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Messaggi - green demetr

#2581
I dualisti Sgiombo e Pierini sono in realtà dei monisti materialisti. 
Prova a leggerli così (al di là delle loro posizioni teoretiche: e tutto torna).

Ma al di là di queste questione etiche (e spirituali di converso), non ho ancora capito perchè ritieni gli apriori kantiani (spazio e tempo) relativi?

E' chiaro che ogni soggetto vive il proprio tempo e il proprio spazio.

Ma è la concettualizzazione il punto non ancora discusso da te (in maniera relativista).

Infatti come spiegare il concetto di tempo? E quello di estensione?

Tempo ed estensione sono concetti che noi relativamente poniamo certo, ma come codici simbolici, ossia i semafori dell'esempio perfetto di Paul, ma quale realtà li sostiene?
Infatti non sono relativi a oggetti, e dunque cosa sarebbero?

Per tornare a Kant è per questo che giunge tramite un ragionamento puro (appunto assolutamente sciolto dai legami fisici) agli apriori.

In effetti gli uomini sono accomunati da queste forme del Pensiero.

Se non vi fosse Pensiero, e le sue forme come potremmo sennò arrivare a Dio?

Come potremmo avere delle inferenze? (domanda di filosofia avanzata certo)

un inciso fuori dalla discussione:
La visione di Parmenide era molto più visionaria per poterla appiattire alla questione formale del principio di non contraddizione.
#2582
Tecniche per mantenere il discorso aperto rispetto a quello (paranoico) chiuso.

Come nella Hollywood degli anni d'oro, il genere era il pretesto per un approfondimento psicologico dei protagonisti.
Così in filosofia la generalità del discorso aperto, serve solo ad una presa etica, nel senso di ethos, di stare nel mondo.
Ossia di un approfondimento psicologico.
Come nel film western si devono rispettare lo spazio e le convenzioni del genere, così nel discorso si devono rispettare lo spazio (la circoscrizione di un problema) e le convenzioni, ossia le presunzioni del discorso.
Ma il tutto sarebbe in funzione di un approfondimento psicologico.

Come ad esempio proprio la meta-questione, del genere che ha portato alla dissoluzione del genere stesso.

Non esiste più la Hollywood d'oro, perchè non esiste più l'approfondimento psicologico.

Stavo pensando forse che l'approfondimento psicologico nel tempo moderno fa a meno della generalizzazione.

Come se il soggetto si identifica subito nell'approfondimento psicologico.

Così l'eroe western, che spesso è solo una convenzione, per ragionare di altro. Si è trasformato proprio nel ragionare di se stesso dei super-eroi che infestano i cinema.
Ma anche penso alla produzione crepuscolare del western contemporaneo, che mette a lutto il proprio genere.
Come nei film di Eastwood Gli Spietati, o voglio citare anche "Le bianche tracce della vita " di WinterBottom.

Non c'è dunque l'oggetto fisso che genera produzione di pensiero. Ossia non c'è fissazione d'oggetto per liberare il soggetto (come nel periodo d'oro di hollywood 1930-1960.)

Ma c'è identificazione tra genere e soggetto, come ad esempio nei thriller sempre più all'iterno delle vite delle massaie (insieme alla cronaca nera).

Ossia il soggetto diventa il suo oggetto. 

E' di nuovo il processo paranoico.

Ossia quando la filosofia dimentica la vita. Il suo stare nel Mondo.
#2583
parte 2.

x maral

ancora sulle conseguenze dialettiche della dissolvenza (filosofia avanzata)

Certamente Maral, il tre non ha riposo nell'uno, e certamente ogni volta che diciamo un assoluto, diciamo un assoluto relativo.

Seguendo ancora la mia intuizione (basata sulla tradizione ermetica) infatti non esiste l'assoluto, esiste solo il dissolvimento.

Ovvero gli infiniti 3 che a catena piovono dall'uno.

Il punto credo nevralgico della filosofia è sempre intendere quell'uno.

Seguendo Zizek, per Hegel l'uno non è mai l'uno che è sempre un tre, cioè una interpretazione del soggetto, bensì un "meno che niente" ossia nemmeno uno zero, ma un prima dello zero. Cioè un nulla. (Detesto questi tecnicismi, ma si tratterebbe della differenza tra niente, che si riferisce sempre ad un ente presunto, e nulla, ossia ciò "che non si riferisce proprio", un formalismo, un nominalismo puro).

Ma questo nulla è intendibile solo tramite lo zero, ossia tramite il segno di assoluto. (ed è qui il genio Hegeliano).

L'assoluto Hegeliano è un simbolo. L'assoluto Severiniano non so se lo sia. (devo ancora inziare uno, dico uno dei suoi libri).

E' ovvio che il problema è che è un segno formale, ossia indica qualcosa che è fuori dell'Intelletto.

Non è intellegibile (regno del sensibile) l'assoluto.

Certamente intendiamo però il suo significato, e questo è il grave errore della metafisica, che comincia a pensare il nulla come un oggetto (persino un niente è comunque un ente, un pre-ente). Cioè scambiamo il significante (che come abbiamo visto è puro e formale, e serve solo a spiegare, a produrre gli infiniti 3 che si intendono solo a partire dagli uno, ossia tramite inferenze, di cosa ha prodotto quei "tre". Perciò noi diciamo che vi è un assoluto che determina i 3, ossia i soggetti.

