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Messaggi - sgiombo

#2551
Le recenti discussioni sul modi di intendere la filosofia e su questioni logiche, come il paradosso del mentitore, sono state per me particolarmente stimolanti (anche per le felici provocazioni Trauma e di Epicuro, che ringrazio).

Fra l' altro mi hanno indotto a chiedermi in che senso e fino a che punto la logica sia, oltre che una rispettabilissima scienza particolare fra le altre (accanto a matematica, fisica, chimica, astronomia, geologia, biologia, ecc.; avente ovviamente, come ogni altra scienza, ineliminabili aspetti e implicazioni filosofiche e "generalmente culturali"), anche una pratica teorica (nessun ossimoro: "pratica" nel senso di attività di pensiero o riflessione critica razionale) fondamentalmente e dunque almeno in qualche misura, o al limite anche solo potenzialmente, "umana generale"; cioè genericamente propria di ogni uomo in quanto tale, quale che sia la sua specifica attività professionale.

La correttezza formale dei ragionamenti è ovviamente necessaria a tutti per poter affrontare in modo positivo, valido, proficuo, vero qualsiasi problema, e dunque anche i problemi più generalmente umani o "filosofici".
E nel mio istintivo (non razionalmente fondato, com' è inevitabile ed ovvio) forte razionalismo, davo come per scontato che nella vita si evitano errori (di cui spesso si è destinati a pentirsi più o meno amaramente) anche e soprattutto grazie alla correttezza formale del ragionare.

Questa convinzione spontanea e un po' ingenua è andata alquanto in crisi riflettendo sulle recenti discussioni aventi implicazioni relative alla logica.
In seguito alle quali mi sembra di rilevare due cose:

a)Esiste un' "istintiva" (comunque "naif", già presente un ognuno, salvo casi più o meno gravemente patologici, semplicemente in conseguenza del normale sviluppo psicofisico e culturale: esperienze scolastiche, ecc.) capacità di ragionare correttamente più o meno conseguentemente e universalmente diffusa, che mi sembra più che sufficiente per affrontare bene i problemi della vita, senza bisogno di conoscenze "tecnicamente logiche"; le quali sono ovviamente importantissime in quanto tali, come teoria pura e per le loro applicazioni pratiche, ad esempio in informatica (che consentono fra l' altro la soluzione di molti importanti problemi scientifici e tecnici di difficoltà e complessità tale che sarebbero assolutamente insormontabili "a mani nude", cioè con la sola forza del pensiero razionale umano naturale), e dunque da coltivarsi, svilupparsi, incrementarsi professionalmente da parte di "addetti ai lavori", esattamente come quelle proprie di ogni altro campo della ricerca scientifica.

b)Gli errori veramente importanti, gravi che si compiono nella vita -circa particolari scelte o anche circa una valutazione generale della nostra esistenza e scelte fondamentali per la nostra autorealizzazione- di fatto non dipendono tanto da carenze nell' istintivo e ingenuo modo di ragionare (per esempio da deduzioni o altre inferenze logiche errate), quanto piuttosto dal fatto che la realtà in cui ci troviamo, pensiamo ed agiamo non è unicamente materiale, e dunque non è integralmente passibile di misurazione e di "trattamento teorico" o di "considerazione" matematica (la cui correttezza è garantita dalla mera scrupolosa osservanza delle regole logiche di ragionamento e di dimostrazione: tant' è vero che le si possono anche affidare a "macchine" e procedure in ultima analisi "meccaniche" con garanzia di correttezza maggiore che svolgendole in prima persona da esseri umani).

La realtà nella quale "ci dobbiamo destreggiare" implica anche enti ed eventi "cogitans" o comunque non materiali, e dunque non misurabili e non calcolabili: sentimenti, inclinazioni, soddisfazioni, insoddisfazioni, ecc.
E generalmente gli errori più o meno gravi che si compiono nella vita non sono dovuti a scorrettezze logiche, inferenze sbagliate, ecc., ma invece all' impossibilità di calcolo del rapporto costi/benefici che ci si può ragionevolmente attendere dalla scelta dell' una o dell' altra alternativa che di volta in volta ci si presenta.

E' relativamente facile calcolare (almeno in linea torica, di principio) i mezzi tecnici attraverso i quali uno scopo può essere conseguito nelle determinate circostanze in cui ci si trova ad agire; e comunque la correttezza di questi calcoli non è significativamente inficiata dall' ignoranza della scienza della logica e delle sue "tecniche specialistiche".
Il difficile è "soppesare " o "ponderare" (e non letteralmente "pesare", cioè propriamente misurare, che è impossibile!) la quantità di "soddisfazione complessiva" (la "pseudosomma algebrica qualitativa" di soddisfazioni e insoddisfazioni, per dirlo paradossalmente ma mi pare ben comprensibilmente) che potremmo conseguire perseguendo un determinato insieme di scopi complessivamente realizzabli e non reciprocamente incompatibili ("botte piena") piuttosto che altri insiemi alternativi ("moglie ubriaca").

Perché ad esempio (per la cronaca: del tutto campato in aria e non avente alcuna implicazione mia personale; oltre che alquanto banale e caricaturale; ma spero utile a spiegarmi) posso al massimo capire che l' amore di mia moglie e la stima dei miei figli sono per me soddisfazioni maggiori dei piaceri "carnali" e delle soddisfazioni personali in termini di orgoglio che potrei ricavare da un rapporto con una giovane bella ragazza che "ci starebbe"; ma di quanto sia maggiore non mi è proprio possibile stabilirlo (il doppio? Il 50% in più? Mille volte di più", Il 5% in più? Infinitamente di più?), contrariamente, per esempio, sia pure con ineliminabili elementi di approssimazione ed incertezza, ai soldi che mi costerebbe invitare a cena la ragazza qualche volta, farle qualche regalo, eventualmente affittare una stanza di albergo, ecc.

