Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - PhyroSphera

#256
Citazione di: Visechi il 20 Novembre 2024, 09:17:08 AMVedo che non rinunci al tuo solo immaginato auditorio. Lo appelli, lo chiami in causa per offrirgli una delucidazione "sulla mia posizione" (presunzione grottesca), per rendere chiaro quel che chiaro proprio non ti è. In tutto questo motteggio da imbonitore, redarguisci, ammonisci e rimbrotti. Vabbè, transeat, ce ne faremo una ragione, non mi va di spendere troppe parole per insegnarti il dialogo e farti gustare il piacere del confronto. Spero comunque che alcuni messaggi riescano a scalfire l'involucro che hai eretto a protezione della tua vacillante tetragona sapienza e che il florilegio vaporoso di mal comprese casuali lezioni studentesche si apra al dubbio. Vedremo.
 
Noto che da subito non ti fai sfuggire l'occasione per compiere un peccato di presunzione quando sostieni con tracotante eccessiva enfasi che l'ateismo sia 'disimpegno che può sfociare in disastrosa distrazione", negando d'un sol fiato l'esperienza di decine di pensatori convintamente atei che hanno inciso tracce indelebili nella storia della cultura universale, ai quali certamente non puoi addebitare disimpegno e men che meno mancanza di profondità nell'analisi. Sostenere che sia ignoranza è un'altra delle tue perle di arroganza, ma la sciocchezza più evidente è la pretesa che l'ateismo sia un approdo provvisorio destinato a svanire come orizzonte esistenziale. Credi che certe sciocchezze, peraltro smentite dall'esperienza quotidiana che coinvolge tutti noi, meritino dei commenti o di essere confutate? Ho già scritto che sei autoreferenziale, ma qui più che altro mi pare che il tuo pensiero sia del tutto alieno dal confronto e conforto con e della realtà. Più spesso si è assistito all'abbandono fatale della fede, soprattutto dopo gli eventi cruenti del secolo breve.
 
In ragione delle tue poco accorte parole circa l'Infinito leopardiano, trova conforto la mia marcata e già evidenziata opinione che tu tenda a con-fondere Trascendenza (ribadisco, innegabile) con Dio. Non si tratta di sinonimi. È concepibile e percepibile una trascendenza che sia l'approdo speculativo, ma anche emozionale, della coscienza della finitudine e della limitatezza umane. Perciò ti scrissi, senza che tu abbia capito alcunché, che il dialogo con il proprio animo, col profondo (potrei inondarti di parole su questo tema), porta a lambire la percezione di un oltre, di una trascendenza che al suo fondo abissale non incontra alcun Dio (fattelo raccontare da Husserl), se non quando questo è posto e preteso dalla necessità di dar conforto per acquietare un animo che ribolle, un animo in tramestio. Nietzsche sosteneva che il cristianesimo e Dio stesso fossero la rivalsa e la risposta del risentimento dei deboli. Si tratta di una risposta pretesa dall'ansia, edificata da un'angoscia esistenziale, istituita da un male di vivere che ha impregnato di sé l'intera opera leopardiana (almeno dal 1819 – se insisti nel mostrarti ottuso ti inserisco i brani) e di cui l'Infinito è preclara testimonianza (vuoi la parafrasi del poema?). Sartre l'ha battezzato con il termine Nausea, cui diede un rimedio vitale come l'Impegno (l'uomo si edifica da sé, scaraventato nel mondo, nasce come una tabula rasa, da qui la necessità di edificarsi esistendo); Baudelaire con l'ennui e i suoi paradisi artificiali. Ma tu, ovviamente, limitato oltre che 'finito', non sei riuscito a capire nulla... non mi stupisco! Mentre faccio ammenda per Spinoza e Bergson: rileggendo mi son reso conto di essermi fatto prendere dalla fretta ed aver costruito un pastrocchio. L'elan vitale, il conatus essendi, come anche in buona misura la volontà di potenza di N., o l'arte di Shopi rappresentano delle vie di fuga, la cura alla percezione del non senso della vita.
In poche e conclusive parole, è nel fondo abissale dell'anima che si entra in contatto con il tramestio della trascendenza, dell'ulteriorità che ci abita. Questa percezione, questo lambire l'orizzonte degli eventi dell'oltre non ci collega ad una dimensione metafisica esogena, ontologicamente collocata e stabilmente ubicata all'esterno dell'essere; è l'essere stesso che sprofonda in sé stesso, come un astro in un buco nero. Dio o Marx (spero capisca l'allegoria di Marx... sii allergologo, una volta tanto) sono quel tanto che forniamo come risposte ultime e transeunti a questo richiamo abissale. Dio è l'ipostasi (credo inconscia) della percezione del Nulla (quello trovi oltre quell'oltre che ci abita); parimenti, Marx è l'idea (logica) che edifichiamo coscientemente per non udire la Nausea, l'ennui, la Noia, il Male di vivere che, se non calmierata, conduce alla follia. Perciò Dio o Marx (sii allergologo nel leggere Marx) hanno svolto un compito terapeutico come cura dal Male. Qui non hai torto. Ma si tratta di cure da farmacopea, entrambe. Volute e cercate o istituite dalla necessità espressa dal Nulla. Sono le illusioni (per tornare a Leopardi) che offrono riparo dal dolore che il non sense espresso dalla nullità di tutte le cose si trascina appresso, almeno fintanto che "Nobil natura è quella/ che a sollevar s'ardisce/gli occhi mortali incontra/ al comun fato, e che con franca lingua,/ nulla al ver detraendo,/ confessa il mal che ci fu dato in sorte..."
 
A grandi linee (perdonami la semplificazione di un pensiero complesso), Mircea Eliade, con piena ragione, ha sostenuto che l'umanità è una storia di religione. Innegabile, almeno fintanto che la ratio non sopravvenne per inverare questo predominio, che in un mondo secolarizzato è oramai sfumato e reso labile come non mai. È un bene? Un Male? Non sta a me dirlo... ma quantomeno è vero. Colgo anch'io nel respiro del Nulla la caducità dell'esistenza umana e i rischi insiti in questa fase storica di transizione.
 
Per quanto riguarda Cristo con questo intervento, per certi versi apprezzabile, chiarisci meglio rendendo maggiormente condivisibile il tuo pensiero. L'unico approccio possibile, concordo, non può che essere metafisico. Può anche non esserci un approccio e ritenere la narrazione dei Vangeli e le successive (stupende) interpretazioni solo filosofiche per la e della mente. In ogni caso, da ateo convinto, ti riporto un brano, interamente pensato e scritto da me ed inserito in un breve racconto che non ricordo se ho pubblicato su questo forum.
Son due personaggi che s'incontrano dopo tanti anni. È lei che parla:
"Io, dentro di me, sento che il Logos, facendosi carne, ha patito sulla croce non solo come carne, ma anche come divinità. Gesù è un paradosso. Non puoi pensare di scindere la divinità dall'umanità di Gesù; è la sua stessa natura che non lo permette. Diversamente, la morte sulla croce e l'intera vita di Gesù, sarebbero solo una finzione, una bugia – forse pietosa – raccontata all'uomo, poiché la divinità non avrebbe partecipato al dolore e non sarebbe stata quindi partecipe delle afflizioni dell'umanità. L'incarnazione, invece, impone proprio questo. Dio si è fatto uomo, nella sua interezza: carne intrisa di gioia e dolore, certezze e dubbi. E' per questo motivo che ti ripeto che è Dio stesso che soffre. Anche il dubbio insinuatosi sulla croce, i cui segni sono rinvenibili nel Getsemani, sono la cifra di un'agonia spirituale che coinvolge la divinità in prima persona, e Gesù, in quanto uomo divino, non poté sottrarsi a questa agonia, la quale trovò il suo epilogo nell'agonia della carne divina sulla croce. Ritenere che la sofferenza abbia coinvolto solo la carne, lasciando intatta la natura divina, significa sostenere un'algida alterità di Dio rispetto alle vicende umane, ciò sarebbe in aperto contrasto e negherebbe di fatto la passione amorosa che dovette convincere Dio a dare sé stesso per riscattare la creazione dal peccato, e sarebbe un'indelicatezza rispetto al mio amore, che non posso concedere".
Il cristianesimo si compie o muore ai piedi di quei quattro legni. Questo ci dice la teologia del Dio crocifisso di Moltmann, teologia del mondo riformato, ben diversa da quella di Benedetto XVI, che si mantiene forzatamente coerente alla tradizione tracciata da Sanctae Romanae Ecclesiae.
 
Ancora una volta ribadisco con ancor maggior enfasi che la vicenda di Gesù nell'analisi girardiana non è incuneata entro un 'contesto sociale criminologico fondamentale'. No, nel modo più assoluto. L'ira popolare descritta nei Vangeli è il momento culminante della tensione che, privata di sfogo, rischia di esplodere in maniera incontrollata. Furia violenta che va incanalata affinché la deflagrante violenza accumulata trovi uno via d'uscita e pian piano sia ricondotta a livelli comunitariamente accettabili. È, per l'appunto, la giusta esposizione di un evento, noto all'intero universo umano, da collocarsi pienamente nell'ambito della vittimizzazione dell'innocente, ovverosia del paradigma del capro espiatorio. Aspetto ben colto anche dalla liturgia cristiana con la definizione di 'agnello di Dio'.
 
Sul 'pastrocchio' ti ho risposto facendo pubblica ammenda per la confusione creata.
Sulla tragedia greca, Edipo, Girard evito di cercare di comprendere pensieri espressi male. Non creare pastrocchi tu, ora.
 
Il quid di cui parlo non è oggettivato o oggettivabile, non essendo neppure definibile né collocabile. È semplicemente quel di più che, pur essendo un prodotto del bios, lo trascende, lo sopravanza e supera. Quel di più che i nostri sensi e il nostro sentimento fugacemente colgono in un baluginare indecifrato ma ben sentito e avvertito. Quel quid tu pare lo riempi di un contenuto impersonale, immateriale che chiami Dio (oggettivandolo). Io mi limito a definirlo 'vita psichica': immateriale e personale (in quanto prodotto del bios individuale). Il tuo Dio si regge appellandosi alla tua filosofia, come la mia 'vita psichica' si aggrappa agli incerti sostegni delle neuro scienze. Non vedo dei nel fondo dell'abisso emerso dai forni di Auschwitz, ancor meno lo scorgo appeso alla forca di Wiesel, non lo vedo nei drammi del dolore degli innocenti. Se credessi nel tuo Dio restituirei il biglietto d'ingresso, perché l'armonia del creato che questo deus absconditus ci offre è costruita sul pianto degli innocenti. Grazie a Dio, Dio non esiste. La sua inesistenza salva Dio dalle giuste bestemmie che l'intero creato dovrebbe tributargli.
Urla Giobbe, urla Auschwitz, urla la madre che perde il sorriso del proprio bimbo, urla una donna stuprata nel corpo e dilaniata nell'anima... Ma la vita continua sorda ai lamenti, sorda a quel che accade... perché quel che accade è proprio ciò che deve accadere, senza finzioni, senza orpelli, senza barocchismi stucchevoli che rendano meno greve la visione di chi piange nell'anima perché ha dissecato la fonte delle proprie lacrime, di chi non ha più voce per gridare ed esigere una mano tesa che si sporga in un gesto d'aiuto, cui è rimasto solo un flebile filo di voce per restituire a quel Dio sì tanto indifferente la responsabilità che si deve accollare: <Padre, Padre perché mi hai abbandonato?>. "
E si ode ancora l'eco della protesta di Cioran: <<...Ecco perché, quando ingiuriamo il cielo, lo facciamo in virtù del diritto di colui che porta sulle spalle il fardello di un altro. Dio non è all'oscuro di quello che ci succede - e se ha mandato il Figlio, affinché ci tolga una parte delle nostre pene, lo ha fatto non per pietà, ma per rimorso.>>.
La profondità dell'urlo di protesta di Giobbe è tale da solcare il tempo e lo spazio, fino a congiungersi allo scoramento e al gemito di Gesù. Non vi è cesura fra i due eventi, solo un tratto di storia – dell'uomo – in assenza di Dio, costellato dal dolore, contrappuntato dal Male inconsulto che insorge bestiale a nutrire la vita. Non vi è cesura fra Giobbe, Gesù e le baracche di Auschwitz e Darkenau. Vi è continuità nel Male che s'insinua perfido nel cuore e prorompe dalla gola di madri che piangono figli, senza un perché, senza un motivo. Dio non ha mai fornito risposte, non vi è teofania che lo abbia giustificato. Quando, richiamato dall'urlo di Giobbe, fece udire la sua voce, non lo fece per svelare il mistero della vita e del Male, ma solo per accentuarli, per marcare una distanza incolmabile fra terra e cielo. Dio non è crudele, la crudeltà non trova ospitalità fra i suoi misteri. Dio parrebbe perseguire un progetto ineffabile, inconoscibile, intangibile ed inintelligibile, ma questo progetto dissemina la terra di vittime innocenti, le stesse vittime innocenti – i tanti bambini morti per caso, senza un perché - che indussero in un famoso personaggio di Dostoevskji un moto di ribellione, fino a rifiutare la coppa della vita, la cornucopia ricolma di tanti mali, fino ad infrangerla sul il pavimento per non volerne più cogliere i cocci, fino a restituire a Dio il biglietto d'ingresso nella mortifera Vita. L'Anima è ricettacolo di questa discrasia, e l'uomo avverte quest'antinomia presente nella vita, nella creazione. L'avverte in una visione tragica, che dilania, che accentua vieppiù la lacerazione dell'Origine. E non vi è sutura che possa redimerla. Chi soffre non è il corpo, è l'Anima. Quando l'Anima soffre, patisce l'intero corpo, patisce l'uomo nella sua interezza: mente, Anima, corpo."
 