Come dici tu questo assoluto è relativo, ma è relativo agli infiniti soggetti, ossia alle infinite posizioni nel mondo di ognuno di noi, e in ogni istante diverso da quello precedente. (solo così possiamo essere d'accordo)

Non può essere relativo alla sua determinazione. Sennò sarebbe un relativismo assoluto, ossia un discorso che si auto-dissolve in continuazione senza produrre soggetti e tanto meno oggetti.

Io detesto questi nominalismi estemporanei, come se la vita di ciascuno non avesse a che fare con reali oggetti.

Dove reale si intende come qualcosa che resiste alla interpretazione, e sì anche il fuoco che ci brucia in un appartamento, è la resistenza alla interpretazione, anzi per dirla all'altezza dei tempi, è la morte che è la resistenza al discorso.
Ma esattamente come nel processo di lutto, non è la morte in sè ad avere senso, ma il reale, e cioè ciò che rimane alla morte.(ossia i sopravvisuti).

Mi chiedo cosa ne pensi (al di là che probabilmente Carlo pensi che l'assoluto sia un ente.)


In breve io propongo l'idea di un assoluto relativo (ossia di un processo, di una storia, che "ritorna" appunto) e non di un relativo assoluto (ossia una entificazione del "presunto" reale) (in questo caso sì entificare il fuoco che ci brucia, non serve a nulla!)
#2584
x  Maral

AB-SOLVO

Sarebbe un rafforzativo di un allontanamento dall'oggetto.

In un primo momento ho pensato che però non è l'oggetto che evapora bensì il soggetto.

Poi ho ragionato subito sul fatto che però nell'alchimia effettivamente è l'oggetto a evaporare.

Non l'osservatore!  :-\  Eppure il processo di evaporazione dell'oggetto, porta il soggetto ad elevarsi, per questo penso si tratti di ermetismo e non di alchimia.  >:(

Dunque da cosa deriva questa necessità dell'impiego dell'oggetto?

Ovviamente si apre tutto il fronte dell'indagine del soggetto sull'oggetto, che a partire da Socrate coincide con il canone occidentale (filosofico e non).

Ma è mia forte convinzione, l'avrò scritto milioni di volte, che il soggetto si costruisce a partire dall'oggetto.

E ultimamente ho raffinato la questione, pensando ad una collezione di oggetti. (non dissimilmente da Peirce, mi sembra di ricordare) Siamo fasci di percezione diceva il materialismo illuminista.

Ma il punto di rivoluzione che scoprì già Nietzche nei suoi primi lavori giovanili, o a cui giunse Heideger nella sua "Svolta", è che l'attenzione al soggetto-oggetto ha completamente perso di vista lo stato ontologico dell'essente, e dell'essere di rimando.
Ossia dei processi appunto di dissolvenza.

A partire da questa precisione, e cioè facendo un salto di "sguardo":

A evaporate non è l'oggetto, ma la nostra visione dell'oggetto. Poichè come nell'alta filosofia, sappiamo tutti di essere schiavi degli oggetti. Noi siamo gli oggetti.
Ma se l'oggetto è evaporato, il nostro legame è automaticamente alleggerito, e spinto verso l'alto.
Idealmente.

Ripeto io vedo l'alchimia come il percorso ermetico della salvezza animica (dove a me della salvezza non importa molto).

L'anima non è l'oggetto. Il solvimento è il processo soggettivo per raggiungere l'anima. Avviene tramite un allontanamento, tramite una sottrazione.

Rigetto in toto la tradizione cristiana, che ne fa una cosa corporale, e invece mi affido alla mia intuizione, che è una questione meramente spirituale.

Con linguaggio tecnico direi che sono tecniche di comunicazione con l'inconscio.

x  Carlo

Si mi piace molto la tua concettualizzazione. (quella che richiama la dialettica tesi antitesi e sintesi).

Ma l'analisi a me ricorda più un percorso di razionalizzazione, se vuoi seguendo la da te odiata storia della filosofia, di decostruzione degli oggetti di fronte a noi, ossia alla dipanazione delle loro relazioni.

La sintesi è poi, come forse saprai, uno dei concetti chiave della filosofia Hegeliana, a cui mi riferisco con maggior piacere.

Il movimento della sintesi, lo seguo molto ascoltando Zizek, e altri contributori: ha a che fare con un processo infinito della coppia tesi-antitesi, ossia riletto all'altezza dei tempi nel movimento della negatività, ripreso con forza da Kojieve come movimento della morte.

Proprio per questo sposo ovviamente la tesi di Maral per cui il processo di sintesi, non è mai l'originario.

Sulla risposta che dai, ossia che la sintesi è un simbolo di un residuo archetipico, ovviamente sono d'accordo.

Il punto è che non possiamo appellarci alla ragione, infatti il residuo è anzitutto provvisorio, e poi necessariamente presunto rispetto al suo legame con l'archetipo.
In fine dei conti la guerra concettuale che stai portando all'interno del forum, dipende in gran parte da quello, Ossia da un tuo abbaglio logico.
Purtroppo per te, la tua posizione non è nè scientifica, pur volendo esserla, nè filosofica, poichè essa filosofia  pone in costante critica, crisi, il sistema di cose a cui giunge, cosa che è lontanissima dalle tue intenzioni.
Infatti la tua arroganza deriva proprio da una presunzione di quale sia lo stato delle cose.
Non si interroga minimamente sul senso etico e morale dell'Essere, sulle questioni ultime dell'alchimia.
Si ostina a girare intorno, come sempre fa, ogni sistema paranoico. (tutti siamo nel sistema paranoico, nessuna offesa caro Carlo  ;) ).
Si tratta di, guarda un pò, di dissolvere il discorso paranoico, di allentare la morsa a cui ci vorrebbe impegnati.
(l'aver ragione ad ogni costo).
In questo le posizioni relativiste (quando non diventano pedanteria, se mai non diventano pedanteria) non sono poi così male.
Innanzitutto perchè aiutano in quell'attività che sempre più il Mondo va perdendo, la capacità di analisi e di critica (sopratutto).