E se le ragazze abbordabili fossero più di una (qui l' esempio evidenzia tutta la sua "pacchianità", ma spero anche la sua "capacità esplicativa"), desiderabili in diversa misura in quanto qualcuna più bella, qualche altra più intelligente, più colta o con un temperamento più "eccitante", come potrei stabilire se la somma delle soddisfazioni ricavabili da un certo numero di rapporti con loro (quale numero? E di quali di loro?) sarebbe o meno (e men che meno: di quanto?) maggiore o minore delle insoddisfazioni derivanti dalla perdita dell' amore di mia mogie e della stima dei miei figli (per non parlare di eventuali sensi di colpa e sinceri, disinteressati rimorsi)?
#2552
Attualità / Re:Ius soli o ius sanguinis ?
08 Luglio 2017, 09:36:59 AM
@ Maral (e preannunciando che non risponderò a eventuali obiezioni di altri, per "eccessiva incompatibilità di opinioni", che richiederebbe da parte mia ben altre risposte che argomentazioni)


Ancora una volta, malgrado i profondissimi dissensi teorici (il che da alla cosa un certo, vago "ulteriore motivo di soddisfazione"), mi sento in dovere di complimentarmi per quanto scrivi in questa discussione

Apprezzo molto in particolare la locuzione di "pseudosinistra" che io stesso uso spesso da tempo.

Mi piace rilevare che in Europa (ma non fuori dall' Europa, e per responsabilità anche delle potenze imperilaistiche europee) ci sono effettivamente stati non 70 ma comunque 40 anni consecutivi di pace (penso non succedesse dall' età della pietra!) dopo il secondo conflitto mondiale, in presenza del "socialisimo reale" (e personalmente credo non a caso).

Nei tuoi interventi mi sembra di rilevare solo una valutazione eccessivamente ottimistica delle migrazioni attuali.
Che per me eccedono di molto un fenomeno migratorio che possa essere considerato "fisiologico" (per libera scelta; sempre ineliminabile e da valutarsi positivamente, ma che ovviamente sarebbe di gran lunga più limitata di quanto accade oggi).
Il fenomeno migratorio attuale penso che sia una palese ingiustizia e barbarie, di cui é pienamente responsabile l' imperialismo occidentale (compresi i suoi collaborazionisti e kapo' africani, asiatici, latinoamericani, est-europei), che innanzitutto andrebbe stroncata all' origine (giù le manacce imperialistiche dal mondo!), e che unicamente come "ripiego" o "male minore" andrebbe consentito e agevolato con una non ipocrita ma autentica "accoglienza" nell' interesse immediato (nel senso di limitazione dei danni subiti dall' imperialismo) di chi é costretto a ricorrevi (anche se, a dimostrazione del grado di barbarie raggiunto dal nostro mondo occidentale, c' é perfino chi crede che emigrare sia piacevole e a farlo sia gente che già se la passa bene a casa sua e desidera solo venire a fare il parassita da noi, magari imponendoci la sua religione; sic!!!).

Comunque i fatti di questi giorni confermano tutta la nauseabonda ipocrisia della anime belle di pseudosinista al servizio dell' imperialismo "tipo Boldrini".
Se costoro fossero sinceramente per il diritto di chiunque di spostarsi liberamente nel mondo aiuterebbero i migranti che da Ventimiglia cercano di andare in Francia, anzichè aiutare attivamente i gendarmi francesi a impedirglielo e addirittura a risegregarli in Italia nei casi in cui ci riescono; né cercherebbero di fermare quelli che, nascosti nei camion o in altri ingegnosi e rischiosi modi, cercano di raggiungere l' Austria e la Germania: a causa del loro servilismo verso i potenti dell' Unione Europea, non minore di quello verso i superpotenti amerikani, nei fatti questi odiosissimi individui (letteralmente: nemici del popolo) non sono affatto per una millantata "libertà di circolazione", ma invece per una cosa ben diversa e decisamente "nazistissima" che é più corretto, realistico, rispondente al vero denominare "deportazione coatta in Italia".
Inoltre non delegherebbero dietro lauti compensi lo sporchissimo e nazistissimo compito di eliminare i migranti (in autentici "campi di sterminio a cielo aperto") a figuri come Erdogan e non cercherebbero di fare lo stesso con i loro satrapi in reciproca guerra permanente nella da loro barbaricissimamente devastata Libia e con altri loro governi fantocci africani, come esplicitamente ammettono (e magari se ne vantano) di stare cercando di fare in ogni modo, onde poi blaterare merdosamente di (pseudo-)"accoglienza": pretendono di fare i "benefattori dell' umanità" avendo le mani copiosissimamente grondanti di sangue innocente (gli orrendissimi Salvini, Meloni, Santanché, Le Pen e c. mi fanno relativamente un po' meno schifo di loro).
#2553
Mi sembra un malinteso del tutto simile a quello del "principio antropico" in cui cadono molti fisici e cosmologi a mio parere filosoficamente assai poco ferrati.

Per me la probabilità oggettiva che qualcosa accada o meno (non: la propensione soggettiva e a credere del tutto arbitrariamente che accada qualcosa o meno) non è che la frequenza o le frequenze con cui l' evento o gli eventi in questione si realizza o si realizzano nell' ambito di serie numerose di casi (comprendenti anche casi ad esso o ad essi alternativi).
Così per esempio la probabilità che da un padre genotipicamente omozigote per il carattere ereditario recessivo "occhi azzurri" (fenotipicamente con gli occhi azzurri) e una madre eterozigote per il carattere fenotipico "colore degli occhi" (con un allele dominante "occhi neri" e un allele recessivo "occhi azzurri": madre fenotipicamente con gli occhi neri per la dominanza completa del secondo allele sul primo) nasca un figlio fenotipicamente caratterizzato da occhi azzurri è di 1/2(ovvero del 50%).
Ciò significa che se si considerano molti casi di questo tipo, allora si troverà che  approssimativamente (con approssimazione tendenzialmente "migliore", ovvero con una tendenziale "maggior precisione", al crescere del numero dei casi considerati) metà della totalità dei figli di costoro avrà occhi azzurri, l' altra metà occhi neri.