Quale preambolo etico, affermo innanzitutto che la vittimizzazione dell'innocente o è incubo, nel pensiero, o è crimine, nell'azione. Si tratta di un'ovvietà, un'autoevidenza, dice il filosofo.
Quale avvertenza estetica, metto in guardia il lettore dai fuochi d'artificio retorici oppostimi: si tratta di un sofisma e i sofismi sono pericolosi per gli ingenui e sprovveduti.


Io dicevo, a proposito di ateismo, di disimpegno nel còmpito prima o poi necessario verso l'Assoluto.
'Visechi' ha tentato di difendersi, alla mia critica contro l'oggettivazione del Mistero, dicendo che il suo quid è un prodotto del bios. Allora, così, nessuna Trascendenza, solo il trascendentale (che è diverso). Perché lui se ne vuol occupare e vuol insegnare agli altri che essa porta al Nulla? (Non si fa! - nel senso che non si "quaglia" così.)
Lui dice che io confondo Dio e trascendenza. Ma Dio è presente nel mondo e lo trascende! Jung notava: dire il mondo è la mia rappresentazione può valere addirittura come sintesi del sistema filosofico di Schopenhauer, ribaltarne l'affermazione dicendo "la mia rappresentazione è il mondo" invece è specchio di follia. Scambiare sé stessi per il Mistero e negare quest'ultimo, come fa tal Visechi, non è sbagliare sulle cose ma è pur sempre, specialmente a livello filosofico, una chiusura sbagliata. O uno si occupa della Trascendenza senza confonderla per una via verso il nulla, o lascia perdere. Wittgenstein, a riguardo, poteva insegnare qualcosa e bisognerebbe farla finita di voler assegnare ai sostenitori della fede in qualcos'altro il ruolo di folli.
Su Dio, sofferenza, unione uomo-Dio, i teologi ne dicono e ne discutono, Moltmann compreso, ma costui a distanza e senza poter raggiungere l'autentico pensiero greco antico sulla apatia divina ma restando alle soglie dell'ellenismo, che era anche oltre i domini romani raggiunti dal ricorso forte al Gesù di Nazareth.
Se si accoglie il pensiero dell'amor fati quale premessa, non quale approdo e per giunta tardivo, ecco che non c'è bisogno di rimproverare a Dio le sciagure del mondo. Questa è saggezza che possiamo fare, mentre quella del Libro di Giobbe è sapienza, di cui poter cogliere i frammenti. Nel primo caso, il cammino della virtù; nel secondo della santità. Se l'evento negativo è estremo, ci possono stare tutte e due anche, ma la prima diversamente. L'ateo ostinato si confina entro i termini della saggezza senza intenderne i limiti e ciò non basta per avere sicurezza anzi è incertezza assicurata.

Aggiungo: il ribadire dell'avversario contro l'affermazione del bisogno antropologico di Dio nella convinzione che sia un'angoscia travestita, il citare le inquietudini e dilemmi esistenzialisti, Leopardi, Baudelaire, Sartre... Per questi ultimi io consiglio di valutare e confrontarsi con l'esistenzialismo positivo formulato da N. Abbagnano senza confondere piani terapeutici per dimostrazioni logico-filosofiche né ingannandosi o illudendosi di autentiche teorie scientifiche che confermino l'ufficio del negatore di Dio... Mentre per la prima insistenza io direi ai malcapitati di notare che l'ateismo aggressivo contro credenze religiose e fedi ad esse connesse coincide e si identifica con l'oblio dell'umano, nel suo aspetto e condotta numinosi. E' questa affermazione che è connotabile scientificamente, anzi è stato già fatto psicologicamente, ma pure antropologicamente e sociologicamente.


Chiudo, con l'impressione di aver interloquito con l'espressione non di un paradigma scientifico (nonostante le pretese dell'interlocutore) ma con un parametro tipico dell'insoddisfazione del mondo ipersecolarizzato.



MAURO PASTORE
#257
Citazione di: misummi il 20 Novembre 2024, 13:12:05 PMA me l'AI piace ed interessa.
La trovo utile sul piano informativo,meno utile su quello dialogico sé si resta su livelli medio bassi
Impostando un dialogo serio e creativo  su questioni e ipotesi scientifiche, L'AI fa un salto di qualità in automatico perchè quello è il suo livello.
Sul piano creativo letterario un voto medio basso,su quello psicologico la considero alla stregua di un adolescente intelligente e informato assistito da addetti ai lavori che non si vogliono esporre.
Tutto qui,dove stanno i pericoli se non nella testa di chi la usa!

Non è questione di piacere ed interesse, ma di avvedutezza.


MAURO PASTORE
#258
Citazione di: iano il 20 Novembre 2024, 11:16:26 AMChe sono quelli studi da te esclusivamente approvati, e della cui esistenza non possiamo neanche essere certi, visto che non li citi.
Che la tecnologia si presti ad essere idolatrata è un dato di fatto.
Giusto quindi lanciare l'allarme, ma precisando che non c'è nulla di nuovo sotto il sole.
Mi preoccuperei piuttosto del fatto, che posso confermare, che alla soglia della nostra estinzione qualcuno ancora discuta dell'opportunità di cambiare nome a  quest'era chiamandola antropocene.
Il problema mi sembra comunque ormai superato, perchè sfido chiunque a ricordarsi la vecchia denominazione senza andare a guardare su Wikipedia.
Ci sono: antropologia della religione; psicologia della religione; sociologia della religione; e anche altro. Tutto sta a trovare studi ove lo scienziato non si preclude la totalità dei risultati. Alcuni si autolimitano per superstizione. Non è la superstizione religiosa la peggiore.


MAURO PASTORE
#259
Citazione di: iano il 20 Novembre 2024, 11:10:27 AMQui siamo alla pura fantasy, se siamo cosi addentro alla cultura dei dinosauri da poterla imitare.
E' solo una delle tante salse con cui condisci la tua avversione ideologica all'evoluzionismo, di tutte questa la più improbabile.
Io non dicevo che le bestie hanno una propria cultura e che dobbiamo imitarle. Dicevo di un fenomeno di imitazione diverso: la gigantomania, la freddezza dei sentimenti ridotti simili a quelli dei rettili, la distrazione per i disastri atomici come se si fosse più forti degli umani, forti quanto i rettili alle radiazioni ed in particolare quanto i loro avi antichi... Tu prova a guardare un operaio che fa la faccia prepotente mentre comanda una escavatrice meccanica, e allora ti potresti render conto, anche notando che agisce da elemento, dunque da rappresentante di una massa... C'è anche l'indizio delle donne alle prese con le borse di coccodrillo e le reazioni ai film sui dinosauri... Ma anche tanto altro e di più logico e rigoroso, riguardo alle scelte politiche ambientali di molti che pensano in termini antidiluviani, come se il Pianeta fosse già pieno di vulcani attivi e terremoti e fumi tossici, e che mettono in scena una aggressività del tutto simile a quella dei dinosauri, per quanto se ne può ricostruire non solo con la scienza.
Alla fine però il fattaccio si tramuta nel fare tutti quanti insieme come si farebbe essendo formiche o termiti. Scelta di sovrappopolazione, sacrifici insensati di gruppo (insensati per gli umani)... Alla prepotenza da dinosauri seguono le stragi con armi chimiche, atomiche, che trattano le moltitudini come sciami di insetti... C'è una relazione tra il tecnicismo gigantista e le stragi di massa con armi non convenzionali... A volte si trovano soggetti sinceri che parlano a nome di vasti numeri: prima si fanno cose giganti e senza curarsi degli effetti della prepotenza, ma poi si deve esser disposti a morire come insetti. Queste più o meno involontarie testimonianze sono già delle fasi mature del fattaccio. La politica informa sui comportamenti di massa e le statistiche sono solo uno dei riferimenti. La rete sociale stessa informa e esiste una società mondiale oramai - che non è il Villaggio globale purtroppo; e questa azione di massa reca danni anche a chi non ne partecipa o è imposta a quelli che non la vorrebbero.

Se ci si mette a pensare l'evoluzionismo, non la Teoria della Evoluzione cioè ma una costruzione fatta su di essa, se si considera quella degenerata che pretende di spiegare il divenire sotto il concetto di evoluzione, che tenta anche di inglobare l'osservazione biologica-antropologica secondo cui l'umanità è mediatrice tra la varietà delle forme animali (morfologicamente), ecco che qualsiasi bestia, riconosciuta come non estranea in quanto vivente, viene imitata disperatamente per rinforzare il sogno dell'idolo. Anche pecore e galline. Ma socialmente l'imitazione per i dinosauri è del tutto rilevante nella politica. L'evoluzionista nel pensare gli animali non applica interamente la distinzione io-altro. Molti animali possono profittarne, anche sciami di insetti. E' proverbiale l'uso massiccio di insetticida che certi fanno e il lutto cui fanno seguire, per non voler accorgersi che dovevano porre distacco e indifferenza... e alla fine buttando insetticida a oltranza ce lo si becca, si fa la fine degli insetti... Si sa che l'idolo vero e proprio del fanatico e fraintenditore di Darwin è la scimmia, tuttavia i dinosauri, in particolare quelli carnivori, vengono dagli idolatri trattati come scimmie meccaniche

Capito in che senso dicevo (dico al lettore perspicace)?


MAURO PASTORE
#260
Citazione di: iano il 20 Novembre 2024, 10:52:03 AMCredo che non si possa declassare a tecnicismo una tecnica che mi consente  il desiderabile risultato di produrre in sei mesi un vaccino, piuttosto che in due anni, sopratutto se con epidemia in corso.
Vero è che non si può scongiurare che qualcuno la scambi per la lampada di Aladino. Però facciamo attenzione a che, per puri motivi ideologici, non si butti via il bambino con l'acqua sporca.
Infatti non può che derivare da pura ideologia demonizzare una tecnologia prospettandone le possibili negatività e ignorando volutamente le possibili positività, rifiutandosi di usare la propria intelligenza, ancor prima che quella artificiale.
La IA è tecnicismo, non tecnica.
Non so se ci sia stato un vaccino anticovid ottenuto tramite IA. A riguardo però la vera medicina scientifica, a parte i fuochi pirotecnici della tecnoscienza e tutte i relativi inganni, dice uguale a prima: sia il virus più forte o meno, le influenze legate a luoghi e stagioni (nel caso del Covid: la Cina sovrappopolata ed iperinquinata, gli inverni ma anche l'alternarsi di caldi e freddi, più grave dati i cambiamenti climatici) non vanno mai trattate coi vaccini neppure in casi di emergenza. Insomma i vaccini anticovid non sono dei ritrovati della tecnologia. Sono una delle tante dimostrazioni di una subcultura prepotente che non doveva esserci.
Non sempre ha senso dire di possibili positività: ci sono certe imprese che non funzionano e altre che sono anche solamente deleterie. Difatti non è l'intelligenza artificiale in quanto tale che criticavo e che critico, ma la sua falsificazione.

MAURO PASTORE
#261
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
25 Novembre 2024, 08:51:37 AM
Citazione di: green demetr il 23 Novembre 2024, 00:40:39 AM[...]
Della serie parole a caso su Freud.
Se mi cita Freud (che parli ancora di psicosomatica come causa, e non come sintomo, ovviamente) dopo il 1900, visto che PRIMA era psichiatra, come ben sa, ne riparliamo. Prima di inventare la psicanalisi ovvio.
E comunque con post-freudismo io intendo anche la stessa figlia Anna.
Perciò non mi attribuisca teorie che non condivido.

Io ho smesso di leggere quando siamo arrivati ai feroci pesci :D
[...]
Devo aggiungere altro. Non posso essere breve. Certe repliche meriterebbero poche o nulle parole, ma non sempre rispondendo ci si riferisce solo a quanto l'oppositore intendeva dire o ribadire e siamo in una discussione con molto altro per mezzo.


