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Messaggi - Donalduck

#256
sgiombo ha scritto:
CitazioneOgni concetto, compresi quelli di "realtà" e di "verità", si definiscono mettendo in relazione altri concetti.
Quello di "realtà" (eventualmente pensabile) si distingue da quello di "oggetto non reale di pensiero" per il fatto che é tale anche qualora non la si pensi (sia che la si pensi, sia che non la si pensi), mentre un "oggetto non reale di pensiero" (di pensiero reale se il pensiero accade realmente), é solo qualcosa che indipendentemente dall' essere pensato non accade realmente in alcun (altro) modo.
E quello di "conoscenza vera" esprime la caratteristica di un pensiero (predicato o giudizio) che afferma essere/accadere realmente qualcosa che (indipendentemente da tale pensiero) é/accade realmente, oppure che afferma non essere/non accadere realmente qualcosa che non é/non accede realmente.
I tre concetti di "realtà", "oggetto di pensiero" e "predicazione vera" si definiscono reciprocamente, oltre che relativamente ai rispettivi contrari, in ossequio alla regola che ogni e qualsiasi concetto si definisce mettendo in determinate  relazioni determinati altri concetti.
Qui le cose si complicano perché metti in gioco il "pensiero", altro termine assai problematico e meno fondamentale di "esistenza" o "realtà". Si direbbe che poni il pensiero alla base della realtà stessa. Ma quello che chiamiamo "percezione" lo consideri pensiero? E la percezione di un pensiero? Qualunque sia la risposta, la domanda evidenzia come introdurre questo concetto apra un nuovo difficile ambito di discussione.

E anche il tentativo di definire reale e irreale per mezzo del pensiero (a cui però finisce col gravare tutto il peso di definire la realtà), inciampa su sé stesso:
Citazioneun "oggetto non reale di pensiero" (di pensiero reale se il pensiero accade realmente), é solo qualcosa che indipendentemente dall' essere pensato non accade realmente in alcun (altro) modo.
A me pare che un pensiero non possa "accadere" se non in quanto pensiero. Se penso al mio amico Tizio e poi lo incontro, trovo certo una relazione tra il mio pensiero e la mia percezione sensoriale di Tizio, ma si tratta solo di una relazione tra un oggetto esistente in quanto pensiero (appartenente al sistema rappresentativo che chiamo "realtà interna") e un oggetto esistente in quanto appartenente al sistema rappresentativo che chiamo "realtà esterna". Il pensiero per me è solo un oggetto (reale quanto tutti gli altri) che si manifesta nello scenario della coscienza.
Riesco a dare approssimativamente un'interpretazione a quello che proponi solo assumendo il punto di vista dei riduzionisti materialisti e oggettivisti (che però non condivido), per cui c'è un'unica realtà oggettiva a sé stante, la "realtà esterna", inspiegabilmente esistente indipendentemente da qualunque soggettività e tutto il resto è "epifenomeno", qualcosa che può solo essere effetto e non causa. In tal modo, a patto di accettare arbitrariamente questo come postulato, la realtà risulta definita a priori e la domanda che ho posto risulta priva di senso.
#257
bobmax ha scritto:
CitazioneEcco, secondo me si dovrebbe invece iniziare con l'io. Perché il termine "soggettività" implica di aver già fatto un passo avanti. Con la soggettività abbiamo infatti già compiuto una generalizzazione, che in realtà è solo una scommessa. La scommessa  di non essere il solo soggetto.
Direi di più, prima ancora dell'autocoscienza dell'io, vi è l'indeterminato. Cioè io vivo, ma l'altro non mi appare ancora pienamente nella sua oggettività, e di conseguenza non vi sono neppure io.
Mi sembra che la seconda frase sia la risposta, o meglio l'invalidazione della prima. Quello che chiami "l'indeterminato" ovviamente non lo ricordiamo e possiamo solo farcene un'idea. Mi pare che in fin dei conti corrisponda a quella che io chiamo soggettività, che prescinde totalmente dalla "sensazione dell'io". La soggettività è la coscienza stessa che nello "scenario della coscienza" vede comparire l'oggettività, il "qualcosa". Senza di questo nulla è.
In altre parole, non arriviamo alla soggettività per astrazione, ma dalla soggettività arriviamo all'io per la necessità di un'autoreferenza. L'io fa parte dell'oggettività della coscienza, ma prende facilmente il posto della coscienza stessa generando il famoso "io illusorio" di cui parlano molti pensatori di diverse tendenze.