Ora una simile concezione della probabilità non è evidentemente applicabile a un caso unico, come la realtà complessivamente intesa (l' universo), per stabilire per esempio se contenga uno o più dei o nessun Dio.
E dunque non si può dimostrare che l' esistenza di almeno un Dio in esso abbia una qualsiasi probabilità (oggettiva) di essere reale: semplicemente è soggettivamente pensabile, ipotizzabile del tutto al pari di qualsiasi diversa ipotesi ad essa alternativa (nessun dio, 2 dei, 3 dei, 4 dei, ecc.) in quanto non altrimenti provata né autocontraddittoria ovvero autoconfutantesi.

Solo se -autocontraddittoriamente, assurdamente!- fossimo in presenza di molte "realtà complessive" o universi e conoscessimo in quale percentuale di esse fosse presente almeno un dio potremmo stabilire la probabilità che ve ne siano uno o più in "questa nostra", da noi abitata.

Questo corrobora ulteriormente la mia convinzione circa l' importanza capitale (in generale; e in particolare in filosofia) di distinguere nettamente e inequivocabilmente i concetti, pur non reciprocamente escludentisi, ma nemmeno reciprocamente implicantisi, di "essere reale" (o "accadere realmente") e di "essere (in quanto) oggetto di pensiero" (o "accadere di essere pensato, di essere oggetto di pensiero").
#2554
Citazione di: epicurus il 04 Luglio 2017, 10:52:22 AM

Citazione di: sgiombo il 03 Luglio 2017, 18:24:59 PMPer me la filosofia é diversa dalle scienze "particolari" ("naturali" o "umane" che siano) perché non si interessa di questo o quell' albero (ma con l' iperspecialismo oggi raggiunto delle scienze sarebbe forse meglio parlare di questa o quella foglia o addirittura di questa o quella venatura di questa o quella foglia); fuor di metafora: di questo o quel particolare aspetto della realtà in cui vivo e della mia vita in riferimento a tale particolare aspetto, come fanno le varie scienze. Ma invece si interessa della foresta; fuor di metafora: della realtà in cui vivo in generale, complessivamente intesa e della mia vita in generale, complessivamente considerata in riferimento alla realtà in generale). Deve dunque fondarsi comunque su un "minimo di conoscenza" (scientifica) degli aspetti particolari della realtà, quale più quale meno).
Non metto in dubbio il fatto che la filosofia sia occupi di questioni massimamente generali. (Anche se, devo ammettere, credo che si occupi di questioni ancora più generali la matematica.) Ma, come ho chiesto a Paul, da questo cosa dobbiamo concludere in riferimento a questa discussione?

CitazioneDissento circa la maggior generalità dei problemi matematici rispetto a quelli filosofici.

Esiste una filosofia della matematica (oltre ad altre filosofie), ma non credo esista una matematica della filosofia (oltre ad altre matematiche).
Cioé le conoscenze matematiche fanno parte della conoscenza in generale; e la filosofia si occupa (anche) di conoscenza in generale (e per esempio vi sono filosofie che della matematica affermano si tratti di giudizi analitici a priori).
Ma  non credo che la filosofia possa essere considerata una parte della matematica.

Citazione di: sgiombo il 03 Luglio 2017, 18:24:59 PMPer questo credo che almeno potenzialmente (e in qualche misura -al limite nulla, nei casi più "filosoficamente disperati"- di fatto, attualmente) tutti gli uomini siano filosofi.
Dimmi se ho capito bene: dato che la filosofia è più generale delle altre scienze, allora tutti gli uomini potenzialmente sono filosofi?
Da un certo punto di vista è una palese verità: tutti gli uomini possono essere dei filosofi; di fatto alcuni lo sono in pieno, altri in gradi intermedi, alcuni per nulla. Ma è così per ogni disciplina.
O c'è un altro modo di intendere la cosa: visto che tutti o quasi riflettono su questioni generali, allora tutti o quasi sono filosofi, in qualche grado. Però, anche qui, allora ciò vale per moltissime altre discipline. "Dato che tutti usiamo la logica, allora...", "Dato che tutti usiamo i numeri, allora...", "Dato che tutti abbiamo a che fare con questioni economiche, allora...", "Dato che tutti abbiamo a che fare con il prossimo, allora...", "Dato che tutti abbiamo a che fare con il mondo fisico, allora", ecc...
CitazioneSi possono scegliere i più svariati "mestieri" (compreso quello di "storico della filosofia e anche di epistemologo o di ontologo (o di "professore di metafisica", "di epistemologia" e di "etica").

Ma, quale che sia il mestiere che si sceglie, per "essere filosofo" intendo (rispondendo alla domanda che da il titolo alla discussione) il porsi e l' affrontare razionalmente, criticamente le questioni:

ontologica (o metafisica: com' é in generale la realtà? Per esempio: é monistica materialistica? Monistica spiritualistica? Dualistica? Pluralistica? E' immutabile o muta? Se muta é ordinata ovvero deterministica oppure disordinata? Se é ordinata la é in senso "forte" ovvero meccanicistico-deterministico oppure in senso "debole" ovvero probabilistico-statistico? Esiste o no il libero arbitrio? Esiste Dio? Siamo mortali o immortali?):

gnoseologica (si può conoscere com' é la realtà? Come? In che senso? Entro quali limiti? A quali condizioni?);

etica (che cosa é preferibile fare nella vita? Perché farlo? Come farlo?):

eventualmente estetica e politica (come articolazioni della questione etica, in sostanza).