1)
Essere psichiatra, a rigore, significa svolgerne la professione. La medicina è una disciplina, in sé, di àmbito tecnico. Avere un titolo di psichiatra non significa necessariamente esserlo. In tutte le biografie accreditate S. Freud non viene mai presentato per medico psichiatra, ma per medico e neurologo e i suoi rapporti con la psicoanalisi vengono di solito sopravvalutati. Avesse egli avuto anche il titolo di psichiatra ed avendone a volte esercitato la professione, resta che la sua attività era altro. Una espressione assai usata è stata "padre della psicoanalisi", ma questa andrebbe interpretata nel senso limitato di patrocinio, ma tanto per accorgersi che neanche questo è esatto. Freud fu un applicatore. Come detto, gli psichiatri già ne usavano nei rapporti medici e nelle diagnosi, senza che fosse specificato in quanto metodo scientifico; S. Freud la applicò nello studio delle cure delle nevrosi, senza definirla scientificamente. Tali studi cominciavano a dimostrare, tra l'altro, a livello di medicina generica, che gli interventi di tipo fisiologico e anche quelli neurologici non erano adatti per la cura delle malattie mentali. Essi tracciavano anche utili paralleli tra neurologia e psicologia, riguardo alla incognita, allora ancora incognita per la scienza, del cosiddetto inconscio. Il valore psicologico di questi studi non era però intrinseco ad essi, inoltre il limite fissato per i neurologi era un'esigenza etica: difatti lo sconfinamento di campo del neurologo era contro gli stessi statuti della scienza ed etica neurologiche! In tal senso bisogna assolutamente capire che non fu la corrente di pensiero sorta da S. Freud a fornire il necessario, ma principalmente le altre due, di Adler e Jung. Nello stesso senso, bisogna capire che il movimento della psicoanalisi propriamente detto non fu mai guidato da S. Freud. Fu Anna Freud, psicoanalista (il fatto che fosse figlia di Sigmund Freud non è rilevante riguardo a questo discorso), a capeggiarlo e a fornire degli schemi validi, partendo necessariamente dalla psicologia non viceversa dalla neurologia. Sempre nello stesso senso: se proprio vogliamo dire di intervento determinante, quello fu (ne ho già citato) di S. Spielrein, altra psicoanalista. La difficoltà nel riconoscerlo dipende in gran parte dal suo passato prima di psicotica poi di nevrotica e dal fatto che prima Jung e poi Freud la aiutassero a guarire. Esiste il pregiudizio che una volta ricevuto un aiuto psicologico si resti senza proprie risorse e comprensioni, e molti fanno pubblicità ai farmaci promettendo indipendenza; invece è tutto il contrario.

2)
Si vive in tempi difficili. Come i giornalisti ultimamente hanno usato tanto e a sproposito l'espressione inadeguata e confusiva "omicidio stradale" - se uno dice omicidio familiare, si riferisce ai coinvolti, ma con strade e responsabilità umane nell'usarne non è lo stesso - ugualmente viene usata massicciamente l'espressione "paziente psichiatrico", parimenti inadeguata e confusiva. Tanti anni fa i veri professionisti del settore psichiatrico erano terrorizzati e disgustati dal fatto che non si volesse proferire con sufficiente chiarezza, da parte di troppi, neanche l'espressione semplice "paziente di uno psichiatra". Proprio il tentativo disgraziato di sostituire la psichiatria con la neurologia, parzialmente o finanche totalmente in certi casi, era accompagnato dalla fantasia che lo psichiatra e il suo paziente diventassero un assieme, ovviamente non unico ma unificato, come si fosse trattato del connubio tra motociclista e motociclo (tralascio il fatto che nelle carte di circolazione italiane risulta ancora adesso una certa confusione tra motocicli e ciclomotori, tralascio anche tutto il resto conseguente). Come spiegare questo abuso linguistico, il dire e far proferire l'espressione "paziente psichiatrico"?
In verità l'àmbito medico non è il solo coinvolto da questa confusività e improprietà di linguaggio. Nella filosofia ci sono i materialisti atei e occidentali che guidano le folle prive di rispetto per i valori linguistici. A cominciare dalla confusione sostanza/materia, come se si potesse dire di una materia infinita al di fuori da un dialogo provvisorio (come quelli di G. Bruno). Tale termine, materia, ha senso solo per oggetti limitati e non per definirne la totalità in quanto cose. La monadologia di Leibniz fa tanto ridere molti sprovveduti (prima anche nelle università, non so ora), ma ricondotta al suo contesto culturale è uno studio filosofico e cosmologico assai serio; e il modo di Leibniz di dire di 'sostanza' sarebbe da recuperare al posto di dare ancora adesso carta bianca a dei distruttori che non hanno, dopo il loro delitto, proprio niente da fare per il mondo, neanche provare a ripagarlo dei propri torti. Dietro l'abuso ai danni di psicologia, psichiatria, psicoterapia, psicoanalisi... c'è il fantasma della "rivoluzione culturale" di Mao e del maoismo in Cina: una tragedia, con tante sapienze, saggezze e metodi preziosi andati perduti; un etnocidio multiplo contro lo stesso mondo cinese; e la prassi maoista riprodotta e reiterata in Occidente è più violenta, crea un disastro a livello antropologico. A quest'ultimo livello si può inquadrare l'atto medico, non a partire dalla stessa medicina. Ugualmente la psicologia fa con la psicoterapia. Se si sogna di sovvertire la cultura e non ci si accorge del valore anche pratico immediato del patrimonio culturale, anche alto non solo basso, della funzione delle lingue nazionali e di tanto altro che il materialismo ateo continua ad insidiare - so benissimo che la Cina di tanti anni fa' non è qui - ecco che non ci si rimedia proprio nulla e si abbandonano le nostre società ai danni insensati. In Egitto un musulmano mi raccontò che prima della venuta dell'Islam i malati di mente di certe zone arretrate di quel Paese erano insistentemente minacciati di lapidazione, di sassaiole contro il cranio; e mi disse di come la religione islamica distrusse le premesse di siffatto delitto. In vasta parte del Pianeta  circola una falsa tecnocrazia e il proposito di agire a livello fisico o peggio chirurgico nei confronti del problema mentale è diffuso finanche tra sedicenti professionisti. Che lo psicofarmaco riduca la violenza con l'effetto-droga è vero, ma pur sempre violenza resta. Certi che sono ritenuti, spesso anche ufficialmente, operatori sanitari, medici, infermieri e loro colleghi e collaboratori hanno forse più pregiudizi e vizi mentali di quegli anonimi che secoli addietro in Africa minacciavano di lanciare sassi contro la testa degli psicotici, incontrando il provvidenziale veto dei seguaci di Maometto. Dalle nostre parti e anche altrove, ai nostri giorni, spunta fuori, immancabile, il tentativo di convincere che la fine dei conflitti tra umani sia una prospettiva reale e concretamente realizzabile con medicine e terapie... Questi sciocchi sogni si traducono poi in eccessi da incubo e poi anche in peggio: imputando ai cosiddetti pazzi le tragedie del mondo tali sciocchi finiscono per violentare l'umanità ricorrendo a falsi rimedi per falsi problemi e usando costrizioni, dato che non hanno reali capacità di affrontare la questione. Questa dipende anche da un cattivo materialismo: la proposta e imposizione, costante e non richiesta, del neurologo - cui poi seguirebbero interventi di fisiatri fino al peggio - vanno trattate dalle autorità come in Egitto secoli fa si trattavano quei lapidatori. L'ordine dei fatti è lo stesso!
La prospettiva adatta per eliminare le premesse della violenza che ho indicato non è a sua volta quella medica né quella terapeutica bensì quella che fa riferimento a una alterità al mondo, dato che tali crisi umanitarie e sociali accadono quando non è più possibile ricorrere ai poteri dello stesso mondo. L'assenso, inevitabile, dello psicologo serio e competente a tale prospettiva, non va scambiato per una sostituzione a chi di questa alterità misteriosa si occupa. Invece che inquisire i credenti, tanto più notandone una capacità tanto più criticandoli ed escludendoli, trattandoli da criminali furiosi quando si arrabbiano o si adirano, invece di fare questo si dovrebbe riconoscere il valore terapeutico delle religioni e quello taumaturgico della fede - il che non significa abbandonare scienze, filosofie, tecniche, ma significa non andare oltre e conservare i reali saperi e capacità. Il disgusto di S. Freud per la religione, le sue deboli ammissioni postume, non sono il segreto per capire davvero la psicoanalisi. Meglio cercare di ricostruirne la vera storia, recuperando quel che ancora c'è per lo scopo.


P.S.
L'interlocutore "green demetr" ha detto di non aver letto quanto ho scritto (in altro messaggio) a mo' di esempio sulle bestie feroci marine, forse ne è inquietato o forse è più inquietato dal pensare che la cronaca diffusa sul metodo psicoanalitico dice in un modo ma i fatti risultano in un altro e ancor di più inquietato che una ex malata grave di mente abbia fornito l'apporto determinante per la formulazione scientifica della psicoanalisi - non è una reazione saggia perdere la quiete per un motivo così, neanche far pesare antipatie e simpatie in una discussione così, come sento che accade ai danni dei miei messaggi.



MAURO PASTORE
#262
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
24 Novembre 2024, 18:31:04 PM
Citazione di: green demetr il 23 Novembre 2024, 00:40:39 AM"bando, sopra il Booster Anna fattura e no, non parlo di buste..."cit Anna
Della serie parole a caso su Freud.
Se mi cita Freud (che parli ancora di psicosomatica come causa, e non come sintomo, ovviamente) dopo il 1900, visto che PRIMA era psichiatra, come ben sa, ne riparliamo. Prima di inventare la psicanalisi ovvio.
E comunque con post-freudismo io intendo anche la stessa figlia Anna.
Perciò non mi attribuisca teorie che non condivido.

Io ho smesso di leggere quando siamo arrivati ai feroci pesci :D
Magari visto la Sua insolita posizione potrebbe aiutare con post più brevi.
Io non ci ho capito niente.

PS
Lasci perdere di citare Assagioli, noto omofobo, uno dei personaggi più oscuri del mondo italico-massonico.
Le repliche contrarie che ho avuto sono capziose e anche un poco suggestionanti per gli ingenui, per cui dirò un po' di cose senza troppa brevità.

La prima frase che tal "green demetr" ha accluso non appare sensata. Non so da dove la abbia presa e che avrebbe voluto dire con essa.

A me non risulta che S. Freud fosse anche psichiatra. Su un sito Treccani così è riportato ma a me risulta una informazione sbagliata. Qui per esempio è detto di no, anche se l'articolista si illude a proposito della attualità del suo pensiero:
https://www.mentalhealth.com/library/mental-health-legacy-of-freud#:~:text=Before%20discussing%20how%20Freud%20continues,doctor%20whose%20specialty%20was%20neurology.
Si trovano vari altri siti ove si trova scritto che Freud non era psichiatra. Egli lavorò anche nel campo della psichiatria, il che è diverso.
Uno che passò tanto tempo sui libri di Freud, Cesare Musatti, alla fine invitò, specialmente i suoi colleghi, a lasciarlo perdere una volta per tutte, relegandolo nella storia. Questo però deve avvenire comprendendo il valore della psicologia non ritornando alle violenze degli inganni materialisti.

Io ho parlato di psicosomatica come àmbito e disciplina di studio e quale termine per indicare mente e corpo.
Psicologi e psichiatri si interessano anche al corpo, perché mente e corpo non sono separati; ma non sono nei rapporti che sognano quelli che sbagliano col materialismo. Non accade mai che la psiche finisca alle dipendenze del corpo; chi decidesse di farlo non riuscirebbe, sarebbe solo volontà costante di autodestituzione mentale, dunque nessuna dipendenza, in nessun caso.
Quella mezza frase che lei dice su "psicosomatica come causa, e non come sintomo" non esprime niente di sensato. Le malattie mentali, quelle realmente tali, non accadono perché una dinamica fisiologica le innesca. Jung, che a differenza di Freud si era seriamente dedicato a fornire dei modi adatti per curare le psicosi, spiegava chiaramente che ci sono dei fattori ambientali, anche materiali, che concorrono ma spiegava pure che quelli decisivi sono tutti nella nostra mente e ne riguardano il vissuto: non come una macchina che si rompe ma una vicenda della vita. Inutile poi fingere che un raffreddore nel tempo possa rivoluzionare la propria dinamica; così anche le psicosi. Non cambia nulla riguardo alle dinamiche fondamentali. Uno starnuto è uno starnuto, così una psicosi è solo una psicosi: lo dice la parola stessa. Inutile negare quanto ho detto sulla prepotenza continuamente attuata con la neurologia: basterebbe attenzione alle parole per capire.