CitazioneFiniamo in questo modo col considerare lo stesso molteplice la realtà originaria.
Qui torna il tema di questo qualcosa di indefinibile che chiami "Verità" o "realtà originaria", sulla quale ho già risposto.
#258
bobmax ha scritto:
CitazioneO non sarà invece che la Verità è già ovunque?
E che perciò la comunicazione non consiste affatto nel tramettere verità da un posto all'altro, ma semplicemente nel "risvegliare" la medesima verità là dove è stata, in un certo qual modo, dimenticata.
Il lavorio della comunicazione ha come obiettivo finale la Verità, che l'esistenza non conosce, ma in cui ha "fede".
Quello che non capisco è che bisogno ci sia di quasta "Verità" o di un'esistenza che trascende soggetto e oggetto. Si direbbe che cerchi qualcosa che non sai cos'è ma che pensi per qualche inespresso motivo, o magari per qualche indefinibile sensazione, che ci sia.

A me sembra chiaro che, dal punto di vista razionale, non può esserci nessuna verità a sé stante, ma solo una "realtà" (o come la vogliamo chiamare) che risulta appunto dall'interazione soggetto-oggetto. Arriverei a dire che non può esistere nulla di "a sé stante" (e non sento neppure l'esigenza di ipotizzarlo), dato che l'esistenza (o realtà) non può rinunciare né al soggetto che rileva questa esistenza né all'oggetto che il soggetto considera esistente.
Il fatto evidente che esista una realtà intersoggettiva, ossia condivisa tra diversi soggetti, non significa che questa realtà sia a sé stante: semplicemente risulta da un intreccio di relazioni tra soggettività (molteplice, e quindi anche relazioni tra soggetti) e oggettività. E, come già rilevato, soggettività e oggettività non sono indipendenti, ma si definiscono a vicenda.
Il risultato finale continua a non essere soddisfacente per la razionalità perché comunque siamo ai limiti dello spazio semantico a nostra disposizione, e i termini non possono fare altro che richiamarsi a vicenda.

In generale, soprattutto affrontando temi così astratti, ritengo che ci si debba sempre chiedere qual è il significato, il referente dei termini che utilizziamo. Un referente che deve essere individuabile nell'ambito della nostra coscienza, della nostra esperienza, dei dati a cui possiamo accedere. Se questo referente è reperibile solo nel dominio delle sensazioni, delle intuizioni extrarazionali - che possono avere ugualmente un valore pur non essendo razionali - non potrà essere identificato e valutato razionalmente.
La mia impressione è questa: che ti riferisca a qualche stato di coscienza (che conosci o di cui hai sentito parlare o di cui senti la mancanza) in cui quella che chiami Verità si presenti come inesprimibile esperienza, pur restando inaccessibile a speculazioni razionali.
#259
Sgiombo ha scritto:
CitazioneComunque la mia risposta é che lo scetticismo (il dubbio sulla verità di qualsiasi conoscenza circa la realtà) non é razionalmente superabile
C'è un equivoco. Siamo in una regione piuttosto eterea e non è facile intendersi. La tua risposta presuppone che si dia per scontato il significato di reale, mentra la mia domanda lo esclude, o meglio interroga proprio su questo.
Se ho dubbi "sulla verità di qualsiasi conoscenza circa la realtà" devo aver chiaro cosa significa "verità" e cosa significa "realtà". Mettendo per ora da parte il concetto di "verità" e concentrandoci su quello di "realtà", la domanda è: cosa significa reale e cosa irreale? Qual è il contenuto semantico di questi termini? Rispondendo a questa domanda si arriva a rispondere anche a: cosa distingue il reale dall'irreale? Che implicitamente fornisce i mezzi per effettuare una distinzione operativa, pragmatica. Ma senza tutto questo si finisce col fluttuare in un ipospazio in cui ognuno sa quello che lui intende (nella migliore delle ipotesi) ma ignora ciò che gli altri intendono con quei termini.
#260
@Bobmax: non riesco a capire da quali ragionamenti possano scaturire i tuoi numeri
@Garbino: non mi sembra il caso di chiedersi quando viene applicato lo "schema del procedimento", dal momento che la domanda si riferisce a una ben precisa sequenza di eventi e di dati, senza che entrino in gioco anche altre variabili.

