Mi sa proprio che non sia io a sbagliarmi, Eutidemo.
"Sintesi" ha un sacco di significati diversi, oltre ai due da te descritti. Ma il suo significato di base è proprio la sua contrapposizione all'analisi: dalle parti giungere all'unità.
Basta consultare un dizionario...
Comunque ci siamo intesi, l'etimologia alla fin fine diventa un intralcio.
Non mi considero Buddista, perché anche in esso vi sono troppe "verità" da accettare.
Tu ritieni di propendere per il non-dualismo. Ma nei tuoi discorsi predomina la distinzione. Il tuo perciò è un approccio analitico. Che molto apprezzo, tra l'altro, per la tua attenta lucidità.
L'analisi è stata tra le mie attività professionali la preferita, e molte soddisfazioni mi ha dato. Tuttavia l'analisi è solo la fase necessaria e preparatoria che porta alla sintesi. La quale, se l'analisi è stata fatta bene, è quasi automatica.
Quasi, però, perché nella sintesi deve necessariamente intervenire quel "quid" in più.
E' come un salto, che prende la sua spinta da ciò che si è conosciuto nell'analisi, ma poi ci si muove soli, senza rete...
***
Lo so che ti faccio soffrire, dicendoti che il tuo sapere ti è d'intralcio, ma ne sono convinto.
E te lo dico perché ho colto in te tante volte la compassione e l'insoddisfazione per come va il mondo. Questa tua compassione non ha nulla a che fare con la tua erudizione. E' anch'essa un salto, nel vuoto.
****
Non vi può essere nessuna autentica dottrina sulla non dualità. Perché indottrinare qualcuno riguardo al non duale sarebbe un'assurdità. Non vi è infatti nessuno. E' solo una voce che grida nel deserto.
Ed è lo stesso deserto a gridare, non vi è nessun'altro.
Ricordi il discorso sul soffrire e sul ridere, senza che vi sia nessuno che soffra o che rida?
Tu pretendevi vi fosse il soggetto! Che ride o che soffre.
Se no, che senso ha?
Infatti, allo stadio dell'analisi non ha senso.
E invece... vi è solo il ridere e il soffrire...
E a questo si giunge con la sintesi.
Perché la sintesi, nel suo salto nel vuoto, scarta ciò che dell'analisi è ormai inutile. Per cogliere l'essenza!
***
Riguardo al mio esserci pur in assenza di un io, qui mi trovo in maggior difficoltà per via del linguaggio.
Il linguaggio infatti deriva dalla stessa oggettività in sé. Quindi è frutto della "distinzione". D'altronde non potrebbe essere altrimenti...
Perché "ci sono" dà per sottinteso che "io" ci sono.
E' per questo motivo che ho cercato tempo fa di fare una distinzione tra "esserci" e "esistenza", seguendo l'impostazione di Jaspers.
Intendendo con "esserci" questo nostro mondo immanente dove domina l'oggettività in sé, composta da enti distinti, molteplice.
Mentre con "esistenza" intendere invece l'autentica realtà che prescinde dall'oggettività in sé, ossia mettere in secondo piano gli enti, per concentrarsi su cosa "davvero" esiste.
E ciò che esiste è la comunicazione. Comunicazione pura, che prescinde dagli attori della comunicazione stessa!
Perché di questo, e solo di questo, abbiamo contezza che esista davvero.
Anche se questa visione risulta davvero assurda dal punto di vista dell'esserci, dove cioè sono gli enti a dare significato al mondo.
Di modo che, "ci sono" in quanto esserci, ma "non esisto" in quanto esistenza. Perché l'esistenza, ossia la comunicazione, prescinde da me, da me che ci sono.
Non so se sono riuscito a rendere l'idea. Sono due stati, due interpretazioni della nostra realtà.
Il primo, l'esserci, è quello usuale, ma errato.
Il secondo, l'esistenza, si "avvicina" alla Verità.
(Si avvicina, perché toglie via inutili orpelli, che poi ci si avvicini davvero è un atto di fede...)