Questo significa per me "essere filosofo" (quale che sia il mestiere o i mestieri che si esercitano), in questo senso credo di esserlo.

Citazione di: sgiombo il 03 Luglio 2017, 18:24:59 PMAnche se oggi  [...].
Secondo me è falso che il livello quantitativo e qualitativo sia inferiore del passato, ma non mi esprimo oltre su questioni statistiche di questo genere senza avere dei dati significativi.
CitazioneCredo che si tratti di una questione non affrontabile in termini statistici in quanto la qualità con cui si affrontano i problemi filosofici non é oggettivamente quantificabile.
E anche per questo non credo sia decidibile con certezza: si tratta di "mere impressioni" vaghe, indeterminate, opinabili: questo era quanto intendevo sostenere, non di più (e dunque comprendo che altri, come te, possano avere in proposito impressioni e convinzioni diverse e contrarie alle mie; ma non credo esistano argomenti oggettivi e cogenti per dirimere le disparità di valutazione).
#2555
Lungi da me l' intenzione di abolire l' autoriferimento dato che è fondamentale per la matematica e l'informatica (come vengo a sapere da te; e a proposito, ti ringrazio).

Quello che mi lascia perplesso, a prescindere dalla matematica e dall' informatica, é il fatto che la particolari proposizioni "questa proposizione é vera" e "questa proposizione é falsa" per il loro particolare autoriferimento (per il fatto che predicano la verità e la fasità rispettivamente di se stesse) mi risultano insensate.

Provo a spiegarti i motivi di questa mia perplessità.
Consideriamo le seguenti proposizioni:

"Esistono (realmente) cavalli".

"Esistono (realmente) montagne d' oro alte 4000 metri e con un perimetro di 15000 metri".

"In una delle 100 galassie più vicine alla nostra esiste un pianeta la cui massa é uguale a quella della nostra terra entro un' approssimazione di 20 Kg (é = a quella della nostra Terra + o - 20 Kg).

Comprendo benissimo che cosa significano (= le trovo perfettamente sensate), nel senso che so come fare (come debbano "stare le cose") per stabilire che la prima é vera e che la seconda  é falsa. E quanto alla terza probabilmente non si potrà mai stabilire di fatto se sia vera o falsa, ma in linea puramente teorica, di principio esiste un modo (teoricamente facilissimo) per stabilire se sia vera o se sia falsa, cioé si comprende benissimo come debbano "stare le cose" per stabilire se sia vera oppure falsa (basta osservare attentamente tutti i pianeti di tutte le stelle di tutte le 100 galassie più vicine alla nostra).

Invece se consideriamo la seconda delle due frasi "autoreferenziali" (quella che predica la falsità di se stessa), allora concludiamo che é paradossale, ovvero inevitabilmente contraddittoria: se é vera, allora é falsa e se é falsa allora é vera (PM); per me ciò significa che non ha senso.

E se consideriamo la prima (quella che predica di se stessa la verità non troviamo paradossi tipo PM; se é vera é vera e se é falsa é falsa.
Eppure, contrariamente alle altre tre di cui sopra (una certamente vera, una certamente falsa e la terza dubbia, incerta) non vedo alcun modo per stabilire se si vera o se sia falsa anche in linea puramente teorica, di principio; e anche questo secondo me la rende insensata: che significa? Come dovrebbero "stare le cose" affinché fosse vera e come dovrebbero "stare le cose" perché fosse falsa?
#2556
Tematiche Filosofiche / Re:Il coraggio
03 Luglio 2017, 20:46:13 PM
Citazione«Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi»
                                                                       (Brecht)

Va beh, é solo per suggerire eventualmente altre riflessioni.  

Quello che ho letto in questa discussione mi induce a dire che fra coraggio/pavidità da una parte ed egoismo/generosità dall' altra non vi é necessaria connessione.

Si può essere coraggiosi per egoistico amore di gloria (Cesare?) e coraggiosi per amore del prossimo (il bagnante che sui tuffa nel mare in tempesta per salvare chi sta annegando, a rischio di perire al suo posto o insieme a lui; questo solitamente si chiama "eroismo").

E si può essere avidi di gloria e pavidi codardi (Benito Mussolini che dopo aver proclamato: "Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se muoio vendicatemi" cercò di salvare la pellaccia fuggendo travestito da soldato tedesco).

                                                           
#2557
Citazione di: epicurus il 03 Luglio 2017, 16:19:05 PM


Proviamo un momento a fare un esperimento e mettiamoci dei panni di un fisico professionista che adori la fisica. Cerchiamo, per quanto ci è possibile, di vedere il mondo con i suoi occhi e con i suoi sentimenti. Tutto l'universo si sorregge grazie alle leggi della fisica. Le leggi della fisica sono ovunque e potrebbero spiegarci ogni cosa... Cosa c'è di più importante del conoscere le leggi fisiche? Alla fine è la chiave per conoscere come funziona la nostra intera realtà! Perché perdere questa preziosissima opportunità, chi mai vorrebbe vivere nelle tenebre, vivere in un mondo alieno senza consapevolezza di ciò che accade?

Consideriamo ora lo psicologo. L'universo non è niente rispetto all'esperienza soggettiva dell'essere umano: un labirinto infinitamente complesso e affascianante. Cosa ci potrebbe mai essere di più importante del conoscere pensieri, credenze, paure, ossessioni, speranze, ecc... dell'uomo? Chi mai non vorrebbe diventare psicologo è perdersi questo universo dentro l'universo?