Quanto a quella specie di invito a lasciar perdere le citazioni di Assagioli, e quanto ai riferimenti alla massoneria... io ho parlato della sua attività nella psicologia, nella medicina, non di massoneria; un pensiero sulla psiche non è buono o cattivo a seconda se uno è massone o non lo è. Si inizi allora tutto daccapo. Se non si ha proprio capito cos'è la psicologia, non si ingombri internet con repliche che sono causa di errori. Ripeto: ci sono le pubblicazioni, la medicina non è una scienza esoterica e la psicologia scientifica sta in piedi anche senza medicina... ma se è utile ai medici non bisogna subissare la mente del prossimo con negazioni fatte per partito preso, ignoranza e irresponsabilità.


MAURO PASTORE
#263
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
24 Novembre 2024, 17:54:44 PM
Citazione di: Visechi il 22 Novembre 2024, 19:25:52 PMHo letto con non poca fatica l'intero intervento. Al di là del solito atteggiamento spocchioso da 'magister' che rampogna gli ingenui scolari, ci dovremo abituare, rilevo, nel suo periodare talvolta sconnesso, più volte improvvisato, molto spesso del tutto irrelato, fra asserzioni più che discutibili (interamente risibile il passaggio sul comportamento psicotico del 'salvatore') 'smerciate' come dati e situazioni oramai acclarati, qualche elemento davvero condivisibile, anche se a parer mio estremizzato.
Concordo pienamente sul fatto che la 'cura' (gli apici solo per affievolire e smorzare il significato del termine) di patologie psichiche non possa mai prescindere dalla psicoterapia, irrinunciabile, ma questa può benissimo essere coadiuvata ed affiancata dal trattamento farmacologico, che non può mai sostituirla interamente. Quindi, l'estensore del mega pistolotto potrebbe emendarsi e cancellare la stupidaggine "Il grande progresso farmacologico quindi è una insidia e una impostura quando viene proposto per rimedio e peggio se massicciamente; quanto più la farmacologia progredisce, tanto meno diventa sostenibile o tanto più nociva e al fondo della strada sbagliata c'è l'accrescimento della repressione violenta."

Il suo giudizio sul mio periodare è subculturale. Provi a capire come mai, se per una condizione intervenuta che le richiede di ritornare alla comprensione, o per delle lacune che deve colmare. Non le conviene rapportarsi ai miei discorsi senza accorgersi che lei non ne è all'altezza. Quanto ho scritto va letto nel contesto della discussione, anche quale risposta a degli altri discorsi. Non si tratta di irrelati, ma di pensieri che sono corrispondenti ad altri non miei, di successioni dipendenti dagli argomenti presentati dagli interlocutori.

Io non smercio niente ed esistono le pubblicazioni, per chi è in grado di usufruirne.

Quello che lei scrive: "il passaggio psicotico del salvatore", non è riferibile ai miei messaggi. Provi a dubitare della sua intelligenza nel continuare la sua impresa e soprattutto cerchi di essere responsabile (come lei, anche altri): io ho dato informazioni preziose che vanno trattate col dovuto rispetto.

Aggiungo, per i lettori di buona volontà e capaci di comprendere, che quando non si conoscono i limiti precisi degli psicofarmaci essi diventano pericolosi, non solo per i pazienti che li assumono ma pure per i "medici" che li danno immotivatamente e che cominciano con lo sbagliarsi sulle loro vittime ma poi continuando con sé stessi. Attualmente, anche a detta dei più grandi professionisti in materia - che certo non seguono le mode o gli entusiasmi superficiali e distratti - lo psicofarmaco è generalmente sopravvalutato e questo comporta rischi sempre maggiori: quando le illusioni aumentano, subentra a volte il pessimismo e il cattivo medico comincia a fare sempre peggio.


MAURO PASTORE
#264
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
22 Novembre 2024, 14:11:06 PM
Citazione di: PhyroSphera il 22 Novembre 2024, 13:32:01 PMUn dissidio nei discorsi sulla psicoanalisi... e spesso salta fuori qualcuno che s'illude di avere una intesa che proprio non ha.
Non è questione di opinioni.
Io continuo a rispondere in ragione della situazione esistente, non per spirito di opposizione e tantomeno fine a sé stesso né per accordare confidenze a chi nega senza voler capire o voler dubitare - errore madornale nella filosofia. La dimensione filosofica della mia risposta apparirà alla fine del mio messaggio, ma le informazioni scientifiche elargite non sono solo per filosofi.


Quale ricercatore che dall'àmbito neurologico si muoveva in quello psicologico, S. Freud ebbe successo nell'evidenziare dei paralleli interdisciplinari, intorno alla realtà dell'inconscio nei suoi rapporti con la coscienza, riferimento che gli proveniva dalle ipotesi psicologiche scientifiche. Quale medico generico e non neurologo, ne usò per la cura delle nevrosi, con successo.
La cronaca attesta poi anche un fallace e antiprofessionale movimento da parte sua per tentare una alternativa al rimedio di tipo psicologico. Questa pessima impresa viene scambiata per una grande e meritoria attività, per "l'anima stessa del movimento psicoanalitico", ma la guida di quest'ultimo, in quanto tale e non ricerca solo inerente od operazione culturale scientista e contraddittoria, è da attribuire alla figlia di S. Freud, Anna Freud. Sigmund Freud, in mezzo ai raggiungimenti propriamente scientifici sempre più deboli e radi, alternava incursioni geniali coronate non da successi ma da affermazioni problematiche all'ufficio del guastafeste. Difatti il suo scetticismo sui rimedi di ordine psicologico - dipendente dal fatto che la medicina generica da lui praticata non era sufficiente e che la sua grande e assoluta passione e studio della psicologia (di passione, non dedizione, ne disse proprio lui, ma vi furono pure impegni validi) era troppo poco per praticare specificamente psichiatria - era (il suo scetticismo, dico) un ostacolo, non solo per lui ma per tutti quelli che subivano o si abbandonavano al suo fascino e alla sua genialità di mediatore esterno, funzione che lui avrebbe voluto rendere vanamente qualcos'altro (in vecchiaia, giunse al punto da adirarsene).
Quanto S. Freud uscisse fuori dal seminato lo dice l'antropologia, che mostra quanto possano essere diversi e sprovvisti i vissuti umani circa genitorialità e (eventuale) familiarità. L'Edipo descritto da Freud è una elucubrazione aggiunta su notazioni di rimozioni, nevrosi e guarigioni, elucubrazione accaduta in particolari ambienti culturali e socioantropologici e non diversamente può apparire se si utilizza la ricerca antropologica quale altra interdisciplinarità (l'autore di riferimento e B. Malinowsky).

Il lavoro interdisciplinare di S. Freud fu usato da psicologi e psichiatri per una formulazione concreta e non semplicemente di confine, su coscienza e inconscio. La definizione scientifica di psicoanalisi fu resa possibile da una paziente di C. G. Jung e di S. Freud, S. Spielrein, passata da uno stato psicotico a uno nevrotico e divenuta poi psicoanalista (a riguardo c'è lo studio junghiano di A. Carotenuto, assai noto per l'aver conferito centralità all'eros nelle sue terapie e riflessioni, non quale negatore delle teorie di Jung - del nome della Spielrein esiste più di una grafia). Il linguaggio portato alla psicologia dagli studi S. Freud acquistava un valore teoretico proprio nell'opera psicoanalitica di sua figlia Anna. Si sente dire di nozioni freudiane senza sapere se non da pochi che la "psicologia freudiana", linguaggi a parte (che con Sigmund tendevano a divenire capziosi e inutilizzabili, funzionanti al rovescio), fa capo ad Anna Freud. Se si cerca un'opera coerente e rappresentativa del pensiero freudiano "classico", inteso come ho fatto io, esiste "Il libro dell'Es", non scritto da Sigmund F. ma da Georg Groddeck. Nel frattempo Sigmund incuteva timori reverenziali: i suoi paralleli tra neurologia e psicologia risultavano sempre meno validi fino a quel che, con espressione tanto politica, si potrebbe definire un "tentativo di impeachment" da parte sua ai danni del futuro della psicoterapia (registrato poi da E. Fromm). Un esempio di rivalità professionale, si direbbe, incentrato soprattutto sui contrasti tra lui e C. G. Jung. Con A. Adler ci fu proprio il litigio. S. Freud era disastroso nei confronti della cultura teutonica propriamente detta anche quando praticata da ebrei come Adler. La via scientifica-psicologica alla scoperta della volontà di potenza difatti incontrò un rifiuto tale da fargli affermare insensatezze su una corretta sintomatologia. Sigmund, a confronto con orientamenti e ricerche di Adler (sto dicendo sempre dello stesso, l'iniziatore della psicologia individuale), si scordava anche cosa fosse un sintomo. Le ricerche di Jung in àmbito simbologico non furono mai valutate con accuratezza da S. Freud. La formulazione culturale di esse - altra non ve ne poteva essere perché Jung non era di cultura semita ma 'ariana' - non fu accettata; i concetti, i rilievi, i contenuti bollati come privi di rigorosità ma anche di effettivi riferimenti. Jung temette di essere internato in una casa di cura col rendere noto il suo primo studio innovativo, a causa della ostilità di Sigmund e non solo di lui; sua moglie lo convinse con alcune motivazioni strategiche a non tardarne la pubblicazione. L'interdisciplinarità di S. Freud era giunta proprio al capolinea, per ciò che di importante poteva fornire: la sfera simbolica della mente è fuori dalla concreta comprensione neurologica-psicologica. Solo valutando appieno il potere dei simboli e della realtà "archetipica" ad essi sottesa si poteva apprestare dei rimedi specifici per i disturbi gravi, le psicosi.
Già da prima la psichiatria però agiva, ma senza metodologia specifica: opportuni e tempestivi cambiamenti di ambienti (viaggi, cambi di residenza, questi usati anche non tempestivamente), relazioni familiari differenti, positività nel rapportarsi al malato... ed erano già in uso oppiacei se non oppio, quali farmaci palliativi, ma si sapeva già che non costituivano vero rimedio e non senza scientificità. Gli psichiatri in svizzera nel fare diagnosi usavano una prospettiva psicoanalitica già da prima dell'attività analoga di S. Freud (se ne trova riferito, se non erro da Jung stesso). Il còmpito di ricerche interdisciplinari venne a S. Freud proprio dagli psichiatri e per il neurologo serviva a definire e a restare nei propri limiti, cosa che a tutt'oggi purtroppo raramente avviene. Si tenta di mettere la cosa al contrario... e così si cade in impossibilità. Per questo la repressione ai danni dei malati di mente e dei loro sintomi non è terminata e le cosiddette "neuroscienze" sono perlopiù una raccolta di dati in cui si tenta disperatamente ma ostinatamente di ricondurre tutto e far quadrare tutto nella neurologia, per una sorta di scommessa, in verità una superstizione in un certo senso.
La follia quale aspetto naturale della nostra psiche, uno tra i tanti, ed anche necessario in certi casi della vita, ha sempre delle corrispondenti configurazioni cerebrali, le quali sono naturali; nei malati esse sono vissute problematicamente ma non sono esse il problema. E' da nemici della vera medicina tentare disperatamente di modificarle o farle sparire, peraltro accadendo ciò in un crescendo di violenze: drogaggi, scariche elettriche, rimedi mediati dalla ortopedia (camice di forza) o peggio. Il grande progresso farmacologico quindi è una insidia e una impostura quando viene proposto per rimedio e peggio se massicciamente; quanto più la farmacologia progredisce, tanto meno diventa sostenibile o tanto più nociva e al fondo della strada sbagliata c'è l'accrescimento della repressione violenta. La psicoterapia, lo sviluppo di sistemi comunicativi anche con gli psicotici, sono la giusta via professionale; e senza professionalità la dimensione dell'intervento resta questa stessa. Tutto questo è stato dimostrato scientificamente più volte e divulgato. Non è appannaggio di pochi medici ma di chiunque riesce ad informarsi sul reale stato delle scienze, a prescindere dai progressi futuri. Si tratta infatti di collocare i fenomeni nei giusti orizzonti disciplinari e tecnici. La medicina non è una pratica esoterica, nonostante molti vogliano fingerne.