Casomai ci sarebbe da chiedersi se non ci sia un trabocchetto nella domanda a noi rivolta. Infatti non viene specificato se:
- questa valutazione di probabilità la dobbiamo dare basandoci sulle nostre conoscenze della situazione (sappiamo che l'orologio è in B) nel qual caso le percentuali sarebbero quelle indicate per il caso 2 da Garbino: 0% per a 100% per b, 50% per c
- oppure se, come suppongo, la domanda si riferisce in generale alle probabilità che, data la sequenza di fatti
 1) Tizio effettua una scelta su tre possibilità, non gli viene detto se ha indovinato
 2) Si esclude una delle due rimanenti scelte lasciandone solo due
 Quali sono le probabilità che indovini nei casi che:
      a) mantenga la stessa scelta
      b) cambi la scelta optando per l'altra
      c) tiri a sorte
  In questo caso logica e buonsenso ci portano a mantenere un 50% in tutti i casi, ma Eutidemo promette risultati differenti alla verifica dei fatti, quindi aspettiamo di conoscerli...
#261
Citazione di: iano il 31 Marzo 2018, 10:08:19 AM
Rispetto al senso comune , per dare concreta esistenza ad una ipotesi , che normalmente si intende non l'abbia , si può ammettere diverse forme di esistenza, come fa' Donald , oppure considerare le diverse forme come le diverse apparenze della stessa sostanza esistenziale , come suggerisco io.
La difficoltà in questo caso sta nel definire questa sostanza in modo che il suo concetto sia di qualche utilità, ossia che possa fare da punto di riferimento per qualcosa, che sia insomma in un modo o nell'altro praticamente utilizzabile. E vedo problematico anche stabilire, ad esempio, la "sostanza" di un cerchio quadrato.
#262
Citazione di: sgiombo il 30 Marzo 2018, 12:42:26 PM
La differenza fondamentale secondo me va posta (considerata) fra ciò che esiste-accade realmente, anche indipendentemente dal fatto di essere eventualmente pure -realmente- oggetto di considerazione teorica (pensiero, ipotesi, credenza, eventualmente conoscenza) da una parte e ciò che esiste-accade unicamente in quanto ("oggetto" o "contenuto" di) considerazione teorica, pensiero, unicamente in quanto concetto (con una sua connotazione)indipendentemente dal fatto di essere eventualmente pure ente-evento reale (cioé che realmente esista-accada anche una denotazione reale del concetto stesso) o meno dall' altra parte.

Anche i concetti di enti-eventi non reali realmente esistono-accadono (ma solo in quanto concetti), senza che esistano-accadano inoltre anche gli enti-eventi pretesi (o immaginati, ipotizzati, magari -falsamente- creduti...) reali che essi connotano (ma non denotano, secondo la terminologia della semantica di Frege).
Ma ciò é ben diverso dal reale esistere-accadere di enti-eventi reali (in quanto tali), che esistano-accadano realmente o meno anche, inoltre eventuali concetti che li connotano (e anche denotano).
In effetti non ho ben messo in evidenza una cosa fondamentale: in quanto ho scritto ho considerato il termine "esistente" come sinonimo di "reale", facendo appello a ciò che intuitivamente i termini ci rappresentano. E' appunto il referente di questi termini che ho messo in discussione, cercando di darne una definizione. Ma se lo metto in discussione, non posso dare per scontato il significato di questi termini. Tu parli di esistenza riferendoti al concetto di "realtà" ma così, dal punto di vista che propongo, non si fa che spostare il problema (e l'esigenza di spiegazione) da un termine all'altro. Insomma la domanda è (fatta da diverse prospettive): Quali sono le condizioni che fanno sì che qualcosa sia reale? Come si fa a stabilirlo, a verificarlo? Cosa distingue ciò che è reale da cio che non lo è? Come si fa a parlare di qualcosa che non esiste? Cos'è una cosa che non esiste?
#263
Citazione di: bobmax il 30 Marzo 2018, 15:41:23 PM
La prima considerazione che vorrei fare riguardo ai "qualcosa", è che con il loro stesso esserci rendono possibile che io ci sia.
Io ci sono solo perché vi è pure altro da me.
Io la metto così: soggetto e oggetto si definiscono a vicenda e non si dà nessuna esistenza (o almeno non riesco a immaginare come si possa concepire e definire l'esistenza) senza la compresenza di soggetto e oggetto, coscienza e realtà. Di conseguenza trovo assurdo l'"oggettivismo" ossia la pretesa che esista una oggettività che non presupponga e non sia intrinsecamente legata alla soggettività. Azzardando una definizione di esistenza potrei dire "l'esistenza è la manifestazione di un oggetto subita o accolta da un soggetto". E qui mi fermo, perché soggetto e oggetto si definiscono (e mordono la coda) a vicenda: è oggetto ciò che si presenta al soggetto, è soggetto ciò che percepisce la presenza di un oggetto.
Ci sono correnti di pensiero che conducono a considerare l'informazione come costituente più fondamentale della "realtà", o anche soltanto come un'utile e illuminante chiave di interpretazione della realtà. Se proviamo ad assumere questo punto di vista, ossia proviamo ad interpretare i fenomeni come messaggi, ci rendiamo subito conto che non può esistere messaggio senza un mittente e un destinatario, senza un soggetto e un oggetto. Non ci può essere informazione senza che qualcuno sia informato di qualcosa.