Questa lista sarebbe molto lunga: matematici, sociologi, economisti, antropologi, biologi, storici, linguisti......... Ognuno esamina un aspetto della realtà. Ognuno potrebbe considerare il proprio dominio come il più importante. Potrebbe, ma non dovrebbe. Dovrebbe invece riconoscere che il bello della nostra realtà è che ha più sfaccettature, tutte estremamente affascinanti e importanti. Il sapere ha oggigiorno una vastità inimmaginabile, quindi non è più possibile, come alle origini, avere persone che si interessano ad esso in ogni suo aspetto. I filosofi di un tempo si sono dovuti specializzare per necessità nelle varie discipline e la filosofia ora è una di queste. Non la più importante, ma una parte del sapere umano. Ma non per questo poco importante, anzi.
CitazionePer me la filosofia é diversa dalle scienze "particolari" ("naturali" o "umane" che siano) perché non si interessa di questo o quell' albero (ma con l' iperspecialismo oggi raggiunto delle scienze sarebbe forse meglio parlare di questa o quella foglia o addirittura di questa o quella venatura di questa o quella foglia); fuor di metafora: di questo o quel particolare aspetto della realtà in cui vivo e della mia vita in riferimento a tale particolare aspetto, come fanno le varie scienze. Ma invece si interessa della foresta; fuor di metafora: della realtà in cui vivo in generale, complessivamente intesa e della mia vita in generale, complessivamente considerata in riferimento alla realtà in generale). Deve dunque fondarsi comunque su un "minimo di conoscenza" (scientifica) degli aspetti particolari della realtà, quale più quale meno).

Per questo credo che almeno potenzialmente (e in qualche misura -al limite nulla, nei casi più "filosoficamente disperati"- di fatto, attualmente) tutti gli uomini siano filosofi.
Anche se oggi (in questo credo di interpretare anche il pensiero do Apeiron; ma mi dica se sbaglio) di fatto la "misura media" in cui questa "potenzialità filosofica" generalmente umana si attua sia particolarmente bassa (non solo a livello di massa ma anche anche a livello di "elités intellettuali" e per lo meno rispetto agli ultimi due - trecento anni; e a prescindere dalla qualità con cui si attua -oggi generalmente più razionalistica, un tempo cadendo in maniera quasi generalizzata nella religione o nella superstizione- forse é bassa a livello di massa anche rispetto a i secoli precedenti l' illuminismo e lo sviluppo industriale).
#2558
Citazione di: epicurus il 03 Luglio 2017, 14:45:57 PM
Citazione di: sgiombo il 30 Giugno 2017, 10:19:25 AM
A Epicurus
Della filosofia (così intesa) fanno parte certamente anche la logica e la filosofia della matematica.
Ma la logica a me (soggettivamente) preme unicamente per gli scopi suddetti (e la matematica pura e la filosofia della matematica interessano ben poco).
[...]
Per questo, pur apprezzando il tuo zelo "quasi da missionario" nel cercare di convincermi dell' importanza dello studio dei paradossi logici nell' ambito della logica e della matematica (importanza che non ho mai messo in dubbio), non riesco a sentimene coinvolto più di tanto [...].
Non fraintendermi, io non voglio convincerti che il PM debba essere importante per te. Già in uno dei miei primi interventi, ti avevo scritto: "non è necessario che ad ognuno interessi ogni declinazione tra le infinite della filosofia".

La mia era una risposta al tuo dire che il PM è solo un giochino. No, il PM non è solo un giochino, è un problema che ha portato tante cose interessanti nello studio della matematica e della logica. Tutto qui.  ;)
CitazioneE' ottima cosa intendersi sulle rispettive convinzioni e intenzioni.

Non credo di aver mai affermato che "il PM è solo un giochino" in assoluto (senza ulteriori determinazioni), ma casomai che riveste un' importanza del tutto simile a un qualsiasi ingegnoso problema enigmistico personalmente per me.

Non mi sembra il caso di perdere del tempo per andare a rileggermi quanto da me scritto in questa discussione, anche perché qualora invece avessi fatto una tale affermazione mi basterebbe comunque precisare che in tal caso avrei compiuto un errore (logico?) e dunque che la mia reale opinione é concorde con la tua: si tratta (invece) di qualcosa di non affatto banale e importante nell' ambito della logica e della matematica (penso che quel che conta é per l' appunto fugare i malintesi, non tanto polemizzare per il gusto di polemizzare o rinfacciarsi a vicenda la responsabilità di non avere inteso bene).
Citazione di: Apeiron il 30 Giugno 2017, 15:12:11 PM
Epicurus, capisco che le mie risposte non siano convincenti e non lo sono nemmeno per me :) come ti ho detto sarà un mio limite, però credo che per riuscire a superare l'impasse dovresti darmi una tua definizione di "sensatezza". Non tutte le proposizioni che sembrano sensate lo sono. Per me "2+2=4" non si assoccia a nulla di "reale" e quindi non è "sensato" ma semplicemente è una proposizione "valida" nel contesto della grammatica dei numeri naturali. Per un platonista matematico è sensato. "Questa frase è sensata" non mi da alcuna informazione. Cosa dovrei capire da questa frase? :) Se vuoi per me "senso=significato=informazione contenuta dalla proposizione". Se ti ho stufato, porta pazienza e non rispondermi. Sono dell'idea che certe cose non sono in grado di capirle.
Apeiron, figurati, non mi hai affatto stufato, anzi mi dispiace averti dato questa impressione. Il problema è che la comunicazione scritta ha molti limiti espressivi.

Tornando sul pezzo, capisco quello che vuoi dire e ammetto di essere stato troppo severo nell'interpretare le tue parole. Capisco benissimo perché tu scrivi "Questa frase è vera" è senza senso. Proviamo un altro approccio allora.  :D

Parliamo di "validità". Perché "Questa frase è vera" è valida ma "Questa frase è falsa" non è più valida. Quest'ultima frase è molto bizzarra, sicuramente è qualcosa di radicalmente diverso da "Questa frase è vera" e da "Questa ognuno triangolo no". Cos'ha il PM di così speciale?
CitazioneSecondo me (da profano della logica formale; che evidentemente ha comunque un qualche interesse, sia pur limitato, anche per me personalmente) pronomi dimostrativi come "questo" o "quello" hanno senso solo se si capisce a che cosa si riferiscono.