Nota finale privata.

E' veramente troppo presto per me per trovare i parallelismi tra questi due grandi scuole. Nel mio percorso ideale l'alchimia dovrebbe sfociare nel pensiero misticheggiante di Bohme, che recentemente si scorpre essere stato di forte ispirazione per Hegel.

Come a dire che l'alchimia sfocia nell'idealismo? vedremo.
#2585
Tematiche Filosofiche / Re: Dove c'è l'IO c'è Dio
14 Settembre 2017, 13:15:15 PM
Sul principio di fondo sono d'accordo, cioè mi pare banale come considerazione, esattamente come lo è parso a Carlo.

Però vorrei ragionare meglio sulla questione di un Io che praticamente è un Dio  (psicosi permettendo caro Mario, a proposito benvenuto  ;D ) e la sua macchina.

Infatti la questione vitale non è tanto sui principi filosofici (nel senso che appunto quello li abbiamo già detti, male da analitici, ma lo abbiamo fatto), quanto sull'idea dell'uomo-macchina.

Infatti se potessimo prevedere con sufficiente aderenza alla realtà i comportamenti umani, allora entreremmo in una nuova era dell'umanità.
Mi sembra che sia questo la volontà (il delirio) delle scienze dell'IT.

A pensare agli orrori della geometria infernale della applicazioni algebriche dei diagrammi di flusso....
Ma non era bastato il nazismo vero? (ironico) No troppo ideologico. Qua ci vuole qualcosa di scientifico.

Ma d'altronde gli esperimenti sociali della sociologia non sono già una macchina di turing?
I potenti già non sanno come si comporterà la massa?

La depressione, la malinconia, la psicosi non sono evidentemente delle malattie? Degli errori di scelta nel diagramma di flusso a cui alla domanda "sei felice" o "ti piacciono i fiori" prevede solo la risposta SI' ?

No l'impatto della macchina di turing è chiaramente il desiderio di controllo sociale.

E l'operato di Turing come quello di tutti i Figli della Mezzanotte è solo l'orrore del fantasma di controllo che li muoveva al discorso.

Nessuna scelta altra, nessuna alternativa al principio di non contraddizione. o sei bianco o sei nero, non esistono le scale dei grigi, sono inamissibili.

Per ora. Ma il progetto alla lunga distanza è quello di classificare tutte le scale dei grigi.

Ed è quest'ultima secondo me la vera questione, (scientifica e filosofica).

E' possibile costruire una macchina di Turing vivente???

Per tornare a te Mario: non è che veramente il tuo io puro (presunto) non vuole (addirittura) diventare quel deus-ex-machina che ancora non è?

Ma ogni deus ex-machina è figlio del suo mondo paranoico, che non riesce a spezzare i cerchi concentrici in cui siamo vessati.
#2586
Sì ci ho iniziato a pensare proprio questa estate. Non ti rispondo direttamente, ma faccio anch'io le mie considerazioni. (un abbozzo di risposta alla fine).

Poichè le due polarità sviluppate dall'alchimia sono quelle del solvo et coagulo.

Ho cominciato ad avere intuizioni radicali e misteriose.

Anch'io ho pensato subito all'AB-SOLUTIO.

Ed è vero, come in un romanzo di Paul Auster (la triologia di New York) più gli oggetti svaniscono più il protagonista acquista in interiorità e felicità.

Nella mia bizzaria l'ho chiamato la questione della SOLVENZA.

Ossia ho intuito che solo il processo della soluzione, attinge alla dimensione del Mistero, producendo moti dell'inconscio tali che automaticamente si apre il tema della CONDENSAZIONE.

Ossia una intellezione di pensieri assolutamente diversi dalla norma: che si addensano come desiderio.
Non hanno una precisa destinazione, ma il loro giungere numeroso e imprevisto chiede cioè una concettualizzazione (coagulo), ossia una intellettualizzazione appunto.

Dunque l'ASSOLUTO è il termine (presunto ma necessario, come nella grande metafisica, ossia Hegel) indicale e non determinato.
Che serve solo alla produzione intellettuale.

Ovviamente il mio pensiero si è automaticamente reso conto che la parola produzione ne è il suo centro (uso una parola bruttissima) naturale.

L'errore grave e gravissimo è dunque, me ne rendo conto mentre scrivo, che l'indicale viene scambiato per il suo effetto. Ossia l'errore logico principe della storia occidentale e non: intendere causa, ciò che invece è causato!
(ci sto ragionando a fondo tra l'altro tramite l'ultimo aforisma il primo della fase milanese di "Umano Troppo Umano").

Indubbiamente hai delle maledette intuizioni caro amico Carlo. 8)
Peccato che si risolvano, ossia si coagulino nel modo più errato e becero possibile. (e qui mi fermo perchè mi son ripromesso lasciar perdere).
Quindi non riesco a odiarti come vorrei  ;D

Ma andiamo alle cose intellettuali, quelle per cui in fin dei conti siamo qua (si spera, visto che sono qua per bulimia...e tu pure mi sembra...ma comunque...)

Il relativismo crede che l'assolutismo sia una arroganza.

Diciamo la verità non so se sia il relativista che lo pensi, o se invece è la stragrande maggioranza delle persone.