Citazione
Il mio stato è esser-ci. Ossia la contemporanea presenza di me stesso e di qualcosa. Che è qualcosa proprio in quanto non è me stesso.
Se l'altro non ci fosse, non potrei esserci.
E se io non ci fossi, l'altro potrebbe continuare ad esserci?
Non in questo attuale "esserci", venendo a mancare uno dei poli, ossia il soggetto che sono io.
Potrebbe però "essere", perché indipendente dal soggetto. A prescindere cioè dal suo eventuale esserci con un diverso soggetto.
E' un'ipotesi plausibile, visto che i qualcosa del mondo paiono non dipendere da me.
Io per ora lascerei fuori l'"io". Non che sia un elemento poco importante o aggirabile, ma farei un passo alla volta. Il primo passo prevede di considerare solo il soggetto in generale, la soggettività contrapposta all'oggettività; il percepire contrapposto all'essere percepito; il mittente contrapposto al destinatario. In modo impersonale, senza io, tu, noi... In questa prospettiva, quando dici che potrebbe sussistere un "essere" in sé indipendente dal soggetto, se al posto di soggetto ci metti "soggettività" le cose cominciano ad apparire sotto un'altra luce. Sei costretto a fare i conti col paradosso di un'oggettività indipendente dalla soggettività, senza la quale però l'oggettivo perde ogni significato.

Citazione
Tuttavia in che termini questi qualcosa sarebbero?
Quale caratteristica, quale attributo potrebbero mai avere senza più esserci?
Insomma, cosa può significare essere invece che esserci?
Appunto. Io non trovo nessuna risposta, nessuna possibile definizione che lasci fuori la coppia soggetto-oggetto o uno dei due.

Citazione

Questo "essere", slegato dall'esserci, non è forse lo stesso "esser vero"? Ossia la Verità?
E anch'io, smettendo di esserci, non potrei allora essere?
Qui andiamo sul "mistico", ossia oltre il razionale, o meglio oltre ciò che può essere descritto. Se esiste una "realizzazione" che non sia semplicemente fare quello che ti senti portato a fare ma l'acquisizione di uno stato di coscienza sconosciuto ai più, ovviamente non possiamo saperlo, a meno che non ci sia capitato, nel qual caso non avremmo dubbi. Possiamo tuttavia averne un "sentore"...
Se invece ci vogliamo riferire, più modestamente, al superamento del "senso dell'ego" per identificarsi con qualcosa di più ampio, lo ritengo essenziale e irrinunciabile per chi voglia far evolvere la sua coscienza.
#264
Tematiche Filosofiche / Essere, esistenza, realtà
30 Marzo 2018, 11:16:43 AM
È difficile trovare termini che diano adito a confusione e a discorsi sospesi in aria come questi tre.
Credo che uno dei motivi per cui ci si confonde è che si fa affidamento sull'intuitività di concetti che in effetti vengono interpretati in modo molto diverso da soggetti diversi.


D'altra parte, dato che si tratta di concetti fondamentali, che più fondamentali non si può, siamo ai limiti dell'esprimibile con le limitate risorse del linguaggio. Teniamo presente che il linguaggio in sé è autoreferenziale, e che trova un collegamento (mappatura) con i dati dell'esperienza solo grazie a un atto soggettivo e volontario che va ogni volta riconfermato.

Quindi rinuncio subito a qualunque tentativo di dare definizioni rigorose e inappellabili, accontentandomi di stimolare l'intuizione utilizzando l'unico vero punto di riferimento che ho: la mia esperienza vissuta e vivente.

Partirei da una considerazione sulla "non esistenza". Non solo nel linguaggio più comune, ma anche in quello filosofico, capita spesso di imbattersi in disquisizioni sull'esistenza o meno di qualcosa. Nella mia visione, qualora il contesto sia ontologico, ossia riguardi gli aspetti più fondamentali dell'"essere", si tratta a priori di discussioni senza senso.

Cosa dovrebbe distinguere una "cosa che non esiste" da una "cosa che esiste"? Per me l'unico criterio possibile per definire l'esistenza è stabilire se abbia una qualche relazione con la coscienza, col "flusso esperienziale" attraverso cui essa si manifesta. Ma qualunque "cosa" a cui ci si possa riferire in un discorso ha per forza qualche relazione con la coscienza. Se anche non ne avesse, questa relazione si instaura nel momento stesso in cui si fa riferimento ad essa.