Dunque mi pare che entrambe le frasi siano valide (corrette, sensate) se vengono appena dopo un' altra proposizione (chiamiamola "p" alla quale si riferisce il pronome "questa": " 'p'; questa frase ["p"] é vera" e " 'p'; questa frase ["p"] é falsa" (pur non potendo essere vere entrambe, comunque) secondo me hanno senso entrambe.

Ma se con "questa frase" si intende (o si pretende di intendere) autoreferenzialmente quell' unica frase, allora a me sembrano entrambe formalmente (grammaticalmente) corrette ma senza senso, sia quella che predica di se stessa la verità sia quella che predica di se stessa la falsità, dal momento che non si comprende quale sia il "contenuto" (o per l' appunto il significato) a cui attribuiscono per l' appunto la caratteristica di essere vero o di essere falso rispettivamente.

"esistono cavalli"; questa frase é vera.
"esistono ippogrifi reali (non immaginari)"; questa frase é falsa.
Sono frasi che predicano la verità e la falsità rispettivamente di qualcosa che si intende.
Ma "questa frase é vera" e "questa frase é falsa" a quale contenuto attribuiscono rispettivamente la verità e la falsità"?
Per me hanno lo stesso significato (nullo) di "x é vero" e/o "x é falso" se non mi si dice che cosa si intende per "x"



O al più si potrebbero forse intendere come tautologie:
"questa frase é vera" = "una frase vera é vera"
"questa frase é falsa = "una frase falsa é falsa"
Ma si tratterebbe comunque di attribuire arbitrariamente un significato al pronome "questo" che nelle due frasi non é inequivocabilmente precisato con certezza e univocità (da parte di chi le propone).

...Poi certamente la seconda, contrariamente alla prima, é (anche) un esempio di PM per cui se fosse vera sarebbe falsa e se fosse falsa sarebbe vera.
Ma se fosse vero o falso che?
E comunque anche la prima che cosa mi dice (di unicamente, inequivocabilmente vero oppure di unicamente, inequivocabilmente falso e dunque non paradossale)? Cioé: quali nozioni, quale "contenuto effettivo di conoscenza" mi da?
Mi pare nessuno (e infatti non vedo modo alcuno di stabilire se sia vera oppure sia falsa).
#2559
Citazione di: maral il 02 Luglio 2017, 11:24:36 AM
Il punto Sgiombo è che la critica (che bisogna certamente fare sempre) non può porre il fondamento razionale della critica stessa. Il pensiero occidentale si è mosso su questa strada, ha creduto di poter porre un fondamento logico alla logica, da cui il naufragio inevitabile. Questo non significa abbandonare la critica o le proprie posizioni, ma viverle con spirito critico nel contesto che di volta in volta le dà per valide. Per questo la critica filosofica è critica a se stessi, senza per questo sentirsi indeboliti.  E' un procedere continuo che ha la propria verità sempre in costruzione nel procedere stesso.
CitazioneSalvo la mia non accettazione del concetto indiscriminato di un unico "pensiero occidentale" (come già in precedenza accennato) sono d' accordo che un razionalismo critico conseguente, "portato fino in fondo", fino alle estreme conseguenze, deve essere anche autocritico.

Ho sempre pensato che essere consapevoli dei limiti della razionalità significa essere più conseguentemete razionali (e razionalisti) che ignorarli, cadendo in pie illusioni in proposito (come fa anche quella forma di irrazionalismo che ritengo sia lo scientismo acritico).
#2560
Citazione di: maral il 01 Luglio 2017, 22:56:37 PM
Ma è proprio il processo di astrazione in quanto tale che, volendo stabilire la verità incontrovertibilmente valida, ha in sé il proprio errore, un errore che si ripete a ogni passaggio astrattivo per correggerlo. E' per questo che la ricerca metafisica dell'episteme o della sostanza è fallita, ma è fallita nel senso che non potrà mai avere fine, che non potrà mai concludersi. La filosofia è sempre critica e la critica filosofica, se correttamente impostata, è sempre fondata, ma in termini rigorosi non può porre le basi certe di alcunché, poiché qualsiasi base sarà inevitabilmente e giustamente rimessa in discussione dalla critica filosofica stessa.
CitazioneNon riesco a dare a queste parole un senso diverso da questo:

Bisogna sempre esercitare una critica (razionale per parte mia) di ogni credenza e convinzione (il cartesiano dubbio metodico); infatti spesso si scopre che credenze la verità delle quali ci sembrava certissima si rivelano false.
#2561
Citazione di: maral il 01 Luglio 2017, 22:42:01 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Giugno 2017, 16:36:20 PM
Tuttavia mi sembra che per "nulla" comunemente non si intenda "(l' essenza di -???-) tutte le cose che non sono" (che comprendono, fra l' altro, i soliti ippogrifi; mentre magari altre cose -come i soliti cavalli- sono: e dunque si tratterebbe di un "nulla" implicante l' esistere reale di qualcosa, come i cavalli); bensì "il (palesemente non reale; essendo palesemente falso il predicarlo come reale) non essere di alcunché, ovvero di qualsiasi cosa di cui potrebbe predicarsi o meno (l' accadere realmente de- ) l' essere (inteso per l' appunto come "esistere o accadere realmente"; mi scuso per la ridondanza)".
Sgiombo il non essere di alcunché è già una contraddizione, poiché occorre che qualsiasi ché in qualche modo ci sia per predicarne il non essere, mentre è assolutamente impossibile predicare in alcun modo l'essere di ciò che non è.
Per questo l'essenza del nulla è data dalla contraddizione.
CitazioneNo, affinché di qualsiasi "ché" si possa predicare "qualcosa" (l' essere, il non essere e quant' altro) non é affatto necessario che ci sia (esista) realmente; basta che (realmente) sia pensabile (e che realmente sia pensato).
Infatti si può (realmente) predicare (per esempio falsamente l' essere reali o veracemente il non essere reali) anche dei miei amatissimi ippogrifi.
Se così non fosse fra l' altro saremmo infallibili predicando in positivo (l' esistenza; di qualsiasi cosa), non potendo predicare l' essere reale di qualcosa che non sia reale.