Comunque sia come spesso dici tu, il relativista è il "principe" degli ipocriti, perchè si fa carico di un assolutismo tutto suo.

E infatti li odio anch'io. (di norma, Nietzche è un caso a sè)

Ammetto di dover leggere quello che dovrebbe essere il 3d principale sulla complementarità degli opposti, certo leggendo gli altri, non so quali altri nefandezze intellettuali mi devo aspettare.

E sinceramente penso che non mi interessi tanto (non capisco ripeto la necessità di alcuna episteme ragionata).
Lascio agli altri il compito della guerra al potere della stessa (episteme) tramite colpi d'articolo scientifico e chissà quali altre non dette nefandezze (di cui è piena la storia).

Ma le prime riflessioni sono state apprezzate e parecchio.

ciao  ;)
#2587
Citazione di: Garbino il 12 Settembre 2017, 17:42:33 PM
Premetto che l' argomento che riguarda il diverso modo di intendere l' episteme da parte di Severino lo affronteremo in seguito.
Ma qual è secondo Severino la colpa dei filosofi Greci e che ha determinato il corso della filosofia occidentale? E' l' aver affidato l' essere al divenire. L' averlo inglobato nel venire dal niente e destinato a tornare nel niente.
Ed ancora una volta mi soggiunge immediatamente la domanda: chi è il filosofo Greco o i filosofi che avrebbero affermato ciò? Di certo né Platone, né Socrate né Aristotele; forse Eraclito ma chi altro?

Per il momento mi fermo qui. Aggiungo che ritengo meglio non trattare l' argomento dell' uso del termine niente in questo contesto perché troppo problematico, e che per altro ci porterebbe veramente lontano. Comunque lo riprenderò più avanti per una precisazione.

Ringrazio per la cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta.

Carrera l'ho scaricato, ma devo iniziare a leggere entrambi i libri (sia di Severino che dell'allievo di Sini), più UTU.
Sto cominciando ad ambientarmi ai veleni milanesi (quest'anno è più dura del solito...)

Non so Carrera, ma credo di capire perchè Sini rigetti in toto il pensiero Severiniano.
(semplicemente perchè Severino non si accorge che ogni cosa è Doxa, compresa la sua metafisica, e in generale, qualsiasi metafisica).

Ovviamente mi baso sulle numerose conferenze che ho sentito di Severino.

Per quanto riguarda il discorso logico, lo avevamo affrontato l'anno scorso, o l'altro ancora, leggendo alcune posizioni di Berto.
Ne ho ricordi sfumati.

Ma in complesso se vogliamo capirne le origini, ossia andare indietro fino agli errori primordiali della Filosofia, andiamo in argomentazioni complesse, che non padroneggio affatto.
Di certo però bisogna capire se tu ti riferisci a quelle argomentazioni (di allora) o delle nostre attuali (che pescano in abbondanza nella logica formale).

Certo non è cosa per liceali, si tratta di meditare a fondo su un pensiero che si interrogava sulla natura nascosta delle cose. In un periodo storico dove le cose parevano ancora misteriose.

Quindi il discorso sulla "cosa" (perchè è di questo che stiamo parlando suppongo) va chiarito sin dall'inizio caro Garbino!

Comunque più che Eraclito, che in realtà sebbene affermi il divenire, di fatto sposa l'idea di essere Parmenidea. (Tanto che le interpretazioni moderne, se ne rendono sempre più conto! Comunque sia Sini ci è già arrivato). Il divenire è un illusione per Eraclito infatti.

Severino è un neo-parmenideo, che non ha mai perdonato il maestro del fatto che per lui (Parmenide) esisteva il nulla.

Chi ha creato la spaccatura vera comunque è stato Platone con il famoso parricidio (parmenideo).

L'essere non è l'essere in quanto tale, ma in quanto formale, infatti la formalità non garantisce alcuna esistenza reale. Pocihè l'esitenza potrebbe benissimo essere non QUELLA ESISTENZA, ma un altra ESISTENZA, che non avevamo pensato.
Ossia l'oggetto è sempre presunto (da lì al concetto di Idea il passo è breve).
(cioè: non è l'ente a essere immortale, ma l'idea).

Per questo si parla di PNDC in fieri, che solo il suo allievo Aristotele, risolverà con la sua LOGICA.

Dunque i colpevoli sono Platone e Aristotele. (ecchialtri sennò?)
#2588
Anzitutto mi complimento con Jacopus, con cui sono d'accordo al 100%, un minimo di captatio benevolentiae   ;)  dopo un momento di screzio, spero passato. (non ho avuto più notizie in merito).

Certamente il problema è quello del soggetto, invito quindi Inverno (risposta #30) a leggere perchè ho scritto che "la terra è rotonda" è un concetto vago, per chi abita per esempio una pianura, o per chi si trova ad affrontare una scalata del Monte Bianco.
E' un principio, quello sì. E' una formalità per fare certi calcoli tecnici, utile per esempio per come attraversare grandi spazi.
Riempirsi la bocca con la parola "la terra è rotonda", come se questa fosse la Verità, come se questo ci riscattasse da chi sa cosa, è patetico.
Come diceva sempre la sorella di mio nonno: "a me gli scienziati non mi prendono in giro, è iu sole che gira inturnu la terra, gli lu vedu spuntare da una montagna, e a sera è tramuntato dall'altra. QUesto solo so." Ah cara vecchia saggezza popolare!! quanto mi manchi!