E' stato già mostrato in questa discussione che psichiatria e neurologia sono àmbiti e còmpiti oramai specificati distinti anche nella pratica dello Stato italiano. Ho già cercato di dare informazioni sulla psicosomatica: è questo metodo psicologico (è psicologico, non fisiologico!) che offre la possibilità di risolvere le complicanze mente-corpo, le quali sono intrinsecamente limitate a causa dei rapporti mente-corpo. Il tentativo di mitizzare la psicosi grave, lo stato schizofrenico che a detta dei mitomani avrebbe bisogno del neurologo e poi del fisiologo, dipende da ignoranze e fraintendimenti incompatibili con una vera capacità professionale o anche solo con una generica capacità; e se ci si aggiungono anche abitudini genericamente diffuse, questo non prova alcunché, va solo riconosciuto quale emergenza sociale e criminologica, criminologica perché gli esiti degli errori sono di fatto di pertinenza anche dei criminologi.
Si sa, per esempio, che durante la sopravvivenza nelle catastrofi la mente umana trova nel funzionamento psicotico il sostegno più valido. Quando c'è il terremoto e si deve pensare a salvare altre persone mentre si cerca di capire se un pavimento o un soffitto crolla o come aprire una porta nonostante le deformazioni del cemento armato durante i sussulti, la mente si deve scindere: i pensieri devono stare divisi per riuscire. Mentre si pensa con una mano ad aprire una porta e con estremo impegno a capire come fare, si deve mettere attenzione a come comunicare qualcosa, che parole gridare per aiutare un altro, se ci si ritiene in condizione di apprestare un aiuto, senza aver tempo ed energie per una vera e propria connessione mentale. Questo è uno stato schizofrenico e non c'è proprio nulla di male. Quando si attiva senza motivo, non è nulla di più di una noia immotivata. Non è roba da finte tragedie. Non si tratta di porre rimedio a stati mentali e configurazioni cerebrali e non è questione dunque di riequilibri.
Faccio ora un altro esempio che potrebbe esser giudicato stravagante ma non è peregrino:
Se uno nuota per mare e incappa nel capriccio di un pesce feroce o di una belva marina che si sente invasa nel suo ambiente, potrebbe accadergli di riceverne ostilità grave: mentre si difende spasmodicamente con le mani e i piedi dalle fauci del pesce, deve chiamare qualcuno che lo possa aiutare... ma la bestia, percependo che il richiamo umano potrebbe rivelarsi una minaccia peggiore, reagirebbe direttamente con l'attacco mortale... e allora mentre una parte della mente del malcapitato deve assumere funzione difensiva, un'altra parte di essa deve assumere quella di richiedente aiuto, senza che le due funzioni siano giunte (unite) nella medesima psiche, anzi disgiungendole, perché se il pesce intuisse qualcosa reagirebbe uccidendo...
Poniamo caso adesso che un curioso, tanto affascinato dal materialismo e dalla neurologia prenda a scherzo questo racconto e dia credito ai discorsi secondo cui la psicologia scientifica sia nata da esperimenti, non dai soli e semplici esperire e con semplici esperienze. Costui, convinto che la dimensione psicologica sia solo secondaria e non risolutiva, convinto che se ne debba usare in un esperimento preventivo - perché per la sua mentalità ignorante non sarebbe possibile capire senza generare condizioni - sarebbe capace di immergere una cavia umana, cui applicato un casco pieno di sonde varie che gli scrutano invadentemente il cervello, nella vasca di un acquario dove uno o più pesci feroci nuotano, non senza aver cercato di produrre condizione per un più o meno certo litigio. La scusa sarebbe: "se il pesce va oltre - lo fuciliamo", ma non c'è alcuna assicurazione scientifica riguardo ai comportamenti etici umani! Lo sperimentatore quindi avrebbe sul proprio macchinario i dati delle sonde, ritrovandoli uguali a quelli avuti da un esperimento su una cavia di un ospedale, un malato psicotico. Cosa penserebbe lo sperimentatore, convinto che la dimensione psicologica non sia quella autentica nelle malattie di mente più gravi? Si convincerebbe che la cavia nell'acquario è impazzita a causa del pesce e di averne le prove. Di solito tali prevenuti fraintenditori sono sicuri che il 'soggetto' (!...) è ormai "perduto". Capitato una volta, per loro solitamente il "soggetto" - ma con ciò essi designano un oggetto di esperimento, un umano violentato - è da quel momento in poi malato sempre se non da prima, indipendentemente da tutto quello che dice e che fa... Questo sbaglio e pregiudizio è connesso con letture erronee nonché moraliste di descrizioni psicologiche su scissioni mentali e conscio e inconscio. Negli ambienti della malasanità, neurologia compresa, una 'irruzione dell'inconscio con conseguente stato psicotico' significa una evoluzione fatalmente sbagliata di un singolo, il quale quindi i malviventi vorrebbero 'raddrizzare', con elettricità, camice di forza o peggio...

Insomma bisognerebbe finirla di elucubrare su corrispondenze tra stati mentali e fisici non ordinari, malati o non malati che fossero, cercando di rubare il còmpito alla vera disciplina oppure medicina psicosomatica, metodologia e metodo che sono entrambi psicologici, indipendenti da neurologie, da fisiologie.
Ma, disgraziatamente, tant'è: sono più diffusi i fraintendimenti e le ignoranze che le giuste osservazioni - queste ultime possibili anche ai non addetti ai lavori, semplici informati, anche se è impervio ottenere i ragguagli.
Ho il dovere di aggiungere anche anche altro: non è detto che l'esempio che ho fatto, della vasca con i pesci feroci, non possa corrispondere a un fatto di cronaca. Gli ambienti degli studi psicologici fino a non molti anni fa' erano tutti o pressoché sotto il tentativo di mostrare la necessità di esperimenti di tipo fisico, con la conseguenza di ricondurre tutte le vere esperienze scientifiche psicologiche a prassi inutili o anche violente, insulse e spiacevoli, tacciando le scienze e tecniche psicologiche di inconsistenza o pressoché, cercando di trattarle e farle trattare come un gioco ricreativo e con una prassi aggiunta che però ha senso solo nel quadro di una mentalità subculturale fisicalista - quadro non veramente scientifico-fisico o scientifico-fisiologico.



MAURO PASTORE
Ho terminato di correggere e migliorare il testo: alla fine c'era una espressione mancante e una parola che poteva essere fuorviante.
Il lettore di testi così deve comunque sempre esercitare, anche solo per parte propria, tutta la responsabilità dovuta.

MAURO PASTORE
#265
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
22 Novembre 2024, 13:32:01 PM
Citazione di: green demetr il 22 Novembre 2024, 00:55:45 AMNon ho questa opinione su Freud, la sua è stata per tutto il tempo una battaglia contro il materialismo.
Il fatto che subito dopo di lui, la gente abbia cominciato a negare la sua teoria sulla sessualità la dice tutta.
Si può certamente aggiungere come fece Jung d'altronde (ma allora preferisco leggere direttamente dalla gnosi antica che da lui), ma non togliere, cosa che la gnosi non si era mai sognata di fare.
Lei ha ragione quando parla di necessità di cura all'origine, ma questo a mio parere riguarda solo i casi meno gravi, come nevrosi e isteria (anche se oggi l'isteria è negata come malattia).
Nei casi di psicosi, come l'autismo, dove l'io si dissocia dalla sua persona, la cosa è impossibile.
Certamente senza metterci Freud dentro, la psicanalisi ha oggi perso ogni criterio con quella antica.
Per un filosofo, o semplicemente per chi indaga criticamente, il perchè è evidente.
Materialismo, anti-spiritualità etc..
Come vede a parte la visione severa che Lei dà a Freud, noi ci intendiamo perfettamente.
Salve!








Un dissidio nei discorsi sulla psicoanalisi... e spesso salta fuori qualcuno che s'illude di avere una intesa che proprio non ha.
Non è questione di opinioni.
Io continuo a rispondere in ragione della situazione esistente, non per spirito di opposizione e tantomeno fine a sé stesso né per accordare confidenze a chi nega senza voler capire o voler dubitare - errore madornale nella filosofia. La dimensione filosofica della mia risposta apparirà alla fine del mio messaggio, ma le informazioni scientifiche elargite non sono solo per filosofi.


Quale ricercatore che dall'àmbito neurologico si muoveva in quello psicologico, S. Freud ebbe successo nell'evidenziare dei paralleli interdisciplinari, intorno alla realtà dell'inconscio nei suoi rapporti con la coscienza, riferimento che gli proveniva dalle ipotesi psicologiche scientifiche. Quale medico generico e non neurologo, ne usò per la cura delle nevrosi, con successo.
La cronaca attesta poi anche un fallace e antiprofessionale movimento da parte sua per tentare una alternativa al rimedio di tipo psicologico. Questa pessima impresa viene scambiata per una grande e meritoria attività, per "l'anima stessa del movimento psicoanalitico", ma la guida di quest'ultimo, in quanto tale e non ricerca solo inerente od operazione culturale scientista e contraddittoria, è da attribuire alla figlia di S. Freud, Anna Freud. Sigmund Freud, in mezzo ai raggiungimenti propriamente scientifici sempre più deboli e radi, alternava incursioni geniali coronate non da successi ma da affermazioni problematiche all'ufficio del guastafeste. Difatti il suo scetticismo sui rimedi di ordine psicologico - dipendente dal fatto che la medicina generica da lui praticata non era sufficiente e che la sua grande e assoluta passione e studio della psicologia (di passione, non dedizione, ne disse proprio lui, ma vi furono pure impegni validi) era troppo poco per praticare specificamente psichiatria - era (il suo scetticismo, dico) un ostacolo, non solo per lui ma per tutti quelli che subivano o si abbandonavano al suo fascino e alla sua genialità di mediatore esterno, funzione che lui avrebbe voluto rendere vanamente qualcos'altro (in vecchiaia, giunse al punto da adirarsene).
Quanto S. Freud uscisse fuori dal seminato lo dice l'antropologia, che mostra quanto possano essere diversi e sprovvisti i vissuti umani circa genitorialità e (eventuale) familiarità. L'Edipo descritto da Freud è una elucubrazione aggiunta su notazioni di rimozioni, nevrosi e guarigioni, elucubrazione accaduta in particolari ambienti culturali e socioantropologici e non diversamente può apparire se si utilizza la ricerca antropologica quale altra interdisciplinarità (l'autore di riferimento e B. Malinowsky).