Quindi non ci sono "cose che non esistono", ma diverse modalità di esistenza. Ontologicamente parlando, alle domande: Esiste il mio corpo? Esiste Parigi? Esiste quello che ho sognato stanotte? Esiste Babbo Natale? Esiste un cerchio quadrato? ...devo rispondere sempre sì. Ma le modalità di esistenza degli oggetti delle mie domande sono molto diversi tra loro:


  • Il mio corpo lo percepisco direttamente e continuamente, quindi si tratta di una modalità di esistenza molto "forte" e indipendente dalla volontà, fondata sull'evidenza immediata
  • Parigi, se ci sono stato ha la modalità di esistenza della memoria (evidenza mnemonica) e, che ci sia stato o no, ha una modalità di esistenza garantita dala sua costante verificabilità, una sorta di "evidenza logica o concettuale"
  • Il sogno e il suo vissuto esperienziale sono altrettanto reali del mondo della veglia ma ha una sua peculiare modalità di esistenza soggettiva perché percepita solo sa un soggetto singolo, ma "oggettiva" nel senso che non è (normalmente) modificabile dalla volontà individuale, ossia è un "dato"
  • Babbo Natale esiste in quanto prodotto dell'immaginazione dotato di una rappresentazione immaginaria condivisa, generato da atti volontari di immaginazione (e quindi non un dato che si impone all'esperienza).
  • Il cerchio quadrato esiste in quanto prodotto dell'immaginazione concettuale, ma irrapresentabile.
  • Ci sono poi entità la cui modalità di esistenza non è chiara, ad esempio l'elettrone o la forza di gravità, o il tempo, che hanno sì una modalità di esistenza concettuale ben definita all'interno del sistema teorico della fisica, ma non nella realtà oggettiva, qualla che per la coscienza costituisce il "mondo esterno". Sono infatti privi di rappresentazione e anche nel sistema concettuale della fisica la loro esistenza non è garantita (esistono teorie che fanno a meno del tempo o del concetto di forza).

Per chiarire meglio il significato comune di "esistenza" bisogna considerare, oltre al flusso diretto dei dati che si presentano alla coscienza, anche le rappresentazioni interne che costituiscono la sintesi delle esperienze vissute e memorizzate, le mappe della realtà che si formano nella coscienza e assumono un carattere relativamente stabile. Quello che comunemente si intende con "qualcosa esiste" è se questo qualcosa trova un posto nella propria rappresentazione del "mondo esterno", rappresentazione che, partendo dalla percezione diretta, si arricchisce di altri elementi di natura inferenziale (quelli dotati di ciò che ho chiamato "evidenza logica o concettuale").

Ma dal punto di vista ontologico, tutto ciò che si presenta in un modo o nell'altro alla coscianza esiste e quella che viene chiamata illusione consiste nel confondere una modalità di esistenza con un'altra: scambiare un sogno o un'allucinazione per la realtà esterna, oggettiva "di veglia", scambiare un prodotto dell'immaginazione per un'evidenza logica, e così via.

Quindi domande come "esiste la coscienza" o "esiste il tempo", che danno origine a fiumi di disquisizioni che non approdano mai da nessuna parte, le considero fuorvianti e sostanzialmente prive di senso.

La prima anche perché sostengo che la coscienza è il fondamento stesso di qualunque possibile esistenza, di qualunque "realtà", la soggettività inscindibile dall'oggettività (due facce inscindibili della stessa moneta).
Per il tempo bisogna intanto capire a cosa ci si riferisce. Ad essere rigorosi, il tempo della fisica non è affatto la stessa cosa del tempo dell'esperienza. Di quest'ultimo abbiamo una percezione diretta che non può essere messa in discussione, mentre nella fisica ha un suo significato variabile a seconda del sistema teorico in cui si inserisce.
E in ogni caso poi la domanda sarebbe "qual è la sua modalità di esistenza?" e non "esiste o non esiste?".

Ci sarebbe molto altro da dire e precisare, ma il discorso rischierebbe di diventare troppo prolisso e dispersivo.

Mi piacerebbe conoscere il vostro parere su quanto ho scritto e avere, da coloro che non si troveranno d'accordo sul mio tentativo di definizione dell'esistenza, una loro definizione alternativa, corredata da criteri utilizzabili per distinguere ciò che esiste da ciò che non esiste.
#265
bluemax ha scritto:
CitazioneE' appurato, e accettato, e consolidato, senza alcun dubbio, che il tutto avviene come semplice reazione chimica all'interno del cervello.
Non c'è spiritualità, non c'è dolore ne gioia (se non ricompense chimiche volute dall'evoluzione), non c'è mente se non processi cerebrali, ma sopratutto non vi è un Se' un io... se non come sovrapposizione di mappature tra quel che l'occhio vede e quel che il corpo prova (è il mondo a muoversi o la testa ? Per valutare questo serve la creazione di un IO illusorio).
E non c'è amore, non c'è odio, non c'è Libero arbitrio...
L'errore secondo me sta nel considerare questa fantomatica (irrimediabilmente inafferrabile) realtà, come qualcosa di monodimensionale. Questa concezione è immediatamente smentita dall'esperianza, che abbiamo costantemente, di una realtà multidimensionale in cui abbiamo almeno un "mondo esterno" e un "mondo interno", interconnessi ma dotati di caratteristiche e leggi completamente diverse tra loro. Arrivare alle tue conclusioni significa aderire a quella corrente di pensiero chiamata "riduzionismo materialista" o semplicemente "riduzionismo" secondo cui la "vera" realtà sarebbe quella della materia (termine abbastanza problematico di suo) e tutto il resto sarebbe una sorta di "effetto collaterale" dell'interazione di forze brute e inintelligenti. Non ho mai trovato una giustificazione razionale di questa convinzione, per cui la considero una conclusione "emotiva" o comunque extrarazionale.