Ma andiamo al cuore di questo post, per riaprire con l'amico (sempre che lo sia ancora, a livello filosofico intendo  ;)  ) davintro la questione fenomenologica, che nel post #16 viene liquidata, e ribadito nel post #18 tramite la frase cit "non solo gli assiomi logici (sono verità assolute ndr), ma anche le conclusioni metafisiche che ne discendono consequenzialmente come quelle sull'autonomia del reale dal pensiero di cui prima ho provato a parlare le considero come verità assolute."
A dire il vero se le verità sono anche quelle della metafisica mi sembra che stiamo andano in contraddizione.
La verità della metafisica (fenomenologica) sono quelle della correlazione fra la realtà dell'oggetto (che ha una sua volontà di manifestazione) e la realtà del soggetto (che ha una sua volontà di visione). Con volontà che vuol dire intenzionalità tradotto nel linguaggio Husserliano.
Non hanno nulla a che fare con gli assiomi formali, ma forse mi manca la lettura delle prime opere husserliane di cartesiana memoria.
Chiedo lumi a davintro.

comunque sia:

cit davintro
Il PDNC così legittima la "vittoria" del realismo sull'idealismo, legittima l'esistenza di una realtà oggettiva il cui modo d'essere è autonomo dalle idee e opinioni soggettive, con la basilare precisazione che il realismo vincente non è quello volgare, ingenuo, che presume di legittimare l'esistenza di un mondo esterno sulla base della costanza delle nostre percezione su di esso, della fissazione arbitraria di una quantità di verifiche sufficienti che dovrebbe bastare a fondare la certezza dei nostri giudizi, sul dare per scontato l'efficienza dei nostri sistemi percettivi soggettivi nell'offrire una rappresentazione adeguata della realtà oggettiva, bensì un realismo critico e trascendentale

Forse mi sto confondendo con un altro nick, ma non eri stato tu a darmi una idea su come risolvere un impasse Husserliano?  :(

La prima parte del post, sembra scritto da un agguerrito analitico americano di stampo aristotelista.  :'(
Sembri affermare con forza che l'entificazione coincidi con la sua identificazione.
A me pare un errore.(e ne ho parlalto a sufficenza in altri 3d)
Nella parte finale, si apre uno squarcio di speranza, anche se la descrizione mi pare tipicamente kantiana, convoglia verso il criticismo razionale moderno (Cartesio, Leibniz e Kant appunto).
Tralascio qui la liquidazione approssimativa dell'idealismo (Kant e ed Hegel), come se l'idealismo fosse un anti-realismo, cosa di una volgarità non indifferente se detta da chi come te, conosce bene la filosofia.

Ma comunque sia, quello che mi preoccupa è perdere per strada amici filosofi, cosa è successo alla tua fenomenologia?  :(

Cosa è successo al processo di costruzione soggetivistico? cosa all'oggetto domandante del primo Husserl?

Capisco che la filosofia avanzata chieda conto del problema del soggetto  :-[ ,  e di porlo in maniera differente rispetto al passato, ma non è che quello (problema) sull'oggetto debba perdere le ultime acquisizioni della fenomenologia, che mettono completamente in secondo piano l'entificazione identitaria. (E  proprio a partire dallo svelamento dell'oggetto che si palesa al soggetto, questione che non ho mai digerito fino in fondo, ma comunque degna di attenzione).
Capisco benissimo che tu non ti richiami al realismo ingenuo (disgiuntivismo in america), ma mi sembra insomma che poni troppa attenzione all'oggetto e poca al soggetto, dando così tanto valore al pndc.
Voglio dire porre attenzione sul pndc (che per carità va benissimo, ed è quello che facciamo tutti, a livello formale) automaticamente pone in ombra il soggetto, o comunque sia in secondo ordine rispetto all'oggetto.
Ma appunto quale oggetto? l'oggetto non chiede di essere indagato? (dalla coppia Locke-Berkely giù fino a Husserl).
#2589
In Nietzche è famosa la frase che la filosofia nasce grande.
Per poi pervertirsi al principio di identità politico, ossia morale.
Lo fa con Socrate ed Euripide e dura fino ad oggi.
Tale errore è rimasto tale e quale. Ossia che vi sia una fissazione tra identità e politica.

+++

Questo errore tanto macroscopico, quanto ancora da affrontare in maniera seria dal canone della filosofia occidentale.
Ha un altro "eroe": anche per Severino l'identità è il grande errore che si sostituisce alla Verità.
Poichè sebbene a me pare evidente che sia un formalista, è però altrettanto evidente, che quel formalismo non è quello sterile della scuola analitica.
Nella sua polemica con i logici risentiti di ogni dove, egli oppone un formalismo dialettico, che affonda nell'hegelismo, a sentir certi autori.
Ossia che non è l'identità ma è l'ente che sussiste. E che l'identità è la grande follia dell'occidente.
Ma è una follia che segue il destino dell'ente che si manifesta nella sua apparenza ossia nella sua fenomenicità.
La sua fenomenicità è la sua contraddizione, ossia è l'apparenza dell'identità.
A seguire il suo discorso perciò l'apparenza seguendo il suo destino delirante, prosegue nel suo cammino di annichilimento.
Annichilimento che però Severino attende, vedendo nella fine della storia, l'inverarsi dell'esistente in quanto tale, e non in quanto apparizione (destinata appunto alla dissoluzione, o meglio al disapparire, sempre illusorio).
E' un percorso imbattibile e bizzarro che approda a certe idee della filosofia vedanta indiana non dualista.