Il lavoro interdisciplinare di S. Freud fu usato da psicologi e psichiatri per una formulazione concreta e non semplicemente di confine, su coscienza e inconscio. La definizione scientifica di psicoanalisi fu resa possibile da una paziente di C. G. Jung e di S. Freud, S. Spielrein, passata da uno stato psicotico a uno nevrotico e divenuta poi psicoanalista (a riguardo c'è lo studio junghiano di A. Carotenuto, assai noto per l'aver conferito centralità all'eros nelle sue terapie e riflessioni, non quale negatore delle teorie di Jung - del nome della Spielrein esiste più di una grafia). Il linguaggio portato alla psicologia dagli studi S. Freud acquistava un valore teoretico proprio nell'opera psicoanalitica di sua figlia Anna. Si sente dire di nozioni freudiane senza sapere se non da pochi che la "psicologia freudiana", linguaggi a parte (che con Sigmund tendevano a divenire capziosi e inutilizzabili, funzionanti al rovescio), fa capo ad Anna Freud. Se si cerca un'opera coerente e rappresentativa del pensiero freudiano "classico", inteso come ho fatto io, esiste "Il libro dell'Es", non scritto da Sigmund F. ma da Georg Groddeck. Nel frattempo Sigmund incuteva timori reverenziali: i suoi paralleli tra neurologia e psicologia risultavano sempre meno validi fino a quel che, con espressione tanto politica, si potrebbe definire un "tentativo di impeachment" da parte sua ai danni del futuro della psicoterapia (registrato poi da E. Fromm). Un esempio di rivalità professionale, si direbbe, incentrato soprattutto sui contrasti tra lui e C. G. Jung. Con A. Adler ci fu proprio il litigio. S. Freud era disastroso nei confronti della cultura teutonica propriamente detta anche quando praticata da ebrei come Adler. La via scientifica-psicologica alla scoperta della volontà di potenza difatti incontrò un rifiuto tale da fargli affermare insensatezze su una corretta sintomatologia. Sigmund, a confronto con orientamenti e ricerche di Adler (sto dicendo sempre dello stesso, l'iniziatore della psicologia individuale), si scordava anche cosa fosse un sintomo. Le ricerche di Jung in àmbito simbologico non furono mai valutate con accuratezza da S. Freud. La formulazione culturale di esse - altra non ve ne poteva essere perché Jung non era di cultura semita ma 'ariana' - non fu accettata; i concetti, i rilievi, i contenuti bollati come privi di rigorosità ma anche di effettivi riferimenti. Jung temette di essere internato in una casa di cura col rendere noto il suo primo studio innovativo, a causa della ostilità di Sigmund e non solo di lui; sua moglie lo convinse con alcune motivazioni strategiche a non tardarne la pubblicazione. L'interdisciplinarità di S. Freud era giunta proprio al capolinea, per ciò che di importante poteva fornire: la sfera simbolica della mente è fuori dalla concreta comprensione neurologica-psicologica. Solo valutando appieno il potere dei simboli e della realtà "archetipica" ad essi sottesa si poteva apprestare dei rimedi specifici per i disturbi gravi, le psicosi.
Già da prima la psichiatria però agiva, ma senza metodologia specifica: opportuni e tempestivi cambiamenti di ambienti (viaggi, cambi di residenza, questi usati anche non tempestivamente), relazioni familiari differenti, positività nel rapportarsi al malato... ed erano già in uso oppiacei se non oppio, quali farmaci palliativi, ma si sapeva già che non costituivano vero rimedio e non senza scientificità. Gli psichiatri in svizzera nel fare diagnosi usavano una prospettiva psicoanalitica già da prima dell'attività analoga di S. Freud (se ne trova riferito, se non erro da Jung stesso). Il còmpito di ricerche interdisciplinari venne a S. Freud proprio dagli psichiatri e per il neurologo serviva a definire e a restare nei propri limiti, cosa che a tutt'oggi purtroppo raramente avviene. Si tenta di mettere la cosa al contrario... e così si cade in impossibilità. Per questo la repressione ai danni dei malati di mente e dei loro sintomi non è terminata e le cosiddette "neuroscienze" sono perlopiù una raccolta di dati in cui si tenta disperatamente ma ostinatamente di ricondurre tutto e far quadrare tutto nella neurologia, per una sorta di scommessa, in verità una superstizione in un certo senso.
La follia quale aspetto naturale della nostra psiche, uno tra i tanti, ed anche necessario in certi casi della vita, ha sempre delle corrispondenti configurazioni cerebrali, le quali sono naturali; nei malati esse sono vissute problematicamente ma non sono esse il problema. E' da nemici della vera medicina tentare disperatamente di modificarle o farle sparire, peraltro accadendo ciò in un crescendo di violenze: drogaggi, scariche elettriche, rimedi mediati dalla ortopedia (camice di forza) o peggio. Il grande progresso farmacologico quindi è una insidia e una impostura quando viene proposto per rimedio e peggio se massicciamente; quanto più la farmacologia progredisce, tanto meno diventa sostenibile o tanto più nociva e al fondo della strada sbagliata c'è l'accrescimento della repressione violenta. La psicoterapia, lo sviluppo di sistemi comunicativi anche con gli psicotici, sono la giusta via professionale; e senza professionalità la dimensione dell'intervento resta questa stessa. Tutto questo è stato dimostrato scientificamente più volte e divulgato. Non è appannaggio di pochi medici ma di chiunque riesce ad informarsi sul reale stato delle scienze, a prescindere dai progressi futuri. Si tratta infatti di collocare i fenomeni nei giusti orizzonti disciplinari e tecnici. La medicina non è una pratica esoterica, nonostante molti vogliano fingerne.

E' stato già mostrato in questa discussione che psichiatria e neurologia sono àmbiti e còmpiti oramai specificati distinti anche nella pratica dello Stato italiano. Ho già cercato di dare informazioni sulla psicosomatica: è questo metodo psicologico (è psicologico, non fisiologico!) che offre la possibilità di risolvere le complicanze mente-corpo, le quali sono intrinsecamente limitate a causa dei rapporti mente-corpo. Il tentativo di mitizzare la psicosi grave, lo stato schizofrenico che a detta dei mitomani avrebbe bisogno del neurologo e poi del fisiologo, dipende da ignoranze e fraintendimenti incompatibili con una vera capacità professionale o anche solo con una generica capacità; e se ci si aggiungono anche abitudini genericamente diffuse, questo non prova alcunché, va solo riconosciuto quale emergenza sociale e criminologica, criminologica perché gli esiti degli errori sono di fatto di pertinenza anche dei criminologi.
Si sa, per esempio, che durante la sopravvivenza nelle catastrofi la mente umana trova nel funzionamento psicotico il sostegno più valido. Quando c'è il terremoto e si deve pensare a salvare altre persone mentre si cerca di capire se un pavimento o un soffitto crolla o come aprire una porta nonostante le deformazioni del cemento armato durante i sussulti, la mente si deve scindere: i pensieri devono stare divisi per riuscire. Mentre si pensa con una mano ad aprire una porta e con estremo impegno a capire come fare, si deve mettere attenzione a come comunicare qualcosa, che parole gridare per aiutare un altro, se ci si ritiene in condizione di apprestare un aiuto, senza aver tempo ed energie per una vera e propria connessione mentale. Questo è uno stato schizofrenico e non c'è proprio nulla di male. Quando si attiva senza motivo, non è nulla di più di una noia immotivata. Non è roba da finte tragedie. Non si tratta di porre rimedio a stati mentali e configurazioni cerebrali e non è questione dunque di riequilibri.
Faccio ora un altro esempio che potrebbe esser giudicato stravagante ma non è peregrino:
Se uno nuota per mare e incappa nel capriccio di un pesce feroce o di una belva marina che si sente invasa nel suo ambiente, potrebbe accadergli di riceverne ostilità grave: mentre si difende spasmodicamente con le mani e i piedi dalle fauci del pesce, deve chiamare qualcuno che lo possa aiutare... ma la bestia, percependo che il richiamo umano potrebbe rivelarsi una minaccia peggiore, reagirebbe direttamente con l'attacco mortale... e allora mentre una parte della mente del malcapitato deve assumere funzione difensiva, un'altra parte di essa deve assumere quella di richiedente aiuto, senza che le due funzioni siano giunte (unite) nella medesima psiche, anzi disgiungendole, perché se il pesce intuisse qualcosa reagirebbe uccidendo...
Poniamo caso adesso che un curioso, tanto affascinato dal materialismo e dalla neurologia prenda a scherzo questo racconto e dia credito ai discorsi secondo cui la psicologia scientifica sia nata da esperimenti, non dai soli e semplici esperire e con semplici esperienze. Costui, convinto che la dimensione psicologica sia solo secondaria e non risolutiva, convinto che se ne debba usare in un esperimento preventivo - perché per la sua mentalità ignorante non sarebbe possibile capire senza generare condizioni - sarebbe capace di immergere una cavia umana, cui applicato un casco pieno di sonde varie che gli scrutano invadentemente il cervello, nella vasca di un acquario dove uno o più pesci feroci nuotano, non senza aver cercato di produrre condizione per un più o meno certo litigio. La scusa sarebbe: "se il pesce va oltre - lo fuciliamo", ma non c'è alcuna assicurazione scientifica riguardo ai comportamenti etici umani! Lo sperimentatore quindi avrebbe sul proprio macchinario i dati delle sonde, ritrovandoli uguali a quelli avuti da un esperimento su una cavia di un ospedale, un malato psicotico. Cosa penserebbe lo sperimentatore, convinto che la dimensione psicologica non sia quella autentica nelle malattie di mente più gravi? Si convincerebbe che la cavia nell'acquario è impazzita a causa del pesce e di averne le prove. Di solito tali prevenuti fraintenditori sono sicuri che il 'soggetto' (!...) è ormai "perduto". Capitato una volta, per loro solitamente il "soggetto" - ma con ciò essi designano un oggetto di esperimento, un umano violentato - è da quel momento in poi malato sempre se non da prima, indipendentemente da tutto quello che dice e che fa... Questo sbaglio e pregiudizio è connesso con letture erronee nonché moraliste di descrizioni psicologiche su scissioni mentali e conscio e inconscio. Negli ambienti della malasanità, neurologia compresa, una 'irruzione dell'inconscio con conseguente stato psicotico' significa una evoluzione fatalmente sbagliata di un singolo, il quale quindi i malviventi vorrebbero 'raddrizzare', con elettricità, camice di forza o peggio...

Insomma bisognerebbe finirla di elucubrare su corrispondenze tra stati mentali e fisici non ordinari, malati o non malati che fossero, cercando di rubare il còmpito alla vera disciplina oppure medicina psicosomatica, metodologia e metodo che sono entrambi psicologici, indipendenti da neurologie, da fisiologie.
Ma, disgraziatamente, tant'è: sono più diffusi i fraintendimenti e le ignoranze che le giuste osservazioni - queste ultime possibili anche ai non addetti ai lavori, semplici informati, anche se è impervio ottenere i ragguagli.
Ho il dovere di aggiungere anche anche altro: non è detto che l'esempio che ho fatto, della vasca con i pesci feroci, non possa corrispondere a un fatto di cronaca. Gli ambienti degli studi psicologici fino a non molti anni fa' erano tutti o pressoché sotto il tentativo di mostrare la necessità di esperimenti di tipo fisico, con la conseguenza di ricondurre tutte le vere esperienze scientifiche psicologiche a prassi inutili o anche violente, insulse e spiacevoli, tacciando le scienze e tecniche psicologiche di inconsistenza o pressoché, cercando di trattarle e farle trattare come un gioco ricreativo e con una prassi aggiunta che però ha senso solo nel quadro di una mentalità subculturale fisicalista - quadro non veramente scientifico-fisico o scientifico-fisiologico.



MAURO PASTORE
#266
Si straparla sulla intelligenza artificiale, come se essa fosse una novità, come se non fosse legata al calcolo aritmetico, come se la riproduzione dei discorsi fosse realmente dialettica, come se assurgesse a mistica religiosa.
Di vero c'è l'utilizzo di calcolatori sempre più potenti e raffinati e soprattutto capaci, i quali fanno uso massiccio di logaritmi, quindi l'uso di una connessione-dati sempre maggiore, mai però con una possibile visione d'insieme. Difatti la produzione di cultura continua secondo una incatalogabilità di fondo. A dare l'illusione del potere della macchina pensante, di un apparato tecnico che dalla effettuazione di calcoli possa passare davvero a una locuzione competente, è un raffinato gioco di assemblaggio linguistico, il quale però pecca sempre di impertinenza: nel senso di non esser mai pertinente, mai sufficientemente circostanziato.

L'utilizzo di logaritmi e connessioni-dati obbedisce a logiche di programmazione a loro volta dipendenti da progetti di politica culturale. Questi sono soggetti a cernite e scelte di pertinenza che a loro volta non sono il prodotto di procedimenti artificiali.
Tuttavia la reale illusione di riprodurre un funzionamento dialettico con un funzionamento macchina creava un fenomeno di abbandono delle scelte e allargamento della materia delle cernite, secondo una sorta di enciclopedismo massimo, a sua volta illusorio. Questa divaricazione e le massicce connessioni unite ai calcoli logaritmici, anziché accomunare le conoscenze tramite una condivisione estrema delle informazioni basata sulla valutazione delle nozioni, generano ciò che può esser definito comunistizzazione delle informazioni separate dalle relative nozioni. Ciò poneva e pone l'utente delle cosiddette AI (artificial intelligence, ovvero IA, intelligenza artificiale) in una condizione di appercezione plurima di svariati elementi subculturali prima separati, che l'aritmetica appaia secondo una sistematica e massiva combinazione, priva di orientamento e basata su accostamenti formali: si va per etichette culturali e secondo le comunanze degli elementi interni alle etichette stesse, meccanicamente e con un apparato estetico che tende a nascondere la rigidità e insensatezza della operazione.
L'illusione di derogare alla macchina, l'elaboratore elettronico, i còmpiti dell'intelletto e della intuizione si basa su una valutazione formale e superficiale dei dati culturali, con la quale si crede di poter trovare in quelle combinazioni una occasione di dominio sulla vera cultura, anche di quella definita alta. L'utente si trova così doppiato dalla macchina, ma, si badi, secondo procedimenti aritmetici e in specie logaritmici che non possono obbedire ai suoi desideri. In tal senso egli nonostante tutto ne è smentito, mente la perspicuità logico-aritmetica degli accostamenti fra informazioni, la razionalità della vera programmazione che sta sotto l'apparenza di discorso veramente intelligente, lo mette a pensare a ciò che egli non avrebbe voluto: invece che seguire i desideri capricciosi e superficiali, si trova in una rete di relazioni formali, emergenti dall'apparire della locuzione artificiale. In tal guisa, la sua iniziativa di dominio, di matrice subculturale e di origine non-culturale, ne resta bloccata. Eccoci dunque di fronte al fenomeno di una grande stagnazione della prepotenza ai danni della cultura che interviene nella cosiddetta società liquida postmoderna!

