Citazione di: Kobayashi il 03 Ottobre 2017, 09:40:45 AM
....Quello dell'uomo terrorizzato. L'uomo attaccato dai propri nemici, dalla povertà, dalla malattia etc.
Un uomo che si avvicina alla morte in solitudine. Ma l'uomo è un mammifero sociale, non è capace di affrontare il terrore da solo. Ha bisogno di essere accompagnato.
Così invoca l'aiuto di un Dio che gli sta accanto, che c'è, che è lì con lui.
E' un'immagine di Dio che nasce nel deserto, dal terrore specifico del deserto.
Lasciando perdere il discorso della bontà di Dio, che è semplicemente il contraltare di un patto legale di chi deve dominare.
Ossia la mera scusa.
Mi hai ricordato che quando iniziai i miei studi giovannei, la curiosità mi spinse a guardare i luoghi del mare tiberiade.
Come al solito guidato da un intuito che è costantemente in contatto con l'originarietà dello stesso: un brivido mi è corso, a vedere quei luoghi arsi, aridi, salini, pieni di luce che immagino accecante insopportabile.
All'improvviso prendeva forma l'assoluto da cui nasce la grande storia ebraica.
Dio è il deserto, concludi con sicurezza tu.
Facendo dei brevi sillogismi, credo di essere d'accordo.
Il discorso del terrore, è per mimesi, il discorso della bontà. Ossia la produzione dall'annientamento si riversa nella costituzione di una storia fantasma. Un fantasma riparatore. Persino, e per me sopratutto, un discorso di comunità.
Mi pare che la bontà nasca dalla miseria, come cotraltare, come esecuzione (di psicosi controllata come asserivi nel tuo trhead).
E seguendo i miei ultimi pensieri come produzione.
Come al solito per intendere la metafisica serve un salto qualitativo, che chiamo metafisica 2.0
Ossia per re-intendere il terrore, c'è bisogno di un controllo sul discorso, ossia il meta-discorso.
In questo senso la questione della bontà di Dio, va rianalizzata, come passo successivo alla presa di coscienza che per esempio fa un Leopardi con la Ginestra, salvo poi appunto, tornare al terrore iniziale, che non è più il terrore di non potersi aggrappare a qualcosa, a qualche storia, a qualche filosofia o religione, ma è di intendere il Vero Terrore.
Ossia vivendo il deserto, o come direbbe il Baffo, diventando deserto. Ci si appropria del proprio essere niente che viene dal Niente. Cioè di essere parte del Niente. Per ora sono pensieri non ancora decisi, ma ci sto lavorando su.
Ma insieme aggiungo come in notazione, lasciando i diversi discorsi aperti, e tutti da intendere ed approfondire: Deserto, Paura, Coscienza della Paura, Coscienza del processo di produzione, e ritorno al Deserto.
Quello è DIO? Sì, a patto di non chiamarlo niente. A patto di non chiamarlo male.
Certo il dolore come dice Paul rimane, e insieme ad esso gli infiniti fantasmi. E certamente per avere una vera coscienza non va dimenticata come questione, molto materiale e immediata, e proprio per questo la più difficile da pensare. Anzi pensandola io continuo a fare danni agli altri e quindi per contraltare a me stesso.
Questa questione del male, non è semplicemente un sofisma. Anche se è facilmente liquidabile come tale.
Mixarla con Dio, rende la cosa veramente ardua. La stanchezza del mondo è evidente, la morte di Dio, non ha ancora un lutto.
E' morto e sepolto il dio naif della bontà, ma rimane ancora come quel suo odore dolciastro, di frutta marcia, nell'aria.

MAH!
) può avere, appunto, solo l'idea di Dio... quale idea? Tante: l'idea di una possibilità, se parliamo di ontologia; l'idea di un fattore fra i più rilevanti della storia umana, se parliamo di antropologia filosofica; l'idea di un concetto-limite, se parliamo di logica; l'idea di un pilastro teoretico, se parliamo di metafisica; etc. dipende sempre dai discorsi... e dalla prospettiva scelta dal formalista che li affronta... "
Avrei dovuto affrontarlo questa estate nel confronto con Hobbes.