A grandi linee questo è l'idea che ho di Severino, che lo vedo come alleato di Nietzche, salvo il colpo di teatro finale.
(peraltro impeccabile a livello logico).

+++

Ovviamente è solo una griglia (la mia griglia) per poi farsi le domande che vogliamo farci.
#2590
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Settembre 2017, 12:24:15 PM
Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:33:10 AM
1 -La frase "io amo la filosofia" Come può essere verificata dal PDNC?
2 - La terra è rotonda? A me non sembra. E' vagamente rotonda.
3 - Cosa vuol dire la parola "vagamente"?

1 - il PDNC è una regola logica del linguaggio, non uno strumento di verifica dei contenuti del linguaggio rispetto al suo oggetto. Se tu ami la filosofia, l'enunciato è vero; se invece non ami la filosofia, l'enunciato è falso. Ma, dalla domanda che mi fai, arguisco che, a te, della filosofia "...nun te ne po' fregà de meno", altrimenti avresti chiarito da solo questa ovvietà logico-filosofica.

2 - Infatti l'enunciato vero è: <<La terra è rotonda>>, non <<la terra è perfettamente sferica>>. E' sottinteso che "rotonda" sia un'approssimazione di "sferica". Quindi quello che hai detto tu è una verità assoluta.

3 - La parola "vagamente" è ridondante se associata a "rotonda", per quanto già detto. Quando diciamo che una palla è rotonda non vogliamo dire che essa sia perfettamente sferica.



L'angolo musicale:
M. ZARRILLO: Mary
https://youtu.be/FnOYAFMDAYE

SHAKIRA & M. BOSÈ: Si tu no vuelves
https://youtu.be/iiVuTNXtY_k

1. Ma sei tu che supponi che la Logica coincida con la Filosofia.
Questa tua idea balzana è frutto del pensiero analitico americano che ti controlla.
La tua ignoranza in merito è tanto evidente quanto la tua arroganza su cosa sia o non sia Filosofia. (cestinando centinaia di anni di storia filosofica).

2. Come è sottinteso? Da chi? il PNDC non dovrebbe essere un principio di chiara distinzione?

3. L'oggetto Terra, può essere visto piatto o rotondo a seconda di come guardi il Mondo.

La rotondità è una convenzione per una serie di calcoli utili.
Così non costruisci basamenti curvi per aderire alla rotondità.
Ma ti configuri in base alla misurazione del territorio.
E come tu sai la grandezza della misura stabilisce regole assai relative, rispettose delle proprie utilità.

Vi sono perciò verità solo perchè ne stabiliamo una utilità.

Niente a che vedere con la questione ontologica tout-court del mondo greco.

Come se poi non ci fosse stato il medio-evo, la modernità e la logica contemporanea (con tutte le sue aporie), a rendere il discorso ancora più complesso.

Non capisco questa tua fretta di liquidare le questioni che si sono sommate nella storia dell'occidente filosofico.

Posso capire che la tua formazione scientifica ti porti a voler accellerare il tutto.

Ma non basterebbe dire: poniamo che esista un "x". La questione vera non sarebbe parlare delle proprietà di questo presunto "x" e delle sue conseguenze?

Possibile che tu debba ridurre il tuo sogno ad una "semplice" (mica tanto  ;)  ) entificazione?

Il compito della Filosofia è quello?

Una reductio ad unum? Guarda la storia del cristianesimo o quella dell'ebraismo, ti sembra che la storia ti possa dar ragione?

Guarda i continui ribaltamenti e tribolamenti della scienza, ti pare che una teoria sia per sempre?

Non sono contrario all'individuazione degli enti, posso anche tranquillamente ammettere che esistano. Quello che mi interessa è cosa comporta dare troppo importanza ad una individuazione assoluta, e cioè fuori dal tempo.

Qualsiasi filosofo è consapevole dell'impatto che Aristotele ha avuto sul modo di pensare il Mondo.

Ma questo non ci esenta di pensare alle problematiche che pur si sono legate a quel principio.

La mera coincidenza Simbolica, fra parola e oggetto, non ci mette al riparo, dalle continue rimesse in discussione di quella parola.

D'altronde tu stesso, se ti allineassi al pensiero scientifico generale, ammetteresti che la mente è frutto esclusivamente del cervello.
Per quale motivo devi mettere in discussione questo principio scientifico, se non appunto perchè l'identità parola-oggetto può benissimo essere re-interpretata?

Ti lascio a queste considerazioni.
#2591
Citazione di: Angelo Cannata il 06 Settembre 2017, 14:41:18 PM
Verso la fine del mio intervento iniziale avevo scritto che il problema tempo investe in realtà non soltanto i giudizi analiti apriori, ma qualsiasi forma di pensiero, anche la più elementare che riusciamo ad immaginare, sempre per il fatto che qualsiasi pensiero richiede comunque il trascorrere di un lasso di tempo, infinitesimale per quanto esso possa essere.

In sostanza, anche un solo neurone del nostro cervello richiede del tempo per potersi attivare, fosse anche un miliardesimo di miliardesimo di secondo. Tempo significa un minimo di due momenti; minimo di due momenti significa che qualsiasi fedeltà o permanenza tra i due momenti è a rischio di infedeltà, impermanenza, smemoratezza.

Da qui la conclusione che ci è impossibile essere certi non solo di 1=1 come giudizio analitico apriori, non solo di 1=1 come premessa, ma anche semplicemente di 1.

Ciò non va confuso con un'affermazione di certezza del dubbio: si tratta soltanto di un'incertissima impressione, derivata dal ragionamento qui sopra esposto, che finora sembra verificarsi riguardo ad ogni cosa che vogliamo provare a pensare come certa.