Questa grande palude sociale, tecnicista non tecnica, si produce entro l'evento che da alcuni studiosi è detto antropocene: concetto che, in analogia con l'epoca del dominio dei dinosauri accaduto tantissimo tempo fa' sul Pianeta Terra, come attestano le interpretazioni più coerenti dei dati paleologici, designa un'altra epoca di dominio, che vede gli umani protagonisti di una gigantesca modificazione dell'ambiente planetario.
Il termine e il concetto sono controversi. Secondo alcuni teorici, non vi sarebbe ancora l'influsso umano determinante per fare davvero epoca. Secondo una possibile e necessaria riflessione etica, l'attuale esorbitante attività planetaria di vasta umanità non obbedisce a una logica autenticamente umana: una alienazione, entro una mimesi che in definitiva - è stato notato non da pochi - assume per modelli da imitare proprio le creature preistoriche dette dinosauri. Inoltre le azioni sono diversamente accadenti: nei fatti lo zelo dei modificatori finisce col riprodurre le attività massive degli animali inferiori, quali gli insetti. La prepotenza delle masse umane che pretende di fare come i tirannosauri o altre creature simili finisce con l'omologarsi alle animalità minime; ciò che, secondo alcune teorie, accadeva anche ai dinosauri durante la loro fase di estinzione non trasformazione. Se un pianista imita un organista, non solo fallisce ma va incontro agli inconvenienti altrui, che non gli sono gestibili!
La stagnazione di cui detto sopra finisce per interferire con lo scorrere del tempo antropocenico, tuttavia l'illusione perdurante delle masse non consente una inibizione del flusso di operazioni "AI", i cui utenti finiscono dunque per essere spossessati delle loro imprese: una espropriazione succede alla stagnazione. Ecco allora che l'epoca dell'antropocene non può costituirsi e ne resta solo l'abbozzo: fine dell'antropocene.

C'è una positività estrema in questo accadimento, nel senso che tanta umana prepotenza doveva fermarsi quanto prima; ma anche una insidia gravissima, dato che l'espropriazione rischia di creare un fenomeno che potrebbe essere ancora più disastroso.
Lo scenario è questo: moltitudini di prepotenti cessano di realizzare la propria impresa antiecologica perché si mettono a fare ciò che non volevano; ma appunto interviene un'altra dinamica che penetra entro quella, sbagliata, di umani. Quest'ultima accadeva già in stato di alienazione, con una finzione e una distrazione, in una imitazione impossibile che si realizzava con uno scambio di modelli: quello voluto, dei dinosauri, faceva posto a quello involontario, degli insetti.
Soggetti che sono ciecamente attivi nel mondo alla maniera ma ovviamente non al modo degli insetti, si trovano espropriati: cioè il mondo agisce in vece loro. Questo dato e gli altri analoghi precedentemente esposti si offrono alla considerazione estetica, o in particolare estetico-filosofica, indipendentemente dalle scienze; per questo ne ho inserito senza spiegarne.

Il fatto che l'uso delle cosiddette AI sia in relazione con un tentativo di partecipazione mistica, ci conduce alla necessità di valutarne secondo i significati dei piani religiosi, la cui utilità e funzionalità è attestata da varie scienze: antropologiche, sociologiche, psicologiche - a patto di valutarne gli studi appropriati. I luoghi ove l'accadimento si è tenuto decisivamente sono quelli occidentali, i quali sono stati oggetto di una riflessione che scopre una identificazione, fra Cristianesimo quale ideologia religiosa e culturale ed Occidente. La prassi cristiana verte su una considerazione negativa del mondo, da cui distaccarsi senza fuggirne (l'evangelico non essere di questo mondo), dato che esso è dominato da una manifestazione ingannatoria del male: il diavolo, principio di divisione, con la sua personificazione Satana, quindi la figura del "principe di questo mondo" che nel caso estremo non consente alla vita di autodeterminarsi a meno che non si entri in una unione con Dio, detta teandrica. L'espropriazione rivela di essere una consegna a ciò che la prassi cristiana, nel perseguire la propria necessità a livello sociale, psichico, antropico, denota come il nemico: Satana, il diavolo, più specificamente, nel caso dei comportamenti di massa, il demonio, ciò che dà l'inganno di unire ma assomma soltanto. Essendo la violenza delle masse già a un grande apice, questa consegna non può a sua volta aumentarla. La possibilità è quella di una impotenza del nemico, secondo questa figurazione: un seduttore che incontra dei personaggi già caduti in basso, già all'ultimo stadio, e non sa come potrebbe persuaderli a fare qualcosa. Ma resterebbe tutto il resto del mondo: la comunità degli insetti come reagisce alla inane riproduzione umana dei loro comportamenti? Come si relazionano gli effetti planetari del passato dominio dei dinosauri col passaggio a vuoto di queste moltitudini umane? E tutto il resto anche, di imponderabile o non.
Alienazione, stagnazione, espropriazione, seguite da un passaggio a vuoto, non costituiscono la fine dei guai, non solo per i protagonisti di codesto divenire, ma pure per gli altri, anche umani, coinvolti.


MAURO PASTORE
#267
Citazione di: niko il 14 Novembre 2024, 12:35:22 PMOk sono d'accordo...

certo pero' che tu sei un cristiano atipico, se ridimensioni la la vicenda storica del Cristo in quanto allegorica, non unica, e in piu' mi pare di aver capito, credi nella rinascita/reincarnazione come possibile destino dell'uomo dopo la morte... non che ci sia niente di male, ad esserlo...

.

La fede cristiana quale fede monoteista non si basa sul Gesù storico ma sul Cristo della fede.

Su rinascita e reincarnazione: il cristianesimo non si basa sulla considerazione dei cicli cosmici ma neppure ne nega.
Il fatto che la maggior parte dei cristiani, nel trovarsi davanti a ciò che afferma i ritorni cosmici della vita, sia perlopiù propenso a negarne o a restarne perplesso, questo non fa parte della dogmatica cristiana. La maggior parte dei cristiani non mette assieme le idee di inferno e paradiso con quelle di reincarnazione e rinascita, però queste ultime sono espressioni non del tutto universali dei ritorni cosmici. Nel credo niceno-costantinopolitano c'è la menzione della nuova vita che verrà ('la vita del mondo che verrà'). Tale dizione non consente certe affermazioni cosmologiche; ma la dottrina cristiana è fatta così. Si tratta di un monoteismo, che afferma l'assolutezza e trascendenza di Dio. Certo si dice di Dio Creatore e del creato, ma del cosmo solo indirettamente, dipendendo tutto dalla fede. Ciò però non significa che il cristiano non possa sviluppare delle idee e conoscenze sul cosmo, tutt'altro. La fede apre una differente visione del mondo, la quale non è una presa di posizione arbitraria.

Le mie posizioni sul ritorno cosmico della vita sono basate su riflessioni personali, anche semplicissime. Eccone alcune. Eticamente: non è pensabile che Dio che è amore non consenta più di una vita nel mondo per ciascun individuo. Ciò è del tutto evidente nel meditare sulle sciagure e le sfortune. Fisicamente: essendo il mondo limitato - da Dio! - le combinazioni mondane sono in numero non infinito e perciò sono destinate in qualche modo a ripetersi. Non sono riflessioni nuove, mi risulta.
La reincarnazione, quale affermazione culturale oltre che filosofica, fu accolta da pochi pensatori cristiani. Si tratta di una nozione che può essere compatibile con una dottrina dell'anima, per esempio col cristianesimo neoplatonico; però ciò che viene in essa detto carne non corrisponde a quanto indicato dal linguaggio biblico e ortodosso. Questi indicano con tale termine non la fisicità e corporalità, ma la mondanità e materialità, ciò che non ha potere da solo e ha bisogno di essere bilanciato dalla presenza di Dio... non a livello naturale, ma nelle circostanze della vita altrimenti impossibili!! Questa terminologia non va d'accordo con quella delle religiosità orientali; ma si sa che le culture religiose a volte si possono trovare sovrapposte.
Parimenti la rinascita è un'affermazione culturale e filosofica che implica qualcosa cui l'orizzonte cristiano è oltre. E' un concetto essenziale, che prescinde dalla esistenza dei singoli. Se consideriamo la realtà universale, il ritorno alla vita si presenta come una ripetizione. Ma la fede cristiana nel Dio creatore implica una concezione degli eventi nella loro singolarità: la vita nella sua originalità, non solo e non tanto originarietà. Il ritorno alla vita per il cristiano che ha trovato consapevolezza ed espressione non si trova adeguatamente espresso secondo l'idea della rinascita.

Attraverso la meditazione sul pensiero occidentale nella sua analogia a quello orientale, io trovai possibile utilizzare due concetti, rispettivamente per la realtà animica e spirituale:
metempsicosi e palingenesi.
L'uomo, essere razionale, ritorna alla vita nella palingenesi; le realtà semplicemente animate con la metempsicosi.
Trovavo nella dottrina di U. Zwingli tutti e due i riferimenti, ma utilizzati e concepiti differentemente - senza alcuna vera contraddizione col mio pensiero.
Tra mille incertezze ritornai spesso a meditare le dottrine di Zwingli, in certi loro aspetti assai poco conosciute, in altri assai fraintese, come a vari livelli capita con l'opere dei grandi riformatori cristiani moderni; ma Zwingli è il più arcano tra i grandi pensatori della Riforma Protestante, anche per tantissimi evangelici.


MAURO PASTORE
#268
Il testo cui replico è sopra su questo forum ed è quello del seguente link: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/il-diavolo-da-giobbe-e-l-anticristo-in-casa-nietzsche-oltre-le-troppe-ombre/msg93574/#msg93574

Mi attardo ancora su una precisazione: io non ho focalizzato proprio alcuna persona né mostrato la mia persona nelle repliche attuate. Ripeto, scrivere anche col tu non significa per me dare confidenze personali. Detto questo, verrò al dunque nonostante il discorso di tal Visechi sia eticamente del tutto eccepibile (ne dirò alla fine). Di fatto la mia risposta non è accondiscendente e non assume la sua giustificazione della violenza del capro espiatorio. Io non ho da difendere il mondo che un certo ateismo disperatamente vuol sottrarre alle cronache o alle sentenze, comprese quelle dei veri Stati. Con il seguente testo ho da esporre dei contenuti molto seri, con opportune cautele generalizzabili e riferibili non solo a un pensatore ma a tanti. La fatica vale la pena, credo.


Io non ho cominciato a cambiare la mia posizione. Constato che sei tu ad aver assunto un briciolo di moderazione, a fare un po' di chiarezza al lettore sulla tua posizione. Lo hai fatto con tanta confusione sull'altrui però e mettendo a nudo dei fraintendimenti e ignoranze da parte tua sulla realtà religiosa e cristiana.

Attestare la significanza del non-teismo non significa essere in questa prospettiva. Ugualmente sul politeismo. Io mi muovo entro la prospettiva monoteista e cristiana. Tutte le diverse considerazioni del Mistero della Trascendenza sono buone, anche quella panteista, quella enoteista, anche i sistemi misti, purché non vadano oltre le proprie possibilità. Un credente nel Dio unico non deve fingere di avere tanta disponibilità verso le metafore del mito e verso la sola divinità; viceversa un iniziato al mito religioso non deve presumere di avere più di una manifestazione esteriore... e la presenza del divino nell'universo non va pensata se non come l'impressione di un mistero remoto. Il non-teismo è lo stare nella prospettiva del Mistero senza indagarne. Inutile dire che le combinazioni non le ho esplicitate tutte ma non ce ne è bisogno.
L'ateismo non va posto sullo stesso piano. Esso è disimpegno, ma può diventare disastrosa distrazione; è ignoranza, ma può tramutarsi in protervia. E' in ogni caso provvisorietà, per cui eleggerlo a sistema è un'azione perdente, ancor di più contrapporlo ai teismi e non-teismi. Assai semplicemente: prima o poi nella vita, anche alla fine, l'orizzonte ateo si riempie di misteriosità, svanisce. Il punto è questo: tale passaggio, abbandono fatale dell'ateismo, non sempre accade nei tempi giusti o dovuti.