Inoltre stando a quanto qui affermi, poiché non sarebbe predicabile ciò che non é, ci basterebbe predicare che ciò che ci serve e realmente non abbiamo (non esiste) esiste per ottenerne l' esistenza.
#2562
Aggiungerei, per chiarire meglio come concepisco la filosofia, che:

Per me essere filosofi é anche cercare sempre "il pelo teorico o di principio", onde criticare "spietatamente" ogni credenza, onde comprendere la fondatezza, i limiti del credere ciò che credo, come appare evidente anche dal mio recente scambio di opinioni circa il solipsismo con l' ottimo Apeiron nella discussione su paradosso del mentitore.
#2563
Concordo comunque con te, caro* Apeiron, che "il linguaggio sia almeno un "argomento a favore" del fatto che ad un "io" si debba sempre opporre un "altro".

E' certamente un ottimo argomento per credere, anche se non una dimostrazione assolutamete certa, indubitabile in linea teorica o di principio a mio parere, uno dei più convincenti fra quelli per i quali ovviamente anch' io nego comunque il solipsismo.

Per me essere filosofi é anche cercare sempre "il pelo teorico o di principio", onde criticare "spietatamente" ogni credenza.

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* Spero sia evdente che uso questo aggettivo letteralmente, senza alcuna ironia, come convinta espressione di apprezzamento e stima.
#2564
Citazione di: Apeiron il 30 Giugno 2017, 15:12:11 PM

Sgiombo, un linguaggio "privato" NON è comunicabile. L'Esperanto sì. Con linguaggio privato intendo un "linguaggio che solo io comprendo". Se questo non è possibile allora il solipsimo è insensato: un solipsista non potrebbe "capire" di essere tale in quanto per capirlo dovrebbe pensare di essere un solipsista. Per pensare qualcosa è necessario esprimere un pensiero (=creare un linguaggio). Se esisto solo io non avrei necessità di comunicare: anzi non mi verrebbe nemmeno in mente di farlo, non potrei nemmeno pensare di farlo. Questo mostra come il linguaggio sia almeno un "argomento a favore" del fatto che ad un "io" si debba sempre opporre un "altro". Un linguaggio privato (=non comunicabile) riuscirebbe a ovviare questo problema in quanto sarebbe auto-referenziale. Ma senza tale linguaggio come potrebbe il solipsista essere cosciente di sé? :)

P.S. Se per linguaggio "privato" intendi un lingaggio che capisco solo io ma che riesco ad utilizzarlo per comunicare in linea di principio allora sono d'accordissimo con te che l'Esperanto lo è.
CitazioneUn linguaggio privato è per me un linguaggio che uno di fatto usa "dentro di sé, per ragionare, e non per comunicare con altri; ma non un linguaggio che non è necessariamente comunicabile in linea di principio (il che credo non sarebbe possibile), basta che non sia comunicato di fatto; e ciò accade a tutte le lingue artificiali inventate da un solo autore (Esperanto compreso: solo Zamenhof lo comprendeva prima di proporlo al pubblico) fino al momento in cui vengono per l' appunto rese pubbliche e proposte ad altri (e non per niente ciò avviene in una lingua naturale di già pubblica, e non nelle lingua convenzionale che si propone, che evidentemente al momento è un linguaggio "privato". In un certo senso si parla del linguaggio artificiale proposto attraverso un metalinguaggio diverso da quello che si offre all' attenzione del pubblico come linguaggio oggetto).
 
Per sostenere la tua argomentazione contro il solipsismo bisogna dare per scontata una serie di conoscenze che certe non sono ma in linea teorica sono dubitabili, alcune relative alla storia naturale e alla storia umana, altre alla propria esperienza infantile durante la quale si è imparato il linguaggio da altri; in linea teorica o di principio gli altri da cui si é appreso il linguaggio potrebbero anche essere (non è contraddittorio pensare che così sia, ergo non è dimostrabile che così non sia) solo zombi senza coscienza (reali unicamente come insiemi di fenomeni nell' ambito della propria esperienza cosciente) i quali in realtà non pensano (linguisticamente) e non comunicano nulla, ma solo accidentalmente i loro suoni e scritti sono tali che vi si possono attribuire significati; cioè sembrano falsamente ma non sono (autentiche) espressioni linguistiche.
#2565
A Epicurus
 
 
Come ho recentemente scritto nella discussione "Qual' è il vostro scopo", Per me filosofia è cercare di vivere non a casaccio, come potrebbe capitare acriticamente e conformisticamente di fare, perché "così generalmente si fa intorno a me", ma cercare invece di vivere a ragion veduta, cercando di capire com' è la realtà di cui faccio parte (soprattutto in generale, complessivamente, non solo e non tanto nei dettagli: la scienza ci fa vedere moltissimo e assai fondatamente, attendibilmente gli alberi che costituiscono la foresta, mentre a me, da filosofo amatoriale -ma nemmeno Spinoza era un "professionista", ossia un professore, "della filosofia"- preme vedere soprattutto la foresta); cercando di capire cosa sono io, cosa è il caso di tentare di realizzare nella mia vita; e naturalmente, come necessaria premessa per rispondere attendibilmente a queste altre domande fondamentali, cosa è la conoscenza, come (e innanzitutto se) può ottenersi, in che senso, a quali condizioni ed entro quali limiti può ritenersi vera.
A questo scopo la correttezza logica del ragionamento è evidentemente indispensabile.
Della filosofia (così intesa) fanno parte certamente anche la logica e la filosofia della matematica.
Ma la logica a me (soggettivamente) preme unicamente per gli scopi suddetti (e la matematica pura e la filosofia della matematica interessano ben poco).
Non mi interessa la correttezza o meno del ragionare in sé e per sé (che per me soggettivamente non costituisce un "fine a se stesso"), né tantomeno per applicarla (se non eventualmente onde "passare il tempo" nell' impossibilità di impiegarlo in modo per me soggettivamente più interessante senza annoiarmi) ai più svariati e pur indubbiamente ingegnosi problemi logici come l' analisi e la soluzione dei paradossi (o anche ad ingegnosi problemi di altra natura, per esempio "ludicamente enigmistici").
Mi interessa invece se finalizzata ad affrontare i più generali problemi gnoseologici, ontologici ed etici di cui sopra.
 
