosofo "meno occidentale" fra tutti quelli della modernità - forse proprio perchè meno moderno....).
saluti
Direi che certamente il parallelo con Kant lo trovo fecondo: l'alterità in Levinas ricorda assai il noumeno kantiano, irriducibile è indicibile a oggetto di conoscenza, solo pensabile. Resta da accordarci però su due punti, il noumeno in Kant è concetto limite, mentre in Levinas l'alterità esula la concettualità stessa, l'altro, nell'epifania del volto è autosignificante, non è concettualizzabile. Non è nemmeno altro inteso come alter-ego, in analogia con me stesso. Questa irruzione del trascendente nell'epifania del volto, però mi crea una sorta di imbarazzo poichè, da un lato ritengo che Levinas intenda mantenere una certa trascendenza del trascendente, non lo immanentizza del tutto, per altro verso lo fenomenicizza in epifania, annuncio, l'altrimenti. Qui manifesto le mie perplessità e i miei limiti rispetto a alla filosofia di cui stiamo discutendo, come dici bene "Mistero", ma non alla maniera del noumeno kantiano, pare una rottura a livello del pensabile stesso, eppure, che si presentifica, in lessico "espone" Come posso considerare una fenomenologia dell'alterità quando l'alterità è sottrazione di fenomenologità affermandosi al contempo in presenza, o come vedi tu l'esporsi, fuor di relazione? Detto altrimenti, l'irruzione dell'evento che non si salda in un tempo e perciò nell'essere, non lascia interdetti? Non so se sono riuscita a chiarirti le mie perplessità, rispetto ad alcune linee che mi hai indicato, si intersecano altri approfondimenti credo, come l' y la, un brusio anonimo che non sono io,  il senso d'alterità in seno al soggetto stesso, ma non vorrei complicare.
#260
Non tutte le rivolte sono capaci di trasformarsi in rivoluzioni. ( più o meno pacifiche siano). Perchè?
Ma poi io dico sempre, perchè chi con coerenza rispetto a quanto ammira e predica, non si arruola tra i rivoltosi?
Che i soldi non li tengono in quel sistema banche da incendiare?
Tutti rivoltosi e rivoluzionari, perdonami lo slang, con "il culo" degli altri però.
Ad esempio, la rivolta dei pastori sardi, la trovo simbolicamente assai più autentica e sacra, per innumerevoli aspetti, rispetto alle robe adolescenziali di vandali per le strade di Parigi.
#261
Probabilmente la mia posizione risulterà impopolare per molti all'interno del forum, tuttavia non provo alcuna ammirazione per rivolte (non rivoluzioni) e proteste che si traducono in atti di violenza. Io ritengo che esistano oggi strumenti di opposizione e più civili per manifestare il proprio dissenso e rivendicare delle richieste, che possono essere pure legittime. Sfregiare con atti vandalici le strade non trovo sia la miglior forma di protesta per mettere in discussione un sistema. Chi pensate paghi per i danni? Il valore simbolico di incendiare e rompere vetrine, è lo strumento più atto per essere ascoltati, senza che questi atti ricadano anche su coloro, che tutto sto lusso sistemico non lo vivono? Che sono i più.
Per quanto mi riguarda sono una accozzaglia di sabati sbagliati, con un crescendo di violenza che li fa sempre più sbagliati.
#262
La scorsa estate ho visitato la Mer de Glace, il cui ritiro negli ultimi quindici anni,  ha subito una grande accelerazione. Le ipotesi degli studiosi del fenomeno sembrano concordi nell'affermare che ciò sia dovuto al surriscaldamento anomalo. Detto ciò, vedere un ghiacciaio così imponente ritirarsi, con una frequenza sempre maggiore da 50 anni a questa parte, è indice di cambiamenti climatici, e di cosa se no? E fa effetto. Negare i cambiamenti climatici in atto, non rende giustizia a ciò che sta accadendo. Sono concorde con coloro che sostengono che l'unico "dilemma" sia quello del misurare quanto la mano antropica sia determinante e in quale misura, ma non che cambiamenti in forte accelerazione non si stiano verificando. Di studi, documentazioni e documentari ve ne sono a iosa, su quanto il nostro vivere avveleni il pianeta e quanto questo incida su di esso e sulla salute dei suoi abitanti, non penso che possiamo ritenerci del tutto estranei dalle concause che determinano i cambiamenti climatici. Come se lasciare marcire scorie radioattive indecentemente a un pugno di chilometri, letterali, da casa mia non avveleni il territorio e chi ci abita.
