Secondo me la riflessione sulla "sacralita' " della vita umana per essere seria (e non buonista, e non un altro idolo) deve tenere conto della riflessione sulla violenza sacra, e sul sacro come violenza.
L'uomo e' omicida e suicida, ha in se' una natura distruttiva che lo sguardo del filosofo deve accettare, prima ancora che giudicare; e siamo al paradosso che, proprio un animale omicida-suicida, decide della sacralita' della vita umana: e' chiaro che tale sacralita' non riguarda TUTTE le vite, ma e' una cesura, un taglio netto -passante tra le vite e tra il novero di tutte le vite- tra sommersi e salvati dalla violenza dell'umano stesso.
Una cesura indicibile, perche' non si puo' dire se le vite "sacre" , siano al di la', o al di qua, della violenza umana che sempre buona parte di esse distrugge.
Rispettare tutte le vite e' una non-prassi attraverso cui si giudica il valore di una prassi, una prassi umana, che di fatto non le rispetta. E dal confronto deriva l'aspetto giuridico ed etico che stabilisce presso i gruppi umani a quali condizioni le vite debbano e possano, essere rispettate.
Ovvero il rispetto sacralmente dovuto si rivolge alla forma reale e concreta della vita umana con i suoi attuali valori e priorita' ; e tale rispetto concreto, tale rispetto di una forma di vita definita, vale di piu' , dell'astrazione del rispetto dovuto ad un pensiero/concetto della vita in generale, e questa eccedenza della vita concreta sulla vita astratta e' l'aspetto violento del sacro, il motivo del sacrificio.
Non si possono rispettare tutte le vite, anche solo perche' siamo animali e non piante sotto il grande sole, siamo vita che si nutre di vita, e questo costringe a fare delle scelte: l'assetto di queste scelte, col suo inevitabile, grande o piccolo carico di violenza, e' sacro nella sacralita' della vita, perche' la vita esiste solo nella sua concretezza.
Si cercano alternative al sacro come potere, ma il discorso sulla sacralita' della vita non fa che dirci che ciò su cui abbiamo pricipalmente, a livello collettivo e individuale potere (e dunque la vita), e' sacro, separa la prassi umana dal suo principale oggetto, portandoci forse verso una concezione piu' matura e meno idolatrica del potere, ma non annullando certo il nesso tra potere e sacro.
Quello che conta e' che l'uomo decide attivamente di vivere la propria vita, quantomeno perche' ha in se' la possibilita' latente del suicidio, e decide continuamente della vita dei suoi simili, quantomeno perche' spesso risolve i conflitti di coesistenza tra vite tramite l'omicidio. Quindi il pensiero della sacralita' della vita si completa con il pensiero dei valori che la rendono vivibile, la vita, in se' e nell'altro, valori che a tratti possono confliggere con la vita stessa e imporre un destino evolutivo o un autosuperamento.
E non tutte le ombre sono sempre e solo ombre; io ho parlato di suicidio e omicidio che sono cose ormai quasi universalmente considerate come negative, ma l'uomo non si liberera' mai nemmeno degli aspetti "positivi" e ispiratori di queste ombre e che in qualche modo o grado le implicano: come l'autodifesa, la guerra giusta (che in questi tempi e' sulla bocca di tutti: anche in una guerra giusta si deve uccidere), il mito dell'eroe, il mito del suicidio eroico come diritto di giudicare la decadenza del mondo, tutto cio' che, nell'ebrezza e nell'amore non riproduttivo ne' produttivo, uccide dolcemente, o tutto cio' che, anche solo piu' o meno radicalmente, trasforma la vita di se stessi o dei propri simili
(Prometeo e il fuoco..); quindi tutto cio' che si oppone alla stasi conservativa e conservatrice del concetto di vita in genere come sacro.
La qualita' della vita e' sacra, ma questo comporta che non tutte le vite, almeno non tutte nello stesso momento e nello stesso luogo, siano sacre. Che a volte, in noi o nell'altro, sacrificheremo la vita per la qualita' della vita, e anche questo sacrificio sara' sacro.
Ritroviamo il senso unitivo del sacro solo fuori dal tempo e dalla sequenza degli eventi, solo perche' non sappiamo dire se siano sacri i sacrificatori o i sacrificati, i mezzi o i fini che la vita nella sua specifica qualita' nell'istante attuale hanno permesso.
L'autocoscienza, e quindi la trasparenza a se stessa della vita, e' pericolosa per la vita, perche'ci sono vite che cadono anche solo a cagione della loro stessa autocoscienza, o del passare attraverso l'autocoscienza di un altro.
Ma anche questo e' sacro. C'e' un sacro unitivo, e un sacro divisivo.
C'e' un giudizio sulla vita, ricadente sopra la vita come insieme, che qualunque esso sia varra' per tutte le vite, e un giudizio nella vita, una cesura passante nell'insieme, che qualunque esso sia varra' per alcune vite si' e altre no.