No Angelo non ci siamo, il tuo fraintendimento su Kant è totale.

Il sistema di Kant nasce proprio dall'ambizione di creare un sistema di pensiero della stessa potenza di quello matematico.

Quando dici 1, non passa del tempo tra la percezione e l'attivazione del cervello.
Infatti il numero non è una percezione, ma un apriori.
E' quindi già presente nella mente. E' quindi certo.

Lo stesso concetto di tempo, è un apriori, non lo avevi detto anche tu?
Anche il tempo è certo, in quanto è già presente nella mente come intuizione.

Ti prego di ripensare a quello che scrivi.
#2592
Tematiche Filosofiche / Re:Essere o non essere
07 Settembre 2017, 10:52:11 AM
Citazione di: maral il 06 Settembre 2017, 16:15:31 PM
Citazione di: Apeiron il 05 Settembre 2017, 09:18:23 AM
Ci sono mappe inaccurate e mappe accurate. Ci sono mappe che dicono che Roma è al Polo Nord e mappe che dicono che Roma è nel Lazio. Chiaramente le prime sono completamente errate, le seconde invece riescono a farmi arrivare a destinazione.
A patto che ci sia una mappa che dica dove è il Polo Nord e dove è il Lazio e non è detto poi che a sua volta questa mappa sia giusta e ci vorrebbe quindi un'altra mappa ... (con conseguente regressione all'infinito).
C'è sicuramente un problema linguistico, un problema che nasce da un'illusione di identità tra la cosa e il nome della cosa che in realtà non la denota, ma si limita sempre fondamentalmente a connotarla, perché, come già ebbi a dire a Sgiombo, se c'è il nome la cosa non c'è, il nome originariamente evoca una presenza nell'assenza e le mappe (ogni mappa, anche quella che sto abbozzando con queste parole) evocano il territorio nell'assenza del territorio. Le parole non sono etichette frutto di mere convenzioni e questo equivale a dire che ogni discorso sul territorio  (anche questo discorso) evoca la realtà attraverso la verità del suo dire che, per quanto preciso ed esatto, è sempre sfalsato rispetto alla realtà che tenta di dire, proprio perché la è venuta a dire.
Non c'è alcuna mappa che restituisca il territorio (giustamente, Inverno si riferisce a un diverso ordine, che non è però a mio avviso solo un ordine di categorie linguistiche, ma un  vero e proprio ordine ontologico, poiché anche le mappe fanno parte del territorio, ne sono il risultato, non sono convenzioni se rappresentano qualcosa), ma ci sono mappe più vere e mappe meno vere nei contesti che rendono possibile il venire a farsi presente di ciò che non c'è, la cosa che non ha nome. Ci sono quindi discorsi che evocano e discorsi che falliscono l'evocazione, ma non in virtù di una loro capacità intrinseca, ma piuttosto relazionale in virtù della quale l'evocazione a volte può accadere che riesca e, quando riesce, la mappa attraverso la quale è riuscita è diventata inutile, è superata, proprio perché ha funzionato essa si è compiuta.
Questo non significa naufragare perennemente in una sorta di relativismo assoluto (contraddittorio proprio in termini relativi), ma mantenersi nell'ambito ben diverso di un prospettivismo e di un'ermeneutica che riconosce e accetta i limiti insuperabili di ogni prospettiva affinché qualcosa (senza sapere di cosa si tratta, se non quando è accaduta) può essere detta con verità, in prospettiva di un poter tornare a essere di ciò che, con le parole che lo nominano, si chiama e si richiama a venire a manifestarsi.

Certamente.

Manca però forse il discorso a partire dal quale il prospettivismo non deve sfociare nel relativismo.
Ossia l'attenzione al territorio.

Certamente la mappa fa parte degli enti, ma il territorio cosa sarebbe in un mondo di enti che rimandano gli uni agli altri?

E' un problema che detesto, me l'ha fatto tornare un mente Angelo nel suo Topic quando parla della insensatezza dell'a-priori.

Ha fatto bene ad aprirlo a parte, ma in qualche maniera, effettivamente ritorna in questo topic.

Il territorio non è forse l'a-priori?

Senza a-priori, regnerebbe un relativismo totale, a quel punto non si riuscirebbero a tenere le redini razionali di qualsiasi prospettivismo.
#2593
Tematiche Filosofiche / Re:Essere o non essere
07 Settembre 2017, 10:43:16 AM
cit Paul

Altro aspetto ancora è la relazione fra domini.
Quando Carlo, dici che "il principio di complementarietà" ancora ti sfugge nella fisica, è perchè cerchi di  dimostrare che questo principio è "universale". Un "assoluto" è un principio universale che relaziona forma e sostanza ,ma ancora relaziona i domini diversi ,Il linguaggio non è il mattone, ma il cemento la malta che tiene insieme i mattoni.


Ciao Paul, scusa se mi intrometto, ma questo periodo non l'ho capito io  :P

Premesso che devo leggere ancora il topic di Carlo sulla complementarità fisica.
Premesso che anch'io sono d'accordo che L'Archetipo ha funzione dall'alto verso il basso.
E che il basso è il lavoro che ritorna all'alto, che ri-funziona verso il basso etc..
E infine premesso che a mio parere è questione psichica extra-soggettiva, e non fisica.
Ma accettando che esista questa unione fisico-spirituale.