Sono d'accordo sulla autoeducazione delle abitudini che propongono il Sari e Jacopus, tuttavia ritengo che abbiano da esistere ampie politiche, su larga scala, tese a limitare l'inquinamento. Partire dal basso, certo, ma anche regolamenti che limitino i livelli di immissione  tossico a soggetti di scala industriale, oltre i singoli.
Poi certo, non vedo perchè, come dice soc78, ci si è fatti i porci comodi a livello inquinante, nei grandi paesi, ora divenuti sensibili e adesso che tocca ad altri, dovrebbero essere limitati. Obiezione lecita e pertinente, ma io credo, che nemmeno a Pechino gli abitanti siano così gioiosi e felici dell'aria che respirano.
https://goo.gl/images/xbdq3W

#263
L'articolo non è recente, però è interessante e ho pensato di inserirlo in questo topic in cui tocca temi ad esso attinenti,la funzione dei social e dei nuovi media, inseriti però, all'interno di quella che potremmo chiamare una visione del mondo, della storia e della società complessiva. (credo che ne esistano anche versioni in italiano.)

Building Global Community
M. ZUCKERBER - GIOVEDÌ 16 FEBBRAIO 2017
#264
Tematiche Filosofiche / Re:L'Io e l'Altro
14 Marzo 2019, 19:44:29 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Marzo 2019, 08:44:40 AM
Se riuscissimo a vedere l'io  non come una monade, un' entità unitaria, indivisa, ma come un 'processo' perennemente in mutazione, cangiante come le nuvole nel cielo e di fronte a questo "io" cangiante l'altro , anche lui come processo cangiante , in trasformazione perenne, non ci sarebbe un annichilimento, ma bensì una profonda consapevolezza dell'interdipendenza reciproca. Allora si potrebbe forse vedere l'io e l'altro come fenomeni che si alimentano a vicenda. Io sono anche un pò dell'altro, nel senso che me ne nutro, lo assorbo, ne vengo educato e viceversa l'altro è anche un pò di me, nel senso che lo nutro, mi assorbe e lo educo...
Ragionare non più in termini di '"entità" ma di "processi" che si attivano sempre in relazione l'uno con l'altro e non autoesistenti, non dotati di sostanza inerente, ma che hanno la loro consistenza nella reciprocità della connessione, oltre a togliere gran parte del 'fantasma' che accompagna la sensazione dell'Io, ossia l'ego, il senso del "mio", solleva anche da un gran peso. Il peso cioè di spendere un sacco di energie per 'sostenere' questa monade illusoria e difenderla dall' altro, anche lui preda del suo fantasma...
Rompere la relazione dell'io con il mio , lungi dal significare annichilimento, perché la consapevolezza di sè è là, ben presente, ma libera dall'attaccamento al "mio" io, esalta il carattere 'puro' di questa coscienza che è allora vera coscienza dei processi di interdipendenza in atto in ogni momento del nostro esistere.  :)
Pur nel perenne mutare, una permanenza resta: la permanenza del mutare. Vedere il soggetto non come entità o sostanza, cosa che per altro, con tutti i limiti totalizzanti della filosofia occidentale, ritengo sia una prospettiva non a lei estranea, in molti casi - comunque pur in questa continua trasformazione una continuità tra quel che ero, è e sarò la vagheggiamo un po' tutti. O mi sbaglio? Non vi accompagna un senso di permanenza che attraversa i mutamenti? Una sorta di identità, ok un fantasma, una illusione con cui fare i conti, ma che resta irripetibile nelle sue trasformazioni?