Per questo, pur apprezzando il tuo zelo "quasi da missionario" nel cercare di convincermi dell' importanza dello studio dei paradossi logici nell' ambito della logica e della matematica (importanza che non ho mai messo in dubbio), non riesco a sentimene coinvolto più di tanto: non sono né un logico o un matematico di professione, né un "appassionato amatoriale di logica e di matematica", ma casomai un filosofo (o un "appassionato amatoriale di filosofia"; soprattutto di gnoseologia, ontologia, e in particolare nel suo ambito di filosofia della mente, e di etica, e in particolare nel suo ambito di politica).
 
 
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Circa il paradosso di Curry affermi:
 
 
Avrei potuto scrivere benissimo "Se questa proposizione è vera, allora 2+2=42", oppure "Se questa proposizione è vera, allora non esiste il pianeta Terra"... Cioè, con questo paradosso posso dimostrare tutto e il contrario di tutto. Senza dover utilizzare la negazione (anche l' esistenza di Dio, che giustamente ritieni "un caso più concreto" -o meglio: più interessante- per me).
 
Indipendentemente da quanto evidentemente affermano le regole logiche correntemente ritenute valide dai "professionisti della logica" (che a questo punto, presuntuosamente, mi permetterei di considerare errate: se i più grandi geni e le più grandi autorità in materia mi assicurassero -non: mi dimostrano logicamente e/o empiricamente- che esiste l' universo e inoltre non esiste l' universo o che la mia moto è di colore rosso e contemporaneamente è di colore blu- avrei la presunzione di non credere loro), ti sfido a convincere chiunque, con questo argomento, che 2+2=42 (e soprattutto non credo proprio che se ti dicessi di darmi 42 milioni di euro in una volta sola in cambio di 2 milioni di euro subito e altri 2 milioni di euro due minuti dopo, che tanto "così siamo pari", accondiscenderesti).
 
Anche perché allora si potrebbe dire "Se questa proposizione è vera, allora esiste Dio" e pure "Se questa proposizione è vera, allora non esiste Dio"; e pretendere che così si dimostrerebbe che entrambe le conseguenze reciprocamente contraddittorie siano vere mi sembra decisamente assurdo.
A me paiono quelle che comunemente diconsi "farneticazioni".
E infatti non credo che nessuno sia o sia mai stato credente in Dio perché convinto dalla prima di queste "argomentazioni", né che alcuno sia o sia mai stato ateo perché convinto dalla seconda.
Personalmente trovo quella dell' esistenza o meno di Dio una questione di capitale importanza e non affatto "un insulso giochino", caratteristica che, se costretto a scegliere fra i due problemi, certamente non esiterei ad attribuire piuttosto al paradosso del mentitore (per una mia insindacabile preferenza soggettiva: proprio come tu affermi, nell' altra discussione di cui sopra, di adorare gli enigmi, i paradossi e tutte le stranezze del mondo e del linguaggio, esattamente nello stesso arbitrario, soggettivo modo io invece adoro per esempio pormi il problema se Dio esiste o meno).
 
 
 
 
Ad Apeiron
 
 
Mi sembra comunque che in linea di principio un linguaggio "privato" (usato almeno per qualche tempo di fatto a scopo "raziocinativo" e non "comunicativo") possa esistere e che talora ne siano di fatto esistiti almeno per qualche tempo, sebbene comunque inevitabilmente in conseguenza dell' umana "socialità linguistica generale" per così dire, che ne è certamente conditio sine qua non, e sebbene ciò sia di fatto accaduto allo scopo di migliorare comunicazione interumana (Esperanto e affini; mentre in altri casi ciò é accaduto allo scopo di migliorare, di "disambiguare" il ragionamento, il pensiero linguistico, di assicurarne la correttezza logica: linguaggi formali come le neolingue proposte da Frege, Peano e altri; i quali in linea di princiio avrebbero anche potuto usarli privatamente per ragionare bene e non comunicarli ad atri).
 
Il solipsismo a me sembra un' ipotesi non razionalmente confutabile (non superabile razionalmente, ma solo irrazionalmente, "per fede", come ovviamente faccio anch' io) per il fatto che tutto ciò che (ci) viene (o meglio: verrebbe) comunicato (soprattutto linguisticamente) in linea meramente teorica, di principio potrebbe anche non esistere, non essere reale in quanto tale (comunicazione simbolica di pensieri "altrui") ma invece essere mero "frutto di malinteso": nulla ci garantisce in linea di principio (= pensarlo non è autocontraddittorio, ergo è logicamente corretto, ergo si tratta di possibilità teorica) che le parole che udiamo o leggiamo non siano in realtà "significanti" alcunché ma invece mere sequenze casuali di segni grafici o vocalizzi, un po' come quegli scogli che in Sardegna sembrano sculture raffiguranti degli elefanti o un po' come a prima vista un cristallo o un arcobaleno potrebbero sembrare oggetti intenzionalmente, artificialmente confezionati da artisti.