ORa La domanda (che rispetto alle premesse forse è un pò secca, ma testimonia solo che per il resto ti ho seguito, e concordo in linea generale).  ;)

La assolutezza è dunque un principio: ma NON ho capito se è un principio FISICO o come presumo visto lo svolgimento è un principio LINGUISTICO?
#2594
Tematiche Filosofiche / Re:Essere o non essere
07 Settembre 2017, 10:17:41 AM
Citazione di: Phil il 06 Settembre 2017, 17:25:36 PM
@green demetr
Abbozzo risposte sintetiche, ma su ognuna si potrebbe fare una tesi di laurea  ;D

Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
Epperò siamo così sicuri che l'interazione tra i diversi livelli sia così tranquilla?
Veramente ogni livello della tabella accetta tranquillamente quello precedente?
Nessuna tranquillità: ogni livello aggiunge complessità, possibili errori (logici o contenutistici) e deve rendere conto sempre di più fattori sottostanti... il livello sottostante sollecità il sovrastante, ponendo questioni che il sovrastante deve tentare di risolvere senza schiacciare il sottostante e senza sostituirsi ad esso... se l'architettura teoretica non è solida, si può arrivare al punto in cui tutto va distrutto e si deve ricominciare dal piano terra (ma possono anche essere calamità esterne a far crollare il palazzo  ;) ).
Chiaramente, il punto critico (in tutti i sensi) è proprio il passaggio da un livello all'altro.

Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
La tabella si legge dal basso vero l'alto o viceversa?
Dal basso "testuale" (meta-discorso) verso l'alto della prima riga ("mondo fisico") per controllare la fondatezza e la coerenza dell'ingegneria metodologica; dall'alto verso il basso, per controllare la comunicazione fra i piani e la completezza. Per verificarla nel suo complesso, invece... bisogna fare su e giù con l'ascensore! ;D

Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
E sopratutto dove sta il soggetto? a quale livello?
Il soggetto è trasversale, o meglio, è la colonna portante che attraversa e raccorda tutti i livelli: dal mondo fisico (da non sottovalutare, come ci spiega la linguistica cognitiva) a quello più meta-concettuale interpretativo.


Concordo assolutamente con la prospettiva che hai indicato.
Anzi mi complimento per la succinta ma intensa descrizione che ne hai fatto.


Anche nella mia prospettiva il meta-discorso sta all'inizio della tabella.
Rimane aperto il mio Topic sulla necessità di una non gerarchia, in effetti la soluzione che ne davo, e cioè che bastava rispettarne l'assunto, non torna a livello logico, per via di un paradosso che non conoscevo, che spezza anche la logica dei Vero - Falso.
A questo punto direi proprio che la logica salta.

Rimane dunque sempre e solo il soggetto che si fa carico di tutti i piani della tabella.
Forse hai esagerato, perché sennò salta la distinzione mappa-territorio.

In effetti è un cruccio dei nostri tempi la questione gnoseologica e la questione percettiva.

Da bravo Hegeliano mi sembra una gran perdita di tempo comunque. Percepisco dunque conosco, per dirla in breve.

Mi sembra che il soggetto non possa fare altro, anche volendo non può sostituirsi al territorio (fisica quantistica etc.).

Diversa cosa per le mappe, là veramente è in atto una guerra, che coinvolge il potere invisibile come dice Sini, ossia le tendenze storiche.
Ossia la mappa della Doxa sostituisce le mappe singole, in una inversione della questione antica della Verità.
La verità non soggiace alla onticità della cosa, ma al suo uso (e consumo).

Questo proprio perchè la Doxa è il meta-discorso, che indirizza e segnala l'intera tabella, sociale.

E' solo a questo punto che si apre il discorso ideologico o utopico.
Quello ideologico completamente schiavo della Doxa e quello utopico sovrastato dal fantasma di controllo mimetico della stessa ideologia.
Perciò ha ragione Fusaro a parlare di pensiero unico.

Dove a questo punto risiede la libertà di essere o non essere?
Anzitutto andrebbe rifondata la parola libertà sulla scorta del meta-discorso.
La libertà non è la naturalità della scelta fra bene e male come insegna Nietzche.
E' invece un discorso che si impegna nella costruzione di un soggetto che tende a esplorare la potenza del Pensiero.
Uno sperimentare le possibilità relazionali, al netto del peso della Storia (e del suo DIO).
Possibilità relazionali, culturali, scientifiche, in realtà c'è molto di più.
La liberazione è quindi e concordo con te, nel fare attenzione a rispettare la mappature e ancor di più le mappature altrui.

Cosa difficile, per chi come me sente al collo lo spirito ansante della scienza, l'ultimo genita del mostro cristiano. (colpa-espiazione-salvezza).
Sopratutto perchè l'espiazione è l'estinzione del Pensiero.

Giusto per aggiungere qualcosa alla famosa tesi di laurea  ;)
#2595
Tematiche Filosofiche / Re:Essere o non essere
07 Settembre 2017, 09:45:33 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Settembre 2017, 13:00:02 PM
Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
Dunque non esistono mappe che aderiscono al territorio, perchè il territorio è quello che viene deciso dalla mappa.

Ogni affermazione sulla realtà è una mappa. E questa tua affermazione-mappa: <<non esistono mappe che aderiscono al territorio>>) aderisce al territorio? Oppure hai arbitrariamente deciso tu qual è il territorio?
Tutte le mappe sono arbitrarie, tranne la tua?
Non sono domande retoriche; gradirei una risposta logica.

;D  Guarda che quella è la posizione del PNL non la mia! per me esistono mappe ed esiste il territorio, ci mancherebbe!  ;)