Un atteggiamento come il tuo porterebbe anche a dire che, quando guardi un video, mettiamo un notiziario, tutto quello che è reale sono gli elettroni che si muovono e le onde elettromagnetiche che si propagano, e tutto il resto non è altro che illusione: non c'è giornalista, non ci sono notizie, solo energia, onde e particelle. Ignorando che il movimento delle cariche elettriche è preordinato, e le onde elettromagnetiche sono modulate in modo da essere veicolo di informazioni che nulla hanno a che fare con le particelle e le onde, ma non sono certo meno reali di queste.  E che, almeno in questo caso, i "fenomeni fisici" sono causati da altri elementi di realtà e non viceversa. E tuttavia, senza il mezzo (il substrato materiale) non ci sarebbe nessun notiziario.

Secondo me si parla con troppa disinvoltura di illusione, senza neppure curarsi di definirla, come se fosse un concetto scontato. Se lo fosse, sarebbe facile rispondere alla domanda: come si fa a distinguere la realtà dall'illusione, in generale? Cosa differenzia una dall'altra?
#266
Scienza e Tecnologia / Re:Qua stiamo sbroccando!
30 Novembre 2016, 23:43:22 PM
Freedom ha scritto:
CitazioneE dunque oggi, nonostante a me sembri di provare una repulsione assoluta verso certe cose e di comportarmi di conseguenza, stracciando con profonda soddisfazione qualsiasi raccolta a punti, cestinando buoni sconto e rinunciando con perverso e masochistico godimento a qualsiasi offerta, anche la più vantaggiosa; dunque oggi dicevo, sono, verosimilmente, in qualche modo, vittima di questa orribile e disgustosa macchinazione.
Il problema è antico. E' un problema spinoso e importante, ma non una buona ragione per assumere atteggiamenti paranoici. Ognuno di noi, per dissenziente che sia, deve venire a patti con una società modellata da una visione del mondo di stampo capitalistico (ma più genericamente egoico, di origini ben più antiche del capitalismo).
Detto questo, dovremmo anche renderci conto che capitalismo ed etica non vanno d'accordo, e neppure capitalismo e progresso sociale. Un sistema di idee che assume come valore prioritario la proprietà privata, che accetta il meschino interesse personale come motore principale dell'agire sociale, che ammette tranquillamente lo sfruttamento, che ha una visione positiva del profitto, non può che dare simili frutti. Ma il superamento di tutto questo implica una trasformazione radicale delle coscienze che per ora può essere considerato solo un obiettivo remoto, anche se non per questo meno importante ed attuale, nel senso che ce ne dobbiamo occupare qui e ora (piantando semi qua e là), se vogliamo in qualche modo contribuire ad uscire da questo pantano.
#267
Voltaire ha scritto:
Citazioneè attraverso il lavoro che l'essere umano si esplica, acquista dignità, diventa essere umano

E' senza dubbio un'asserzione gratuita, e tale rimane finché non ne viene fornita qualche giustificazione plausibile.
Io sono un grande estimatore dell'ozio e delle attività meditative, che in genere si contrappongono al "lavoro" comunemente inteso.
Ma in realtà il punto è cosa esattamente si vuole intendere con "lavoro".

Partendo dallo spunto iniziale, sono decisamente d'accordo sull'opinione che sia sbagliato fondare una repubblica sul "lavoro". In quasto caso il significato si circoscrive alle cosiddette attività produttive, qualle che direttamente generano beni consumabili. E se non sono d'accordo in generale, ancor meno lo sono considerando quanto sia degradante per l'essere umano la gran parte dei lavori che si è costretti a fare per vivere.

Non che i lavori siano degradanti in sé, ma per come sono gestiti e per il malefico contesto in cui sono inseriti (sono fermamente convinto del carattere involutivo, degradante e distruttivo del capitalismo e della "filosofia" che lo anima).

Secondo me la dignità, per gli uomini come per tutti gli esseri, è gratis, non c'è alcun bisogno di conquistarla, mentre è possibile minarla o demolirla, ad esempio attraverso diverse attività lavorative che la nostra società ci offre.

Se invece si dà una definizione diversa di lavoro, ad esempio genericamente un insieme di azioni volte a ottenere un certo risultato, il valore del lavoro dipende più che altro dal valore dell'obiettivo e dall'abilità ed efficacia con cui viene svolto. In questo caso, comunque, il lavoro non può essere considerato prerogativa degli esseri umani. Basta considerare cose come gli alveari, i formicai, e dighe dei castori, per citare gli esempi più evidenti. Prerogativa dell'uomo, forse, è solo il lavoro degradato, quello che deriva dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, sulla coercizione e la sottomissione della volontà altrui alla propria.