L'uomo e' omicida e suicida, ha in se' una natura distruttiva che lo sguardo del filosofo deve accettare, prima ancora che giudicare; e siamo al paradosso che, proprio un animale omicida-suicida, decide della sacralita' della vita umana: e' chiaro che tale sacralita' non riguarda TUTTE le vite, ma e' una cesura, un taglio netto -passante tra le vite e tra il novero di tutte le vite- tra sommersi e salvati dalla violenza dell'umano stesso.
Una cesura indicibile, perche' non si puo' dire se le vite "sacre" , siano al di la', o al di qua, della violenza umana che sempre buona parte di esse distrugge.
Rispettare tutte le vite e' una non-prassi attraverso cui si giudica il valore di una prassi, una prassi umana, che di fatto non le rispetta. E dal confronto deriva l'aspetto giuridico ed etico che stabilisce presso i gruppi umani a quali condizioni le vite debbano e possano, essere rispettate.
Ovvero il rispetto sacralmente dovuto si rivolge alla forma reale e concreta della vita umana con i suoi attuali valori e priorita' ; e tale rispetto concreto, tale rispetto di una forma di vita definita, vale di piu' , dell'astrazione del rispetto dovuto ad un pensiero/concetto della vita in generale, e questa eccedenza della vita concreta sulla vita astratta e' l'aspetto violento del sacro, il motivo del sacrificio.
Non si possono rispettare tutte le vite, anche solo perche' siamo animali e non piante sotto il grande sole, siamo vita che si nutre di vita, e questo costringe a fare delle scelte: l'assetto di queste scelte, col suo inevitabile, grande o piccolo carico di violenza, e' sacro nella sacralita' della vita, perche' la vita esiste solo nella sua concretezza.
Si cercano alternative al sacro come potere, ma il discorso sulla sacralita' della vita non fa che dirci che ciò su cui abbiamo pricipalmente, a livello collettivo e individuale potere (e dunque la vita), e' sacro, separa la prassi umana dal suo principale oggetto, portandoci forse verso una concezione piu' matura e meno idolatrica del potere, ma non annullando certo il nesso tra potere e sacro.
Quello che conta e' che l'uomo decide attivamente di vivere la propria vita, quantomeno perche' ha in se' la possibilita' latente del suicidio, e decide continuamente della vita dei suoi simili, quantomeno perche' spesso risolve i conflitti di coesistenza tra vite tramite l'omicidio. Quindi il pensiero della sacralita' della vita si completa con il pensiero dei valori che la rendono vivibile, la vita, in se' e nell'altro, valori che a tratti possono confliggere con la vita stessa e imporre un destino evolutivo o un autosuperamento.
E non tutte le ombre sono sempre e solo ombre; io ho parlato di suicidio e omicidio che sono cose ormai quasi universalmente considerate come negative, ma l'uomo non si liberera' mai nemmeno degli aspetti "positivi" e ispiratori di queste ombre e che in qualche modo o grado le implicano: come l'autodifesa, la guerra giusta (che in questi tempi e' sulla bocca di tutti: anche in una guerra giusta si deve uccidere), il mito dell'eroe, il mito del suicidio eroico come diritto di giudicare la decadenza del mondo, tutto cio' che, nell'ebrezza e nell'amore non riproduttivo ne' produttivo, uccide dolcemente, o tutto cio' che, anche solo piu' o meno radicalmente, trasforma la vita di se stessi o dei propri simili
(Prometeo e il fuoco..); quindi tutto cio' che si oppone alla stasi conservativa e conservatrice del concetto di vita in genere come sacro.
La qualita' della vita e' sacra, ma questo comporta che non tutte le vite, almeno non tutte nello stesso momento e nello stesso luogo, siano sacre. Che a volte, in noi o nell'altro, sacrificheremo la vita per la qualita' della vita, e anche questo sacrificio sara' sacro.
Ritroviamo il senso unitivo del sacro solo fuori dal tempo e dalla sequenza degli eventi, solo perche' non sappiamo dire se siano sacri i sacrificatori o i sacrificati, i mezzi o i fini che la vita nella sua specifica qualita' nell'istante attuale hanno permesso.
L'autocoscienza, e quindi la trasparenza a se stessa della vita, e' pericolosa per la vita, perche'ci sono vite che cadono anche solo a cagione della loro stessa autocoscienza, o del passare attraverso l'autocoscienza di un altro.
Ma anche questo e' sacro. C'e' un sacro unitivo, e un sacro divisivo.
C'e' un giudizio sulla vita, ricadente sopra la vita come insieme, che qualunque esso sia varra' per tutte le vite, e un giudizio nella vita, una cesura passante nell'insieme, che qualunque esso sia varra' per alcune vite si' e altre no.