Il Nulla, l'Infinito (Leopardi)... Innanzitutto nell'infinito leopardiano c'è l'idea di Dio; nella finzione di un oltre è contenuta l'idea di Dio. In italiano si dice anche nume. La psicologia della religione di Jung dice del numinoso; gli studi generali della religione anche (R. Otto). La "religione delle illusioni", la illusione poetica che rinfranca dalla disperazione e difficoltà della vita... Per il cinismo ateo, un'aporia, nel senso che il pessimismo leopardiano trovando sollievo nella estetica ovvero nella bellezza e nella invenzione e creatività, nei sogni poetici, si disintegra. Quella disperazione e negazione si rivelano senza vero oggetto. Il ragionamento: "non può esserci un Dio in tanta penuria e dolori" trova risposta nella stessa poesia, dacché quelle penurie e dolori sono svaniti con la bellezza della creatività. Si trova in un altro pensatore e poeta (oltre che notissimo e geniale autore di racconti), E. A. Poe, la risposta: Dio stesso è quel poeta, noi i personaggi, noi che creiamo entro una scena già inventata. Assolutisticamente non possiamo dirci creatori; relativisticamente sì. La illusione rinfrancante contraddice la negazione disperata; Dio riappare sulla scena.
La mistica ebraica, con la Cabala, dice "Ein Sof" e con ciò si può cominciare a decifrare l'idea contenuta nel sentimento dell'infinito. Ma anche il mistico Plotino ci diceva dell'Infinito oltre che dell'Uno e anche, nella Modernità, G. Bruno. Non accade logicamente, ma analogicamente. Non omologamente!!
Bada a quest'ultimo punto se vuoi capire qualcosa della religione e in particolare dei monoteismi e del cristianesimo. Il tuo approccio alla figura di Cristo, che considera blasfema l'interpretazione allegorica e spirituale del crocifisso, proviene non dagli ambienti cristiani ma dai loro paraggi, dove la iconografia è separata dalla iconologia e quindi l'icona vissuta fisicamente. Il corretto e unico approccio possibile è metafisico. Il personaggio storico di Gesù, in particolare di Gesù di Nazareth, ebbe una propria vicenda. Il racconto dice di un martirio e di pezzi di legno reali. Ebbene, tralasciando l'alternativa: sopravvissuto o passato a miglior vita direttamente, si può affermare che la sua missione era di rivelare Dio, non di descrivere i valori del cristianesimo con la sua sventura. Questa religione pratica un forte ricorso al negativo perché proclama la salvezza ultima (estrema, dicevo) e questa è necessaria solo in presenza della massima negatività. Non si basa su quest'ultima ma è un modo per il suo superamento - e questo non significa illudersi che non esista il limite, ma comprendere la presenza di Dio nei labirinti più critici della vicenda umana. In tal senso: allegoria. Non nel senso che Gesù è solo figura ideale.

Quanto alla psicologia e a Jung, esistono studi junghiani che si focalizzano sulla funzione allegorica dei simboli psichici. Negare questa possibilità e realtà della nostra mente significa tentare di ridurre tutto o accentrare tutto alla dimensione semiotica, del segno. Ma proprio questo Jung mostrò essere un pregiudizio, una ignoranza, una distrazione.
Tra i postjunghiani J. Hillman rimase alla dimensione del puro mito, perché quello era il suo campo di ricerca; ma c'è la psicologia complessa e quella transpersonale.
Tu confondi spirito e psiche. Io non dicevo di sola spiritualità, anche di spirito. La scienza psicologica considera al livello della supercoscienza la presenza di un non-psicologico che è coincidente con la dimensione culturale della spiritualità; quale presenza di ulteriorità alla psiche, non della stessa psiche. Si chiamano, queste così, teorie scientifiche di confine (nel nostro caso: psicologia transpersonale (Maslow, Assagioli) psicosintesi (Assagioli)...).

Sulla tragedia greca hai esposto delle astrazioni: ethos e nomos... Ben detto, ma solo se vogliamo ritrarre, in senso universale, anche qualsiasi altra tragedia. Io invece mi riferivo alla lettura antropologica di Girard della figura di Edipo; e mi riferivo alla vicenda esistenziale degli antichi greci, che io conosco; quindi stavo facendo dei riferimenti non astratti, storici ed esistenziali. Cosa aveva a che vedere Edipo (e anche gli altri personaggi tragici) con la vita dei greci elleni, quelli che si recavano nei teatri per vedere in scena le opere di Eschilo, Sofocle, Euripide? Si tratta di ritratti della grecità? Io dicevo di no, perché dovevo indicare da quale parte della storia si trova la prospettiva criminologica del capro espiatorio, o almeno da quale parte non si trova.

Il pastrocchio che commetti accomunando Leopardi, Baudelaire, Sartre, Spinoza, Bergson... forse in altra sede tu ne hai fatto riferimenti sensati, ma in questo discorso è solo come una macedonia riuscita male.

Tu dici di un quid, restando all'apparenza della mistica religiosa, cioè a un vuoto o nulla che si para innanzi e che invece è -aggiungo io- Dio... ma appunto lo definisci quid, cioè lo oggettualizzi. Riflettere autocriticamente su questo passaggio ti porterebbe a trovare il modo di accedere al divino, la divinità, Dio, evitando di porti in antagonismo senza valido motivo. Dio non è un oggetto, diceva il teorico del Pensiero Debole G. Vattimo, dopo essersi avvicinato alla tradizione cattolico-cristiana mostrandone la possibilità di coerenza oltre i falsi miti della modernità... Non tronco il discorso così, con la menzione di una filosofia che ebbe dei meriti solo in particolari contesti, ma che in altri sarebbe disastrosa e che ad oggi, nella versione che ci è rimasta del prof. Vattimo, risulta sorpassata nel vivo del dibattito filosofico, politico, culturale che riguarda questo dialogo. Faccio presente che io non dicevo di 'fondamento' a proposito degli studi di Girard, ma di contesto sociale fondamentale; è proprio diverso! La oggettualizzazione del contenuto della Trascendenza impedisce di decifrare il simbolo cristiano del Crocifisso, anche la relativa teologia. Se il non-teista buddhismo è un sistema per difendersi dalla illusorietà della realtà, il monoteista cristianesimo è un sistema per difendersi dagli inganni della esistenza. La dottrina cristiana non può essere compresa se si rifiuta una perdita dell'ingenuità; che non è quella dei miti greci e degli altri miti religiosi.
Col racconto evangelico della missione di Gesù e del tradimento di Giuda e della rabbia delle folle, ci troviamo di fronte a un caso di pertinenza criminologica. Certo, si sono fatte anche ipotesi, secondo cui Giuda voleva solo mettere alla prova Gesù, la folla gridando non voleva invitare alcuno a procedere e neppure farsi ragione, Gesù di Nazareth non aveva trovato niente di meglio che passare un guaio per concludere il proprio còmpito... Ma anche così, la questione resta di tipo criminologico. La meditazione di R. Girard su tale episodio biblico aveva innegabilmente uno sfondo criminologico; ma pure quella su Edipo, perché la violenza efferata, quandanche fosse frutto solo di circostanze sfortunatissime e inevitabili, è pur sempre argomento specifico della criminologia. Questa non sempre è parte attiva di un processo a qualcuno.
E' una esigenza universale la stigmatizzazione o condanna di ciò che agisce contro la logica della vita; e la logica della vita umana differisce da quella delle capre; neanche quest'ultima può sempre ammettere la fine violenta (per i particolari sui mondi pastorali, rimando al mio precedente messaggio). Gesù di Nazareth fu vittima di un tradimento ed accettò la sciagura senza ricusare Dio. La dottrina cristiana non ha mai affermato la bontà di questa evenienza, tanto che il crocifisso simboleggia oltre che la presenza di Dio anche l'opera del diavolo. Quest'ultima però rimane smentita, incompiuta; il divisore non riesce nella sua impresa.
Dio crocifisso non significa che il Nazareno, quale eroe divino finito in una inspiegabile ristrettezza, era irreale, incubo blasfemo nel suo rivolgersi ancora a Dio. Significa che Dio si fa carico delle sciagure umane. Lo significa quale dimostrazione non della bontà della sciagura ma di Dio che in esse è proteso ad aiutare le vittime. Dunque Dio, non l'uomo Gesù, si sacrifica sulla 'croce'; e Dio ovviamente non ne reca danno, ne resta esente.
La dottrina cristiana ortodossa nega che in Gesù Cristo vi sia una sola volontà. Ciò significa che si può fare considerazione separata dell'uomo Gesù e di Cristo Dio, distinguendo personaggio storico da figura teologica!! Non è una invenzione postmoderna.

Comunque: per capire la prospettiva monoteista entro il contesto aperto da tale dialogo, non l'Infinito ma l'Eterno è ciò che fa da giusto supporto filosofico. Nel caso del cristianesimo, l'iniziazione filosofico-mistica all'Eternità non fornisce gli strumenti per capire la fede cristiana, solo per descriverla filosoficamente; e ancor meno la tensione metafisica verso l'Infinito. Questa può servire per definire qualcosa. Insomma il primo passo è una ispirazione.

Non bisogna spingere la critica oltre il dovuto. Altrimenti si finisce col negare assieme alla spiritualità delle religioni anche le scienze e col mandare in fumo la stessa ragione filosofica. Bisogna prendere nella dovuta considerazione le tesi teiste (monoteiste, nella fattispecie), altrimenti si finisce in una totale contraddizione nello stesso procedere del discorso, rivolgendosi a una materia che non si vuol riconoscere. Cioè: come a dimostrare che in un armadio non ci sono abiti mentre li si sta muovendo con le mani.



MAURO PASTORE
#269
Citazione di: Visechi il 19 Novembre 2024, 08:31:13 AME con ciò è stata appena officiata la liturgia della letargia. Il nostro letargico magister non rinuncia ad ammannire scipite leziose lezioncine. Bene! Non mi presto a fornirgli materiale che nutra oltre misura il suo ego.

Bye!
Anche da parte mia non c'è intenzione di avviare un battibecco. Il dare del tu io non lo pratico soltanto in un a tu per tu. In quel messaggio avevo usato il tu, ma non per un confronto personale. Non mi esprimevo proprio a livello personale.

MAURO PASTORE
#270
Citazione di: Visechi il 16 Novembre 2024, 21:16:35 PMCome esordio mi preme compiere un tentativo, estremo e vano, ne son conscio, di farti notare la singolarità dei costanti inviti che, anche in modo indiretto, rivolgi ad un'immaginata platea di lettori, forse estasiata dal tuo eloquio. Appelli che, a mio parere, sono sufficientemente emblematici e sintomatici del tuo particolare approccio alle tematiche che volta per volta ti vedono impegnato (l'ho notato abbastanza spesso) e dello specioso e autoreferenziale modo di porti nei confronti non solo dell'interlocutore di turno, ma, ben più singolare, rispetto ad un auditorio che, stante il tuo atteggiarti a magister, presumi avvinto dal tuo argomentare. Insomma, singolare è che, nell'esprimere il tuo pensiero (più che lecito), non ti esimi dal montare in cattedra per riprendere e rampognare il discente: "Il lettore può prendere atto che..."; "il lettore avveduto saprà capire che..." e via appellando, richiamando ed invitando.
Che necessità hai di richiamare un immaginato auditorio a convenire con i tuoi fraintendimenti? Insicurezza? Probabile si tratti dall'avvertito scricchiolio di certezze indefettibili più volte espresse ma mai dimostrate, solo enunciate. In effetti, nel prosieguo del tuo ultimo intervento qualcosa ribolle e trans-pare.
Non siamo su un palcoscenico, attorniati da un pubblico avvinto che possa simpatizzare per l'uno o per l'altro. Non immaginarti neppure su un pulpito. Te lo faccio notare perché se dovessimo proseguire a concentrare la nostra attenzione sul rispettivo interlocutore, non faremmo troppi passi avanti nella comprensione della tematica testé affrontata. Discuteremmo di noi, non d'altro, e cadremmo in una noia mortale – almeno io -, mentre il tuo estasiato auditorio ben presto ci scanserebbe, con poco danno per me, ma grave nocumento all'ipertrofia dell'ego... tuo.
Orsù, dunque, compiamo un piccolo sforzo ed asteniamoci dal focalizzarci sulle nostre persone... argomenti!
Entriamo nel merito.
 
Stamattina non ho tempo sufficiente per leggere e rispondere a tutto.
Mi limito a una osservazione necessaria sul preambolo che Visechi ha fatto.
Non c'è mai stato da parte mia un discorso o una illusione di discorso a tu per tu.
L'illusione del palcoscenico non è stata la mia. A parte questa continua proiezione psicologica che Visechi fa - non dico che è patologica o malata - devo pure far notare, non a un palcoscenico ma alla comunità dei lettori (di solito ce ne sono sempre alcuni anche non scriventi), che la manifestazione di un pensiero non sempre rivela l'intimità del pensiero. Visechi non sa neanche se io qui scrivo col mio stile personale e neanche che rapporto c'è tra me e gli argomenti che tratto su questo forum.
Dunque proiezioni e superficialità psicologiche... e mettersi a parlare di ipertrofia dell'ego mentre se ne è vittima è assurdo.
Io avevo specificato che lo scopo principale della mia risposta era mettere a nudo per gli altri qualcosa. Il Visechi finge che io non lo abbia indicato, che abbia scritto altro; è uno di quelli che non accetta le dichiarazioni. Al posto di occuparsi di filosofia potrebbe pentirsi della sua prepotenza e studiare la Convenzione di Ginevra, per non andare oltre. Impari a rispettare le dichiarazioni degli interlocutori e la smetta di fingere a fare lo psicologo, e forse avrà qualche comprensione che adesso gli sfugge proprio.

MAURO PASTORE