"Sintesi" ha un sacco di significati diversi, oltre ai due da te descritti. Ma il suo significato di base è proprio la sua contrapposizione all'analisi: dalle parti giungere all'unità.
Basta consultare un dizionario...
Comunque ci siamo intesi, l'etimologia alla fin fine diventa un intralcio.
Non mi considero Buddista, perché anche in esso vi sono troppe "verità" da accettare.
Tu ritieni di propendere per il non-dualismo. Ma nei tuoi discorsi predomina la distinzione. Il tuo perciò è un approccio analitico. Che molto apprezzo, tra l'altro, per la tua attenta lucidità.
L'analisi è stata tra le mie attività professionali la preferita, e molte soddisfazioni mi ha dato. Tuttavia l'analisi è solo la fase necessaria e preparatoria che porta alla sintesi. La quale, se l'analisi è stata fatta bene, è quasi automatica.
Quasi, però, perché nella sintesi deve necessariamente intervenire quel "quid" in più.
E' come un salto, che prende la sua spinta da ciò che si è conosciuto nell'analisi, ma poi ci si muove soli, senza rete...
***
Lo so che ti faccio soffrire, dicendoti che il tuo sapere ti è d'intralcio, ma ne sono convinto.
E te lo dico perché ho colto in te tante volte la compassione e l'insoddisfazione per come va il mondo. Questa tua compassione non ha nulla a che fare con la tua erudizione. E' anch'essa un salto, nel vuoto.
****
Non vi può essere nessuna autentica dottrina sulla non dualità. Perché indottrinare qualcuno riguardo al non duale sarebbe un'assurdità. Non vi è infatti nessuno. E' solo una voce che grida nel deserto.
Ed è lo stesso deserto a gridare, non vi è nessun'altro.
Ricordi il discorso sul soffrire e sul ridere, senza che vi sia nessuno che soffra o che rida?
Tu pretendevi vi fosse il soggetto! Che ride o che soffre.
Se no, che senso ha?
Infatti, allo stadio dell'analisi non ha senso.
E invece... vi è solo il ridere e il soffrire...
E a questo si giunge con la sintesi.
Perché la sintesi, nel suo salto nel vuoto, scarta ciò che dell'analisi è ormai inutile. Per cogliere l'essenza!
***
Riguardo al mio esserci pur in assenza di un io, qui mi trovo in maggior difficoltà per via del linguaggio.
Il linguaggio infatti deriva dalla stessa oggettività in sé. Quindi è frutto della "distinzione". D'altronde non potrebbe essere altrimenti...
Perché "ci sono" dà per sottinteso che "io" ci sono.
E' per questo motivo che ho cercato tempo fa di fare una distinzione tra "esserci" e "esistenza", seguendo l'impostazione di Jaspers.
Intendendo con "esserci" questo nostro mondo immanente dove domina l'oggettività in sé, composta da enti distinti, molteplice.
Mentre con "esistenza" intendere invece l'autentica realtà che prescinde dall'oggettività in sé, ossia mettere in secondo piano gli enti, per concentrarsi su cosa "davvero" esiste.
E ciò che esiste è la comunicazione. Comunicazione pura, che prescinde dagli attori della comunicazione stessa!
Perché di questo, e solo di questo, abbiamo contezza che esista davvero.
Anche se questa visione risulta davvero assurda dal punto di vista dell'esserci, dove cioè sono gli enti a dare significato al mondo.
Di modo che, "ci sono" in quanto esserci, ma "non esisto" in quanto esistenza. Perché l'esistenza, ossia la comunicazione, prescinde da me, da me che ci sono.
Non so se sono riuscito a rendere l'idea. Sono due stati, due interpretazioni della nostra realtà.
Il primo, l'esserci, è quello usuale, ma errato.
Il secondo, l'esistenza, si "avvicina" alla Verità.
(Si avvicina, perché toglie via inutili orpelli, che poi ci si avvicini davvero è un atto di fede...)