Citazione di: 0xdeadbeef il 31 Marzo 2019, 21:35:43 PMA Davintro Concordo senz'altro sull'affermazione che già il dire del noumeno che è inconoscibile presuppone un certo grado di conoscenza "positiva". Un pò come il socratico "sapere di non sapere", o il non essere, o nulla, che non è, insomma... Ma a me sembra che Kant fosse, se non del tutto, almeno in un certo qual modo consapevole di questo. E che anzi cercasse questa "positività", ma che questa gli sfuggisse come in realtà non può che sfuggire a chiunque la cerchi. Nella risposta #148 all'amico Paul11 affermo come Kant cerchi di ri-andare al concetto, di radice stoica, di "intuizione" ("l'intuizione è la rappresentazione quale sarebbe per la sua dipendenza dall' immediata presenza dell'oggetto"). Quindi quest'oggetto è presente, eccome, nella sua "noumenicità", ma deve fare i conti (e sono conti a parer mio inesorabili...) con il fondamento cartesiano del "cogito" (per me, come dico in quell'intervento, "punto di non ritorno"), che affermando l'idea come solo oggetto immediato di conoscenza esclude necessariamente la conoscenza "diretta" dell'oggetto. La teoria della conoscenza di Kant è la storia del tentativo (pressoché impossibile) di conciliare questi due opposti... A mio parere la Fenomenologia, come dire, la fa facile... Siccome un pensiero è pensiero di qualcosa, dice questa, allora...questo qualcosa è un oggetto e va inteso oggettivamente. Che è come dire: il pensiero di Dio, essendo Dio l'oggetto di questo pensiero, comporta l'esistenza oggettiva dello stesso. A me sembra somigli parecchio alla "prova ontologica" di S.Anselmo... saluti
non vedo l'intenzionalità come qualcosa che legittimerebbe la pretesa di esistenza dei propri oggetti, in quanto tali, come la prova ontologica (per quanto anch'io tempo fa mi ero accorto di una certa affinità tra le due impostazioni, ma non da estremizzare così). Va sempre considerato che l'evidenziazione dell'intenzionalità è frutto della messa in sospensione (riduzione eidetica) proprio del problema dell'esistenza delle cose di cui abbiamo fenomeni, cosicché non ha senso pensare che gli oggetti intenzionati siano necessariamente esistenti, proprio perché la loro qualifica di "esistenza" è ciò che è stato necessario mettere da parte per evidenziarli come termini degli atti intenzionali. Quindi non trovo valida l'associazione tra essenze fenomenologiche e essenze di tipo platonico, intese come Idee di per sé autosufficienti nella loro realtà separata dalle cose sensibili: in fenomenologia la distinzione tra piano essenzialistico ed esistenziale è basilare (il che non esclude che in un secondo momento anche il problema esistenziale non possa essere in un certo senso ripreso, in un certa ottica, per la quale la "ripulitura delle lenti" è già stata effettuata, chiarendo un livello di conoscenze, se si vuole, "astratto", ma atto a fondare ogni altro discorso)
Invece penso che il significato profondo dell'intenzionalità stia nel richiamo al riconoscimento di un legame di corrispondenza e adeguazione tra le varie tipologie di modalità soggettive di esperienza e apprensione (noesi) e varie tipologie di oggetti (noemi): ad ogni forma di atto intenzionale è correlata una certa forma di oggettività che, anche non associata a una effettiva esistenza, esprime un certo contenuto di un sapere da poter tematizzare in modo autonomo dagli altri, una certa "regione dell'essere", che va indagata con una propria metodologia, distinta da quelle atte a indagare gli altri contenuti, sulla base del tipo di intenzionalità soggettiva a cui è correlato: non si può indagare un oggetto sulla base di un punto di vista soggettivo diverso da quello che lo pone come suo contenuto intenzionale. Ed è l'infrazione di questo fondamentale principio a produrre l'errore kantiano: aver elaborato una critica che sulla base delle sue stesse conclusioni "solo il materiale dei sensi può essere contenuto di una scienza", non può legittimarsi essa stessa come "scienza". Per farlo si sarebbe dovuto riconoscere come materiale scientifico, accanto, e a maggior ragione, al contenuto intenzionato dai sensi, un contenuto intenzionato dalle intuizioni intellettuali su cui la critica deve necessariamente fondarsi. L'errore sta nel non aver considerato la correlazione soggetto-oggetto nell'intenzionalità, presumendo di poter applicare le pretese di scientificità di un punto di vista intelligibile e trascendentale "la critica", non all'oggetto corrispondente, il materiale delle intuizioni intellettuali, ma a un altro, quello fisico dei sensi, posto come l'unico possibile di una scienza, non seguendo la corretta correlazione