Per quanto riguarda la Costituzione, a mio parere andrebbe interamente riscritta, e fondata unicamente su valori etici (noto per inciso che l'etica sì, a differenza del lavoro, può essere considerata a buon diritto una prerogativa umana, almeno per quanto ne sappiamo), definendo in primo luogo un sistema di valori di riferimento, ossia quali sono i valori a cui si ispira e in quale ordine di priorità, e facendo conseguire il resto da questo sistema di valori. E il lavoro è un'attività, non un valore, casomai può esserlo l'operosità, non necessariamente applicata a beni immadiatamente consumabili o servizi immediatamente fruibili.
#268
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
23 Novembre 2016, 23:55:05 PM
green demeter ha scritto:
Citazioneti chiedo semplicemente ma cosa sarebbe il soggetto, il tuo io, all'interno di questo campo quantistico, almeno proviamo a proseguire un minimo assieme sull'argomentazione tua

Il soggetto, campo quantistico o no, è la coscienza, il polo ricevente e l'elaboratore dell'informazione.

Il discorso sulla fisica quantistica e i suoi paradossi e sul campo quantistico di Bohm non tendeva a una "definizione" del soggetto (tantomeno in termini fisici), compito impossibile se non ci si accontenta dei termini generici in cui l'ho definito sopra.
La fisica quantistica, o meglio le discussioni epistemologiche a cui ha dato origine, hanno a che fare col tema del soggetto principalmente per la nota difficoltà (che alcuni considerano impossibilità intrinseca) di definire le entità e le grandezze studiate dalla fisica quantistica prescindendo dalla loro misurazione, ossia dalla relazione, e sulla difficoltà di spiegare la doppia identità onda-particella che caratterizza le onde elettromagnetiche e le particelle associate, sempre legata alla misurazione. Se ti interessa si può approfondire il discorso, ma è complicato e sto ancora leggendo Bohm, il cui pensiero conosco per ora solo per sommi capi.

In ogni caso gli argomenti su cui baso le mie considerazioni su soggetto-oggetto prescindono dall'epistemologia quantistica (che desta il mio interesse e curiosità più che altro per le somiglianze con la mia linea di pensiero), sono molto più basilari dal punto di vista logico e fondate sulla semplice osservazione diretta.
Essendo la coscienza il fondamenteo, l'essenza stessa della nostra personale esistenza, sfugge a qualunque definizione (come del resto la realtà, come oggetto della coscienza). Ma l'esperienza ci evidenzia che l'esistenza, "cio che è" è formato da una coscienza che riceve dati, sotto le più disparate forme, elabora queste informazioni e interagisce con le fonti di queste informazioni. Una "esistenza" in cui esistono solo i "dati" senza l'elaboratore dei dati è solo una fantasia che non trova riscontro da nessuna parte, a quanto mi risulta.
Il mio è un ragionamento elementare: la coscienza esiste in quanto coscienza di qualcosa e le cose esistono in quanto rappresentazioni di una coscienza. Questo ci dice l'esperienza e niente lascia intendere che ci siano altre forme di esistenza possibili, o anche solo concepibili se non in modo del tutto astratto.

Se poi tutto questo si possa considerare monismo o dualismo, mi sembra francamente una discussione inutile. Mi sembra anche ovvio che qualunque dualità presupponga una unità (un tutto) entro cui è contenuta, per cui veramente non riesco a dare una giustificazione al problema. Per dargli un senso, bisognerebbe spiegare quale sono le conseguenze, rispetto alla visione del mondo, e soprattutto rispetto ai valori e a i criteri di valutazione dei più disparati aspetti di ciò che entra a far parte della nostra esperienza, in un caso e nell'altro. Se, come tendo a pensare, non ci sono effettive conseguenze "concretizzabili", si tratta di una contrapposizione futile e di un non-problema.
Diverso è il discorso su quel tipo di monismo basato sul riduzionismo, che vorrebbe risolvere la dualità facendo fagocitare uno dei due "poli dell'esistenza" dall'altro, senza alcuna giustificazione plausibile, giusto per trovare un modo sbrigativo di risolvere il "problema" (ammesso che ci sia). Questo ha evidenti ripercussioni su sistemi di valori e criteri di valutazione, e credo che la sua valenza sia tutta lì, come posizione ideologica (intendendo per ideologia una visione pregiudiziale delle cose), non avendo nessuna giustificazione logica o esperienziale.