La stessa prospettiva di "interdipendenza" non presuppone un "tra", ta me e te?
#265
Tematiche Filosofiche / Re:L'Io e l'Altro
13 Marzo 2019, 18:48:30 PM
Citazione di: davintro il 12 Marzo 2019, 20:21:59 PM
il riconoscimento dell'Altro in quanto "Altro" è reso possibile sempre sulla base dell'Io, cioè sulla base di un raffronto di distanza tra il mio Io e l'Alter Ego, ed è questo margine di distanza che ci consente di non riconoscere la nostra soggettività come l'unica possibile. Trovo inevitabile che ogni punto di vista sul mondo sia sempre incentrato sull'Io, sul soggetto pensante che elabora il punto di vista, utilizzando i propri parametri di giudizio teorico e di valore, se così non fosse l'Io non sarebbe tale, assorbirebbe in modo del tutto passivo e acritico gli stimoli del mondo esterno, senza alcuna traccia di intenzionalità, che presuppone sempre un orientamento dell'Io intenzionante sulla base di strutture e categorie interiori, a partire da cui aprirsi al riconoscimento di un mondo trascendente, altro, e entro cui comprendere anche la presenza di altri soggetti. Il problema di quando questa centralità dell'Io assume ripercussioni morali, credo dipenda dallo stabilire se dobbiamo intendere l'Io nell'accezione trascendentale, l'Io inteso come semplice punto originario degli atti di esperienza del mondo, e l'Io inteso come Io empirico, la mia persona particolare, con la sua individualità ed anche con i suoi limiti e mancanze. I due piani non coincidono in toto, l'arroganza del soggetto che pone la sua esistenza come l'unica degna di valore e importanza e vede l'alterità come un ostacolo da superare per i suoi fini soggettivi riguarda l'Io nella seconda accezione, il mio Io individuale. Nella sua prima accezione, l'Io come soggetto riflettente, l'lo ha la possibilità di esprimersi a livello autocritico, riconoscendo l'imperfezione dell'Io individuale, i suoi limiti, i suoi torti, e conseguentemente anche la positività della relazione con l'Altro, la sua autonomia da rispettare ecc. Penso sia stato un errore dell'idealismo immanentista far coincidere i due livelli dell'Io, passando dall'Io come punto di partenza metodologico della filosofia, l'indubitabilità della coscienza come fondamento razionale della conoscenza della realtà, all'Io che assolutizza se stesso come esistenza negando ogni alterità, ogni ulteriorità del mondo rispetto a se stesso. Ma non è affatto detto che quest'ultimo fosse l'unico esito teoretico possibile  a partire dall'Io come premessa metodologico, come ad esempio è inteso da Cartesio (il fatto che storicamente sia stato così non esclude percorsi alternativi a livello teoretico, dato che un conto è la valutazione teoretica un altra quella storico-filosofica), Resta sempre valido quel filone ad esempio di tipo agostiniano (che nel complesso si può accettare anche a prescindere dall'adesione confessionale, a livello laico-filosofico), che pur partendo dalla certezza dell'Io pensante e vivente, riconosce anche come questo Io viva sempre in connessione con qualcosa che trascende i limiti dell'esistenza individuale in cui questo Io si realizza, un'alterità, sia nel senso "orizzontale" interumano, sia nel senso verticale della Trascendenza divina, connessioni che si rivelano nei conflitti interiori (pensiamo alle Confessioni) di un'esistenza mai del tutto padrona di se stessa, e quindi impossibilitata a risolvere nella sua immanenza assolutizzata i problemi che la attraversano, e conseguentemente necessitata a riconoscere l' "Altro", riconoscimento che però non ha implicato l'abbandono del piano di ricerca dell'Io, dell'interiorità, della coscienza soggettiva, bensì proprio il suo coerente approfondimento
Il fatto è che la prospettiva aperta da Levinas, è, per come l'ho capita, mi riconosco "Io" in forza della chiamata dell' Altro, in questo senso ne sono "ostaggio", è grazie all'Altro che mi trovo "Me"( al completo oggetto ): è così che ho l'occasione di riconoscermi libero verso chi mi chiama a responsabilità, poichè è il sentirsi responsabili l'apertura alla libertà propria dell'Io, che lo fa emergere.
A mio parere, ribalta un tantino le dinamiche di riconoscimento, le sconquassa un po', come dicevo, l" "Io" sorge perchè chiamato a rispondere all'Altro.
Poi certamente sono in accordo con te sul punto che è un approfondimento della soggettività.
#266
Attualità / Re:INNOVAZIONE
13 Marzo 2019, 18:41:15 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Marzo 2019, 21:42:45 PM
L' "innovazione" é la novità forzata, da realizzare ad ogni costo, anche a costo di stare peggio di quando non c' era (mentre "novità" é un termine neutro: ci possono essere novità utili a migliorare la vita, e dunque da utilizzare, e altre tali da peggiorarla e dunque da evitare).
L' innovazione non è sinonimo di progresso e miglioramento delle condizioni vita, sociali e culturali, in un certo senso è adirezionale dal punto di vista etico, saranno piuttosto le scelte etiche a decidere e direzionare un processo innovativo il termini di miglioramento di vita.
Il tentativo di innovazione, è novità forzata nel senso che rappresenta la volontà e l'atto che ne consegue nel realizzare soluzioni diverse rispetto a quelle esistenti, senza essere invenzione in senso stretto. Per far ciò devono esistere delle premesse tali per cui l'innovazione possa darsi, premesse in cui concorrono una molteplicità di fattori e motori, dove non penso sia "ad ogni costo" la misura e il criterio predominante per poterla valutare. Per essere innovativi, in fondo, un terreno retrò è irrinunciabile, altrimenti si sarebbe inventori.
#267
Tematiche Filosofiche / Re:L'Io e l'Altro
12 Marzo 2019, 18:15:31 PM
"Io non esisto come un essere spirituale, come un sorriso o un vento che soffia, non sono libero di responsabilità. Il mio essere si carica di un avere...la materialità non esprime la caduta contingente dello spirito nella tomba o nella prigione di un corpo. Essa accompagna – necessariamente – la nascita del soggetto, nella sua libertà di esistente. Comprendere così il corpo a partire dalla materialità – evento concreto della relazione fra Io e Sé – significa ricondurlo a un evento ontologico. Le relazioni ontologiche non sono legami disincarnati. La relazione tra Io e Sé non è un'inoffensiva riflessione del pensiero su di sé. E' tutta la materialità dell'uomo."
Questo passo, che amo assai, a mio parere è emblematico dell'operazione di rovesciamento dell'idealismo che in Levinas ritengo si compia in una opera soggettivazione del soggetto e proprio come accennava Ox nell'incipit del suo intervento, una risposta, se non l'unica, dove in ogni caso si possono rintracciare tracce di filosofie "occidentali" quali la fenomenologia di Merleau Ponty, al dilagare nichilista. La declinazione che Levinas persegue trovo anch'io risponda a una esigenza prima etica che teoretica: il tema dell'altro, della responsabilità, dell'ascolto, del tempo, dell' "altrimenti che essere" sono ascrivibili al recupero di una dimensione che è posizione antinichilistica.
#268
Eh, diciamo che il congiuntivo da corso alla prospettiva di una filosofia trascendentale, che è, per l'appunto una possibilità.
#269
Io invece una differenza ce la trovo: nel primo esempio, "perchè lo credo, è", nel secondo si insinua una domanda:"ma, quel che credo, è?"
#270
Citazione di: sgiombo il 10 Marzo 2019, 17:57:02 PM
Devo dedurne che la discussione su specismo, antropocentrismo e umanesimo fra me e Tersite va interrotta?
<<  No, ma è già stato fatto notare: o mantenete o argomentate o citate di tanto in tanto l'attinenza essenziale e il legame al topic, o ne aprite di nuovi, dedicati.  >>