Per quanto riguarda l'io bisogna distinguere tra "il mio io" e il soggetto. Non sono la stessa cosa. Nella mia visione ogni centro di coscienza è in qualche modo inesplicabile un'espressione o emanazione di una non meglio identificata coscienza universale. Più che di soggetto si può parlare di soggettività, che forse rende meglio, essendo impersonale.
E centro di coscienza e io nel senso comunemente inteso non sono la stessa cosa. Se con io personale intendiamo l'ego, quello che diverse correnti di pensiero considerano un'illusione o poco più, quello che si offende e che vuole affermarsi ingrandendosi e gonfiandosi, è anch'esso un oggetto di osservazione per la coscienza, che è perfettamente in grado di distaccarsene (anche se può risultare molto difficile, a causa dell'attaccamento, la viscosità dell'io). La coscienza ha la capacità di identificarsi e disidentificarsi, si potrebbe dire di mettere dimora da qualche parte, e di cambiare residenza. E l'io è un prodotto di questa facoltà. L'esperienza personale mi dice che è possibile vedere questo io in cui mi identifico normalmente, dall'esterno, come un fenomeno oggettivo che posso guardare senza sentire quel senso di appartenenza caratteristico dell'identificazione.
E se la domanda da "esiste l'io?" diventa "esiste la coscienza"? rispondo senza esitazioni che si tratta di una domanda senza senso, fino a prova contraria (che consisterebbe nel mostrare quale sia questo senso). Anche perché significherebbe dare maggior valore alle elucubrazioni che non all'esperienza e all'intuizione, quel modo misterioso di ricevere informazioni complesse, già dotate intrinsecamente di senso, e irriducibili, che invece sono il fondamento di ogni altra cosa, per quanto ci riguarda.
#269
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
20 Novembre 2016, 12:07:14 PM
Sgiombo ha scritto
CitazioneA me solipsista sembra Donalduk "ritengo che parlare di una realtà esistente indipendente dalla coscienza (o viceversa) sia un nonsenso".
questa la definizione di solipsismo nell'enciclopedia Treccani online:
CitazioneTermine filosofico con cui si indica l'orientamento di chi considera il soggetto come l'unica autentica realtà, sia dal punto di vista pratico, ponendo l'interesse individuale a fondamento determinante dell'azione, sia da quello gnoseologico-metafisico, intendendo la realtà esterna come semplice rappresentazione della coscienza soggettiva.
La mia posizione non ha nulla a che vedere, se non forse in apparenza, con il solipsismo. Questo si può già desumere dalla frase riportata in cui evidenzio che per me non solo non ha senso parlare di realtà senza coscienza, ma neppure di coscienza senza realtà.
Si tratta di due facce indivisibili della stessa moneta, di due aspetti o componenti della realtà, entrambi necessari, che si presuppongono a vicenda.
Inoltre il solipsismo, comunemente inteso, mette l'accento sul soggetto singolo, mentre io mi riferisco al soggetto in generale, come entità concettuale, come ruolo, alla coscienza in generale e non a uno qualunque degli innumerevoli centri di coscienza (forme viventi). Ritengo che la coscienza non sia né mia né di nessun altro, ma dell'esistenza in generale, e noi, in quanto centri, o nodi di una rete, ne siamo semplicemente partecipi. Allo stesso modo in cui la forza di gravità non appartiene a nessun corpo in particolare o a nessun punto dello spazio (o spaziotempo) in particolare, ma all'universo in generale.
Una posizione agli antipodi di quella di chi considera la coscienza un "epifenomeno", la vita come un fatto accidentale e l'uomo come una bizzarra anomalia dell'universo. E anche, naturalmente, in contrasto con quella di chiunque fantastichi di un mondo "oggettivo" in senso assoluto, ossia esistente "di per sé" senza nessuna presenza cosciente che lo osservi. Uso il termine "fantasticare" perché, al di là del valore di "verità" che si posso o voglia attribuire a questo presunto mondo "oggettivo", si tratta di qualcosa al di fuori di ogni nostra possibile esperienza e al di fuori di qualunque inferenza logica basata su dati disponibili, quindi un prodotto dell'immaginazione.
#270
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
18 Novembre 2016, 20:05:53 PM
green demeter ha scritto:
CitazioneA me caro DonalDuck pare che manchi il problema del soggetto.

Qualsiasi delirio sull'oggetto quantistico, è un atto paranoico, come se il soggetto non esistesse.
E invece bisognerebbe chiedersi perchè film sempre più fantasmagorici fanno del reale qualcosa per pochi eletti (filosofi e qualche intellettuale), (e i cari film noir (hollywood '50) non se ne vedono più.  )
Caro GD,  spero che ti renda conto, rileggendoti, che le tue frasi sono incomprensibili, o se vuoi, possono essere interpretate in cento modi diversi.
In una discussione sarebbe auspicabile cercare di esprimere idee chiare e il più possibile precise, altrimenti la discussione muore lì o va avanti vagando senza meta e senza regole.